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Gallegos-Asturias: I destini paralleli di due maestri della narrativa ispanoamericana

Giuseppe Bellini





Non è infrequente che scrittori la cui fama si è imposta in taluni momenti della loro esistenza siano poi dimenticati dalle generazioni sucessive. Sembrava questo il destino di Rómulo Gallegos e, per certi indizi, di Miguel Ángel Asturias, il primo dichiarato «defunto» dai nuovi scrittori del «boom», il secondo relegato a forza in un passato di comodo, per eliminarne l'ingombrante presenza. Ma il tempo, lungi dal confermare l'oblio, va sempre più rivelando dei due narratori le qualità straordinarie.

Se guardiamo al nostro paese e alla diffusione in esso del nome di Gallegos, il panorama non può essere più sconfortante: due romanzi tradotti, a distanza di tempo, Doña Bárbara nel 19461 e solo nel 1960 Canaima2, qualche racconto in scelte antologiche3, poche trattazioni critiche4. Diversa la sorte di Asturias, anche se la sua opera fu tradotta disordinatamente, a partire da El Papa Verde nel 1949, e anch'essa con sorprendenti intervalli temporali: si pensi che la traduzione de El señor Presidente appare in italiano solo nel 1958, presentata come un'attualità di segnes politico; ma è unicamente la presenza dello scrittore, in un lungo esilio, che determina un'attenzione più attiva della nostra editoria verso i suoi scritti, attenzione che ancora si accentua nel 1967, quando Asturias riceve il Premio Nobel, ma che poi si attenua progressivamente, fino a divenire quasi nulla dopo la sua scomparsa5.

Nell'ambito critico diversi sono i contributi, tanto che si può legittimamente parlare di una «fortuna» di Asturias in Italia6. Colpisce, tuttavia, l'impreparazione della critica giornalistica in occasione del conferimento del Premio Nobel: quasi tutto è all'insegna dell'improvvisazione e del pressapochismo. Converrà comunque sottolineare che nel nostro paese lo scrittore guatemalteco non godette mai di pieno consenso, anche se vide momenti di molto favore. La critica specialistica italiana si mostrò in parte diffidente nei suoi riguardi, forse per la poco comprovabile ortodossia politica di Asturias, la cui opera non risponde a una rigorosa ideologia. Per i nostri critici più giovani nè Gallegos nè Asturias sembrano esistiti, mentre abbondano le pagine dedicate agli scrittori del «boom» e persino ai minori. Forse contro Asturias non ha cessato di operare l'ostracismo decretatogli da certa intellettualità al momento della sua accettazione dell'Ambasciata parigina, non revocato neppure di fronte al riconoscimento Nobel.

Non è tuttavia ingiustificato affermare che senza Asturias, come del resto senza Gallegos, non sarebbe possibile parlare di un romanzo ispanoamericano del Novecento, tanto profondo è il segno lasciato dai due scrittori nei loro stessi detrattori. Gallegos dominò incontrastato la prima metà del secolo e fu il vero fondatore della narrativa contemporanea in America; Asturias ebbe il suo momento di auge tra gli anni cinquanta e sessanta e fu il primo innovatore del romanzo ispanoamericano, per l'espressione e per la struttura, dando vita a un modo inedito di interpretare la realtà, il «realismo mágico».

Curiosamente, ciò che per Gallegos, e per i narratori suoi contemporanei, fu ritenuto un merito, doveva finire pochi anni dopo per divenire macchia vergognosa. Ancora nel 1950 Mario Benedetti sosteneva che nell'opera dello scrittore venezolano stava il valore principale delle lettere americane, che potevano così figurare «con pie de igualdad junto a otras literaturas más viejas y más sabias»7; egli celebrava la scarsa permeabilità di Gallegos alle influenze d'importazione, così che «Personal o localista, o ambas cosas a la vez» difficilmente si rassegnava a essere «mero gajo de escuelas o tendencias», ma se lo era aggiungeva al tono generale «la originalidad de su creación o de su región»8. Poco più tardi proprio questa scarsa permeabilità dello scrittore alle influenze straniere e il tono regionalista divenivano motivo di condanna e di ripudio. In realtà Gallegos non restò indifferente alle novità della narrativa internazionale, quelle che potè attingere, poichè Joyce e Kafka non furono scoperte del suo tempo. Il suo interesse andò piuttosto agli scrittori francesi, ai narratori russi consacrati e in particolare agli scrittori ispanici come Pío Baroja, da lui considerato un maestro. Senonchè i nuovi teorici adducevano ora che l'interesse dello scrittore venezolano era stato in sostanza passivo, non aveva colto le novità del romanzo europeo, non le aveva sapute cogliere. Gallegos era quindi uno scrittore arretrato, concesso che mai fosse stato un romanziere.

