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Aspetti delle teorie romantiche inglesi in Cernuda

Renata Londero


Università di Udine



Nell'esteso saggio autobiografico Historial de un libro - La Realidad y el Deseo, che ripercorre le tappe essenziali della sua formazione culturale e poetica, Luis Cernuda mette in risalto rimportanza che rivestì per lui l'incontro con la letteratura inglese. In uno dei passi più significativi si legge:

Aprendí mucho de la poesía inglesa, sin cuya lectura y estudio mis versos serían hoy otra cosa, no sé si mejor o peor, pero sin duda otra cosa. Creo que fue Pascal quien escribió: «no me buscarías si no me hubieras encontrado», y si yo busqué aquella enseñanza y experiencia de la poesía inglesa fue porque ya la había encontrado, porque para ella estaba predispuesto.


(Cernuda, 1975, pág. 921)                


Il contatto letterario di Cernuda con la cultura anglosassone coincide cronológicamente con l'inizio del suo quasi decennale esilio volontario in Gran Bretagna (1938-1947)1, e prosegue poi, a varié riprese, durante il soggiorno negli Stati Uniti, pressoché ininterrotto dal 1947 al 1963. Ma l'interesse del poeta spagnolo per la letteratura inglese era sorto in precedenza ed è già riscontrabile nella raccolta Invocaciones (1934-1935) e in alcuni saggi critici apparsi nel 1935, tra i quali è assai interessante «Palabras antes de una lectura».

Tuttavia, solo a partire dal 1938, Cernuda comincia a leggere e a studiare con sistematicità e costanza gli autori inglesi da lui più apprezzati e sentiti più congeniali2.

Del resto, per valutare appieno il peso di questa cruciale esperienza letteraria nell' opera di Cernuda, è sufficiente considerare in quante direzioni si rivolga il suo studio appassionato della letteratura inglese, e in particolare degli autori del XIX e XX secolo: traduzioni, prosa critica, produzione in versi.

Le versioni dall'inglese allo spagnolo non sono numerose, ma di gran pregio: in un lungo arco di anni, dal 1938 al 1962 circa, il sivigliano traduce liriche di Andrew Marvell, William Blake, William Wordsworth, Robert Browning e William Butler Yeats3, e due drammi di William Shakespeare, Troilus and Cressida e Romeo and Juliet (di quest'ultima soltanto il primo atto).

Del tutto singolare nel panorama della critica spagnola contemporanea è la raccolta di saggi critici Pensamiento poético en la lírica inglesa - Siglo XIX, scritta nel 1958, a riassumere un ventennio di assidua e feconda frequentazione della letteratura inglese, con speciale riferimento all'Ottocento. L'opera, divisa in due parti (I, 1800-1830; II, dal 1830 alla fine del secolo), dà prova delle letture poetiche e critiche di Cernuda riguardanti il Romanticismo e l'epoca vittoriana. In particolare, la prima sezione, riservata ai romantici inglesi che più interessarono e affascinarono Cernuda, è preceduta dall'excursus «Fondo histórico del Romantic Revival» e s'articola in cinque capitoli, «William Blake», «William Wordsworth», «Samuel Taylor Coleridge», «Percy Bysshe Shelley», «John Keats», che dimostrano come Cernuda non solo conobbe in profondità la produzione in prosa e in versi degli autori citati, ma ebbe anche dimestichezza con i maggiori interventi critici ad essi dedicati (per esempio, la monografia Wordsworth di Herbert Read; il libro di I. A. Richards, Coleridge on Imaginatione The Road to Xanadu di J. L. Lowes, sulla concezione dell'immaginazione e la poesia di Coleridge; la biografia di Keats scritta da Richard Monckton Milnes, The Life and Letters of John Keats).

D'altra parte, è la lirica il genere in cui Cernuda si rapporta più direttamente e più acutamente alla letteratura inglese: le raccolte dove questa relazione (soprattutto con i romantici e con Browning, Yeats e T. S. Eliot)4 è maggiormente evidente sono Las nubes (1937-1940) e Como quien espera el alba (1941-1944), ma esempi altrettanto apprezzabili si ritrovano pure nelle collezioni successive, Vivir sin estar viviendo (1944-1949), Con las horas contadas (1950-1956), e Desolación de la quimera (1956-1962).

