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Abajo

Il dramma romantico in Spagna

Ermanno Caldera



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ArribaAbajoPremessa

Riprendendo la linea critica già seguita nei miei Primi manifesti del romanticismo spagnolo, mi sono scostato, anche in questa nuova indagine sul teatro romantico, sia dalla visione a lungo tradizionale (ormai in declino ma non certamente spenta sul piano delle interpretazioni correnti) di una perennità del romanticismo in terra iberica, sia da una prospettiva esclusivamente europea che presenti il romanticismo spagnolo come un fenomeno che esplode quasi ex abrupto al ritorno dei liberali emigrati.

Tralasciando dunque tanto la tesi dell'autoctonia quanto quella dell' importazione, ho preferito imboccare la via -invero non del tutto nuova né del tutto inesplorata -della continuità fra la cultura tardo-settecentesca e primoottocentesca e quella dell'epoca che siamo soliti definire romantica.

Naturalmente una siffatta collocazione critica non è di necessità preclusiva nei confronti di posizioni diverse; non esclude, per esempio, la componente di un influsso straniero che sarebbe assurdo misconoscere. Vuole semplicemente richiamare l'attenzione sull'esistenza di una predisposizione culturale ad accogliere con molte riserve, e insieme a condizionare, i nuovi orientamenti, maturatasi proprio nel mezzo secolo che precede l'avvento di opere scopertamente romantiche.

Alla base di questa idea di continuità in direzione conservatrice stanno non solo le forti striature classicheggianti di tanto teatro romantico né soltanto la persistenza di atteggiamenti di fondo neoclassici anche in coloro che si proclameranno aperti ai nuovi vangeli culturali, ma si collocano anche ragioni storiche, politiche, ideologiche, quelle stesse cioè che permettono di scorgere una sostanziale continuità fra i regni di Carlo IV, di Fernando VII e di Isabel II.

Perché ciò che conferisce alla Spagna della prima metà del secolo XIX quel suo volto particolare, che così spesso sembra appartarla dalla comunione col resto d'Europa, è in fondo quel suo perdurante atteggiamento conservatore, spesso colorato di tinte illuministiche (con gli inevitabili risvolti neoclassici) che -malgrado i sussulti innovatori- riaffiora a tutti i livelli: dei politici, tuttora legati ai principi del dispotismo illuminato; dell' aristocrazia e della borghesia, vincolate, oltre che ai privilegi, all'idea del dirigismo politico e del riformismo economico; della cultura che spesso manifesta una fede, o almeno una speranza, nei lumi della ragione volta al progresso (si pensi a Larra), che rifiuta lo storicismo e i rivolgimenti sostanziali, che infine, pur in certe rigide chiusure verso ciò che sa di straniero, non manca di scoprire zone di una mai sopita vocazione cosmopolitica. Per di più, la Spagna «romantica», tormentata dal carlismo, è naturalmente indotta a far poche concessioni allo spirito popolare (che del carlismo è uno dei sostegni più forti) e alle libertà costituzionali e a cercare rifugio in una politica di vecchio stampo, autoritaria, accentratrice e anticlericale. Né si può dimenticare come anche sul piano psicologico gli Spagnoli degli anni Trenta, sollecitati nel loro orgoglio nazionale, sentissero e cercassero la continuità con quel mondo che aveva prodotto gli eroi della resistenza antinapoleonica e i costituzionalisti del 1812.

Alla luce di queste considerazioni, pare che una disamina del dramma romantico come punto d'arrivo e sbocco di una cultura indigena neoclassica e illuministica possa rappresentare un efficace mezzo di approccio al romanticismo spagnolo. In tal modo infatti, il movimento si offre a un giudizio formulato, per così dire, ab interno, anche e soprattutto quando vi affiorino motivi importati di fuori; tale è infatti la capacità di assorbimento e di decantazione di quella cultura che non esita a inserirli, arricchendosene, nel suo inarrestabile processo evolutivo. In altri termini, è un modo di ripercorrere il cammino compiuto verso e attraverso il romanticismo così come lo percorse la cultura spagnola nei primi decenni del secolo scorso.

Per questo ho evitato ogni definizione previa di classico e di romantico, limitandomi a impiegare i vocaboli sostanzialmente secondo l'uso che ne fecero gli interpreti dei movimenti e delle relative polemiche: pertanto ho chiamato romantici gli scrittori che così si definirono nonché coloro che, pur cercando di definirsi altrimenti (i fautori del justo medio per esempio), rivelarono un'adesione sostanziale a quella cultura che sia i contemporanei sia i posteri immediati amarono classificare con questo termine. Per questo ancora ho circoscritto la panoramica del dramma romantico al decennio 1834-1844, in cui appare particolarmente viva la coscienza del problema e le etichette di «romantico» e di «classico», applicate ai drammi contemporanei -magari per negarne la validità o per proporre formule nuove -attestano la consapevolezza dell'appartenenza a un campo culturale chiaramente delimitato.

Un ultimo rilievo: avrei dovuto, per addivenire a una visione più completa, affrontare anche il tema della cosiddetta commedia romantica. Varie ragioni, tra cui il desiderio di conferire un'impostazione unitaria al saggio e la necessità di un discorso a se stante, mi hanno persuaso a tralasciare questa parte per dedicarvi una trattazione apposita che spero di potere, fra non molto, dare alla luce.






ArribaAbajoParte prima

Precursori



ArribaAbajoI - I «refundidores»

Nel 1834, Alcalá Galiano, nel tentativo di spiegare agli Inglesi chi fossero i refundidores, li definiva ironicamente

a class of dramatic writers which cannot with propriety be called either original authors or translators -a sort of middlemen...

La loro opera riusciva incomprensibile allo scrittore che riponeva la sua fede letteraria nella libertà creativa e che pertanto non esitava a definire «most absurd compositions» le commedie rielaborate.1

Altrettanta ostilità destavano le refundiciones in Larra che, in un articolo dell'anno precedente, era insorto contro la rappresentazione di una commedia di Moreto rifatta secondo i consueti criteri della «regolarità» e aveva finito per negare legittimità all'opera dei refundidores in genere.2

Tanto Larra quanto Alcalá Galiano appartenevano all'ala più liberale del romanticismo spagnolo ed è quindi logico che vedessero sfavorevolmente una produzione chiaramente ispirata a scrupoli di un classicismo piuttosto gretto. Non a caso un giudizio altrettanto negativo era stato espresso, alcuni decenni prima, da A. G. Schlegel, secondo il quale i vari tentativi di adattare il teatro spagnolo alle regole classiche erano falliti per l'opposizione del gusto nazionale.3

Ciononostante, le refundiciones prosperavano: anzi erano divenute una prassi così corrente che, pur in piena epoca romantica, le piezas del Siglo de Oro continuavano a salire sulle scene con il travestimento operato dal rielaboratore. E refundiciones scrivevano ancora negli anni Trenta e Quaranta non solo ingegni mediocri ma pure scrittori di primo, piano quali Bretón, Hartzenbusch, Mesonero Romanos, Zorrilla.

Inoltre, alle loro spalle, esisteva un largo movimento di consensi (tra cui alcuni autorevoli come quello di Lista4) non disgiunti, invero, da quella certa sensazione di disagio, di cui si fece interprete un articolista delle Cartas Españolas, definendo le refundiciones contrarie al «respeto debido a nuestros antiguos autores dramáticos».5 Pertanto, da parte dei sostenitori di questo procedimento, si invocherà lo stato di necessità, riconoscendo bensì gli eccessi compiuti dai refundidores ma dichiarando, al contempo, che i difetti del teatro secentesco sono tali da impedire la rappresentazione di commedie non adeguatamente rielaborate;6 oppure si cercherà di contenere gli interventi entro limiti ristretti, ora optando per le commedie arregladas e rifiutando quelle refundidas,7 ora invitando a ridurre al minimo le modifiche dell'originale.8

Tanta vitalità e popolarità di un simile procedimento non può non apparire stimolante allo storico del romanticismo: è infatti logico pensare che le refundiciones abbiano dovuto esercitare una qualche influenza sulla produzione originale che siamo soliti definire romantica. Soprattutto pare lecito ritenere che alcune delle istanze fondamentali cui si erano ispirati i refundidores siano passate nei drammaturghi romantici, particolarmente in coloro che si fecero refundidores a loro volta o che, in ogni modo, si ispirarono ai modelli del Siglo de Oro.

La storia delle refundiciones è, in fondo, fin dalle origini, quella di un ricupero del teatro secentesco che si snoda dapprima secondo gli schemi del neoclassicismo, poi man mano acquista accenti più conformi alla sensibilità romantica9 e il cui ultimo atto potrebbe essere la fioritura di opere nate all'insegna del cosiddetto renacimiento nacional; ma l'elemento più suggestivo di questa vicenda è l'assenza di soluzioni di continuità e il perdurare di certe costanti.

Bernardo Iriarte, intorno alla fine del secolo XVIII, consigliando le refundiciones, ammoniva:

se debe procurar acercar todo lo posible las unidades; suprimir apartes, comparaciones poéticas y todo lo que huela a flor, río, peña, monte, prado, astro etc. etc.; cercenar gracias intempestivas de graciosos... y quitar del todo cuanto destruya la ilusión.10



Se raffrontiamo questo passo con quanto affermerà Durán circa mezzo secolo più tardi, ci rendiamo conto che le istanze di base sono rimaste immutate. Chi volesse riprendere oggi il teatro secentesco, diceva Durán,

tendría que concebirlo de otro modo, y que buscar en la razón medios supletorios a la falta de fe; tendría que inventar recursos de verosimilitud e interés dramáticos más análogos a nuestra manera social y a la idea predominante del siglo.11

I due autori si trovano dunque concordi nel ritenere che il teatro del Siglo de Oro, sia come fonte di refundición sia come modello cui ci si debba più genericamente ispirare, è bisognevole, nella versione moderna, di revisioni o ritocchi nella direzione di una maggiore razionalità e verosimiglianza. Che è poi quell'ideale di «regolarità» così ribadito nel corso di tutto il Settecento, del quale nei passi riferiti sembra emergere prevalentemente il risvolto stilistico ed estetico ma che, all'atto pratico e in altre formulazioni, lascia scorgere anche una componente contenutistico-moralistica che affiora pure nel passo di Durán.