Alla riaffermazione del prestigio dello scrittore venezolano recò un contributo fondamentale negli anni sessanta Miguel Ángel Asturias; dall'esilio europeo, in vari corsi che andava svolgendo in diverse università, anche italiane, sulla narrativa latinoamericana, egli si professava fervente ammiratore di Gallegos, nè mai perdeva occasione per affermarne la grandezza e proclamarsi suo discepolo. In una conferenza sul tema La novela latinoamericana como testimonio de una época, lo scrittore guatemalteco rendeva ancora una volta omaggio al maestro9, nè lo faceva retoricamente o per valersi del suo prestigio, in quanto egli stesso era allora autore pienamente affermato. Anni dopo, in piena tempesta del «boom»; quando meschini rancori resero più crudele il gioco parricida, Asturias continuò a proclamare la sua adesione a Gallegos, da tutti ormai dimenticato, e ancora lo dichiarava «maestro» nel discorso che il 16 maggio 1972, già Premio Nobel, pronunciava all'Università di Venezia, ricevendo la laurea «ad honorem». In questa occasione il tema trattato era Paisaje y lenguaje en la novela hispanoamericana, argomento ricorrente nelle trattazioni di Asturias; egli affermava che per paesaggio intendeva l'ambiente, il «medio», tutto ciò che nel romanzo circonda i personaggi10; e se dichiarava l'impossibilità di concepire opere come Las lanzas coloradas fuori del Venezuela, o El mundo es ancho y ajeno e Los ríos profundos fuori del Perù, Hijo de hombre fuori del Paraguay, i romanzi latinoamericani più significativi fuori della cornice geografica in cui erano sorti, sosteneva pure di non riuscire a concepire Canaima fuori del suo paese: «nadie puede concebir separados los personajes y la naturaleza, en Canaima, del maestro Rómulo Gallegos»11. Era come dire che nessuna delle opere del romanziere venezolano poteva essere concepita fuori del contesto che le aveva dato la vita. Il che non significava, come si potrebbe intendere, difesa interessata di un provincialismo arretrato, ma adesione convinta a un mondo nel quale autore e creazione artistica sono vitalmente inseriti. Solo in questo modo l'opera acquista vita, originalità, vigore nel messaggio, significato clie trascende le frontiere.

In altra occasione, alludendo a Doña Bárbara, Asturias aveva definito il personaggio «nuestra Prometea»12, intendendo esaltare la qualità straordinaria della creazione di Gallegos, autore di un'opera che aveva affermato la maturità del romanzo ispanoamericano. Questa adesione, che si potrebbe dire filiale, di Asturias a Gallegos, valse a non farne dimenticare completamente il nome in ambito internazionale negli anni più oscuri del ripudio ufficiale.

Ma quali erano i punti di contatto di Asturias con lo scrittore venezolano? In una conversazione egli rivelava che nonostante le sue letture e la preferenza per taluni autori spagnoli, da Cervantes a Quevedo, da Valle-Inclán a Baroja, chi più gli aveva insegnato era stato Gallegos. Ma che cosa poteva avergli insegnato, se il carattere della sua opera era di segno così particolare? Gli aveva insegnato a osservare l'uomo nel suo ambiente, a concepire il paesaggio non già come qualche cosa di passivo, di decorativo, allo stile romantico, «telón de fondo», null'altro, bensì -e il Popol-Vuh lo aveva profondamente preparato -come qualcosa di vivo, «convertido en personaje principal, en algo así como el magma sanguíneo, savia y sangre, barro y nube, del hombre inmerso en su realidad»13.

Lungi dal preteso «agresivo provincialismo» o, nei momenti migliori, dal vigore colorista con cui, secondo Mario Vargas Llosa, i romanzieri espressione di quella che chiama, con evidente intenzione di spregio, «novela primitiva» -e nella quale include, con quella di Gallegos, l'opera di Asturias-, rappresentano la realtà che li ispira, «siempre decorativa y superficial»14, il narratore venezolano -come del resto Asturias- manifesta attenta considerazione per l'ambiente nazionale, del quale il paesaggio è parte determinante. L'uomo è figlio anche della propria circostanza geografica e se, come si pretende, uno dei caratteri qualificanti della «nueva novela» è la maggiore attenzione concessa all'uomo e ai suoi problemi, non per questo l'ambiente che la genera, la linfa che la vivifica, paesaggio nel senso galleguiano e asturiano, sono meno caratterizzanti.

