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ArribaAbajoEl amor en tiempos del cólera

Storia romantica di una passione


Quando nel 1985 apparve il nuovo e voluminoso romanzo di García Márquez, El amor en tiempos del cólera, è fuor di dubbio che l'aspettativa fosse grande tra i lettori, dopo il strepitoso successo dipubblico di Crónica de una muerte anunciada. La critica, tuttavia, non manifestò nei riguardi del nuovo testo unanime favore; molte furono, infatti, le riserve, e ancora lo sono, benché il libro si legga con interesse, come avviene per ogni opera di un autore originale e affascinante come lo scrittore colombiano, anche se non sempre sorprendente.

Il lettore, o almeno chi qui scrive, prova, infatti, una certa delusione iniziale di fronte a un'opera che, dal primo dei sei estesi capitoli, o parti, se vogliamo definirli più esattamente, che la compongono, sembra promettere una trama di grande rilevanza, appassionante come inedita storia d'amore, promessa discutibilmente, in modo vago mantenuta. Si deve concludere, in sostanza, che in El amor en tiempos del cólera, siamo di fronte a un romanzo sentimentale fondato certamente anche su note inedite, ma carente di sensibili novità di rilievo, sia dal punto di vista stilistico, che da quello tematico, centrato com'è su un amore ostinato e del tutto irreale, che si trasforma alla fine in passione non esaltante, dove anche il bacio sulla bocca dei due più che stagionati amanti «tenía el olor agrio de la edad»393.

Un critico acuto come il Rojo ha parlato di «Parodia de un romance sentimental, construido en torno a la separación y el reencuentro de los amantes al cabo de infinitas penurias, que aquí no son infinitas ni tales, a la manera de tantos relatos decimonónicos o aún más lejanos»394. E Guadalupe Fernández Ariza vi ha intessuto argomentazioni finissime sul tema della malinconia, coinvolgendo tutta una letteratura395.

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In sintesi, questa è la definizione esatta del romanzo; un testo narrativo che in qualche modo si può porre nella linea del romanzo sentimentale, quale si manifesta nel filone romantico-modernista ispanoamericano, scritto con la ormai collaudata perizia di un artista qual è García Márquez.

Sarebbe interessante sapere se lo scrittore abbia perseguito coscientemente anche un risultato parodico nel romanzo, impervio da verificare, ma che traspare dai personaggi, con i quali egli si identifica sempre strettamente, traendoli da una miniera di dati e impressioni della sua vicenda personale. Quanto all'aspetto sentimentale, nel senso migliore del termine, costante è la presenza nelle sue opere, alle quali proprio questa tendenza comunica la partciolare nota di umanità che le rende vive.

Non si dimentichi, d'altra parte, riguardo al tema, che Neruda, grande estimatore, ricambiato, del narratore colombiano396, raccomandava di non ripudiare il «gastado sentimentalismo» e la malinconia, da lui considerati «perfectos frutos impuros de maravillosa calidad olvidada, dejados atrás por el frenético libresco», mentre definiva la luce della luna, il «cisne en el anochecer», «corazón mío» senza alcun dubbio «lo poético elemental e iprescindible», convinto che «quien huye del mal gusto cae en el hielo»397.

Nel romanzo di García Márquez, tuttavia, il sentimento, se appare valido nella storia d'amore, un amore in un primo tempo infelice dei due giovani protagonisti, ispirata, come egli stesso consegna alla vicenda dei suoi genitori, naturalmente fantasiosamente elaborata398, finisce per confinare con il grottesco nell'età propria alla quiete dei sensi ed è penoso assistere al tentativo di ridestarli, da parte di un uomo di ormai settantasei anni, davanti a uno spettacolo di totale distruzione fisica dell'amata. La donna, infatti, ne ha settantadue di anni e, nonostante il brio che, alla fine, le infonde il ridestato amore, si offre nella sua nudità come un memento mori piuttosto che come fonte di attrazione erotica: «Tenía los hombros arrugados, los senos caídos y el costillar forrado de un pellejo pálido y frío como el de una rana»399.

Ritengo abbia ragione Grimor Rojo quando interpreta il romanzo come una parodia coscientemente voluta dallo scrittore; egli vede in El amor en tiempos   —103→   del cólera un testo narrativo di grande profondità, al quale la parodia «sirve al mismo tiempo de postergación y disfraz»400. Si tratta, a mio parere, di una parodia che si avvale del grottesco quale mezzo per celebrare la consumazione e la morte, non la costanza dell'amore oltre la fine della vita.

Nel racconto «Muerte constante más allá del amor», inserito nella raccolta che prende titolo dal più esteso dei sette testi narrativi, La increíble y triste historia de la cándida Eréndira y de su abuela desalmada401, García Márquez aveva già rovesciato il concetto di Quevedo, espresso nel celebre sonetto «Amor constante más allá de la muerte»402, di profondo richiamo su tanti poeti ispanoamericani, a partire dalla Colonia fino a Vallejo, Neruda, Borges, Octavio Paz403. Nel testo del narratore colombiano, infatti, non l'amore trionfa sulla morte, ma questa sull'amore, con la fatale irrimediabilità propria delle medievali Danzas de la Muerte. Nel romanzo El amor en tiempos del cólera, egli dà al tema una nuova soluzione originale, facendo della morte una lunga attesa, in cui tenta di esorcizzare l'accadimento fatale, risuscitando atti d'amore, in realtà solo fantasmi della vita.

In questo modo può essere intesa la decisione dell'innamorato Florentino di intraprendere una navigazione eterna sul fiume, isolandosi dal mondo con la donna oggetto del suo amore, issando sulla nave la bandiera gialla, indizio della presenza a bordo del colera, quindi senza porto possibile ove attraccare.

Da rilevare come l'interesse che immediatamente risveglia nel lettore l'avvio e tutto il primo settore del romanzo, non si mantenga costante per il resto della storia. Si ha l'impressione che sia stato composto come testo a sé e solo in seguito la vicenda sia stata estesa a successivi capitoli, che la ricostruiscono a posteriori, alternando i tempi, fino a comporre il romanzo. I temi principali trovano uno svolgimento diluito nella continuazione dell'opera, fondata, per quanto attiene al protagonista maschile, su una costanza d'amore non del tutto assurda, poiché in amore tutto è possibile. Ma certamente un innamoramento curioso da parte di Florentino, se negli anni di lontananza dalla donna amata soddisfa tutte le sue voglie con infinite donne, anche con una giovane nipote che avvia a una sorta di prostituzione a suo esclusivo uso e consumo, finché, messala da parte, lei si uccide.