D'altra parte, anche a prescindere dallo stretto vincolo, proprio dei tempi, fra preoccupazioni etiche e scrupoli formali, non si può dimenticare -per una retta interpretazione del fenomeno- che il procedimento del refundir era nato appunto all'insegna del moralismo, di un moralismo così teso da rasentare il grottesco. Appunto Sebastián y Latre, considerato per tradizione il capostipite dei refundidores, biasima, in Progne y Filomena di Rojas Zorrilla da lui rielaborata, non tanto la violazione delle regole quanto la profonda immoralità che ravvisa soprattutto in due momenti. Il primo è

aquella bárbara y lasciva escena en que Filomena ... se presenta a Hipólito, y con ademanes, y artificios... le da noticia de la torpeza y crueldad, que su hermano Tereo acababa de executar con ella, preparando antes el lance de un modo, que hace más perceptible, y escandaloso el suceso. ¡Perniciosa enseñanza para jóvenes libres! ¡Y escandaloso espectáculo para doncellas incautas!12



Il secondo riguarda piuttosto un'immoralità di tipo sociale: l'autore giudica infatti riprovevole l'uccisione di Tereo da parte di Filomena e di Progne,

sin tener ésta aquellos debidos sentimientos de ternura, y veneración por su Esposo, y su Soberano, cuyos abominables exemplos es justo borrar de la memoria de los hombres, procurando inspirarles siempre las estrechas obligaciones de amor, y fidelidad, con que nace todo vasallo para con sus Reyes...13



Il risultato di queste intenzioni moralizzatrici sarà una opera strampalata in cui Progne recita la parte della moglie e suddita fedele,14 Tereo quella del sovrano che, pur peccando, è al di sopra di ogni possibile giudizio umano e che finisce per pentirsi, mentre tutta l'odiosità si riversa su Filomena che paga il fio della sua ribellione al re che l'aveva violentata.

Parimenti «monstruosa» pare a Sebastián y Latre la commedia di Moreto El parecido en la Corte, in cui trova espressioni e azioni «escandalosas» e atte «para avivar unos pensamientos indecentes» e perfino qualche scena che

parece se hizo para desprecio de la justicia, ultraje de sus Ministros, y dar paso franco a los delinquentes poderosos.15



A parte la sua rozza ingenuità, l'autore non faceva altro che riprendere e far sue antiche argomentazioni intorno all'immoralità del teatro che risalivano fino al padre Mariana e che, dopo esser servite per attaccare le opere di scuola lopesca, venivano ora sfruttate per polemizzare contro quelle calderoniane.

Anzi, è perfino curiosa la monotonia delle accuse che vengono mosse attraverso i secoli. Più di un secolo e mezzo prima di Sebastián y Latre, proprio il P. Mariana si domandava:

¿qué otra cosa contiene el teatro y qué otra cosa allá se refiere sino caídas de doncellas, amores de rameras, artes de rufianes y alcahuetas, engaños de criados y criadas?16



Basta sfogliare la ricca Bibliografía de las controversias sobre la licitud del teatro en España del Cotarelo per rendersi conto di come l'accusa del P. Mariana ricompaia, a volte con le stesse parole, lungo tutto il secolo XVII, sia negli interventi di singoli polemisti sia nelle numerose -e spesso disattese- deliberazioni di Juntas e Consejos.

Né il Settecento si discosta da questa linea. Voci ben più autorevoli di quella di Sebastián y Latre si levano a ripetere queste censure al teatro spagnolo; questo è infatti per N. F. Moratín

la escuela de la maldad, el espejo de la lascivia, el retrato de la desenvoltura ecc.;17



per Forner è quello che mette in scena

santos bufones, lacayos políticos, caballeros duelistas, reyes bestiales, princesas enamoradas de jardineros.18



E via dicendo.

Si tratta dunque di una tradizione che procede ininterrotta nel secolo XVII e nel XVIII e che ha precipuamente di mira il cosiddetto teatro nacional; ma che proseguirà anche dopo, quando la polemica contro il teatro del Siglo de Oro si sarà ormai placata e anzi se ne sarà già realizzato o programmato il ricupero. Gli strali si appunteranno allora contro il nuovo bersaglio del «romanticismo malo», ma le accuse saranno sostanzialmente le medesime, ora Durán censurerà la moda de «los más innobles y patibularios espectáculos»,19 ora Lista vedrà nei drammi contemporanei «el non plus ultra de la deformidad moral».20

Sebastián y Latre si collocava dunque lungo una linea di intenzioni moralizzatrici nei confronti del teatro sulla quale trovava numerosi e illustri precedenti non solo a livello di programmi ma anche di realizzazioni pratiche. Prima di lui infatti il teatro spagnolo aveva visto Calderón e i suoi seguaci impegnati, per ragioni estetiche ma soprattutto etiche, a rielaborare le opere della scuola di Lope; Calderón aveva composto El Alcalde de Zalamea per rivaleggiare con Lope stesso; Moreto aveva inteso, in varie opere, riprendere e moralizzare Lope, Tirso, Guillén de Castro; Matos Fragoso, Diamante e, più tardi, Zamora e Bances Candamo seguirono non di rado il medesimo cammino.

Non sarà dunque errato affermare che le refundiciones che invasero la scena spagnola negli ultimi decenni del Settecento e nei primi dell'Ottocento si inserivano pienamente nella tradizione di rifacimenti, rielaborazioni, gareggiamenti artistici e morali che costituisce una costante delle lettere ispaniche, almeno a partire dal secolo XVII. Questi neoclassici che ritengono indispensabile «rifare» le opere dei grandi del passato sono dunque sullo stesso piano di Calderón e di Moreto; e se qualcosa li differenzia, questa è, oltre a una penosa assenza di genialità, la perentorietà della loro opera che non si presenta come alternativa del modello ma come sostitutiva.

Infatti, pur con maggiori aperture e rispetto dell'originale, i successori immediati di Sebastián y Latre hanno la coscienza che le loro commedie siano le uniche degne di essere rappresentate.

Certamente contribuirono a questa convinzione le disposizioni emanate in materia, le quali, oltre a proibire la rappresentazione di molte commedie secentesche, ne stimolavano la refundición definendone con esattezza il compenso e lasciando così intendere che solo la nuova versione avrebbe potuto ottenere l'approvazione degli organi ufficiali.21 Ma è peraltro evidente che il refundidor, nel momento stesso in cui si accinge a rifare la commedia antica, parte dal presupposto che essa sia più o meno gravemente difettosa; anzi, talvolta, nelle prefazioni, sottolinea in modo esplicito tali difetti.

Così fa, per esempio, Trigueros, che ora rimprovera a Lope di aver «sobrecargado» l'opera e di non aver rispettato le unità, ora loda il suo modello in termini che tuttavia ne pongono in evidenza i limiti:

La facilidad -dice nella prefazione a La Buscona- con que he podido reducir esta comedia, me ha convencido de la sólida bondad de la invención de Lope.22



La «bontà» di una commedia che esiga un rifacimento è in qualche modo circoscritta: la frase rispecchia il tipico atteggiamento, presuntuoso e guardingo al contempo, del refundidor. Ma sarebbe un errore prestare una fede totale a simili dichiarazioni, soprattutto per quanto concerne la limitata entità degli interventi. Nonostante la loro modestia, né Trigueros né gli altri si accontentano, in genere, di pochi ritocchi: per lo più ristrutturano l'opera, ne spostano il centro di gravità, ridimensionano i personaggi e soprattutto concentrano i loro sforzi per rendere più credibile la vicenda e più decodificabile il linguaggio.

La matrice di questa posizione è certamente reperibile negli ideali neoclassici e cartesiani di chiarezza, di compostezza, di linearità; ma il suo sbocco è altrettanto sicuramente ravvisabile nel teatro romantico, particolarmente in quel settore che manifestò l'intenzione di rifarsi ai modelli del secolo d'oro con lo scopo -analogo a quello dei refundidores- di ammodernarli e renderli accessibili al pubblico dei tempi nuovi.

Le refundiciones appaiono perciò come l'indispensabile anello della catena che collega la drammaturgia romantica a quella barocca; ma lo sono -è bene sottolinearlo subito- assai più in virtù di ciò che negano o mutano delle opere originali che non di ciò che mantengono.

Proprio per questa loro funzione, sarà opportuno esaminare alcuni dei momenti più significativi di queste refundiciones, quelli almeno che più chiaramente sembrano preludere a forme e a spiriti romantici.

a) Moralità

Prendiamo in esame anzitutto il processo di moralizzazione del modello che costituisce uno degli aspetti più vistosi e, per il lettore di oggi, meno comprensibili della refundición.

Il rielaboratore segue in primo luogo il principio di eliminare tutte le espressioni che in qualche modo possano suggerire immagini anche solo vagamente sensuali o che contengano allusioni non totalmente riverenti a materia religiosa. È un vecchio criterio, anch'esso inserito nella tradizione, che contava appunto infiniti lontani precedenti nella lunga storia degli interventi inquisitoriali e delle edizioni purgate. Proprio a causa di questa lunga tradizione, lo spagnolo aveva acquistato una particolare sensibilità nel cogliere qualsiasi brano passibile di censura, ben sapendo che dietro a ognuno di essi occhieggiava lo spauracchio del divieto di pubblicazione.

Certamente restiamo colpiti dall'acume con cui il refundidor avverte la frase o la parola censurabile là dove noi talvolta non avremmo fatto il minimo rilievo e non possiamo non sorridere dinanzi all'assurda goffaggine di certe sostituzioni o soppressioni.

Trigueros, per esempio, non solo elimina le battute in cui un gracioso invita un personaggio femminile a spogliarsi per dimostrare che è donna,23 ma sostituisce engañar a gozar,24 damas a cortesanas25 e giunge a cancellare la fine ironia dei versi seguenti:


enviudó ha dos meses,
viénele grande la cama,

modificando il secondo verso in un inespressivo


y ha mes y medio que ama.26

Solís, nella Villana de Vallecas, elimina ogni riferimento all'avventura notturna dei due amanti e sostituisce anch'egli il verbo gozar così diffuso fra i drammaturghi secenteschi; sicché il sonetto che in Tirso risulta scritto da Don Gabriel per Doña Violante


la noche que la gozó

-destando così l'umoroso commento


Si la pobre está gozada,
no es Violante, mas violada-

nell'opera del refundidor appare composto


después que la abandonó

e il commento si sposta verso il livello puramente fatico:


Si es que no os sirve de nada
y es letra para cantada...27

Queste preoccupazioni per la castigatezza del discorso perdurano a lungo, se è vero che, ancora nel 1830, Vicente de Lalama cerca una rima qualsiasi pur di eliminare vocaboli come caricia, cui sostituisce codicia, o alcahuete che diviene quien promete.28

Altrettanto tesa è l'attenzione verso i possibili accenti profanatori: e se Trigueros sopprime un innocente scherzo sugli angeli,29 Solís è costretto a far incitare il giumento con un «Arre, mula» per evitare l'ingenua battuta:


me atrevo
a no comer en mi vida
sino huevos, sin la bula.30

Ma è ancora Lalama colui che ricorre a spettacolari funambolismi trasformando la confesión burlesca del gracioso in una comisión e conseguentemente il pecado e il pecadillo in recado e recadillo.31

Indubbiamente si rasenta il ridicolo ma non si deve credere che questa sorta di gretta violenza compiuta ai danni del modello sia stata del tutto sterile. Proprio l'intenzione di eliminare i passi ritenuti lascivi ha, in qualche caso, sortito l'effetto di produrre inaspettate aperture verso quel mondo dei sentimenti che sarà proprio dell'età romantica. Si noti, ad esempio, come Solís abbia realizzato tre versi garbatamente patetici per la pruderie di eliminare l'allusione troppo esplicita alla perdita della verginità e al perdurare della passione contenuta nel testo tirsiano:


Árbol que ha dado las flores
nunca supo resistir
el fruto a quien las cogió.