Nella storia della cultura i legami col passato sono sempre evidenti; i nuovi narratori, per inediti e ribelli che siano, sono sempre figli dei loro predecessori. La lotta parricida dei romanzieri nuovi, oltre a essere ingiustificata e ingenerosa appare assurda, e assurdo fu l'impegno con cui si tentò di affossare in blocco non solo i narratori del passato, immediato o remoto, ma anche di un presente che troppo infastidiva.

A Gallegos, ma anche ad Asturias, si rimproverò la tendenza regionalista un realismo antiquato, l'incidenza trasparente in una tesi; ma nei «nuovi» tutto si ripresentò puntualmente, con formulazioni diverse: valga d'esempio il crudo realismo di Vargas Llosa. Avvantaggia i nuovi narratori una più dichiarata coscienza linguistica -ma non nei confronti di Asturias-, la curiosità verso forme diverse di sperimentazione nella struttura del romanzo, maggiore attenzione per la lezione di modelli europei e nordamericani. Quanto al personaggio è fuor di dubbio che nella narrativa «nuova» esso acquista una dimensione più profonda, presenta una fisionomia più complessa.

E tuttavia, ognuno per la propria epoca, Gallegos e Asturias furono scrittori rivoluzionari, precursori e affermatori di tendenze nuove. A distanza di tempo la loro opera parla più che mai al lettore, nè in essa si ritrova quella visione che, con dispregio, si volle definire «de horizonte parroquial», interpretazione «epidermica» dell'uomo15. Né Gallegos, né Asturias furono incapaci di esprimere i loro temi in un linguaggio e in un ordine «funcionales», che li elevassero a un piano di «universalidad»16.

L'accusa che romanzieri come Gallegos rappresentino un fallimento per l'indifferenza ai problemi strettamente tecnici della creazione letteraria manca palesemente di fondamento. La sperimentazione che caratterizza i «nuovi» è certamente una delle qualità più rilevanti del romanzo contemporaneo, e la conoscenza di aree diverse della narrativa -da Kafka a Joyce, da Mann a Faulkner...- ha permesso di superare, non di rado con profitto, i modelli, come fecero del resto con i propri i «vecchi» narratori. Che la «nueva novela» si arricchisca, come scrive Juan Loveluck, di conflitti individuali e s'incentri sui problemi dell'«hombre interior»17, rappresenta senza dubbio una «adultez», quella sostenuta da Vargas Llosa18. Non rimprovereremo ai nuovi narratori, come ha fatto, talvolta a ragione, Manuel Pedro González19 , una eccessiva adesione ai modelli stranieri, con la conseguente frustrazione delle qualità personali nella ripetizione di formule altrui: il rinnovamento del romanzo ispanoamericano dipende proprio da questo e l'arte progredisce per contatti profondi. Ma non si dimentichi che il rinnovamenteo inizia già con Gallegos, si afferma con Asturias.

Ciò che colpisce è il dogmatismo, l'impegno, la fretta con cui i «nuovi» scrittori si son voluti liberare del passato. Il deserto prima di noi, sembrano voler affermare alcuni, teorici e scrittori del «nuovo» corso, tra essi Vargas Llosa20. Qualsiasi autore «novel» disconosce i padri e pretende, nuovo mostro della natura, di avere avuto origine da se stesso. Ma quanti dei nuovi romanzi sopravviveranno all'usura del tempo? Di alcuni testi assai celebrati già si fa fuggevole menzione, di altri neppure si ricordano i titoli. Autori che sembravano fonte inesauribile di sorprese sembrano improvvisamente inariditi, altri sono già a loro volta «vecchi». Gallegos, al contrario, e ancor più Asturias, permangono nel meglio della loro opera, tornano a esercitare la loro suggestione sul lettore attento, e alcuni «vecchi» sono più giovani che mai21.

Con grande serenità scriveva Miguel Ángel Asturias -non mi stancherò di citarlo-, rispondendo indirettamente ai propri denigratori e rivendicando implicitamente con la categoria della sua opera quella del maestro, che la letteratura è un grande fiume che si amplia sempre più e nel quale confluiscono fiumi grandi e fiumi piccoli, così che ogni autore assume l'eredità di chi l'ha preceduto e la continua22. Questo egli aveva fatto con Gallegos, del quale raccoglieva un'eredità più etica che estetica: l'onestà dello scrittore, la ferma adesione al proprio mondo, in un impegno senza cedimenti.