La poetica di Cernuda, quale si enuclea dalla lettura delle sue opere, sostanzialmente autobiografiche e individualistiche, è in prevalenza di stampo neoromantico5. I suoi temi principali sono la solitudine, l'amore il trascorrere del tempo, l'incombere della morte, l'approccio panteistico alla natura, il contrasto tra «realidad» e «deseo» -realtà quotidiana e illusione-, la nostalgia della patria lontana, il conflitto del poeta con la società ostile.

Particolarmente avvincente appare, dunque, il confronto tra Cernuda e i romantici inglesi, qualora si pensi alla natura neoromantica del poeta sivigliano e al valore della sua scoperta della letteratura anglosassone. Il rapporto che Cernuda instaurò con i poeti romantici inglesi produsse, infatti, l'assorbimento e l'originale riutilizzazione di temi e motivi comuni, nella sua produzione in versi e in prosa.

Tale rielaborazione si rivela in special modo fruttifera, infine, quando ci si soffermi su un aspetto dominante del pensiero cernudiano: la definizione, che fu sempre urgente in lui, della missione del poeta, della sua posizione nella società, e del ruolo che la poesia svolge tra gli uomini e per gli uomini.

Per quanto concerne il tema metapoetico, Cernuda istituì con i poeti romantici inglesi un nesso di tipo interdiscorsivo, secondo la definizione di Cesare Segre:

Per i rapporti che ogni testo, orale o scritto, intrattiene con tutti gli enunciati (o discorsi) registrati nella corrispondente cultura e ordinati ideologicamente, oltre che per registri e livelli, proporrei di parlare di interdiscorsività.


(Segre, 1984, pág. 111)                


Egli, cioè, riformulò paradigmi collettivi del Romanticismo anglosassone cui diedero espressione tutti i suoi massimi rappresentanti: Wordsworth, Coleridge, Keats e Shelley; tra loro Cernuda inserì anche l'eccezionale figura di Blake; escluse, invece, Byron, troppo distante dalla sua concezione poetica.

I temi generali a cui il sivigliano si richiama sono la funzione capitale conferita all'immaginazione, grazie alla quale il poeta può trascendere i limiti dell'esperienza ordinaria, per cogliere un ordine diverso e arcano; la considerazione della creazione poetica come efetto della costrizione operata sull'artista da una forza ignota, irresistibile, che lo obbliga a plasmare il suo eterocosmo in uno stato di estasi; la glorificazione del poeta-vate, creatura solitaria e divina, dotata di virtù straordinarie e circondata da un'aura sacrale.

Giustificano l'assunzione di questi temi da parte di Cernuda non solo la sua ammirazione per i romantici inglesi, ma soprattutto la concezione neoromantica del ruolo del poeta e della poesia. La scrittura poetica fu, infatti, valore supremo della sua opera e della sua stessa vita, «fue para Cernuda el único y verdadero amor: el más sublime y absorbente. A ella dedicó lo mejor de su existencia. En ella encontró redención y compensación a sus angustias y frustraciones humanas» (Couso Cadahya, 1976, pág. 33).

É da tener presente, comunque, che Cernuda non sviluppó mai una precisa teoría dell'immaginazione, né s'abbandonó a quei voli della fantasia e a quei viaggi visionari che costituiscono il grande fascino di molta poesia romantica inglese: il sivigliano trasse dagli scritti teorici e dai componimenti in versi dei romantici solo gli spunti tematici che potevano essergli utili per tracciare la propria concezione della poesia, pur sempre di netta impronta neoromantica.


Il ruolo dell'immaginazione


ArribaAbajoL'intuizione di una realtà trascendente

Nelle pagine introduttive a Pensamiento poético en la lírica inglesa, il cui argomento principale ruota intorno a «las ideas que acerca de la poesía expusieron los poetas ingleses» («Prefacio», in Cernuda, 1975, pág. 487), Cernuda mette in rilievo la caratteristica, secondo lui più saliente, del movimento romantico inglese, «el papel que [...] desempeña la imaginación» (ibíd., pág. 504). Questa facoltà è provvista di una eccezionale capacita creativa che la colloca all'apice di tutti i poteri del'intelletto, ed è quindi responsabile della scoperta di un mondo invisible ai più, posto al di là della normale esperienza umana. I poeti romantici inglesi

creían en un orden transcendente, que no es el orden de lo que vemos y sabemos; y descubrir ese orden era la meta de su poética, buscando cómo penetrar en otra realidad que no fuese la cotidiana, explorarla y, de ese modo, comprender lo que nuestra vida significa y lo que vale.


