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Dalla parte degli indios

Giuseppe Bellini





Dopo «Il cavaliere insonne», terzo volume di quell'affresco grandioso che Manuel Scorza ha dedicato al Perú indigeno, prendendo le mosse da «Rulli di tamburo per Rancas», attraverso la «Storia di Garabombo», appare ora in traduzione italiana questo quarto romanzo, canto, meglio, di un poema epico in prosa col quale l'autore si prefigge di denunciare la situazione infelice dell'indio peruviano nella sua lunga storia di rivolte per imporsi a una società schiavista e violenta. Con la sua opera lo Scorza si inserisce vigorosamente nel filone più attuale della narrativa indianista, che al Perú ha dato nomi rilevanti come Ciro Alegría e José María Arguedas.

Il legame di questo romanzo con quello che lo precede è dato dalla figura di Agapito Robles, tornato alle sue terre dopo la lunga prigionia seguita al massacro di Yanacocha -conclusione de «Il cavaliere insonne»-, per rianimare alla lotta contro il nemico di sempre, il Dottor Montenegro, giudice onnipotente del distretto, appoggiato dalla complicità del potere politico. Nulla si oppone al suo volere, neppure il tempo, che egli sovverte a suo arbitrio, tanto che l'anno 1962, anno dell'azione del romanzo, è divenuto il 2182, mentre i giorni si confondono tra loro, allo stesso modo dei mesi.

Il narratore peruviano pone in rilievo le virtù della gente india, che da sola perviene alla vittoria umiliando i potenti, sconfiggendo la forza bruta e l'orgoglioso e crudele Montenegro. Ma a questa storia si intreccia quella fantastica dell'irresistibile Maca, anch'essa congiurata contro il prepotere; con la sua bellezza, infatti, e le sue eccentriche manie, la donna contribuisce alla perdita dei potenti latifondisti e dello stesso Montenegro, affogandoli nel ridicolo di deliranti e impossibili amori, tenacemente perseguiti, col solo risultato di inviperire le vituperate consorti.

Un ricorrente «Memoriale delle spose oltraggiate di Yanahuanca» si insinua, con le sue accese proteste e i crudi giudizi, nelle pagine del libro, sottolineando il ridicolo col ricorso all'iperbole e all'ironia. Con molta abilità lo Scorza dipana una storia reale e improbabile al tempo stesso, per l'aura fantastica e magica che circonda gli eventi legati alla bella Maca. Personaggio che per più versi richiama l'Amaranta di «Cent'anni di solitudine», meno lasciva, ma non meno crudele.

L'autore peruviano dà in questo romanzo forse la misura migliore di se stesso. I valori del mondo indio si affermano, anche se l'insidia della vendetta si profila di nuovo alla fine del libro, che per l'ennesima volta nel romanzo indianista conclude su bagliori d'incendio: «Tutta la gola stava ardendo! Un serpeggiar di colori avanzava incendiando il mondo!».

MANUEL SCORZA.- Cantare di Agapito Robles.- Editore Feltrinelli, pagine 237, lire 4000.





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