L'immagine che Asturias contribuì ad affermare di Gallegos fu proprio questa, dell'onestà del narratore, che la sua vita aveva confermato, per tanti versi così vicina a quella che lo stesso scrittore guatemalteco andava lasciando di sè. Combattenti entrambi per l'avvenire del loro mondo, interpreti appassionati di esso, con un senso profondo della natura, grandi scrittori originali, inventori inesauribili di miti, creatori di personaggi di incancellabile memoria, il tempo è andato chiarendone meriti e difetti, ma in sostanza affermando la validità di un'arte che si qualifica per eccezionali raggiungimenti. Se per Carlos Fuentes il romanzo ispanoamericano è «mito, lenguaje y estructura»23, la narrativa di Gallegos, e di Asturias, è tutto questo, con peculiarità proprie. Sarebbe ingenuo, d'altra parte, supporre che i problemi dell'espressione e della struttura del romanzo non preoccupassero lo scrittore venezolano, come preoccuparono Asturias e i suoi successori.

In un testo remoto proprio Miguel Ángel Asturias avvertiva24 che ogni romanzo latinoamericano era soprattutto «una hazaña verbal», che le parole, l'onomatopea, sono ingredienti fondamentali, rappresentano l'«avventura» del linguaggio e in esso si esprime pienamente il mondo americano: «¡Cuántos ecos compuestos o descompuestos de nuestro paisaje, de nuestra naturaleza, hay en nuestros vocablos, en nuestras frases!»25. Anche l'opera di Gallegos rappresenta questa affascinante «avventura», come la rappresenta quella di Asturias. Quando si tornano a leggere le loro opere sorprendono infiniti echi, suoni e rumori che attestano la presenza viva del mondo d'America, natura e abitante, in un linguaggio che nulla ha perso della sua suggestione e che gli anni non hanno invecchiato.

Nei nuovi romanzieri, ha scritto Andrés Amorós, esiste un «punto clave», una formula «definitoria» ed è l'immaginazione «como vía indispensable para alcanzar la auténtica realidad, falseada por los naturalismos superficiales»26. Nell'opera di Gallegos la fantasia esplica la stessa funzione, riscattandola dal naturalismo e dal realismo deteriori; ma anche è da sottolineare l'equilibrato lirismo, scarso nella «nueva novela», ben presente invece, nonostante la scottante problematica, in Asturias; un lirismo che sorge dall'attenzione tutta particolare prestata al paesaggio, ma soprattutto all'uomo, al dramma di personaggi estremamente vivi, sobriamente descritti, ma caratterizzati in profondità, con tratti maestri: un mondo minimo, diseredato ma non sottomesso, nel quale tanta parte dell'umanità finisce per identificarsi.

Di fronte alla vita «cargada de contradictorios signos», ha notato esattamente Pedro Díaz Seijas27, il paesaggio e l'uomo venezolani si trovano in ammirevole simbiosi. Solo Asturias raggiungerà risultati equivalenti, ma con più ampia proiezione americana, nei suoi maggiori romanzi, dove il particolare mondo guatemalteco sembra potenziare il significato universale del messaggio espresso dallo scrittore. E non è esatto affermare che l'attenzione con cui Gallegos osserva la realtà -Juan Loveluck ricordava con ironia la fotografia dello scrittore intento a prendere appunti nel suo viaggio per i «llanos» dell'Apure28- non ci dica più nulla29, che i suoi personaggi non abbiano raggiunto quell'universalità che il narratore «nuovo» ha saputo far raggiungere ai suoi: se così fosse la memoria della sua opera sarebbe completamente perduta.

Il rimprovero che più si è fatto a Gallegos è che i suoi romanzi rappresentano marcatamente una tesi e che i personaggi, soprattutto in Doña Bárbara, sono privi di vita, puri manichini, in particolare Santos Luzardo: accusa in parte fondata per questo personaggio. Ma nè la trasparenza della tesi, nè i difetti di Santos impediscono che Doña Bárbara sia un romanzo pienamente riuscito e di permanente suggestione: l'opera conserva intatta la sua freschezza, l'intrinseco valore di interprete del mondo venezolano, «imperturbable novela», come con felice espressione l'ha definita Orlando Araujo30; così come permangono intatti nel loro significato altri romanzi galleguiani, in particolare Cantaclaro e Canaima, tanto da far discutere ancor oggi la critica intorno a quale delle tre opere citate debba considerarsi il vero capolavoro di Gallegos. Vi è persino chi considera il primo romanzo del narratore venezolano, Reinaldo Solar, con aire de contemporaneidad, per cui più che altri libri posteriori sarebbe vicino al lettore attuale31. Affermazione interessante, da esaminare più a fondo, anche se, ritengo, nonostante la riuscita indagine psicologica, il romanzo si presenta troppo segnato dal tempo e da presenze letterarie, che possono essere l'Education sentimentale, come afferma il Torres-Ríoseco32, o le opere di Villier de l'Isle Adam, di d'Aurevilly, di Sade, di Rénard, di Lautréamont, i grandi scrittori russi da Turgheniev a Dostoevski a Checov, come indica l'Escarpit33, ma che sono certamente soprattutto le opere del primo Baroja, quello di Vidas sombrías e di El árbol de la ciencia.