La versione «moralizzata» suona invece:


¿Qué es un jardín sin flores
ni cómo puede lucir
la luna que al sol perdió?32

Tuttavia, com'è logico, non in questo settore si dovranno ricercare i risultati più interessanti; assai più suggestiva riesce l'indagine se spostiamo lo sguardo sulla differenza di prospettive e di interessi morali che in genere stimolano il refundidor a incidere in maniera più sostanziale -anche se meno appariscente- sul testo originale. L'efficacia di questo intervento è tanto maggiore in quanto esso non è determinato dal timore della censura ma dalle personali convinzioni del rielaboratore, frutto, s'intende, di tempi nuovi e di un differente orientamento ideologico.

Esso si manifesta anzitutto come ricerca di motivazioni in contrapposto al facile convenzionalismo etico e psicologico del Seicento teatrale. Nel delineare i suoi personaggi, il drammaturgo barocco si avvaleva di alcuni presupposti assunti come incontrovertibili e generalmente accettati: la incostanza e la malizia delle donne, la lealtà e il pundonor degli uomini, la visuale prosaica dei servi e così via; e sebbene con Calderón la problematica morale si facesse più rigorosa ed esigente, non per questo caddero le convenzioni su cui si era fondato il teatro lopesco: il «caso», questo sì, viene attentamente analizzato in tutte le sue componenti etiche, ma il personaggio appare spesso moralmente precostituito. Perciò l'antico scrittore non aveva bisogno di ricercare quelle motivazioni del comportamento che invece preoccupano il suo refundidor, soprattutto quando sente la necessità di giustificare la presenza sulla scena di un carattere moralmente negativo.

È il caso dei melindres di Belisa che in Lope risultano nulla più di un tratto del capriccioso temperamento femminile appena più accentuato del solito. In Trigueros subentra un vago intento pedagogico -per influsso di Moratín o, più genericamente, dei tempi- e Belisa appare, sia pur fuggevolmente, vittima di un'educazione sbagliata.33 E affinché lo spettatore non provi simpatia per i suoi melindres, l'autore fin da principio le mette in bocca parole di dispetto verso sé stessa che sortiscono inoltre l'effetto di rendere il personaggio più umano e credibile:


¡Cómo me fatigo en vano!
Con este humor tan violento,
que a todos me hace terrible
a nadie mi amor se humilla.34

Ma la condotta riprovevole deve essere in ogni caso punita e Belisa, a differenza del personaggio di Lope, anziché sposarsi secondo le convenzioni teatrali, rimane giustamente confinata nella sua solitudine.

Nella refundición della commedia calderoniana Afectos de odio y amor, nel passo in cui Cristerna afferma di sospettare che Casimiro sia, nella scala sociale, più di quel che dice, Solís aggiunge alcuni versi:


¡Y ojalá!... No sé lo que hallo,
Lesbia, ni sé qué dolor
es éste que atormentando
me está el alma desde el punto
que se ofreció por soldado
mío este hombre...35

Lo scopo di quest'aggiunta è evidentemente quello di rendere più plausibile la successiva condotta di Cristerna, in cui questi versi sottolineano l'insorgere dell'amore mentre ne salvano la dignità regale: è chiaro infatti (questo indica l'esclamazione ¡ojalá!) che Cristerna cederà all'amore soltanto se apprenderà che Casimiro appartiene a un rango sociale più elevato.

Questa condizione vincolante di un livello sociale adeguato nei due innamorati (tradizionale nel Siglo de Oro, i cui autori se ne giovano per ottenere facili effettismi attraverso le agnizioni finali) verrà in gran parte superata dal romanticismo, ma un passo in tale direzione è compiuto da Trigueros nella sua rielaborazione della Moza de cántaro. In essa, pur restando molto fedele all'originale lopesco, si giova di ritocchi e aggiunte per rendere più comprensibile il comportamento dei personaggi. Alcune di queste aggiunte e modifiche riguardano la figura di Don Juan che appare complessivamente più innamorato del suo modello tanto che, pur avvertendo il drammatico contrasto fra il suo sentimento e le leggi sociali che gli vietano di sposare una serva, non riesce a opporsi alla passione irrefrenabile e dichiara ugualmente il suo amore a Isabel.36

Si tratta di una prospettiva morale e sociale davvero nuova, che trova conferma nell'attenuazione di certe espressioni (bajos fundamentos -si discorre dell'amore riposto in persone plebee- si trasforma in Trigueros in humildes sugetos37), nella coraggiosa esaltazione delle serve rispetto alle padrone (hay fregonas que les dieran / a las damas medio juego ecc.38) e soprattutto nell'accettazione, da parte di Isabel, dell'umile rango sociale come di un giusto castigo del suo orgoglio.39

Ciononostante, la soluzione del dramma si avrà soltanto quando sarà scoperta la vera identità di Isabel. Per quanto avanzato, Trigueros non è un riformatore sociale, come d'altronde non lo saranno i successivi romantici: occorrerà attendere Galdós perché una figura di serva autentica divenga la protagonista di un'opera. È tuttavia innegabile che questa refundición arreca un suo modesto contributo all'abbattimento della partizione degli stili40 e al mutamento della sensibilità etico-sociale che le è direttamente connesso.

Se Trigueros appare dunque, per così dire, proiettato verso il romanticismo, Arellano, l'altro celebre refundidor, sembra ancora dominato da preoccupazioni simili a quelle di Sebastián y Latre. Egli si accinge infatti a rielaborare Lo cierto por lo dudoso di Lope con l'intento primario di rimuovere ogni odiosità dal comportamento del re Pedro e di suo fratello Enrique. In Lope, il re approfitta della sua autorità per imporsi come sposo di Juana mentre Enrique china la fronte dinanzi alla volontà del fratello: solo un equivoco permetterà a quest'ultimo di sposare la fanciulla amata e indurrà Pedro a perdonare tutti. Situazione perfettamente logica e comprensibile per il pubblico secentesco ma irritante per un pubblico cui erano ormai familiari i nuovi principi dell'Enciclopedia e del liberalismo. Altrettanto odiosa a questo pubblico sarebbe parsa la Juana di Lope che, a un certo punto, risulta disposta a scegliere le nozze regali da cui recede solo perché punta dalla gelosia.

Nel rifacimento, Juana ed Enrique si amano di un amore profondo e duraturo per cui l'opposizione, inconsapevole, del re determina in loro uno strazio inconsolabile. Al momento delle grandi decisioni, ognuno poi si comporta in maniera esemplare: Juana, sollecitata dal re, opta per la firmeza e rimane pertanto fedele ad Enrique, che invita a fuggire con lei; Enrique e Pedro gareggiano in generosità: il primo dichiarandosi disposto a rinunziare all'amata perché giudica che la Spagna avrebbe in lei un'ottima regina; il secondo perdonando tutti e rinunziando magnanimo a un amore che scopre non corrisposto.

L'intervento moralizzatore ha sortito l'effetto di creare personaggi un tantino melodrammatici ma forniti di motivazioni psicologiche più accettabili e tali da incidere sull'azione in maniera più convincente di quanto non facessero gli equivoci del modello. Ma soprattutto è mutata la concezione dell'amore: il rapporto fra Enrique e Juana ignora i dispetti, le rimostranze, le vanità che lo caratterizzano nella commedia di Lope, ma conosce, in compenso, il sacrificio e la sofferenza, le due note che vibreranno perennemente negli amori romantici.

Occorre naturalmente dimensionare il preromanticismo di Arellano che per molta parte deriva dalla commedia lacrimosa e sentimentale o dal melodramma, cui rinviano i frequenti duetti patetici41 e le facili sentenze espresse secondo il tono e la metrica delle ariette.42 Questo non gli impedisce tuttavia di pervenire talvolta a versi ricchi di una Sehnsucht ormai veramente romantica, come accade sul finire dell'atto II, quando Enrique crede che Juana lo abbia abbandonato ed esclama:


¿Qué se hicieron tus favores?
mas fueron flores de almendro
¡y un cierzo los ha secado!...
Reunid todas las penas,
y los dolores intensos
de cuantos desesperados
encierra ese obscuro seno
y formad un dolor solo,
que ése es el que yo padezco.43

Infine, con una reazione impensabile nel personaggio di Lope, Enrique può giungere fino a meditare piani di vendetta, subito frustrati dal pensiero della cupa violenza del potere:


primero es vengarme;
¿pero dónde están los medios?
Contra el poder, ¿qué venganza
puede haber?44

A confermare come, per questa via della moralizzazione, si giunga a una maggior caratterizzazione in senso psicologico e sulla direzione del romanticismo ci soccorre Hartzenbusch, il quale si giovò di mezzi consimili nel rifacimento del calderoniano Médico de su honra che compì nel 1844, in piena fioritura romantica.

Hartzenbusch si propone di evitare la ripugnanza che le platee ottocentesche avrebbero provato dinanzi al freddo assassinio di Don Gutierre. Perciò da una parte accresce le ragioni di sospetto del geloso marito facendo fuggire di casa Mencía con l'aiuto di Enrique, dall'altra pone in bocca a Don Gutierre accenti di titubanza e perfino di tenerezza che ne riducono l'orrore che ispira e ne accrescono l'umanità. Dapprima, quando sta per uccidere la moglie, si ferma:


¿Y es posible? Por Dios, que titubeo...
Salgamos: a su muerte la abandono,
porque si más la miro, la perdono.45

Del pari, al termine della vicenda, prova ancora un senso di penosa insicurezza:


Acaso erré,
injusto he sido quizás.46

b) Struttura

Per quanto concerne le variazioni di struttura, esse perseguono finalità analoghe a quelle rilevate sul piano della moralità: si cerca cioè di accrescere la plausibilità della pieza e, al contempo, di acuire l'interesse della vicenda.