(ibíd., pág. 504)                


Testimonianze della fruttuosa ricezione cernudiana di questo paradigma del Romanticismo inglese sono osservazioni molto simili, presenti sia nell'opera in prosa che nel corpus lirico (a partire da Invocaciones), e riferite all'intuizione di un mondo altro -conoscibile esclusivamente grazie al dono dell'immaginazione-, di una «superior, invisible reality lying behind the illusory appearance of the world» (Harris, 1973, pág. 97).

II concetto di /esperienza poética / = / conquista dell'essenza divina del mondo / è chiaramente enunciato in tre poemi in prosa di Ocnos,«La poesía», «Pantera» e «El acorde».

Ne «La poesía», Cernuda ricorda come, sin dalla prima infanzia, egli abbia identificato la visione immaginativa con la percezione degli aspetti più misteriosi del creato:

Entreví entonces la existencia de una realidad diferente de la percibida a diario, y ya oscuramente sentía cómo no bastaba a esa otra realidad el ser diferente, sino que algo alado y divino debía acompañarla y aureolarla, tal el nimbo trémulo que rodea un punto luminoso.


(ibíd., pág. 19)                


La pantera dell'omonimo poema in prosa è un animale crudele e inquietante che pare provenire da un'altra dimensione, e nei cui occhi brilla minaccioso un lampo di luce (cfr. il «glittering eye» dell «Ancient Mariner» di Coleridge, o il fuoco che brucia nello sguardo della «tyger» di Blake, a cui probabilmente Cernuda si rifece per la composizione di questo brano). La splendida bestia, prigioniera tra le sbarre di una gabbia, sembra volersi rifugiare in «otra realidad que los sentidos no vislumbran [...] más allá de la apariencia» (ibíd., pág. 74).

Ne «El acorde», il poeta descrive un'esperienza di armonizzazione con la natura, che si configura nel distacco dalla sfera materiale e nel raggiungimento degli oscuri recessi dell'essere, ed è ottenuta tramite l'estasi sessuale (elemento specificamente e inconfondibilmente cernudiano). Il balzo da un piano all'altro del reale è attuabile, dunque, solo nel momento in cui avviene la fusione fisica con il «cuerpo deseado»:

todo está abierto: un arco al espacio ilimitado, donde tiende sus alas la leyenda real. Por ahí se va, del mundo diario, al otro extraño y desusado [...] tu experiencia, tu acorde místico, comienza como una prefiguración sexual.


(ibíd., págs. 103-104)                


Vero e proprio testo metapoetico, programmatico, è «Palabras antes de una lectura», in cui Cernuda dà la sua interpretazione dell'equivalenza romantica tra visione immaginativa e recupero di una diversa esistenza (durante la creazione l'artista può «alcanzar alguna vislumbre de la imagen completa del mundo que ignoramos, de la idea divina del mundo que yace al fondo de la apariencia, según la frase de Fichte»; (ibíd., pág. 872). Il suo desiderio di scalvacare le barriere del quotidiano, infatti, è dovuto alla volontà di sanare la disparità lacerante tra «realidad» e «deseo», che permea tutto il suo universo lirico:

El deseo me llevaba hacia la realidad que se ofrecía ante mis ojos como si sólo con su posesión pudiera alcanzar certeza de mi propia vida. Mas como esa posesión jamás la he alcanzado sino de modo precario, de ahí la corriente contraria, de hostilidad ante el irónico atractivo de la realidad [...] la realidad exterior es un espejismo y lo único cierto mi propio deseo de poseerla.


(ibíd., pág. 872)                


La frustrante routine di ogni giornno è solo apparenza, mentre la vera realtà è quella che egli si costruisce personalmente e che corrisponde al suo «deseo» omosessuale. Due esemplificazioni di tale teoria sono contenute in Historial de un libro («sólo he tratado [...] de hallar mi verdad, la mía, que no será mejor ni peor que la de los otros, sino sólo diferente»; (ibíd., pág. 937) e nel saggio «El espíritu lírico», dove Cernuda generalizza il suo pensiero, abbozzando la figura universale del poeta, sempre alia ricerca di una «realidad suya» (ibíd., pág. 1246).

Nel corpus lirico, Cernuda sostiene che soltanto il poeta è in grado di scorgere il mondo invisibile al di là della realtà esperibile con i sensi:


Cómo va nuestra fe hacia las cosas
Ya no vistas afuera con los ojos,
Aunque dentro las ven tan claras nuestras almas;


(«Retrato de poeta», vv. 35-37; in Con las horas contadas, Cernuda, 1974, pág. 420).                