Quanto alla preoccupazione per la struttura del romanzo essa si manifesta continuamente in Gallegos. Da Reinaldo Solar a La trepadora vi è già un cambiamento profondo, fino al raggiunto e pieno equilibrio di Doña Bárbara. Ne La trepadora, malgrado l'interesse della trama, caratteri ben delineati, il romanzo è indebolito dalla tesi, troppo scoperta e di scarso momento, almeno per il lettore che non sia venezolano. Tutto il contrario per Doña Bárbara, dove la trasparenza del programma, la tesi della lotta tra civiltà e barbarie, è di tale universale risonanza da dare al romanzo una dimensione tutta particolare, inserendolo in un filone di problematica profonda, alle cui origini sta il Facundo di Sarmiento.

Un nuovo cambiamento si verifica nella narrativa di Gallegos con Cantaclaro; se Doña Bárbara è un romanzo di fatti, Cantaclaro è il romanzo del lirismo puro, della «copla» errante e si costruisce su una trama di proposito dispersa. A sua volta Canaima inaugura un accumulo singolare di elementi nell'esaltazione delle forze telluriche e dell'«hombría», mito venezolano, in un risultato vitalista che si contrappone al mondo vinto de La Vorágine di Rivera, non lontano modello; benchè più del romanzo dello scrittore colombiano sia plausibilmente presente a Gallegos la suggestiva descrizione del Viaje al alto Orinoco, di Rufino Bianco Fombona34, non certo ignota allo stesso Carpentier de Los pasos perdidos.

Nei suoi romanzi Rómulo Gallegos va costruendo il panorama della patria, lo scopre alla sua gente, in un ben qualificato impegno di restaurazione del diritto e della giustizia, ma anche di riscatto delle qualità genuine del suo mondo. Ciò avviene con vigorosa originalità creativa; invenzione ed espressione si alleano perfettamente. In questo sta il merito dello scrittore, la sua intramontabilità.

Per certi aspetti, riusciti sono anche altri romanzi dello scrittore venezolano, come Pobre negro e El Forastero, il primo affresco gigantesco della guerra civile, il secondo impegnata presa di posizione intorno all'impossibilità di intese con il personalismo. Le altre opere narrative, Sobre la misma tierra e La brizna de paja en el viento, poco aggiungono alla fama di Gallegos, la cui categoria di scrittore resta ampiamente affermata nella trilogia della terra venezolana: Doña Bárbara, Cantaclaro, Canaima, tre romanzi di segno personalissimo.

Peculiare di Gallegos è la creazione di personaggi vigorosi e suggestivi: Florentino, Juan Parao, Marcos Vargas, il «sute» Cúpira, Encarnación Damesano, Miguel Candelas..., Doña Bárbara soprattutto, «personaje auténtico»35 di fronte a Santos Luzardo. E Doña Bárbara resta il romanzo più rilevante dello scrittore venezolano; la barbara protagonista finisce per divenire straordinaria incarnazione mitica, esaltata nella sua forza di suggestione dalla scomparsa, dopo la sconfitta, nella natura, come assorbita da essa. Simbolo della barbarie, Doña Bárbara scompare non perchè, come afferma Orlando Araujo, Gallegos mancasse del «sentido histórico de la violencia creadora»36, ma perchè era l'unico modo per concludere in un clima mitico, profondamente suggestivo, il personaggio. Nella storia del romanzo ispanoamericano la donna permane così con rilievo incancellabile; solo Ursula Iguarán, in Cien años de soledad, e la mulatta demoniaca protagonista di Mulata de tal, ognuna con caratteri fondamentalmente diversi, potranno competere per originalità e vigore di segno con questo personaggio femminile.

Vittima del destino, di un deterioramento cosmico scandito dall'ossessivo ritornello «las cosas vuelven al lugar de donde salieron», Doña Bárbara è forza della natura e a essa fa ritorno. Se in Hombres de maíz María Tecún si trasforma in monte, il cui accesso è un inquietante ambito vegetale, Doña Bárbara sparisce in un ultimo crimine della natura, la morte di una «novilla» inghiottita dalle sabbie di uno stagno; segue la donna lo sguardo inquietante di una bolla d'aria, «ojo iracundo»37. Ma, vittoria della civiltà sulla barbarie, il romanzo non conclude, lascia sospeso il lettore, mentre la donna rientra nel silenzio dal quale era uscita. Nel ricordo di chi legge il «bongo» delle origini continua a risalire l'Arauca, a costeggiarne le «barrancas».