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Scrive, tuttavia, García Márquez, legittimamente, che ci si può innamorare di infinite donne; del resto, se Neruda sosteneva che il cuore dell'uomo è, come tutti i cuori, un interminabile carciofo, con foglie non solo per veri amori, ma per tutte le tentazioni della vita404, lo scrittore colombiano può affermare, con provocatoria rozzezza, che il cuore «tiene más cuartos que un hotel de putas»405.

Uno strano personaggio, questo Florentino Ariza, che si dedica a costruirsi una fortuna per riconquistare una donna, Fermina Daza, la quale in un primo momento lo ha amato, poi allontanato, improvvisamente colpita dal suo squallore, e ha finito per sposare un personaggio di ben diversa categoria sociale, il dottor Juvenal Urbino, medico famoso, ricco e onorato nella città in cui vive, facilmente identificabile con Cartagena de Indias, luogo carico di storia e di suggestione per lo scrittore, ancora memore molti anni dopo, dell'emozione che gli aveva dato la vista dei suoi vecchi palazzi in rovina: una città «de carne y hueso», non più sostenuta dalle sue glorie marziali, ma dalla «dignidad de sus escombros», e di «una noche espléndida en el centro del mundo», quando «las primeras goletas de Curaçao zarpaban a hurtadillas», di fronte alla baia «apestada con los desperdicios republicanos del mercado público»406.

Nel romanzo, quella del persistente innamorato è un'attesa di decenni; è infatti coronata da successo solo dopo oltre cinquant'anni, più esattamente cinquantuno, nove mesi e quattro giorni, come vuole la puntigliosa esattezza iperbolizzante alla quale ci ha ormai abituati García Márquez.

Nel frattempo il personaggio è andato idealizzando la donna. Si direbbe che le sue numerose avventure erotiche siano, in sostanza, una sorta di reazione all'impossibilità di avere Fermina, lei che lo aveva lasciato, di ritorno da un'assenza curativa del mal d'amore impostale dal padre, improvvisamente delusa dal suo aspetto di «pobre hombre»407, in modo profondamente offensivo per uno che non avesse l'ostinazione e la costanza di Florentino. Per tutti i cinquantuno e passa anni della vita del dottor Urbino, lui, il marito, era rimasto un incomodo, sopportato con rassegnazione dallo sfortunato amoroso, la stessa rassegnata sopportazione che il dottore d'altra parte usava nei suoi riguardi. Un triangolo, quindi, se non del tutto inedito, strano, ma inoffensivo, finché la morte del legittimo consorte viene in aiuto del costante innamorato.

Il capitolo iniziale di El amor en tiempos del cólera è un racconto perfetto, ricco di motivi profondi, centrati più che sull'amore sul tema della vecchiaia e della morte, motivi in qualche modo assillanti nella narrativa di García   —105→   Márquez; lo si è visto a partire dai primi testi, poi in ognuno dei romanzi successivi, in Cien años de soledad e in molti racconti, fino a Crónica de una muerte anunciada, e continuerà nelle opere che seguiranno. Sappiamo come il tema della morte sia radicato nello spirito ispanico, quindi anche ispanoamericano. Nella letteratura si manifesta, sulla scia di Seneca, in tutta la sua storia, fino agli scrittori e ai poeti a noi più vicini, da Cela a Delibes, da Neruda a Carlos Fuentes, a Paz, all'apocalittico Homero Aridjis408.

In García Márquez il tema diviene coscienza profonda, si manifesta nell'avanzare dell'età, è prodotto della piena coscienza della precarietà dell'esistere, in un mondo in cui la morte è realtà giornaliera, dove l'uomo sa di essere vivo «entre dos paréntesis», come consegna Octavio Paz409.

In apertura di El amor en tiempos del cólera il lettore è posto subito di fronte a uno spettacolo drammatico: il suicidio di un misterioso personaggio, Jeremías de Saint-Amour, amico intimo del dottor Urbino, giunto ormai, quest'ultimo, alla venerabile età di ottantuno anni, ma ancora attivo come medico. Chiamato d'urgenza al capezzale del suicida egli riconosce immediatamente «la autoridad de la muerte»410.

Lo scrittore situa con l'espressione citata in un livello alto la decisione di Jeremías di farla finita con la vita. Il mistero sta nel motivo che lo ha indotto all'atto, ma poco a poco tutto si chiarisce. Apprendiamo, infatti -procedimento già presente in La hojarasca-, che il suicida era un rifugiato antillano, invalido di guerra, divenuto apprezzato fotografo di bambini, e per il dottore il suo avversario «más compasivo»411 nel gioco degli scacchi.

Dell'uomo si scoprono anche gli amori nascosti e chi lo ha aiutato a porre fine alla sua vita, la splendida, anche se matura, amante, «una mulata altiva, con los ojos dorados y crueles, y el cabello ajustado a la forma del cráneo como un casco de algodón de hierro»412, esecutrice convinta del desiderio dell'amato di non affrontare la vecchiaia: «Nunca seré viejo», le aveva detto, e lei aveva interpretato questa affermazione «como un propósito heroico de luchar sin cuartel contra los estragos del tiempo», ma l'amante era stato ancora più esplicito: «tenía la determinación irrevocable de quitarse la vida a los sesenta años»413.

Il clima di mistero intorno al personaggio di Jeremías de Saint-Amour richiama la figura del medico suicida de La hojarasca. Il motivo del suo rifiuto   —106→   di vivere era stato fondamentalmente l'inappagata ricerca di Dio; per Jeremías, in un primo momento sembra sia l'oltraggio degli anni, che ne aggrava l'invalidità, contrapposto alla vitalità dell'amore.

Il tema della vecchiaia, ricorrente nella narrativa di García Márquez, è sentito in modo drammatico dai suoi personaggi, ad eccezione di Úrsula Iguarán, la matriarca di Cien años de soledad, e di Pilar Ternera, dello stesso romanzo. Di questo tormento partecipa pure il dottor Urbino, non per la disperazione di non aver trovato Dio in questa vita, come il suicida de La hojarasca, ma per il terrore di non trovarlo nell'altra:

A los ochenta y un años tenía bastante lucidez para darse cuenta de que estaba prendido a este mundo por unas hilachas tenues que podían romperse sin dolor con un simple cambio de posición durante el sueño, y si hacía lo posible para mantenerlas era por el terror de no encontrar a Dios en la oscuridad de la muerte414.