Molto suggestivi sono pure i luoghi percorsi dal poeta ispirato in «Himno a la Tristeza» (Invocaciones; in Cernuda, 1974, pág. 198):


Mientras sus nombres suenan
Con el viento en las rocas,
Entre el hosco rumor de torrentes oscuros,
Allá por los espacios donde el hombre
Nunca puso sus plantas.

(vv. 54-58)                


Non a caso questi versi riecheggiano la simbolica descrizione del «deep romantic chasm» (v. 12) -prorompere tumultuoso del fiume sotterraneo in superficie, rocce che s'affacciano sull'abisso- nel «Kubla Khan» di Coleridge (in Coleridge, 1985, págs. 102-104):


And from this chasm, with ceaseless turmoil seething,
As if this earth in fast thick pants vvere breathing,
A mighty fountain momently was forced:
Amid whose swifí half-intermitted burst
Huge fragments vaulted like rebounding hail,
Or chaffy grain beneath the thresher's flail:
And 'mid these dancing rocks at once and ever
It flung up momently the sacred river.


(vv. 17-24)                


o l'immagine presentata da Keats in «Ode to a Nightingale», che completa la raffigurazione fantastica del mondo dell'usignolo, già delineata nella quinta strofa:


Charmed magic casements, opening on the foam
Of perilous seas, in faery lands forlorn.


(vv. 69-70; in Keats, 1973, pág. 347)                


Cernuda non riutilizzò le varie interpretazioni che dell'immaginazione proposero singolarmente Blake, Wordsworth, Coleridge, Keats e Shelley, sebbene le avesse ben presenti alla mente, da quanto si deduce dalle cospicue citazioni in Pensamiento poético en la lírica inglesa, dove egli riporta in traduzione ampi stralci di importanti testi metapoetici del Romanticismo inglese, quali la Biographia Literaria di Coleridge e la Defence of Poetry di Shelley, nonché le definizioni della natura dell'immaginazione e della poesia espresse nelle lettere di Keats, nei saggi critici di Wordsworth e in vari testi in prosa di Blake. Se è vero, comunque, che Cernuda adattò alla propria concezione del conflitto realtà/desiderio il paradigma romantico dell'immaginazione vista come veicolo per raggiungere il nucleo del creato, ciò non toglie che il poeta spagnolo dovette ben ricordare quelle letture, come risulta evidente qualora si paragonino i suoi testi sopraesaminati con alcuni passi degli autori inglesi citati. Del resto, la tendenza verso una realtà che varca i confini del mondo sensibile è componente tematica centrale, presente in tutti i maggiori poeti romantici anglosassoni: «the creative imagination is closely connected with a peculiar insight into an unseen order behind visible things» (Bowra, 1961, pág. 271).

Nel commento a un suo dipinto, «A Vision of the Last Judgment», annotato nel Notebook del 1810 (e che Cernuda cita in «William Blake», Pensamiento poético en la lírica inglesa; Cernuda, 1975, pág. 514), Blake dichiara l'effettiva presenza di un mondo fantastico ultrasensibile, le cui qualità precipue sono l'eternità e la sacralità:

Vision or Imagination is a Representation of what Eternally Exists, Really & Unchangeably [...] This world of Imagination is the world of Eternity; it is [...] Infinite & Eternal [...] There Exist in that Eternal World the Permanent Realities of Every Thing which we see reflected in this Vegetable Glass of Nature.

(Blake, 1966, págs. 604-605)                


In «Jerusalem», Blake conclude che il ruolo del poeta-profeta é quello di

To open the Eternal Worlds, to open the immortal Eyes Of Man inwards into the Worlds of Thought: into Eternity .


(Chapter I, Píate V, vv. 18-19; in Blake, 1966, pág. 623)                


Cosí tratteggia Wordsworth l'attimo dell'illuminazione nel Book VI del Prelude:


[...] in such strength
Of usurpation, when the light of sense
Goes out, but with a flash that has revealed
The invisible world, doth greatness make abode,
There harbours; [...]


(vv. 599-603; in Wordsworth, 1904, pág. 535).                


Nel Book XIV, al poeta è attribuita la facoltà di entrare in comunicazione con il misterio del mondo, egli è «a mind»


That feeds upon infinity, that broods
Over the dark abyss, intent to hear
Its voices issuing forth to silent light
In one continuous stream; a mind sustained
By recognitions of transcendent power,

(vv. 71-75; in Wordsworth, 1904, pág. 584).                