S'intende che, alla base di ogni ristrutturazione compiuta dai refundidores, sta lo scopo primario di ricondurre il modello al rispetto delle unità di tempo e di luogo. Questo scopo, tuttavia, non si manifesta, in genere, come gratuita adesione alle norme delle poetiche; esso nasce soprattutto da una più intima esigenza di rigore strutturale che si esprime prevalentemente nel rifiuto di tutto ciò che è frondoso e convenzionale e che pertanto turba il lineare svolgimento dell'opera.

Il teatro del Siglo de Oro, come si diceva, era stato caratterizzato dalla presenza di convenzioni che determinavano, tra l'altro, l'uniformità sostanziale dei personaggi fissi, dama e galán soprattutto, nonché del gracioso e dei suoi donaires coniati su pochi modelli fondamentali; altre convenzioni nascevano dalla sostanziale letterarietà di quel teatro e si manifestavano nelle lunghe, oggi insopportabili, tirate descrittive oppure nel lirismo dei sonetti, nelle sottigliezze intellettualistiche delle glosas, nei canti inframmezzati all'azione; altre ancora concernevano l'inserimento di scene comiche, di episodi eroici, di tratti costumbristici.

La preoccupazione dei refundidores per l'unità dell'opera li condusse a scoprire praticamente (anche se non dimostrarono di averne coscienza teorica) questi convenzionalismi e a sbarazzarsene ogni volta che si imbattevano in essi.

Si può dire che la loro prima operazione fosse appunto quella di sfrondare ed essenzializzare seguita immediatamente da ritocchi atti a legare meglio e a riequilibrare le varie vicende; così almeno ci informa Trigueros circa il lavoro da lui compiuto nel rifare Los melindres de Belisa:

excluir una o dos escenas, y algunos razonamientos y versos, sustituyendo muy pocos más para unir unas cosas, para prevenir otras, y para dar su verdadera extensión a algunos pasages.47



Ma possediamo anche una testimonianza più immediata in un manoscritto della Biblioteca Nacional di Madrid cui si è già fatto riferimento. Si tratta della suelta di Calderón Afectos de odio y amor, sulla quale Solís condusse il suo lavoro di refundidor, concellando, postillando e inserendo fogli manoscritti contenenti aggiunte e correzioni.48 A un primo sguardo ci si rende subito conto che la preoccupazione principale di Solís è quella di eliminare e ridurre. Molte sono le cancellature del testo originario, ma la più estesa compare all'inizio dove i lunghi discorsi in cui Auristela e Casimiro rievocano l'antefatto con minuziosa retorica sono sostituiti da una serie di battute fra Casimiro e Turín, assai più naturali e ugualmente utili per la comprensione della vicenda: i circa settecento versi che l'episodio conta nel modello sono ridotti a poco più di cento.49 In tal modo l'opera viene ad acquistare un equilibrio prima ignoto.

In questo caso Solís sfronda e riequilibra ma non è costretto a operare ristrutturazioni profonde; in qualche modo, egli si è trovata l'impresa facilitata da una certa aspirazione unitaria latente in tutto il teatro calderoniano, il quale suole ridurre ad antefatto vicende che invece il teatro lopesco tendeva a rappresentare al vivo (anche se poi cambia in tirate retoriche il guadagno ottenuto sul piano delle strutture sceniche).

Pertanto con le commedie di Lope l'intervento dei refundidores è anche più reciso: essi eliminano tutto ciò che può avere valore introduttivo riducendolo al minor numero possibile di battute che riassumano in qualche modo l'antefatto. Così Trigueros sopprime una decina di scene de Los melindres de Belisa e l'intero atto primo dell'Estrella de Sevilla e della Moza de cántaro.

Allo stesso modo sono espunti tutti gli elementi superflui e divaganti. Ancora nella Moza de cántaro sono totalmente soppresse le prime due scene dell'atto terzo che contenevano le solite risse farsesche di lacayos; parimenti, Hartzenbusch sostituisce le scene XI e XII dell'atto secondo del Médico de su honra che nell'originale contenevano solo lazzi; Arellano tralascia le scene II-VI dell'atto primo de Lo cierto por lo dudoso che si svolgono in casa di Teodora (personaggio superfluo che pertanto sopprime) con relativi discreteos e battute comiche del gracioso Ramiro; in Afectos de odio y amor Solís rinunzia, come a inutili convenzionalismi, alle nozze finali dei personaggi secondari.

Arellano elimina perfino i canti che gli sembrino strutturalmente divaganti, in questo seguito da Lalama e da Hartzenbusch. Ma è interessante notare che quando il canto adempie a una funzione strutturale viene mantenuto: così accade in Yo por vos y vos por otro, dove Lalama dei molti canti dell'originale mantiene solo quello che si ode dalla strada e che offre a Íñigo il pretesto per una scena di gelosia: un canto fornito di una funzione non di commento ma di vero evento scenico.50

Negli altri passi Lalama sopprime il cantato o, come pure farà Hartzenbusch nella sua rielaborazione del Médico de su honra, lo sostituisce con il parlato.

Queste modifiche, all'apparenza insignificanti, sono in realtà l'indice di una mentalità rinnovatrice anche più profonda di quanto non possa apparire a un esame superficiale; come dimostra appunto il romantico Hartzenbusch che, in questo come in altri casi, porta alle ultime conseguenze e alla piena consapevolezza le scoperte dei suoi predecessori. Nel testo calderoniano cui Hartzenbusch si rivolge, Mencía chiede a Teodora di intonarle un canto che allevii la sua pena. La canzone di Teodora contiene chiare allusioni alla situazione della sua padrona che soffre per l'assenza di Don Gutierre:


Ruiseñor, que con tu canto
alegras este recinto,
no te ausentes tan aprisa,
que me das pena y martirio.51

La richiesta di Mencía e la risposta di Teodora nascono dalla tendenza tipicamente barocca a estroflettere il sentimento e a rappresentarlo oggettivato in un simbolo. Non a caso, subito dopo, in un gesto altrettanto simbolico, Mencía si addormenta, essendosi finalmente sopita la sua pena.

Collocato in questa prospettiva, il canto risponde dunque, nella comedia secentesca, a una precisa funzione strutturale che il rielaboratore non accetta o non intende più. Per questo Hartzenbusch rovescia la situazione; e a Mencía che Jacinta sollecita a cercar sollievo nel canto, mette in bocca queste parole:


¿Cómo imaginas que guste
de recreos una esposa,
mientras cadenas abrumen
a su esposo?52

Alla tendenza barocca all'oggettivazione si è così sostituita l'impossibilità romantica di comunicare, di uscire da sé stessi; e l'intimismo sentimentale ha preso il posto della proiezione metaforica.

Non si è perciò solo verificato un processo di snellimento e di razionalizzazione, ma una sensibilità nuova ha postulato e conseguito la realizzazione di altrettanto nuove strutture.

Il risultato più vistoso dei vari interventi compiuti sulle strutture dei modelli è una maggior preoccupazione per il personaggio, che prende il luogo di un prevalente interesse per l'azione.

È chiaro che, ridotta la vicenda a una sola azione, spesso concentrata in poche ore e in luoghi circoscritti,53 eliminati gli equivoci, i canti, le pause liriche, gli intermezzi, questo teatro deve cercare altrove i mezzi per interessare il pubblico. Ecco allora che l'asse dell'interesse si sposta sul personaggio, che si tenta di rendere bensì logico nel suo operare -come si è visto- ma anche possibilmente imprevedibile, inatteso nella sua personalità autentica che tarderà a svelare o, in ogni modo, suggestivo nella sua complessità psicologica.

È ancora Trigueros che, largo com'è di spiegazioni affidate alle pagine introduttive delle sue opere, ci soccorre in quest'interpretazione. A proposito del Sancho Ortiz de las Roelas egli confessa di aver dovuto aggiungere versi e scene e sviluppare azioni appena accennate nel modello per riempire i notevoli vuoti lasciati dalla soppressione di circa metà dell'opera.54 Orbene, una gran parte di questo vuoto, l'intero atto secondo, è dedicato alle reazioni di Estrella che acquista in tal modo una parte di rilievo e un arricchimento psicologico del tutto nuovi: segno evidente di quello spostamento dell'interesse di cui si parlava.

Un procedimento consimile Trigueros impiega nella refundición de Los melindres de Belisa, in cui concentra tutto l'interesse su quegli esclavos supuestos che forniscono il sottotitolo all'opera, relegando la vicenda di Belisa a mera funzione di quella principale. Per questo ammanta Felisardo e Celia di quel mistero che sarà caratteristico di tanti personaggi romantici:

¿Qué será -si domanda nella prefazione in cui spiega le ragioni per cui ha dato più rilievo alle figure degli schiavi- este Pedro y esta Zara que se presentan como esclavos con tantas señales de ser de muy otra calidad? ¿Cuál será su suerte? Tal es la duda que mantiene la expectación y entretiene la acción continua hasta el descubrimiento; todo lo demás es como accesorio, y destinado a promover las causas y los obstáculos en que se funda el interés y atención de los expectadores.55



Tutta la commedia poi dimostra come i due personaggi principali vengano attentamente elaborati in modo che la loro condotta riesca psicologicamente motivata.

Altrettanto accade nella Moza de cántaro in cui, eliminato l'atto primo, l'azione vien meno a tutto vantaggio dell'approfondimento psicologico dei personaggi. Come già per Felisardo e Celia, così ora la soppressione dell'antefatto crea intorno a Isabel un alone di mistero e un'aspettazione che l'originale ignorava dal momento che la situazione della protagonista e il suo vero essere erano stati ampiamente descritti. In generale poi, tutti i personaggi acquistano tratti più marcati: Ana diviene ora più innamorata in modo da essere una più degna rivale di Isabel; più profondo è anche, come s'è già visto, l'amore di Juan che vi trova pertanto più rigorose motivazioni per il suo comportamento; perfino il gracioso Pedro ha la possibilità di distendersi in una più intensa comicità e divenire così un ridicolo matón che solo per parodia può apparire un rivale di Don Juan.

Senza procedere oltre in queste esemplificazioni, credo che risulti ormai abbastanza chiaro quanto lo snellimento dell'opera rappresenti un passo notevole verso quell'interiorità del personaggio che il teatro barocco aveva, per il suo stesso orientamento, sostanzialmente trascurata.

c) Linguaggio

Un terzo aspetto fondamentale della refundición riguarda le modifiche relative al linguaggio. Sono quelle che più palesemente sottolineano una diversa concezione estetica e si realizzano come prevalente ricerca di perspicuità e di razionalità.

Si compiono anzitutto sostituzioni di vocaboli antiquati o che si riferiscono a situazioni ormai lontane dall'interesse degli spettatori: così labradora diviene trabajadora;56 mujer espiritual, ora che il misticismo è confinato nei conventi, diviene monja descalza;57 la corte del omenage si trasforma in una più comune quinta,58 solo per alludere ad alcuni fra

gli esempi più significativi.