La mitologia della pianura, della vita rurale, dei fiumi enormi dalle acque di colori varianti, giallastre, fulve, nere, della «copla» e dell'«hombría», dell'esistenza dura e ingiusta, dei grandi sforzi individuali e collettivi, trova nel romanzo di Rómulo Gallegos la sua esaltazione. A lui si deve se il Venezuela ha finito per essere un mondo reale, non una entità geografica astratta. Non si tratta di suggestione del folclore, anche se questo vi ha parte: nell'opera dello scrittore venezolano vive una determinante forza di persuasione, la stessa che Vargas Llosa esigeva dal romanziere per la costruzione di «mundos soberanos»38, quando affermava che la verità e la menzogna della «ficción» dipendono solo dal suo potere intrinseco di persuasione, dalla capacità di imporsi al lettore «como una realidad viva y coherente en sí misma»39.

Se molti romanzieri del regionalismo se los tragó la montaña, se los tragó la pampa, se los tragó la mina, se los tragó el río, come si è espresso pittorescamente Carlos Fuentes40, né pianura, né fiume, né selva hanno inghiottito Rómulo Gallegos. Il rifiorire degli studi intorno alla sua opera, dopo un lungo silenzio, lo conferma: lo stesso Fuentes, del resto, ha finito per fare onorevole ammenda41. Il dominio della creazione artistica, la capacità di dimensione umana, la forza inventiva, la coscienza di stile, hanno salvato il romanziere dal naufragio. Al contrario di quanto affermò Fernando Alegría42, nell'umanizzare la natura Gallegos non disumanizzò l'uomo: per questo egli rimane scrittore vivo oggi.

Le modalità espressive della «nueva novela» sono fondamentalmente diverse da quelle dell'epoca in cui Gallegos compose la sua opera. Ma il nuovo deve il suo esistere in gran parte al passato, in questo caso alla presenza dello stesso scrittore venezolano e, soprattutto, a quella del suo originalissimo «continuatore», Miguel Ángel Asturias, nel quale si esprime un composito mondo culturale, diverso da quello di Gallegos, che va dal Popol-Vuh al surrealismo, da Cervantes e da Quevedo a Valle-Inclan, ma anche a Pío Baroja, attinto quest'ultimo, forse, proprio attraverso i primi romanzi del «maestro».

Del significato dell'opera di Asturias ho trattato più volte43; ribadirò ancora che fin da El Señor Presidente egli inaugura in America la «nueva novela»44, alla quale Hombres de maíz recherà un contributo ancor più sostanziale. Asturias è già scrittore nuovo fin dalle Leyendas de Guatemala, ma in particolare a partire dal suo primo romanzo, che, non si dimentichi, benchè pubblicato nel 1946, era già terminato nel 193245. Si tratta, quindi, addirittura di un precursore delle nuove modalità, che si affermeranno nella narrativa ispanoamericana, in sostanza, dopo gli anni quaranta. E innovatore Asturias è non solo per novità strutturali, ma per il luogo privilegiato che assegna al linguaggio, all'esigenza di «nombrar las cosas»46, onde rendere un mondo radicalmente «altro» da quello ispanico, per l'inedito ricorso al tempo, che ne El Señor Presidente è instaurazione di un'inquietante eternità immobile, sovvertimento delle consuete cronologie.

La necessità di nominare le cose obbliga Asturias a un continuo esercizio d'invenzione linguistica; la parola assume valenza magica; il romanzo diviene impresa verbale, prova inesauribile delle capacità creative dello scrittore, nell'adesione immediata al mondo americano, in un'esigenza fondamentale di autenticità: «nosotros debemos dar expresión a un doble pensamiento -scrive47-,a un doble sentimiento, a una doble sangre [...], debemos buscar en el idioma lo que satisface nuestras aspiraciones, nuestras necesidades de comunicación».

Nella personalità vigorosa di Asturias i modelli hanno solo la funzione di rivelare l'originalità dell'artista; l'adesione a questo o a quello scrittore non risponde al bisogno di un modello da imitare, ma è per lo più identificazione di carattere etico: è il caso di Quevedo48, anche se del grande scrittore spagnolo del secolo XVII Asturias finisce per emulare l'abilità del gioco linguistico, in piena autonomia, con una modernità di mezzi espressivi che si avvale, con lungo anticipo sui contemporanei americani, del monologo interiore, del dialogo incrociato, dell'onomatopea, del procedimento onirico, di tutto ciò che nel campo espressivo poi la «nueva novela» riterrà carattere proprio qualificante. Da El Señor Presidente a Hombres de maíz, alla trilogia bananera, all'insuperabile Mulata de tal, libro di sfrenata fantasia barocca, a Maladrón e a Viernes de dolores, senza peraltro dimenticare El Alhajadito, le leggende de El espejo de Lida Sal e neppure Week-end en Guatemala, sarà un portentoso esercizio della creazione, con momenti anche non del tutto felici talvolta, ma con esiti fondamentalmente di così elevato livello artistico da dare al narratore guatemalteco la categoria di maestro nell'ambito della narrativa non solo americana. Un maestro di segno completamente inimitabile.