Lungi dal ridurre la dimensione spirituale del personaggio, nel cui dubbio probabilmente si identifica anche lo scrittore, il suo problema dà finalmente dimensione all'anziano dottore, personaggio presentato nel romanzo sempre piatto, metodico, ripetitivo e ora, al contrario, improvvisamente reso vivo dal dubbio lacerante. A questa luce ci si spiega il suo apprezzamento per il fotografo suicida, «un santo» per lui, come lo era il suicida de La hojarasca per il colonnello Aureliano Buendía.

Il dottor Urbino ammirava, infatti, nell'amico, con ogni probabilità, il coraggio che aveva avuto nell'accommiatarsi dalla vita, sfuggendo deliberatamente all'orrore di quella vecchiaia che infonderà paura non solo a lui, ma all'innamorato Florentino, allorché vedrà avanzare la calvizie, malgrado le cure cui ricorre per arrestarla, una iperbolica quantità di lozioni, 172, e quando incomincerà a diventare sordo e a perdere i denti.

I personaggi de El amor en tiempos del cólera, acquistano vita attraverso queste tematiche, per la profondità delle riflessioni cui inducono, coinvolgendo attivamente il lettore. García Márquez insiste sui particolari della distruzione fisica, partecipando in modo trasparente al dramma. In un quadro di rara efficacia lo scrittore denuncia la miseria dell'essere umano nella decadenza delle forze, quando le spose, malferme sulle gambe, devono afferrarsi al braccio dei mariti, ruolo che di lì a poco, repentinamente, appare rovesciato:

Pocos años después, sin embargo, los maridos se desbarrancaban de pronto en el precipicio de una vejez infame del cuerpo y del alma, y entonces eran sus esposas establecidas las que tenían que llevarlos del brazo como ciegos de caridad, susurrándoles al oído, para no herir su orgullo de hombres, que se fijaran bien que eran tres y no   —107→   dos escalones, que había un charco en mitad de la calle, que ese bulto tirado de través en la acera era un mendigo muerto, y ayudándolos a duras penas a atravesar la calle como si fuera el único vado en el río de la vida. Florentino Ariza se había visto tantas veces en ese espejo, que no le tuvo nunca tanto miedo a la muerte como a la edad infame en que tuviera que ser llevado del brazo por una mujer415.



Con grande sensibilità, ma impietosamente, García Márquez insiste sui particolari, onde porre in rilievo la condizione che all'orgoglio maschile fa percepire come infame la vecchiaia, quando le forze vengono meno e l'individuo perde autonomia.

Anche il dottor Urbino, per quanto cerchi di non provocare la morte, è cosciente di essere in suo potere, ma, al contrario di Florentino, che nonostante tutto nutre ancora ambizioni vitaliste, si rassegna a un destino che sa di non poter dominare. I casi della vita, peraltro, sono capricciosi e sorprendenti.

Per il dottore causa della morte sarà il tentativo di catturare un pappagallo fuggito dalla gabbia, il giorno stesso della morte dell'amico fotografo. I tentativi per riprendere l'uccello sono numerosi, con l'intervento anche dei pompieri che, senza successo, riducono la casa un mucchio di rovine. Finalmente, quando un giorno l'indemoniato uccello ricompare e si posa sul ramo di un albero del giardino apparentemente raggiungibile, il dottore non resiste al desiderio di catturarlo; appoggia allora una scala all'albero, stende la mano verso l'uccellaccio, ma si sporge pericolosamente, scivola, cade al suolo e muore, «sin despedirse de nadie, a las cuatro y siete minutos de la tarde del domingo de Pentecostés»416.

A parte la puntualizzazione dell'ora, il lettore può chiedersi perché la morte del dottor Urbino si verifichi la domenica di Pentecoste. Facendo riferimento alla ricorrenza della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, lo scrittore intende forse significare che con la morte si scioglie per il dottore il problema che lo ha tanto tormentato in vita, quello dell'esistenza di Dio, ma certamente sottolinea l'imprevedibilità della fine di ogni uomo.

E' questo il momento in cui si apre, con difficoltà all'inizio, per Florentino Ariza, con la morte del marito della donna che ama, la possibilità di coronare finalmente il suo sogno, in un'età in cui sono ben superati i termini dei sessant'anni, entro i quali, secondo il figlio del defunto, anch'egli medico, i vecchi dovrebbero essere raccolti in città isolate e messi a vivere insieme per sentire meno la solitudine417.

Per il maturo innamorato, invece, ritrovato l'amore, ricomincia la vita, un'esistenza a due che ostinatamente egli proietta, con lucida incoscienza, nel tempo dell'eternità, in una navigazione perpetua, su e giù per il fiume, senza   —108→   rendersi conto dell'avanzare della consumazione, o meglio, accettandola con serenità nel venir meno dell'avvenenza delle forme e del vigore erotico.

Per questi temi il romanzo di García Márquez si riscatta dalla parodia, assurge a categoria filosofica nell'affermazione della precarietà delle cose, della brevità del vivere umano e dell'incombere costante della morte, che sempre, come ricorda Neruda, campeggia alta su un porto, «vestida de Almirante», in attesa di tutte le vite418.

Il viaggio dei due amanti, eternizzato sul fiume, è, nella sostanza, già un morire, un estraniarsi dalla vita per sempre, e la nave una barca di Caronte che naviga in eterno, senza meta. Il capitano dell'imbarcazione, furioso, poiché cosciente di trasportare suo malgrado due esseri che non potrà mai sbarcare, viene assalito dal sospetto che sia la vita, più che la morte, quella che non ha limiti419.

Quando il lettore ha ormai assimilato il senso e il nonsenso dell'avventura amorosa della coppia, finisce per cogliere nel romanzo di García Márquez molte altre suggestioni, che non rispondono solo ai temi richiamati, e che supporta un'inventiva inesauribile, uno stile che, per quanto il lettore vi sia abituato, attrae sempre per le straordinarie metafore, la particolare aggettivazione, lo humor e l'ironia che si dispiega in tante pagine.

El amor en tiempos del cólera è un testo, alla fine, profondamente coinvolgente anche perché richiama, in un fitto reticolo, gran parte della narrativa anteriore dello scrittore colombiano e annuncia quella successiva. Chi legge si trova felicemente immerso in un ambito che gli è ormai familiare, non ripetitivo; gli è utile, anzi, per meglio intendere quanto di nuovo sta sotto i suoi occhi. Ha anche l'impressione di rivivere momenti qualificanti della letteratura ispanica, ai quali il colombiano apporta il suo contributo originale.