D'altronde, questa esigenza di aggiornamento trova il suo corrispettivo nell'abbandono del costumbrismo secentesco, sostituito, come accade per esempio in Arellano, da quello dei propri tempi.59

Anche in questo campo, l'influenza esercitata dai refundidores durerà a lungo e sconfinerà nel romanticismo come attesta ancora Hartzenbusch, il quale, per le stesse ragioni dei suoi predecessori, sostituirà alteza a magestad, soltera a doncella, almanaques a lunarios.60 Gli è che l'ideale neoclassico della perspicuità veniva a coincidere col desiderio romantico di un più stretto contatto «temporale» col pubblico, cui gli spagnoli restano fedeli anche a spese della verità ambientale.61

Tuttavia, le modifiche più frequenti riguardano la sostituzione o la soppressione dei passi più altisonanti o troppo preziosi: in altre parole, tanto la retorica culterana quanto il cerebralismo concettista sono evitati nella maniera più scrupolosa.

Si tratta di un procedimento così abituale che non sarebbe neppure il caso di offrirne esemplificazioni. Mi limiterò pertanto ad alcuni passi della già citata suelta con le correzioni di Solís in cui l'intervento del refundidor può esser colto direttamente come espressione delle sue reazioni immediate al linguaggio usato dal modello.

A p. 10 i seguenti pareados:


de toda su esperanza
tan desde su crianza
niño Amor, que hasta oy no se ha acordato
haver vivido, sin haver amado

sono così semplificati:


de su esperanza toda
que por ésta trato su boda.

Poco dopo sono soppresse varie espressioni di questo tipo.


los elados carambanos del Norte
ni tropa que se acerca
al erizado ceño ecc.

A p. 13 il cerebrale


Esto
es ser persona que hago
y persona que padezco

diviene:


es bendecir mi fortuna
cuando en tu presencia muero

Poco dopo, un discreteo barocco:


Si a Cristerna
en tantos días no he visto,
puesto que en su ausencia muero,
¿para qué en su ausencia vivo?

è sostituito nel modo seguente:


¿Cómo puedo
cuando de sus ojos vivo,
estar, Turín, un instante
sin contemplar abstraído
en su luz la dulce y fiera
sentencia da mi destino?

Alle pp. 26, 27, 28, sono soppresse battute alterne sul tipo di quelle di cui si faceva beffe Moratín nella Comedia nueva:


Seg. Calle el labio. Crist. Sufra el alma
Cas. ¡Qué temor! Aur. ¡Qué ansia!
Crist. ¡Qué pena! Seg. ¡Qué agravio!
Crist. Esta ansia...
Cas. Esta duda... Crist. Ese
miedo. Cas. Este asombro ecc.

e così via.

Ancora a p.28 un preziosismo concettoso


¿Qué he de hacer (¡ay de mí!)
sino hay más remedio al sentir,
que el sentir?

viene ampiamente spiegato:


¿Qué es lo que puedo hacer, Lesbia,
si a este mal de que oprimir
me siento, no hay más remedio
que callarle y que sentir?

Mezzo secolo più tardi, Hartzenbusch non solo dimostra di seguire lo stesso programma di Solís ma se ne fa anzi interprete in maniera più rigorosa e conseguente. Un'analisi comparata del testo secentesco e di quello ottocentesco rivela, passo passo, un processo di semplificazione e di razionalizzazione che non conosce mezze misure. Basti elencare alcuni esempi tratti dal primo atto:

El médico de su honra
CalderónHartzenbusch

en tanto
que vuelve al primer aliento
su vida (I, 4)


en tanto
que vuelve
(I, 3)


y a su remedio acudamos
si hay en desdichas remedio
(ivi)



para disponer que acuda
un doctor a su remedio
(ivi)


agradecido a la dicha
que en tu salud nos ha vuelto
la vida a todos
(I, 6)


agradecido a la dicha
que la vida nos ha vuelto
con volveros la salud
(I, 5)


muy metafísico estáis
(I, 10)


¡qué retórico que habláis!
(I, 8)


¡ojalá fuera
basilisco de amor a mis despojos,
áspid de celos a mi primavera!
(I, 14)


¡nunca me viera!
u ¡ojalá, previniendo mil sonrojos,
ojalá su mirar muerte me diera!
(I, P. 2ª, 2)

E tanta è la preoccupazione di Hartzenbusch per un linguaggio razionale e facilmente decodificabile che, nell'atto terzo, in un lungo passo ricopiato alla lettera, avverte la necessità di introdurre una sola variante là dove il suo modello definiva la daga


lengua de acero elegante

che egli sostituisce con


arma de filo cortante.62

Fra tutti i refundidores, Hartzenbusch è quello che procede con maggiore consapevolezza e rigore tecnico: le sue modifiche consistono pertanto in una serie di ritocchi che, pur lasciando immutato il pensiero del modello, tendono a inserirlo in una langue diversa con codici diversi. Assai illuminante al riguardo è il processo di attenuazione e razionalizzazione delle metafore che riscontriamo nel secondo atto (scena III), dove i due testi così suonano:

Calderón Hartzenbusch

garza, que subes
tan remontada, que tocas
por las campañas azules
de los palacios del sol
las doradas balaustras.


ave de mi amor, que subes
tan alta en el cielo hermoso
que mi esperanza construye,
que del cénit te me pierdes
en los espacios azules.

Come si vede, lo scrittore ottocentesco non rinunzia propriamente alla metafora ma la svuota riducendo il più possibile il suo distacco dal reale. Quest'intento appare evidente fin dalla sostituzione di garza con ave de mi amor, dove la generalizzazione (ave in luogo dello specifico garza) rende la metafora meno urtante mentre la specificazione de mi amor relega il termine traslato al livello di un epiteto; procedimento subito ripreso nell'espressione successiva el cielo hermoso que mi esperanza construye, dove appunto la proposizione relativa distrugge la metafora e porta la espressione ben lontana dall'immagine sontuosa delle campañas azules de los palacios del sol. È ben vero che l'espressione calderoniana è parzialmente ripresa nell'ultimo verso con espacios azules, ma è altrettanto vero che il traslato è, in tal modo, completamente scomparso. Tuttavia il tocco maestro di Hartzenbusch risiede nella commossa espressione, te me pierdes che realizza il definitivo spostamento dall'uno all'altro sistema: l'immagine calderoniana, con funzione meramente estetica e nobilitante, acquista ora una funzione sentimentale ed emotiva. Ma era necessario prima sbarazzarsi di un mondo simbolico, tutto luce e colore, in cui il poeta barocco cristallizzava, oggettivandolo, il proprio sentimento; occorreva riportare il tutto a dimensioni più semplici e accessibili, a una misura umana e personale (mi amor, mi esperanza) che rendesse possibile l'espressione schietta e soggettiva dei propri sentimenti.

Altro linguaggio, altro codice, altro messaggio, dunque. Ma Hartzenbusch, come già si è visto nelle precedenti indagini, non è che uno degli ultimi anelli della catena che congiunge la drammaturgia barocca a quella romantica. Gli anelli intermedi sono, anche in questo caso, i rifacitori neoclassici, che per primi provvidero a ridimensionare l'esuberante linguaggio secentesco.

d) Da Lope a Trigueros a Hartzenbusch

Questa loro insostituibile funzione è quasi emblematicamente rappresentata dal Sancho Ortiz de las Roelas, la celebre refundición di Trigueros che si colloca fra la lopesca Estrella de Sevilla, da cui deriva, e un secondo Sancho Ortiz de las Roelas di Hartzenbusch, di cui è il modello.

È un fatto per sé altamente significativo che Hartzenbusch abbia pensato di condurre la sua refundición sul testo di Trigueros anziché su quello di Lope e giova notevolmente a ridimensionare l'entità dei rapporti fra romanticismo e Siglo de Oro. Altrettanto ricco di significato è che il secondo rifacimento prosegua sul cammino indicato da Trigueros operando un ulteriore distacco dal lontano modello secentesco per approdare al terreno propriamente romantico.63

Per questo valore paradigmatico delle tre opere pare opportuno dedicare alcune pagine a una serie di raffronti che non possono non riuscire in vario modo illuminanti.64 E sebbene lo scopo fondamentale di questi raffronti sia quello di trarne indicazioni relative all'evoluzione del linguaggio, non sembrerà inopportuno far precedere talune considerazioni su moralità e struttura che, per evidenti motivi di generale economia, non sono state inserite negli appositi paragrafi.

1. Notiamo dunque anzitutto che T, animato da preoccupazioni non molto difformi -salvo la maggior discrezione- da quelle di Sebastián y Latre, cerca di ridurre l'odiosità che necessariamente si addensa sulla figura del re. In L questi agisce in una sostanziale indifferenza etica, sotto l'unico stimolo del capriccio che abbatte qualsiasi ostacolo. Così infatti si esprime in versi che T sopprimerà:


Viva yo y diga Castilla
lo que quisiere decir;
que rey ciego he de seguir
a la Estrella de Sevilla.65

Oltre a sopprimere le espressioni più urtanti, T ne aggiunge diverse altre atte a sottolineare una lotta interiore, nell'animo del re, fra la passione travolgente e una coscienza che continuamente insorge a contrastare la tentazione. Fin dai primi versi, egli è presentato in questa condizione di interiore dissidio:


¡Oh! ¡Si pudiera vencer,
Don Arias, esta pasión
que avasalla mi razón!66

Parimenti avverte l'ingiustizia sia della violenza che Arias gli propone di usare contro l'onore di Bustos:


no será cuerdo
que otro pague mi delito,67

sia della morte con cui sta per colpirlo:


fuera crueldad
por ser honrado Tabera,
castigarle.68

Ha la coscienza di esser venuto meno alla propria dignità:


me olvidé de mi grandeza;69

e teme pertanto di essere causa di scandalo:


Ay, Don Arias, ser no quiero
escándalo a las edades.70

Inoltre T, forse ammaestrato dall'esempio di García de la Huerta,71 riesce a scaricare sul consigliere Don Arias -che nell'originale aveva scarso rilievo- la maggior parte della colpa.

Con questi accorgimenti T non giustifica il comportamento del re ma ne opera una sorta di nobilitazione etica e psicologica che non potrà non sfociare nel riscatto finale, quando


la heroicidad da principio
donde la flaqueza acaba.72

H abolisce questi versi, come quelli relativi al timore del re di essere «escándalo a las edades» e alla constatazione di aver dimenticato la propria «grandeza». Elimina cioè ogni riferimento alla dignità regale del personaggio che pertanto riconduce alle comuni dimensioni dell'uomo.