Asturias ha sempre precorso i tempi; con la sua opera si è affermato un modo nuovo di intendere le cose, di interpretare la realtà. Il «realismo mágico» sul quale si è costruita gran parte della nueva novela ha nella sua opera il suo punto di partenza, non in quella di Borges; anche se il «realismo mágico» di Asturias è fondamentalmente unico nell'ambito dei diversi «realismi magici» americani, poichè radicato in un ben determinato mondo, quello maya, dove natura e uomo vivono un'unica esistenza, elaborano un medesimo linguaggio49. Viene da questo la peculiarità della sua scrittura, la capacità di penetrare le cose, fonte e riflesso dell'uomo, il mondo americano nelle sue purezze incontaminate, ma anche nella profonda nota tragica, nella problematica tormentosa, mai risolta.

Con capacità d'interpretazione e di resa eccezionali Miguel Ángel Asturias dà alla narrativa ispanoamericana testi di intramontabile significato, di permanente incidenza anche nella narrativa a noi più vicina. Basti osservare quale orma ha lasciato un libro come El Señor Presidente nel rinverdito filone della narrativa sulla dittatura, ben visibile in opere del rilievo de El recurso del método, Yo el Supremo e El otoño del Patriarca. Se vi fu negli autori di questi romanzi -e certo vi fu- un'intenzione di superamento del romanzo di Asturias, la riuscita è stata solo parziale, né ha potuto eliminare l'ingombrante punto di riferimento50.

Un rinnovato fervore di studi intorno all'opera asturiana conferma la sua intramontata validità; la critica vi si esercita ora con giustificato impegno demitizzante, correggendo prospettive, inaugurando nuovi modi di approccio, modificando teorie, ma in sostanza confermando l'originalità51.

La lezione di Asturias, il significato della sua opera, non si configura solamente nell'originalità dell'esercizio formale, nella peculiarità espressiva, ma nella profondità del messaggio che esprime. In tale messaggio vibra un impegno etico -lo stesso di Gallegos- che pone lo scrittore tra i grandi interpreti dell'umanità. Nella riuscita fusione di fondo e di forma sta la permanente freschezza della narrativa asturiana, la sua intramontabilità. E' sufficiente rileggere Hombres de maíz o Mulata de tal, ma anche testi meno celebrati, per averne conferma. Si tratta in ogni momento di adesione sincera al destino dell'uomo. La grande lezione di Asturias è, in sostanza, di ordine morale; come per i massimi scrittori di tutte le letterature e di tutti i tempi, sta in essa il maggior significato della sua opera, ciò che ogni lettore attinge e sente, indipendentemente dal veicolo linguistico attraverso il quale vi perviene. Si potrà discutere, come si è fatto52, se nell'interpretazione del mondo indio la sincerità del punto di partenza sia più o meno ripagata da validi risultati, non della serietà della problematica asturiana, nella quale, con i temi della libertà, della dignità, della moralità, è coinvolta tutta l'esistenza dell'uomo nella sua lotta giornaliera, segnata da scarse vittorie, da molte sconfitte.

Dalla sincerità con cui lo scrittore vive i problemi dell'uomo la sua opera acquista rilevanza e dimensione. Asturias diviene, nuovo Quevedo, fustigatore severo dei costumi del nostro tempo, acquistando altissima categoria morale; creatore ineguagliabile di allucinanti atmosfere della degradazione e del peccato, denunciatore instancabile del prepotere, economico e politico, dell'opera distruttrice del denaro sul tessuto vitale dei popoli, egli incide profondamente nella sensibilità del lettore anche per una mai repressa tenerezza, per la nota trepida con cui segue il duro esistere umano. Con le scene raccapriccianti de El Señor Presidente, costruite sulla nota più lugubre, ritmate da inquietanti onomatopee e dal rumore delle armi e delle «botas» militari, si imprime nel lettore la nota straziante della tragedia di Fedina, quella tenerissima della piccola Natividad Quintuche di Week-end en Guatemala...; ma gli esempi sarebbero infiniti, come infinite sono le figure indimenticabili: dal Coronel Chalo Godoy al «curita» Ferrusigfrido Fejú, da Goyo Yic alla mulatta demoniaca, da Celestino Yumí al guerriero Mam..., al cadaverico «Señor Presidente», mummia inquietante, dai tratti vaghi nell'imperare del grigio e del nero, realtà e mito al tempo stesso, «cuyo domicilio se ignoraba porque habitaba muchas casas a la vez, cómo dormía porque se contaba que al lado de un teléfono con un látigo en la mano, y a qué hora porque sus amigos aseguraban que no dormía nunca»53. Domina l'incubo una selva surreale di orecchie, collegate per fili invisibili all'orecchio del despota: condizione aberrante della dittatura, spazio sinistro trafitto dai lamenti dei torturati.