E' il caso della morte che attende il dottore nella pericolosa caccia al pappagallo, che richiama momenti simili, in qualche modo, del Romancero: penso al noto romance «El enamorado y la muerte», ampiamente diffuso anche in America420, dove la caduta dell'innamorato è una trappola tesa dalla morte all'infelice.

Di schietto sapore picaresco originale è l'iniziazione all'amore di Florentino Ariza, da parte di «ninfas en cueros», nella casa chiusa, «hotel de paso» per il giovane421, del quale una di tali «ninfe» che lo preferiva soleva dire che «llegaría a ser un sabio conocido en el mundo entero, porque era capaz de enriquecer su alma con la lectura en el paraíso de la salacidad»422.

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Il tema della casa chiusa è frequente in gran parte della narrativa ispanoamericana, anche se il primo riferiemento è a Tirano Banderas di Valle-Inclán: vi ricorre Miguel Ángel Asturias in El Señor Presidente, e altri narratori dopo di lui, per denunciare l'indegnità della dittatura e di chi la esercita. Nel suo romanzo, tuttavia, García Márquez dà al tema un orientamento del tutto nuovo, ludico, festivo e torna a descrivere quelle che potremmo dire prodezze straordinarie del vigore sessuale, come già in Cien años de soledad. Ora il protagonista è il corpulento Lotario Thugut, il quale «tenía una perinola de querubín que parecía un capullo de rosa», difetto «afortunado, porque las pájaras más percudidas se disputaban la suerte de dormir con él, y sus alaridos de degolladas remecían los estribos del palacio y hacían temblar de espanto a sus fantasmas»423.

La satira relativa alle vedove, inconsolabili per la morte del marito, richiama, per un momento, il Quevedo de El mundo por de dentro424. L'avvio è l'affermata coscienza di Florentino di essere predestinato a «hacer feliz a una viuda, y a que ella lo hiciera feliz», ma il discorso si estende all'abbondanza nel mondo di vedove apparentemente disperate, ma nuovamente felici dopo la scomparsa del marito: «Las había visto enloquecer de dolor ante el cadáver del esposo, suplicando que las enterraran vivas dentro del mismo ataúd para no afrontar sin él los azares del porvenir», ma «a medida que se iban reconciliando con la realidad de su nuevo estado se las veía surgir de las cenizas con una vitalidad reverdecida»425.

Nei primi tempi, prosegue García Márquez, cucivano i bottoni che non avevano mai cucito ai vestiti del defunto, cambiavano il sapone in bagno come mai l'avevano fatto, ma alla fine provavano il piacere della libertà, di essere «dueñas de su albedrío, después de haber renunciado no sólo a su nombre de familia sino a la propia identidad», in cambio di una sicurezza «que no fue más que una más de sus tantas ilusiones de novias»426.

L'atteggiamento dello scrittore è ben diverso da quello di Quevedo: alla satira, che pure consta, accompagna la denuncia della condizione generalmente infelice della donna sposata, dove anche «El amor, si lo había, era una cosa aparte: otra vida»427. La vedova presente nel Sueño di Quevedo ha già in vista un sostituto del marito e il suo pianto, al seguito del funerale, si presenta sì «muy autorizado», ma «poco provechoso al difunto»428. Al contrario, le vedove presenti   —110→   nel romanzo di García Márquez non pensano a sostituti: paghe dell'esperienza negativa emergono da essa con un senso di liberazione.

Non sfugge, infatti, allo scrittore la rozzezza dei mariti, l'insopportabilità anche di quelli che sembrerebbero più positivi. E' il caso del dottor Urbino, uno sposo definito ironicamente «perfecto», perché «nunca recogía nada del suelo, ni apagaba la luz, ni cerraba una puerta» e quando gli mancava un bottone esclamava: «Uno necesitaría dos esposas, una para quererla, y otra para que le pegue los botones»429, con altre amenità del genere. Perciò la comprensione dello scrittore va al recuperato vigore delle vedove, il che accade alla fine anche a Fermina Daza.

Sono solo alcuni dei particolari che rendono piacevole El amor en tiempos del cólera e che alla fine fanno accettabile la vicenda di Florentino e Fermina, due irreali amanti in navigazione eterna verso la morte.



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ArribaAbajoEl general en su laberinto

La sconfitta dell'eroe


Nel 1989 Gabriel García Márquez pubblica un libro fortemente coinvolgente, El general en su laberinto430. Si tratta della figura di Simón Bolívar, il Libertador, quindi di un romanzo a fondo storico-biografico lontano dalla consueta creazione fantastica dello scrittore colombiano, ma non tanto da non lasciare, malgrado la realtà della figura assunta, libero campo alla fantasia. Anzi, si può affermare che proprio l'intervento misuratamente fabulatore riesce a creare intorno alla figura, viva per l'America, alquanto distante per il lettore europeo, un convincente clima mitico che, in qualche modo richiama, originalmente, quello che circonda le figure di Napoleone, o di Cesare, o di Alessandro Magno, vale a dire dei grandi personaggi delle storia, umanizzati e resi ancor più grandi delle loro gesta dalla sventura e dalla morte. Si sarebbe tentati di includere El general en su laberinto, nel numero dei romanzi di denuncia della dittatura. Ricordava, infatti, Juan Calviño che per porre freno al proliferare di «banderías» di caudillos e di piccoli tiranni di ogni razza e colore, Bolívar scriveva al generale Santander che solamente un abile dispotismo avrebbe potuto governare l'America431. Per questo, secondo il critico, il generale fu «quizá el primer autócrata ilustrado»432. Del resto non sfuggiva allo stesso Bolívar il pericolo insito nel suo potere, se nel Congresso di Cúcuta avvertiva: «Un hombre como yo es un ciudadano peligroso en un gobierno popular; es una amenaza inmediata a la soberanía nacional»433.