Nel suo trattato platonicheggiante, Defence of Poetry, Shelley afferma che «A poem is the image of life expressed in its eternal truth» (Shelley, 1909, pág. 128), e che il grande poeta scorge attraverso il velo della realtà materiale le forme eterne che popolano il regno superiore delle essenze; la poesia «strips the veil of familiarity from the world, and lays bare the naked and sleeping beauty, which is the spirit of its forms» (ibíd., pág. 155).

Anche per Keats, in cui, tuttavia, il superamento dei limiti della realtà sensibile non è mai totale e assoluto (cfr. la lirica «Lines Written in the Highlands after a Visit to Burns's Country», in cui egli teme che un uso indiscriminato della «visionary imagination» lo possa condurre alia follia), la poesia è un mezzo per carpire verità altrimenti indecifrabili, è «a fine isolated verisimilitude caught from the Penetralium of mystery» (lettera a George e Tom Keats del 27 dicembre 1817; in Keats, 1958, pág. 194). E ancora, nel terzo libro dell' Hyperion, Apollo confessa a Mnemosyne che l'incanto del mondo naturale gli fa supporre l'esistenza di un mondo celeste di immutabile bellezza:


Goddess benign, point forth some unknown thing:
Are there not other regions than this isle?
What are the stars? There is the sun, the sun!
And the most patient brilliance of the moon!
And stars by thousands! Point me out the way
To any one particular beauteous star,
And I will flit into it with my lyre,
And make its silvery splendour pant with bliss.


(vv. 95-102; in Keats, 1973, págs. 305-306)                





ArribaAbajoIl «poder daimónico», il «divinus furor»

All'esaltazione dell'immaginazione è strettamente collegato il concetto d'ispirazione poetica, che in Cernuda (come nei romantici inglesi da lui prediletti) corrisponde a un'ondata che investe il poeta, inducendolo a scrivere in uno stato di estasi iniziatica. Questa inesorabile potenza che sveglia nell'artista l'impulso a comporre, è denominata da Cernuda «poder daimónico o demoníaco», definizione che -come egli stesso puntualizza in «Palabras antes de una lectura»- ha letto nei Gespräche mit Goethe di Eckermann, con riguardo proprio alia componente irrazionale dell'invenzione poética. La poesia, dunque, è mossa da tale potere, ne è l'inconsapevole espressione:

la poesía [...] no es sino expresión de esa oscura fuerza daimónica que rige el mundo. [...] No se me pregunte más sobre ese poder, porque nada sabría decir. Lo presiento, pero no lo comprendo. Además, ¿cómo expresar con palabras cosas que son inexpresables?


(Cernuda, 1975, págs. 875-876).                


Il medesimo concetto ricompare ne «La escuela de los adolescentes», articolo scritto nei 1931 (la data stessa è indizio del fatto che il tema della creazione inconsapevole è originale in Cernuda, benché appaia sviluppato più ampiamente negli anni inglesi): «Hay un poder demoníaco, no sé si ajeno o no a nosotros mismos, que actúa y dispone nuestro rumbo con arreglo a un secreto destino», (ibíd., pág. 1236)

Il prorompente impeto creativo si converte perfino in una necessità inderogabile, una spinta fatale che lo assoggetta totalmente: l'artista, cioè, si sentè «poseído por un fatum trágico, y por él condenado a escribir necesariamente aquello que por necesidad vital es preciso escribir». (Talens, 1975, pág. 163). Se, infatti, più volte Cernuda constata che il poeta «tiene una razón fatal, anterior a su propia existencia y superior a su propia voluntad, que le lleva a escribir versos» («Poesía popular», in «Poesía y Literatura I»; Cernuda, 1975, pág. 729), talvolta giunge al punto di agognare la morte, per sottrarsi a una simile coercizione:


Para el poeta la muerte es la victoria;
Un viento demoníaco, le impulsa por la vida


A un poeta muerto», vv. 71-72; ne Las nubes, Cernuda, 1974, pág. 210).                


Infine, in Historial de un libro, l'irrompere inatteso e fulmineo del momento epifanico, indipendente dal volere del poeta, è presentato in questi termini:

Desde que comencé a escribir versos me preocupaba a veces la intermitencia que ocurría, a pesar mío, en el impulso para escribirlos... Este no dependía de mi voluntad, sino que se presentaba cuando quería; una experiencia inaplacable, una necesidad expresiva, eran, por lo general, su punto de arranque.