Naturalmente rimangono i tratti essenziali che gli aveva conferito T; semplicemente H conclude il processo di umanizzazione avviato, e in gran parte compiuto, dal refundidor neoclassico. Il personaggio di H perde così quella violenza raciniana della passione e si trasforma in una creatura dolente che persegue un amore impossibile: quell'amore per cui egli vorrebbe sposare Estrella e porla sul trono di Castiglia (a differenza di T, in cui dichiara che la sposerebbe se ciò fosse possibile, ma insieme come sviluppo di T stesso, dal momento che in L l'eventualità del matrimonio non è neppure lontanamente accennata).

Si è così compiuta l'ultima evoluzione e il re (prodotto dei tempi) si è infine imborghesito; ma non è chi non veda come il grande passo fosse stato compiuto in precedenza quando il tiranno voluttuoso, galante e amorale di L si era trasformato in un essere appassionato e tormentato.

Per quanto riguarda gli altri personaggi, il processo evolutivo è sostanzialmente lo stesso. Si prenda il caso di Estrella la quale è certamente il personaggio che ha subito la più profonda evoluzione nel passaggio da L a T. In L infatti essa appariva sbiadita in armonia con la generale tendenza del teatro barocco (e della società secentesca, si intende) a sottovalutare le figure femminili.

T ne fa una donna capace di reazioni psicologiche personali che sa trovare la risposta tagliente e signorile alle profferte amorose del re («soy para esposa vuestra, poco; para dama vuestra, mucho»73), che si dispera per la morte di Bustos ma capisce la condotta di Sancho; che, infine, sente l'amore in maniera più intensa e incalzante dell'onore. In altri termini, ella non è più, come in L, il riflesso sfuocato degli umori e dei sentimenti dei personaggi maschili. Quasi a sottolineare questa sua nuova funzione, T -come si accennava in precedenza- le dedica un intero atto, il secondo, in modo da accostare al dramma del re -che occupa l'atto precedente- quello della fanciulla.

I tratti caratterizzanti dell'Estrella di T passano a H, che si preoccupa tuttavia, come già aveva fatto per la figura del re, di alleggerirne le battute, sopprimendo i toni retorici e le tirate edificanti in modo da attribuirle una più asciutta tensione sentimentale. Ma, a parte queste modifiche che meglio si esamineranno quando affronteremo i problemi del linguaggio, H aggiunge anche qualche altro tocco idoneo ad arricchire il patrimonio sentimentale della fanciulla.

Così, nel soliloquio finale dell'atto II (inesistente in L), notevolmente ridotto in H (35 versi contro 51), Estrella non pensa solo a sé stessa e al suo dolore ma ricorda Sancho:


y ese infeliz ... ese inicuo ...
va a morir.74

Ma forse gli accenti più commoventi l'Estrella romantica li trova al momento della soluzione finale, proprio là dove i tre testi divergono. In L il re ha deciso di sposare Estrella a un «grande de su casa», ma Sancho reclama la soddisfazione dell'impegno preso in precedenza di sposarla con lui. Quando però riconosce che la convivenza sarebbe impossibile a causa del sangue che è scorso, rinunzia alla mano di lei. Durante tutta la scena Estrella, al solito, riflette le opinioni del re e di Sancho: infatti, dapprima, avverte che non può accedere alle nozze con l'antico fidanzato:


Sancho Ortiz, yo estoy casada,75

ma quando il re le fa notare che egli deve mantenere la parola data, non esita a dichiarare:


Suya soy.76

E tuttavia, poiché Sancho la libera dall'impegno, anch'ella replica:


Yo te absuelvo la palabra.77

Poco dopo, per un solo istante sembra esprimere un sentimento veramente sofferto; quando il re vuol trattenere Sancho, ella è finalmente recisa:


Señor, no ha de ser mi esposo
hombre que a mi hermano mata,
aunque lo quiero y le adoro.78

In questa, che è l'ultima battuta di Estrella, vibra una nota patetica che T saprà opportunamente sfruttare. La fanciulla possiede, nella prima refundición, un'integrità e una dignità affatto sconosciute al modello lopesco, cosicché senza esitazione ella replica al re:


Mi hermano
me dexó, Señor, casada
con Don Sancho Ortiz Roelas
a quien sabía que amaba:
mas no es Estrella muger,
que aunque le adora y le ama;
aunque de su tierno amor
vive muy asegurada;
y aunque su hermano Don Bustos
con gran placer lo aprobaba,
consienta jamás en ver
a su lado a quien le mata.79

Il dramma di Estrella si fa più intenso poco dopo, quando ella chiede al re


que sola y desamparada
en la lobreguez de un claustro,
mientras viviere encerrada
me castigue de querer
bien al que a Bustos mata;80

o quando si congeda dal suo promesso sposo che l'aveva invitata a dimenticarlo («Vivid y sed venturosa, / y olvidad al que os agravia») con un sommesso:


No os olvidaré, Don Sancho.

Quest'amore di Estrella per Sancho, continuamente contenuto e respinto, trionferà romanticamente in H.

Anzitutto però, è l'amore del re, stupefatto per la lealtà di Sancho, che si trasforma in sacrificio aprendo in tal modo la strada a una soluzione felice. Il re infatti si dichiara il solo colpevole della morte di Bustos, e, dinanzi alla perplessità di Estrella che gli domanda ansiosa:


¿Es verdad?,

replica:


os aconsejo
que me creáis... y os caséis.

Estrella accetta il consiglio del re e cessa di indagare, anche se ha compreso la dolorosa realtà. Sancho, al contrario, vorrebbe esprimere tutta la verità, ma ella lo invita a tacere e ad amare:


S. Estrella, fuerza es hablar.
E. Callar y huir es mejor.
S. Yo no he de engañar tu amor.
E. Él se quisiera engañar.
S. No: yo de tu hermano fui ...
E. ¡Ah! No alces el triste velo:
él te perdona en el cielo,
y yo te perdono aquí.81

Non so se quest'ultima evoluzione non abbia per caso sminuito la figura di Estrella che aveva raggiunto in T un momento di felice, drammatico equilibrio fra sentimenti contrastanti. Resta, in ogni modo, il fatto che il testo di H presenta una situazione di più tipica maniera romantica che trova in T la sua naturale premessa.

2. Sul piano della struttura, assistiamo a un costante processo di snellimento, deducibile a prima vista dal numero dei versi di ciascuna opera:

L 3028

T 2415 (80% di L)

H 1745 (72% di T e 57% di L).

Nel passaggio da L a H l'opera si è quasi dimezzata.

Analoghe considerazioni valgono per i segmenti narrativi. In L è possibile isolarne 29, di cui T ne mantiene 17 (qualcuno con innovazioni e modifiche rilevanti ma non tali da snaturarne il carattere fondamentale) e ne aggiunge 5; H mantiene 13 dei 17 che T ha desunto da L e tutti i 5 aggiunti.82 Il rapporto è pertanto il seguente:

L 29

T 17 + 5 = 22 (76% di L)

H 13 + 5 = 18 (81 % di T e 62 % di L).

L'opera di riduzione è tuttavia assai più consistente in T che in H, di là da quanto possano indicare le nude percentuali. È T che, secondo un procedimento consueto, abolisce l'antefatto e, con esso, tutta quella parte costumbrista che sarebbe riuscita incomprensibile o insopportabile al pubblico ottocentesco: il re che occhieggia le bellezze sivigliane, il suo ingresso furtivo nella casa silenziosa, il suo duello con Bustos. Con esso finisce per abolire praticamente la superflua figura di Bustos che compare sulla scena solo ormai per farsi uccidere.

Al solito, queste riduzioni sono determinate dal desiderio (esplicitamente dichiarato nella prefazione) di ricondurre l'opera al rispetto delle unità ma, come già si è rilevato, ottengono l'effetto di far convergere l'interesse dell'autore o dello spettatore sul personaggio. T si compiace certamente di aver saputo riportare il testo originario entro le norme del classicismo, al punto da far pronunziare al re, sul finire del dramma, parole che vogliono evidentemente dar risalto all'opera compiuta. Giustamente perplesso, il re così congeda Sancho:


Id con Dios, y dexad tiempo
de admirar vuestras hazañas,
que me tiene sorprehendido
ver en solo un día tantas.83

Parole che non ritorneranno in H, il quale apprezzerà assai meno l'obbedienza alle regole ma ugualmente manterrà la struttura che quelle avevano suggerito al suo predecessore; egli capirà infatti il significato innovatore degli interventi di T soprattutto ai fini di una maggior validità dei personaggi e di una generale rappresentabilità dell'opera. Per questo, i tagli che egli apporta in questo settore sono ispirati agli stessi criteri che avevano guidato T, ossia di sopprimere tutto ciò che possa non apparire funzionale; H insomma prosegue e, per così dire, conclude T, intervenendo là dove il predecessore era stato frenato dal modello ancora troppo incombente.

3. Ciascuno dei due refundidores pare volersi riservare un ampio margine di libertà nei confronti del linguaggio usato dal modello. Tuttavia il rapporto fra L e T è assai più labile di quello che intercorre fra quest'ultimo e H. T infatti accoglie pochissimi versi dell'originale, di cui per lo più si limita a captare il senso, che esprime poi con parole proprie tanto da far definire la sua opera più una reconstrucción che una refundición.84 H segue il suo modello con maggiore fedeltà, pur con le varie modifiche di cui si discorrerà più avanti; ciononostante non si perita di introdurre innumerevoli altre varianti di minima entità, delle quali, a solo titolo di esempio, citerò alcuni dei primi casi in cui ci si imbatte:

T H
Rey. Yo no sé ya qué he de hacer. Rey. Don Arias, di qué he de hacer.
Arias. ¡Qué, Señor! romper por todo... Arias. Romper debierais por todo...
Rey. Puestos le dí apetecidos
Rey. Puestos le dí apetecidos.
que él modesto no admitió y no me los admitió
y con mi gusto los dio y a emplearlos me obligó
donde estaban merecidos. en hombres aborrecidos.85

Spesso riesce arduo individuare le ragioni di queste varianti che per lo più sembrano sgorgare istintivamente dal gusto personale di H; tuttavia si può forse scorgere, come nei versi ora riportati, una certa tendenza a toni più discorsivi del pur già discorsivo modello.86

In altri termini, si possono trovare, in questi casi, variazioni di livello che tuttavia sono così poco pronunziate da potersi contenere nell'ambito di un medesimo sistema espressivo.

In altri casi invece le variazioni di livello risultano assai più sensibili e tuttavia irrilevanti se comparate a quelle che intervengono nei mutamenti operati da T su L.