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Nel suo libro Gabriel García Márquez, in sostanza, sottolinea anche questo aspetto, ma soprattutto si intrattiene intorno alla vicenda umana del condottiero, giunto all'anno finale della sua vita, breve se a quarantasette anni muore. Lo scrittore assume come periodo temporale della vicenda politica e umana del Libertador proprio quest'ultimo anno, il 1830, a partire dal 15 gennaio, quando il generale ritorna a Bogotà e il 27 dello stesso mese presenta al Congresso della Colombia la sua rinuncia alla presidenza, sollecitando il permesso per tornare in Venezuela, cosa che gli viene negata. Sono mesi frenetici: il primo marzo Bolívar rimette il potere nelle mani di Domingo Caicedo, presidente del Consiglio di Governo e si ritira a Fucha e il 27 aprile in un messaggio al Congreso Admirable ribadisce la sua decisione. Viene eletto presidente della Colombia Joaquín Mosquera e l'8 maggio il generale lascia Bogotà diretto verso un improbabile imbarco, a Cartagena de Indias, destino l'Europa. Imbarco che non avverà mai.

García Márquez accompagna il suo testo in appendice con una «Sucinta cronología de Simón Bolívar», elaborata da Vinicio Romero Martínez, di estrema utilità per seguire la traiettoria vitale e politica del Libertador, non senza aver prima manifestato in una serie di pagine finali la propria gratitudine a un'infinità di persone e di studiosi cui fece ricorso per l'esatta documentazione intorno all'uomo e agli eventi che lo riguardarono o dei quali fu attore.

Lo scrittore rivela anche la fonte ispiratrice del libro: un progetto dell'amico Álvaro Mutis relativo al viaggio finale di Simón Bolívar lungo il río Magdalena, del quale apparve come anticipazione un frammento, El último rostro, racconto che gli sembrò «tan maduro», con stile e tono «tan depurados», che si preparava a leggere il lavoro completo di lì a poco, il che non avvenne e anzi, dopo dieci anni di attesa, ritenendolo ormai un progetto al quale l'amico aveva rinunciato, osò chiedergli il permesso di poterlo scrivere lui434.

Lo scrittore precisa inoltre l'area del suo interesse: l'ambiente, il río Magdalena, fiume dell'infanzia, che si contrapponeva con il richiamo del sentimento alla freddezza della capitale. Scrive:

Más que las glorias del personaje me interesaba entonces el río Magdalena, que empecé a conocer de niño, viajando desde la costa caribe, donde tuve la buena suerte de nacer, hasta la ciudad de Bogotá, lejana y turbia, donde me sentí más forastero que en ninguna otra desde la primera vez. En mis años de estudiante lo recorrí once veces en sus dos sentidos, en aquellos buques de vapor que salían de los astilleros del Missisipí condenados a la nostalgia, y con una vocación mítica que ningún escritor podría resistir435.



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Bolívar finiva per essere un pretesto, evidentemente, per dare sfogo alla nostalgia. Afferma, infatti, García Márquez che i fondamenti storici lo preoccupavano poco, poiché l'ultimo viaggio del generale lungo il fiume fu il meno documetato della sua vita436, e tuttavia, non appena si accinse a scrivere, si rese conto che la documentazione storica gli era necessaria, così che dovette ricorrere alla competenza di vari esperti, quelli che nella pagina dedicata ai ringraziamenti elenca minutamente.

Appare chiaro che García Márquez si accinse a scrivere El general en su laberinto come uno dei suoi soliti romanzi e che la preoccupazione storica non fu punto di partenza, ma supporto necessario alla ricreazione di un personaggio di grande impatto nella vicenda dell'America libera e che poco a poco s'impadronì dello scrittore.

Certamente è interessante tentare di cogliere nell'anticipo di Álvaro Mutis cosa possa aver colpito García Márquez, in che cosa possa essere consistita la molla che fece scattare in lui un interesse che si mantenne vivo per tutto un decennio, quindi per confluire nel bisogno di scrivere lui stesso un libro sul personaggio.

Vi è chi ha voluto vedere nella cosa una mancanza di originalità da parte di García Márquez, giudizio ingiustificato. Entrambi gli scrittori sono mossi da una medesima emozione di fronte alla sorte di Bolívar, ma nei loro testi lo svolgimento è del tutto diverso. In El último rostro Mutis presenta il suo racconto come frammento di un manoscritto, pagine del diario di un colonnello polacco, Miecislaw Napierski, il quale, dopo aver prestato servizio nell'esercito di Napoleone Bonaparte, alla caduta dell'Imperatore si reca in America per mettersi agli ordini del Libertador; al suo arrivo, però, tutto era finito e tuttavia egli ebbe il privilegio di entrare nella cerchia degli ufficiali del suo seguito, perciò di conoscere direttamente Bolívar e di conversare con lui.

Il militare annota nel diario le sue impressioni, il contenuto dei colloqui avuti con l'eroe, manoscritto che Mutis afferma di aver acquistato a un'asta londinese «pocos años después de terminada la segunda guerra mundial»437. L'affermazione fa parte certamente della finzione.

Il personaggio del Libertador impressionò il colonnello Napierski, non solo perché, come dichiara, gli ricordava «el rostro de César en el busto del Museo Vaticano», ma per un'espressione di «atónita amargura». Egli descrive l'eroe in un ambito di estrema sobrietà, se non povero, che anche García Márquez farà proprio, ma ricorrendo ad elementi non uguali. Scrive il polacco nel testo di Mutis:

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Mi primera impresión fue de sorpresa al encontrarme en una amplia habitación vacía, con alto techo artesonado, un catre de campaña al fondo, contra un rincón, y una mesa de noche llena de libros y papeles. De nuevo las paredes vacías llenas de churretones causados por la humedad. Una ausencia total de muebles y adornos. Únicamente una silla de alto respaldo, desfondada y descolorida, miraba hacia un patio interior sembrado de naranjos en flor, cuyo suave aroma se mezclaba con el de agua de colonia que predominaba en el ambiente438.



La stanza descritta da García Márquez nel suo romanzo è ancora meno confortevole: non vi è segno di carte o di documenti che attestino nel personaggio una qualche attività intellettuale, un ultimo interesse per le cose della guerra o del mondo, e pure manca l'apertura della stanza su uno spazio esterno «con naranjos en flor»: vi è solo una finestra, ossia la possibilità di respirare e di levare uno sguardo senza speranza verso il cielo da un ambiente chiuso, una sorta di carcere; manca anche l'odore persistente di acqua di colonia, che nel racconto di Mutis alludeva a una residua cura attiva della persona da parte del generale.

Ciò che invece coincide nelle due opere, di Mutis e di García Márquez, è il clima di scoraggiamento, di amarezza in cui vegeta il personaggio. Mutis, con sinteticità, riesce a ottenere sfumature originalmente profonde, visibili in particolare nella pena degli uomini d'arme per una morte meschina come è quella per malattia, non degna di un eroe. Il Libertador è amaramente cosciente dell'inutilità di quanto egli ha fatto per un paese che «ni me quiere ni piensa que le haya yo servido en cosa que valga la pena»439.