(Cernuda, 1975, pág. 912)                


L'estasi scuote violentemente l'artista, posseduto da un divinus furor che «llegaba, en ocasiones, a sacudirme con un escalofrío y hasta a provocar lágrimas» (ibíd., págs. 912-913). L'approfondimento di questa idea fu molto probabilmente frutto dell'incontro letterario con i romantici anglosassoni, dove essa si trova esposta con chiarezza nelle prose critiche e nella produzione lirica.

In una lettera a Thomas Butts del 25 aprile 1803, a proposito della composizione del Milton, Blake rammenta: «I have written this Poem from immediate Dictation, twelve or sometimes twenty or thirty lines at a time, without Premeditation & even against my Will» (Blake, 1966, pág. 823).

Di minore intensità, forse, ma di pari pregnanza, sono le parole adoperate da Wordsworth per descrivere l'istante dell'illuminazione, guidata da uno spirito proveniente da luoghi nascosti e ignoti, che visita il suo cuore a intermittenze (questo concetto assume un peso inferiore in Cernuda, a cui preme evidenziare innanzitutto l'incontrollabilità dell'epifania):


Nor is it I who play the part,
But a shy spirit in my heart,
That comes and goes -will sometimes leap
From hiding-places ten years deep;


(«The Waggoner», vv. 209-212; in Wordsworth, 1904, pág. 144).                


Nel saggio «On Poesy or Art», Coleridge mette in evidenza una forte carica inconscia nel processo di invenzione letteraria, poiché essa si fonda sugli stessi principi che regolano la crescita organica nei vegetali: «there is in genius itself an unconscious activity» (Biographia Literaria; in Coleridge, 1907, II, pág. 258).

Il paradigma romantico dell'iniziazione apoteosica del poeta-demiurgo, al di là della copresenza di elementi magico-rituali (il cerchio, il numero tre, il sintagma «holy dread», manifestazione del / timore reverenziale /, l'esplicito lessema «Paradise»), ritorna nei magistrali versi conclusivi di «Kubla Khan»:


His flashing eyes, his floating hair!
Weave a circle round him thrice,
And close your eyes with holy dread,
For he on honey-dew hath fed,
And drunk the milk of Paradise.


(vv. 50-54; in Coleridge, 1985, págs. 103-104)                


Anche a detta di Shelley, la creazione poetica è governata da una potenza imperscrutabile -interna all'artista-, che lo influenza talmente da annullarne la volontà individuale. I suoi tratti principali sono -come già abbiamo visto in Cernuda- l'imprevedibilità e la folgorazione, oltre all'arbitrarietà:

A man cannot say, «I will compose poetry». The greatest poet even cannot say it: for the mind in creation is as a fading coal, which some invisible influence, like an inconstant wind, awakens to transitory brightness: this power arises from within [...] and the conscious portions of our natures are unprophetic either of its approach or its departure.


(Defence of Poetry; in Shelley, 1909, pág. 153)                


L'intervento di un potere sconosciuto e indecifrabile -che Cernuda frequentemente pone in relazione al «poder daimónico»- è alla base della composizione poetica pure nel macrotesto keatsiano:


And many a verse from so strange influence
That we must ever wonder how, and whence
It came. [...]


Sleep and Poetry», vv. 69-71; in Keats, 1973, pág. 84).                


Nei versi finali del Book III dell'Hyperion, infine, nella deificazione di Apollo, Keats simboleggia lo sconvolgimento della mente dell'artista per effetto della frenesia creativa:


Soon wild commotions shook him, and made flush
All the immortal fairness of his limbs -
Most like the struggle at the gate of death;


(vv. 124-126; in Keats, 1973, pág. 306).                


Quest'ultimo confronto può ben costituire la chiusa della nostra analisi: per tratteggiare, infatti, il «poder daimónico», perno concettuale della sua poetica, Cernuda seppe operare una sintesi produttiva e originale delle caratteristiche attribuite all'ispirazione da tutti i poeti romantici inglesi a lui più affini. Non mancano certo altre «variazioni sul tema» dell'immaginazione, della poesia e del poeta, atte a enfatizzare ulteriormente le analogie ideologiche tra Cernuda e i romantici anglosassoni e, più ancora, forse, la dipendenza da questi del poeta sivigliano. Si è, tuttavia, ritenuto sufficiente circoscrivere l'esemplificazione ai casi testuali analizzati, perché particolarmente indicativi di una comunanza estetica corroborata da una diuturna e partecipe frequentazione letteraria.









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