Ne Los ojos de los enterrados Asturias ha affermato che il danaro è fonte della dittatura, dell'oppressione politica54. Si spiega così la parte che ha nella sua opera la requisitoria contro la ricchezza, sulle orme di un Quevedo anche in questo maestro. Presente fin da El Señor Presidente, nè poteva essere altrimenti, il tema del danaro si afferma in Viento fuerte, nella condanna di Geo Maker Thompson, il futuro «Papa Verde», «señor de cheque y bolsillo, gran navegante del sudor humano»55, ne Los ojos de los enterrados contro i Luceros, traditori delle proprie origini, contro lo stesso «Papa Verde», signore della «bananera»: un'allucinante scena ne mostra l'impotenza in punto di morte, quando non vale a prolungargli la vita il prezioso tubo di platino che i medici gli conficcano in gola «a martillazos»56. Ma è in Mulata de tal dove il tema ha la sua trattazione più completa, in una condanna totale, non solamente come punizione di Celestino Yumí reo di aver venduto la propria moglie al diavolo, ma nel senso di un ripudio morale della fonte prima di ogni corruzione. Come i demoni dei Sueños di Quevedo, è il diavolo stesso, Tazol, a decantare negativamente il potere del danaro, condanna dell'uomo: «contra Dios, dinero, contra justicia, dinero; dinero para la carne; dinero para la gloria; dinero para todo, para todo, dinero»57. Il fallimento di Yumí, col ritorno alla povertà, sarà l'unica salvezza.

In un mondo così negativo e contorto l'immagine della morte domina le cose. Asturias tratta il tema in molteplici sfumature: dalle morti violente de El Señor Presidente a quelle cariche di significato simbolico di Viento fuerte e de Los ojos de los enterrados, a Viernes de dolores. Ma il significato del tema è più profondo di quello che parrebbe a prima vista: si tratta in ogni caso di «esempi» della giustizia o di liberazioni dalla negatività dell'esistere. La morte ha, perciò, nell'opera di Asturias un profondo significato morale; ma in Viernes de dolores, nella grandiosa allegoria che domina i primi capitoli, la morte assume una funzione esorcizzante. Asturias ricorre all'ironia, all'umorismo, per combattere nell'uomo la desolata conclusione che tutto è, quevedescamente, in potere della morte.

Il cimitero alla periferia della capitale guatemalteca è il teatro in cui spiccano con lugubrismo barocco le simbologie funebri, un inquietante clima d'oltretomba che ricorda per qualche verso il Sueño de la Muerte di Quevedo, ma in piena originalità. E tuttavia nel «mural» di Asturias la morte non ha nulla di terribile, sembra spogliata del significato più cupo, richiamato ora solamente dai suoi ministri: seppellitori, preti, notai, la «funérea aristocracia hedionda a caballeriza», il «proletariado sepulcral con olor a tierra de huesos»58. Lenitivo l'alcool, contravveleno dissacrante l'esercizio erotico di anonimi disegnatori degli «excusados», che trasformano le pareti in «pizarras de locos sexuales sueltos, delirantes que dibujaban, más allá del amor carnal, en el reino del amor óseo, esqueletos y esqueletas poseyéndose: besos no de labios, sino de engranajes blancos, dientes contra dientes, dedos de manos radiografiadas en busca de senos y pezones en los vacíos intercostales, piernas entrelazadas como compases[...]»59.

Sull'inquietante tragedia del vivere umano, al disopra dei simboli funebri, sembra affermarsi un vento di rivolta che non può che condurre a una riconfermata speranza.

Scrittori fondamentalmente diversi, eppure vicinissimi per impegno etico, Rómulo Gallegos e Miguel Ángel Asturias appaiono accomunati da uno stesso destino, di esaltazione e ripudio, quindi di rivendicata grandezza. Varrà la pena di tornare sulla loro opera, di iniziarne una nuova lettura per cogliere di essa, con le peculiarissime caratteristiche, il permanente significato.





 
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