La delusione del Libertador si estende ai suoi uomini; lo rivela una frase significativa detta a Napierski: «Toda relación con los hombres deja un germen funesto de desorden que nos acerca a la muerte»440. Ed è la morte l'ultimo rostro, titolo che Álvaro Mutis dice di aver tratto da un manoscritto anonimo del secolo XI, nella Biblioteca del Monte Athos. Volto ultimo con il quale il Libertador doveva avere avuto da sempre familiarità, stima il colonnello polacco: «Una vieja familiaridad con la muerte se me hace evidente en este hombre que, desde joven, debe venir interrogándose sobre su fin en el silencio de su alma de huérfano solitario»441.

Non v'è dubbio che Bolívar eserciti anche su Gabriel García Márquez un grande richiamo, non tanto come eroe della gesta d'indipendenza, anche se questo aspetto è per lui, ispanoamericano, rilevante, ma in quanto personaggio di grande statura venuto meno, condannato sostanzialmente all'esilio e all'indifferenza. La sua figura gli si era imposta, del resto, fin dall'infanzia, attraverso   —115→   il culto del nonno per il personaggio, tanto che, come confessa nelle sue memorie, gli si era imposto «como el hombre más grande que nació en la historia del mundo»442.

Il caso umano colpisce lo scrittore e dà dimensione profonda al suo libro, dove ha luogo un efficace contrasto tra il potere, per tanto tempo esercitato dal protagonista, a ragione delle imprese compiute, in funzione del sogno utopico di un'unica grande America del sud, la Gran Colombia, e il fallimento del progetto grandioso. Più vicino a Napoleone, quello prigioniero a Sant'Elena, che non a Cesare o ad Alessandro Magno, morti nel fulgore della loro potenza, Bolívar è egli stesso autore della propria rovina, costretto a cogliere di giorno in giorno la distruzione del proprio prestigio, ormai esercitantesi alla fine solo su un esiguo seguito di soldati e di ufficiali fedeli.

Quando decide di rinunciare al potere lo fa infastidito per gli intrighi infiniti dei suoi molti amici, più che dalla perfidia dei nemici443, in rotta tra l'altro irreparabile con alcuni dei suoi generali, primo fra tutti Santander che dall'esilio sentirà sempre in agguato. Il suo errore di fondo, Bolívar lo vede chiaramente: «me he perdido en un sueño buscando algo que no existe»444.

Quello che García Márquez presenta nel suo romanzo è un uomo vinto, e come accade a chi ha perduto il potere, per rinuncia propria o perché estromesso da altri o dagli eventi, l'atteggiamento è amareggiato, proprio di chi sente nell'intimo l'ingratitudine di coloro cui è stato di giovamento, ai quali ha dato fiducia e ha gratificato.

Ma Bolívar rimane a lungo sospeso tra la decisione presa e la sua concreta realizzazione. Egli vede il mondo da lui edificato in rovina, minato dai politici e dai generali mossi da egoistiche ambizioni, soprattutto dopo l'uccisione in un'imboscata del maresciallo Sucre, che riteneva l'unico adatto a ereditare il suo posto e la sua funzione. Del resto, scrive García Márquez, «El sueño del general empezó a desbaratarse en pedazos el mismo día en que culminó»445, ossia con la grande vittoria di Ayacucho, la fondazione della Bolivia, la riorganizzazione istituzionale del Perù, cioè al culmine del suo progetto politico e della gloria personale. Ma nella sostanza, a soli quarantasei anni, Bolívar è un uomo finito fisicamente, oltre che per il morale. Quando decide di lasciare Bogotà è convinto che nessuno più lo ami, di non avere più amici, salvo la fedele Manuela: «"Vámonos", dijo, "que aquí no nos quiere nadie" »446. L'ostilità cittadina fa da   —116→   sfondo alla grandezza che si sta sempre più sgretolando, a un uomo che aveva sempre considerato la morte come un «riesgo profesional sin remedio»447 e che ora i suoi fedeli devono difendere dal tentativo di assassinarlo e per di più nascondergli la congiura.

Un cielo plumbeo domina il momento del commiato: dalle tre del mattino del sabato 8 maggio dell'anno trenta sta piovendo; neppure si odono i galli, ma non vi sono galli, informa il generale il suo fedele servitore, José Palacios: «"No hay nada", dijo el general. "Es tierra de infieles"»448. Anche gli amici sono ormai solo provvisori: «"No tengo amigos" dijo él. "Y si acaso me quedan algunos ha de ser por poco tiempo"». «Pues están ahí fuera», gli rivela la sua amante, Manuela Sáenz, «velando para que no le maten»449. Il cielo cupo, la pioggia di giorni interi accompagna il generale nel suo lento trasferirsi verso la costa. La delusione, il «desengaño» più distruttore accompagna i giorni finali di Bolívar: un lungo anno di pena.

Lo scrittore svolge con abilità il motivo, ampliando la dimensione del personaggio, evocato per episodi salienti anche a ritroso nel tempo, includendo le sue avventure sentimentali o velleitarie, alluse con discrezione e misura. L'alone mitico è sostenuto dalla sua gloria, ma la dimensione umana è sottolineata in particolare dall'indecisione dell'uomo di fronte alla vera intenzione di abbandonare il paese, dal suo stato di salute sempre più grave, dal fatto che nessuno, tuttavia, crede che possa morire da un momento all'altro, né che se ne vada realmente e abbandoni davvero il potere, come del resto aveva finto di fare in altre occasioni:

Sus ayudantes militares sentían que los síntomas del desencanto eran demasiado evidentes en el último año. Sin embargo, otras veces había ocurrido, y el día menos pensado lo veían despertar con un ánimo nuevo, y retomar el hilo de la vida con más ímpetus que antes. José Palacios, que siempre siguió de cerca estos cambios imprevisibles, lo decía a su manera: «Lo que mi señor piensa, sólo mi señor lo sabe»450.



Il ricorrere della frase del fedele servitore del generale contribuisce alla dimensione enigmatica del personaggio. Nessuno può indovinare le sue intenzioni, ma ormai neppure lui sa prendere una decisione. E' la fine di un individuo che seppe concepire e realizzare un progetto grandioso e che ora è al tramonto della vita, un tramonto prematuro che sottolinea ancor più la sua condizione di uomo tra gli uomini.