Per chiarire quest'affermazione, si possono istituire raffronti fra alcuni passi che, a causa delle forti analogie di contenuto, possono essere facilmente accostati fra loro.

In primo luogo esaminiamo i seguenti brani -di lunghezza pressoché uguale nei tre autori -in cui Estrella commenta dolorosamente l'annunzio della morte di Bustos.

L II, 19T II, 3

¿Y hay quién lo diga?
¿Y quién lo escuche y no muera?
Piedra soy, pues estoy viva.
¡Ay, riguroso día!
Ésta, amigos, ha sido estrella mía.
¿No hay cuchillos, no hay espadas,
no hay cordel, no hay encendidas
brasas, no hay áspides fieros,
muertes de reinas egipcias?
Pero, si hay piedad humana,
matadme.


Sangre ilustre, que vertida,
con dar paso a un alma grande
llenas de furor la mía;
yo por ti juro a los cielos
poner una mano altiva
que te vengue de la mano
cruel, arrojada, impía
que abrió la puerta en tu pecho
para mi eterna desdicha...

H II, 3

¿Por quién, por quién fue vertida?
Y en el alcázar ... ¿quién fue
capaz de tanta osadía?
¿Debiera de allí salir
el rayo que me aniquila?
¡Y su amigo más leal
allí Tabera tenía!
Sancho Ortiz estaba allí
también; ¡y no me libra!
No estaba, no; le condujo
lejos mi suerte maligna.
Llevadle los tristes ayes
de una mujer afligida.

Il brano di L è tutto impostato secondo i più triviali dettami della stilistica barocca. Gli stilemi anzi vi si accumulano con una frequenza notevolissima, al punto da non risparmiare un solo rigo: interrogazioni retoriche, esclamazioni stereotipate, metafore e acutezze, sineddochi, allusioni erudite. Al solito, il discorso procede per concetti e soprattutto per immagini in cui la pena di Estrella si simbolizza e si decanta.

T compie il grande balzo stilistico: abbandona concetti e immagini, traslati e figure retoriche varie87 e dal livello della sottile letterarietà culterana passa a quello dell'oratoria. Recitazione solenne di sentimenti «sublimi», espressioni che, pur mancando di autentica carica sentimentale, simulano l'accensione affettiva. All'aggettivazione scarsa e ovvia di L è sostituita una vera accumulazione di aggettivi, spesso altrettanto ovvii e perfino superflui, ma «nobilitanti», e idonei alla mozione degli affetti: ilustre, grande, altiva, arrojada, impía, eterna... contro i più triviali riguroso e fieros del modello.

H trova finalmente il tono del dolore umano che si esprime attraverso interrogazioni (non retoriche), meditazioni amare, constatazioni dolorose. Gli aggettivi, nuovamente ridotti di numero, si arricchiscono di connotazioni suggerenti mestizia (maligna, tristes, afligida) e il linguaggio sfiora ormai il parlar quotidiano.

Esaminiamo ora i brani più estesi in cui Sancho legge la lettera di Estrella che gli annunzia le prossime nozze.

L I, 12 T I, 6 H I 7

¡Ay, renglones divinos y amorosos,
beberos quiero a besos,
para dejaros en el alma impresos,
donde, pues os adoro,
más eternos seréis que planchas de oro!
Abrázame, Clarindo,
que no he visto jamás hombre tan lindo.
Cl. Soy como un alpargate.
Sancho.
Leerele otra vez aunque me mate
la impensada alegría.
¿Quién tal Estrella vio al nacer del día?
¿El hermoso lucero
del alba es para mí ya el Sol?
Espero con sus dorados rayos
en abismos de luz pintar los mayos.
(Lee) «Esposo, ya ha llegado
el venturoso plazo deseado:
mi hermano va a buscarte
sólo por darme vida y por premiarte.
Si del cuerpo te acuerdas,
búscale luego y la ocasión no pierdas.
Tu Estrella». ¡Ay forma bella!
¿Qué bien no he de alcanzar con tal Estrella?...
Avisa al mayordomo
de la dichosa sujeción que tomo,
y que saque al momento
las libreas que están para este intento
en casa reservadas,
y saquen las cabezas coronadas
mis lacayos y pajes
de hermosa pesadumbre de plumajes.
Y si albricias codicias,
toma aqueste jacinto por albricias;
que el Sol también te diera,
cuando la piedra del anillo fuera.
Cl. Vivas más que la piedra,
a tu esposa enlazado como yedra;
y pues tanto te aprecio,
vivas, señor, más años que un necio.


Dasme en él tal alegría
que me das la vida en él;
grabe un eterno cincel
este venturoso día.
(Lee) «Llegó el día deseado
que esposo pueda llamarte:
mi hermano salió a buscarte
porque ha determinado
tu amor con mi amor pagarte.
Si es tan cierta la centella
de tu amor como solía,
presto de llama tan bella
prenderá fuego a la mía.
Tu muy fina esposa Estrella».
Clarindo, aunque no codicias
más que mi contento, fuera
mal hecho que no te diera
este jacinto en albricias,
y aún el alma si pudiera;
corre a casa, dí que todos
vistan la gala al momento
que he reservado a este intento:
corre, y que de todos modos
se adornen de mi contento:
Adelántate, y a Estrella
le dirás que su papel
me dio la vida y que a ella
voy a jurarle por él
la llama más pura y bella.
Cl. Vivas, señor, mil edades
con el bien que hoy afianzas.


Dasme en él tal alegría
que me das la vida en él;
grabe un eterno cincel
este venturoso día.
(Lee) «Mi hermano a buscarte va:
mas yo, Sancho, me acelero
para anunciarte primero
las nuevas que llevará.
Tus bodas hoy con Estrella
secretamente apercibe:
la mano que te lo escribe
pronta se halla: ven por ella».
¡Mi Estrella, mi sol, mi cielo!
¿Quién es como yo dichoso,
si al fin de tu labio hermoso
logra mi ferviente anhelo
el dulce nombre de esposo?
Y aún en más obligaciones
con el secreto me pones;
perdonen deudos y amigos:
no quiere el amor testigos,
ni la dicha ostentaciones.
Clarindo, aunque no codicias
más que mi contento, fuera
mal hecho que no te diera
este jacinto en albricias,
y aún el alma si pudiera.
Corre, y a Estrella dirás
que el aviso que me das
me obliga a buscar veloz
a su hermano, cuya voz
me explique mi dicha más.
Porque al ver tan de repente
conseguido mi deseo,
casi dudo lo que leo,
se me confunde la mente,
peno y gozo, dudo y creo.
Necesito averiguar
por qué en secreto se tejen
lazos tan dulces de atar...
Necesito que me dejen
un momento solo estar.
Cl. Vivas, señor, mil edades
con el bien que hoy afianzas.

È quasi superfluo sottolineare l'andamento metaforico e iperbolico del discorso di L che sconfina persino nelle battute del gracioso («soy como un alpargate»; «vivas más que la piedra») e che naturalmente si appunta nei giochi verbali fondati sulla polisemia di «Estrella».

T, anche in questo caso, interviene per decodificare il linguaggio immaginoso dell'originale e trascriverlo in toni più accessibili e quotidiani. Questo processo di decodificazione è particolarmente avvertibile nella lettera di Estrella, in cui il venturoso plazo deseado diviene un semplice día deseado que esposo pueda llamarte, così come la ricercata espressione por darme vida y por premiarte diviene un più comprensibile tu amor con mi amor pagarte.

Si direbbe tuttavia che T avverta la necessità di occupare in qualche modo gli spazi lasciati vuoti dalle immagini soppresse al fine di mantenere ugualmente al brano una dignità letteraria; pertanto inserisce qua e là espressioni più ricercate come grabe un eterno cincel, la centella de tu amor, su papel me dio la vida che tuttavia emergono poco dal livello quotidiano.

H, questa volta, sembra avvertire un eccesso di prosasticità nel suo modello e avvia un ricupero di letterarietà che tuttavia non è affatto un ritorno alle tonalità di L, anche se, per un istante, sembra riaffiorare il gusto dei giochi paronomastici (¡Mi Estrella, mi sol, mi cielo!). La direzione, tuttavia, è generalmente quella dell'espressione calda dei sentimenti, accompagnata da riflessioni e meditazioni. Su tutto poi si distende un tono generale di incertezza (dudo; se me confunde la mente; dudo y creo; necesito averiguar) e un bisogno di intimità (no quiere el amor testigos; necesito que me dejen un momento solo estar) che conferisce alla pagina una nuova dignità espressiva.

La situazione psicologica di Sancho è così ampiamente dibattuta e presenta sfaccettature diverse. In tal modo H ha ricuperato, sul piano dei contenuti, quella ricchezza informativa che L aveva affidato alle agudezas e alle callidae iuncturae e che T aveva in gran parte lasciato cadere. Ciononostante, in questo come nel caso precedente, il codice usato da H è sostanzialmente lo stesso di T; le variazioni sono affidate ai sottocodici.

Al contrario, rispetto a L differiscono codice e sottocodici, sicché risulta ancora una volta che l'opera di rottura è stata compiuta da T.




ArribaAbajoII - Traiettoria del personaggio nella tragedia neoclassica

L'accostamento graduale delle refundiciones ai toni del romanticismo procede di pari passo con l'evoluzione che conobbe il teatro neoclassico.

Già il Blanco García rilevava la notevole differenza intercorrente fra le tragedie dei primi anni dell'Ottocento e le prime manifestazioni della drammaturgia classicheggiante e indicava nel teatro neoclassico la lontana matrice di quello romantico;88 e in effetti, man mano che si procede nel tempo, si avverte, insieme all'ammorbidimento dei moduli neoclassici, una sempre più imponente presenza di quegli ingredienti che il romanticismo considererà specificamente suoi.

Di fronte a queste constatazioni, si è naturalmente indotti a pensare che sugli ultimi classicisti abbia esercitato una notevole influenza l'incipiente romanticismo, ma altre considerazioni suggeriscono la presenza di strutture profonde nel seno stesso del classicismo spagnolo che gli imprimono quella particolare rotta.