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Il romanzo di García Márquez, per il modo di presentare Bolívar, è stato celebrato da alcuni e duramente criticato da altri, in Venezuela ma soprattutto in Colombia, dove si è visto nell'autore un atteggiamento insultante verso l'eroe massimo dell'Indipendenza, in particolare per gli attacchi e le denunce che il romanziere fa implicitamente o in modo scoperto nei riguardi di personaggi storicamente reali del seguito del Libertador, que lo tradirono per ambizione e interesse personale, i cui discendenti costituiscono ancora quella che divenne l'aristocrazia del paese. Al momento della pubblicazione di El general en su laberinto, supportato da un imponente battage, un critico scriveva su El Tiempo di Bogotà:

No me gustó el publicitado libro de García Márquez sobre mi héroe Don Simón Bolívar. A un «Grande de la Historia» no hay por qué «pobretiarlo» tanto. Allí no se muetra su grandeza sino únicamente su lastimoso y lamentable final. Por ese libro, en el futuro no se le tendrá respeto sino un pesar de pordiosero. De mi parte, me olvidaré de su lectura y volveré a repasar a Germán Arciniegas, Salvador de Madariaga y Abelardo Forero, quienes me dieron la respetable imagen que tengo de «El Libertador»451.



Di parere opposto qualche giorno prima Plinio Apuleyo Mendoza sullo stesso giornale. Scontate le recriminazioni il critico affermava:

Cierra uno el libro estremecido. Es intenso, deslumbrante. Triste, también. A lo largo de 267 páginas, García Márquez nos ha hecho vivir, en la luz y desolación de su propio mundo natal del Caribe colombiano, la miseria de este viaje último de Bolívar sin más rumbo que la muerte452.



E' questo il senso vero del romanzo: un viaggio lungo un anno verso la morte, e in questo lento morire stanno la novità e la suggestione del personaggio. Nel momento in cui il dottor Alexandre Prosper Révérend si trova di fronte al generale ormai cadavere, «no tuvo necesidad de tomarle el pulso para darse cuenta de que había empezado a morir desde hacía años»453.

Intenzione di García Márquez nel libro non è, come si vede, quella di demolire il mito o di impoverire l'eroe, bensì di riportarlo alla statura umana che proprio il mito eroico gli aveva tolto, consacrandolo, con inevitabile retorica, tra i freddi busti dei «Padri della Patria». A Bolívar lo scrittore toglie, per così dire gli stivali e l'uniforme di gala del guerriero, lo presenta in pantofole, per meglio sottolineare la sua condizione di essere umano perseguitato dall'invidia e dalla meschinità di ambiziosi che s'intromisero con astuzia e non di rado ricorrendo   —118→   al delitto -valga l'assassinio del generale Sucre, il vincitore di Ayacucho- nei piani grandiosi del Libertador fino a farli fallire.

Al tema bolivariano la narrativa ispanoamericana aveva dedicato già alcuni romanzi di interesse; oltre al testo di Álvaro Mutis vale ricordare La caballeresa del sol, dell'equatoriano Demetrio Aguilera Malta454, libro centrato sulla figura dell'amante del Libertador, Manuela. Il romanzo aveva l'ambizione di inaugurare una serie di «Episodios Americanos», seguendo nei piani il lontano esempio di Pérez Galdós. Romanzo storico, Manuela Sáenz è presentata come una donna di grande carattere, fedele a Bolívar oltre la sventura. Anche García Márquez ne sottolinea la decisione e la fedeltà, nonostante i pericoli, facendone una delle figure meglio definite del suo libro, una vera eroina della causa, armata della forza dell'amore. Ma la figura dominante in El general en su laberinto è logicamente quella di Bolívar. Lo scrittore va trattando il suo personaggio con un amore che non conosce pietà, accentuando la nota corrente di un'umanità dominata da un destino funesto.

La volontà del Libertador appare ormai confusa; egli si aggira in un labirinto del quale è incapace di trovare l'uscita, perché la delusione lo domina, ma anche perché il suo corpo è malato. Non è più l'uomo capace delle decisioni di un tempo, quello eroico dell'azione, che ha condotto alla costruzione di un edifico ormai in rovina; lo vedeva con disperazione: «La patria se caía a pedazos de un océano al otro, el fantasma de la guerra civil se ensañaba sobre sus ruinas, y nada le molestaba tanto al general como sacarle el cuerpo a la adversidad»455. Tuttavia Bolívar rimane ancora e sempre un uomo eccezionale; lo illumina una luce che è ben lungi dalla spegnersi e che nonostante la perdita del potere ancora diffonde intorno alla sua persona una sorta di sacralità che si impone.

Certo, le vicende consegnano ora, nell'ultimo anno decisivo della sua esistenza, l'ombra di un individuo fisicamente minato. Negli ultimi mesi il colore della sua pelle passa dal verde pallido all'«amarillo mortal»456; diminuisce progressivamente non solo di peso ma anche di statura. Contemplando il ritratto fattogli da Espinosa a 45 anni, ben lontano da quelli di altri pittori dei tempi gloriosi, che «iban idealizándolo, lavándole la sangre, mitificándolo, hasta que lo implantaron en la memoria oficial con el perfil romano de sus estatuas», Bolívar trova che lo raffigura fedelmente: un uomo ormai «carcomido por la enfermedad que se empeñó en ocultar y en ocultarse incluso a sí mismo hasta las vísperas de la muerte»457.

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Se Sor Juana Inés de la Cruz di fronte a un ritratto che la ritraeva migliorandola rifiutava il «vano artificio del cuidado», l' «afán caduco»458, nel quadro di Espinosa Bolívar accetta la rappresentazione impietosa della propria decadenza. Una decadenza che diverrà persino ostentazione punitiva di se stesso, se davanti a una ragazza che gli hanno inviato per tenergli, inutilmente, tenera compagnia, finisce per denundarsi e mostrarsi in tutta la sua umana miseria:

«Dicen que Su Excelencia está bien, pero que se hace el enfermo para que le tengan lástima», dijo ella.

Él se quitó la camisa de dormir y le pidió a la muchacha que lo examinara a la luz del candil. Entonces ella conoció palmo a palmo el cuerpo más estragado que se podía concebir: el vientre escuálido, las costillas a flor de piel, las piernas y los brazos en la osamenta pura, y todo él envuelto en un pellejo lampiño de una palidez de muerto, con una cabeza que parecía de otro por la curtimbre de la intemperie.

«Ya lo único que me falta es morirme», dijo él459.



Una sorta di cupio dissolvi da cui il Libertador non si riprenderà più, ed è così come García Márquez rende umano il suo eroe. Certo, presso i suoi uomini Bolívar gode ancora di prestigio, ma il vecchio prestigio si esercita molto meno sulle popolazioni che raggiunge nel suo lungo viaggio. Vi sono sì accoglienze ufficiali, in realtà dimostrazioni decrescenti di giubilo per il suo arrivo, che egli coglie con immediatezza e gli richiamano, per contrasto, le frenetiche dimostrazioni del passato, di quando andava aggiungendo vittoria a vittoria.

Il tragitto verso Cartagena è, in sostanza, una sorta di Via Crucis. Quando il generale intraprende il viaggio di trasferimento verso la costa caraibica lo seguono, vigilando da lontano i suoi movimenti e quelli della sua truppa -un esercito stanco-, i soldati del governo colombiano, sempre sospettoso delle sue vere intenzioni. Il plotone che accompagna il Libertador si muove, si ferma, in apparenza senza rotta precisa, come se intendesse depistare i soldati che lo spiano, in realtà in balia dell'indecisione del capo, ed è più simile a un funerale che a un drappello in marcia.

Nel suo lungo aggirarsi per le terre colombiane Bolívar accumula esperienze negative; quando arriva a Cartagena, accolto senza tripudio, né suono di campane e salve di cannoni, il ricordo va istintivamente alle passate accoglienze festose. Anche ora

La población del recinto amurallado, convocada por un bando urgente, se había echado a la calle. Las tardes empezaban a ser moradas y diáfanas en el solsticio de   —120→   junio, y había guirnaldas de flores y mujeres vestidas de manolas en los balcones, y las campanas de la catedral y las músicas de regimiento y las salvas de artillería tronaban hasta el mar, pero nada alcanzaba a mitigar la miseria que quería esconder. Saludando con el sombrero desde el coche desvencijado, el general no podía menos que verse a sí mismo bajo una luz de lástima, al comparar aquella recepción indigente con su entrada triunfal en Caracas en agosto de 1813, cuando coronado de laureles en una carroza tirada por las seis doncellas más hermosas de la ciudad, y en medio de una muchedumbre bañada en lágrimas que aquel día lo eternizó con su nombre de gloria: El Libertador460.



Contrasto doloroso tra il passato e il presente. In un ultimo impeto, verso la fine dei suoi giorni, Bolívar è tentato di riprendere il potere, che gli offre il generale Urdaneta dopo un golpe militare, ma lo trattiene la coscienza dell'illegittimità del comando ottenuto con la forza. Commenta García Márquez che quello di Urdaneta fu il primo colpo di stato in Colombia e inaugurò la prima delle 49 guerre civili che i colombiani dovettero sopportare «en lo que faltaba del siglo»461.

Per Bolívar il rifiuto risponde non solo a un imperativo morale, ma alla delusione di vedere in rovina quanto da lui creato. Non lo domina più la giustizia della causa, né egli è il condottiero di prima, ma un personaggio sfiduciato, reso debole dalla malattia, che si aggrava di giorno in giorno. Una velleitaria ultima campagna, vissuta da lontano, contemplerà i territori di Riohacha e di Maracaibo: sarà una serie di ulteriori delusioni e sconfitte. Ormai le popolazioni rifiutano il suo intervento come liberatore, anzi lo temono. Ed è la fine.

I giorni sono ormai crepuscolari. Bolívar va pregressivamente perdendo il dominio delle proprie facoltà mentali. Lo scrittore ci introduce poco a poco nel deterioramento del grande personaggio, con delicatezza e comprensione.

Il Libertador è preda di incubi ricorrenti: le fucilazioni esemplari ordinate di generali che contravvennero alla disciplina militare, anche suoi amici e venerati dalle popolazioni. Tocca il fondo quando improvvisamente piange durante il sonno, più tardi cade dalle scale. E' allora che sotto una pioggia che «se hizo eterna», l'umidità incomincia «a abrir grietas en la memoria»462, come accade normalmente ai vecchi, quindi anche ai personaggi celebri. Ed è il ritorno al mondo dell'infanzia. Ormai nella casa di campagna di don Joaquín de Mier, a la Florida de San Pedro Alejandrino, distante una lega da Santa Marta, Bolívar percepisce improvvisamente l'odore della vecchia hacienda di San Mateo463, luogo della sua infanzia, segno della fine prossima.

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Cambiava il tempo, ma il generale rimaneva ormai «ajeno a las maravillas del mundo». Coricato nell'amaca egli vede dalla la finestra la Sierra Nevada «nítida y azul, como un cuadro colgado» e la memoria gli si perde «en otros cuartos de otras tantas vidas»464.

Con grande sensibilità, con viva partecipazione, García Márquez conclude il romanzo con la fine dell'uomo che fu Simón Bolívar, non senza prima aver posto in rilievo la miseria di quanto ormai lo circonda: l'ultimo letto prestato, il «tocador de lástima», il catino di porcellana «descarchada», con acqua, sapone e salvietta ormai «para otras manos», l'orologio ottagonale con la sua fretta «sin corazón» e finalmente l'appuntamento «ineluctable» del 17 dicembre «a la una y siete minutos de la tarde final»465. Un clima più cupo che non quello in cui Mutis presenta la fine dell'eroe.

In questo clima il narratore distrugge e al contempo ricostruisce il mito: distrugge il mito senz'anima dell'eroe e costruisce quello dell'uomo, personaggio come tanti, anche se eccezionale per un tempo, destinato alla morte. Bolívar torna a imporsi ora per una dimensione profonda, quella dell'uomo che si avvicina al momento finale, dove non servono le glorie:

Entonces cruzó los brazos contra el pecho y empezó a oír las voces radiantes de los esclavos cantando la salve de las seis en los trapiches, y vio por la ventana el diamante de Venus en el cielo que se iba para siempre, las nieves eternas, la enredadera nueva cuyas campánulas amarillas no vería florecer el sábado siguiente en la casa cerrada por el duelo, los últimos fulgores de la vida que nunca más, por los siglos de los siglos, volvería a repetirse466.



Finisce in questo modo Simón Bolívar, prigioniero del suo personale labirinto, dal quale non seppe o più probabilmente non volle uscire, perché avrebbe contraddetto il suo destino, quello dell'instauratore di una legalità che l'egoismo finiva per distruggere. Conclude così un romanzo tra i più validi ed emozionanti di Gabriel García Márquez.



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