Annota l'Alborg fra le caratteristiche della tragedia neoclassica spagnola la predilezione -che sarà poi anche dei romantici- per i personaggi tratti dalla storia nazionale i quali ben presto sorgono a contendere il campo agli eroi greci, romani e biblici che Corneille e Racine (e Alfieri) avevano portato sulla scena.89 La Cattaneo rileva nel Pelayo di Quintana -ma il discorso è facilmente trasferibile a molta parte del teatro classicheggiante- quella tendenza a trasfigurare la storia che caratterizzerà parecchia produzione romantica.90 In entrambi i casi ci si trova dinanzi a scelte significative che si compiono nel quadro del neoclassicismo e con sensibilità neoclassica (alla base sta infatti l'esemplarità della figura dell'eroe e il suo valore parenetico che certo meglio si realizzano con personaggi desunti dalla storia cui tuttavia si possano prestare tratti caratteristici del presente) ma che passano sostanzialmente intatte nelle opere romantiche come una costante che si situa fuori del supposto antagonismo fra i due movimenti. Si pensi ai personaggi semistorici o leggendari o facilmente suscettibili di una trasfigurazione mitica che si susseguono in una catena ininterrotta: Guzmán el Bueno, Munuza, Pelayo, Sancho García, Mudarra, cui seguono i romantici Macías, Marsilla, Fernando IV, el Emplazado, Carlo II, el Hechizado (due casi in cui l'epiteto svolge funzione mitizzante), Don Julián; o, più ancora, la lunga lista di quei personaggi femminili che, storici o leggendari, non possono propriamente «fare storia» nella prospettiva maschile della storiografia sette-ottocentesca: Hormesinda, Raquel, Florinda, Blanca de Borbón sul versante classicistico; María de Molina, Urraca, Elvira de Albornoz, Bárbara Blomberg su quello romantico.

Questi rapidi rilievi mettono dunque in luce una continuità che si manifesta al livello dei contenuti nonché dei moduli interpretativi su cui detti contenuti si adagiano.

Certo, se spostiamo l'indagine sul terreno delle prospettive morali e del messaggio che è affidato a questi personaggi, avvertiamo per lo meno qualche sussulto nella continuità che prima sembrava legare strettamente classici e romantici: in particolar modo notiamo come in questi ultimi la funzione parenetica -e con essa l'impostazione retorica del discorso- si sia fortemente attenuata (anche se l'una e l'altra non scompaiono del tutto) per far luogo all'espressione di una sensibilità nuova che fa leva sul patetico, che cerca non la «commotio» ma la «sympatheia» del pubblico e che pertanto si giova di mezzi espressivi meno accademici e più quotidiani.

È quanto già si è potuto desumere attraverso l'analisi dell'evoluzione subita dal Sancho Ortiz nel passaggio da Trigueros a Hartzenbusch. Ma come, in quel caso, si era potuto giungere a rilevare una sostanziale affinità dei codici impiegati dai due autori (soprattutto se collocati in una loro prospettiva antibarocca o, se si vuole, semplicemente non barocca), così ora non è difficile individuare, nel seno stesso del classicismo, l'esistenza di un processo evolutivo, sul piano appunto della comunicazione, che di grado in grado conduce fino al romanticismo. Cosicché, quella soluzione di continuità che sembra di poter scorgere nell'astratta contrapposizione «a blocchi» del teatro classico e del teatro romantico vien meno, anche in questo caso, se più concretamente si esaminano le singole opere, disponendole lungo una normale sequenza cronologica.

Per meglio illuminare il problema può riuscire stimolante la disamina di due catene tematiche di tragedie neoclassiche: la prima, imperniata sulle figure di Pelayo e Hormesinda o Dosinda, la seconda su quella di Blanca de Borbón. In entrambi i casi, non ci troviamo dinanzi a vere refundiciones (sebbene l'ampiezza semantica del vocabolo possa autorizzare una tale designazione) perché i singoli autori, pur non ignorando affatto i drammaturghi che li precedono (cui anzi intendono più o meno scopertamente contrapporsi), non sembrano tanto «lavorare sui testi» dei predecessori quanto riprenderne e rielaborarne gli argomenti con la più assoluta libertà. Ciononostante, la diversa trattazione del medesimo tema e, soprattutto, del medesimo personaggio permettono di interpretare le singole opere -di là dall'unicum della personalità degli autori- come le tappe di un progressivo aggiornamento della sensibilità neoclassica e dei mezzi cui essa si affida.

A) N. F. Moratín: Hormesinda (1770)

M. G. Jovellanos: Pelayo (già Munuza) (1769, rielaborata nel 1771-72)

M. J. QUINTANA: Pelayo (1804-5).

Come si può desumere dalle date di composizione di ciascuna tragedia, tutte si collocano in epoca pienamente neoclassica, quando il romanticismo o non è ancor nato o sta compiendo solo i primi incerti passi in altri paesi di Europa. La catena di cui ci stiamo occupando si presenta pertanto totalmente immune da influenze che non siano quelle stesse che il classicismo esercita ab interno.

Una serie di rilievi calzanti è stata formulata al riguardo dalla Cattaneo, la quale ha posto in luce le variazioni di contenuto soprattutto per quanto concerne la figura di Hormesinda (ostile a Munuza in Moratín e in Jovellanos, di lui sinceramente innamorata in Quintana), la ricerca di descrizione psicologica introdotta da Jovellanos, la proiezione nei personaggi quintaniani della «passione politica e libertaria» dell'autore, nonché altri aspetti che qui non interessano direttamente.91

Prendendo dunque le mosse da queste considerazioni, ci si vorrebbe anzitutto soffermare più lungamente sulla traiettoria compiuta dai personaggi centrali -Hormesinda e Pelayo- attraverso le tre tragedie.

L'evoluzione maggiore è chiaramente quella subita dal personaggio femminile. Nella tragedia moratiniana, ella non ha praticamente alcun rilievo; come tante eroine del teatro secentesco,92 non ha altra funzione che quella di stimolare passivamente i sentimenti degli uomini che la attorniano: è infatti l'oggetto su cui si esercitano il senso dell'onore di Pelayo, profondamente turbato al pensiero che la sorella vada sposa a un moro, e il desiderio di vendetta di Munuza il quale, oltre a far credere che Hormesinda l'abbia scelto di sua volontà, su di lei sfoga la sua rabbia conducendola al rogo.

Curiosamente, in questo dramma d'onore, l'amore non ha la minima parte: evidente omaggio al freddo moralismo del tempo e forse anche a un'ideale «sublimità» dei sentimenti tragici. Sarà Jovellanos a introdurre l'amore facendo si che Dosinda sia promessa sposa di Rogundo e che pertanto la sua resistenza a Munuza nasca più dalla sua fedeltà al fidanzato che da sentimenti civici. Certo in questo modo Jovellanos ottiene lo scopo di attribuire ai goti parti di maggior rilievo93 ma anche riprende gli schemi del teatro secentesco: un galán, Rogundo, per il quale parteggiano autore e pubblico, lotta per sottrarre la sua dama, Dosinda, all'altro galán (malvagio e antipatico), Munuza, e finisce per ucciderlo in un duello finale. Naturalmente, come accadeva nel Siglo de Oro, l'amore compare nel suo riflesso sociale dell'onore che, sentimento esclusivamente maschile, di necessità esclude la stessa protagonista del sentimento amoroso. Così Dosinda non ha molto più rilievo dell'Hormesinda moratiniana, anche se rappresenta una tappa più avanzata verso il conseguimento di una personalità più ricca. In effetti, mentre la protagonista di Moratín, priva di qualsiasi funzione, non fa altro che gemere attraverso l'intera tragedia, questa di Jovellanos conosce almeno gli accenti appassionati (retorici, s'intende) della virtù offesa. Insomma, come per gli altri personaggi, così anche per lei Jovellanos si sforza di trovare motivazioni psicologiche più intense.

Spetterà tuttavia a Quintana farle compiere l'ultimo balzo e trasformarla in autentico personaggio. Ora finalmente Hormesinda diviene la protagonista di una vicenda riccamente sentimentale, anche se non, forse, sfruttata sino in fondo. Nell'opera quintaniana ella ama veramente il principe moro e insieme avverte quanto tale amore contrasti con le aspirazioni del fratello e di tutto il popolo visigotico. Questo contrasto determina in lei solo un abbozzo di dramma, dal momento che, secondo la consuetudine neoclassica, si esaurisce troppo spesso in lunghe tirate. Resta in ogni modo il fatto che l'Hormesinda quintaniana è donna che soffre e che ama -come faranno, dopo di lei, tante eroine romantiche- per sé stessa e non in funzione degli uomini che le vivono accanto.

L'evoluzione di Hormesinda, a ben pensarci, appare quasi necessaria, proprio in considerazione delle premesse neoclassiche da cui è sgorgato il personaggio. Dopo tutto, i vari arricchimenti rispondono al fine precipuo del movere, che è tutt'uno con l'impostazione retorica dell'opera sotto il profilo strutturale e linguistico. Dalla freddezza di Moratín al virtuoso eroismo di Jovellanos al dramma sentimentale di Quintana, la fanciulla acquista una forza di persuasione sempre più trascinatrice. E la maggiore intensità sentimentale di cui si arricchisce gradualmente approfondisce i suoi lineamenti di vittima di una società ingiusta e di un nemico riprovevole, accrescendone parallelamente l'esemplarità civica; ma al contempo le conferisce quel tono «patetico» che è davvero il tocco nuovo, preromantico, attribuito da Quintana al suo personaggio.

L'evoluzione della figura di Pelayo avviene essenzialmente in termini di verosimiglianza e di unità.

Nell'opera di Moratín, il principe visigoto appare come uno stordito che non ascolta o, peggio, fraintende le parole degli amici mentre crede ciecamente alle false insinuazioni dei suoi nemici. Le uniche motivazioni del suo agire sono pertanto i diversi equivoci in cui cade, uniti a un'incredibile ingenuità.

Jovellanos, nell'intento di attribuire al personaggio una maggiore consistenza, cerca nella storia le motivazione del suo comportamento: Pelayo è il capo degli asturiani insorti contro i mori e, come tale, lotta contro la tirannide e il tradimento di Munuza. In tal modo però ne fa un personaggio un po' a sé stante, il quale agisce in un'azione secondaria e parallela a quella di Dosinda-Rogundo, che costituisce l'asse centrale dell'opera.

Il Pelayo di Quintana mantiene le medesime motivazioni patriottiche, ma insieme obbedisce rigorosamente alle leggi dell'unità di azione e acquista pertanto una posizione di «centralità» che gli consente (grazie alla scomparsa di Rogundo) di inserirsi nella vicenda amorosa della sorella e, insieme, di campeggiare a lungo sulla scena.

Ciononostante, soprattutto se paragonato con Hormesinda e perfino con Munuza (cui non manca qualche istante di ripiegamento tormentoso), Pelayo rimane un personaggio freddo e unilaterale, in ossequio all'aspirazione, tipicamente neoclassica, verso l'eroe che incarna astratte purissime virtù: in questo senso certo non apre alcuna strada verso l'eroe romantico. Ma l'intenzione di concentrare l'interesse su Pelayo suggerisce a Quintana l'impiego di certi espedienti i quali sí troveranno larga eco nella drammaturgia romantica.

In primo luogo, cerca di creare attorno al suo personaggio un clima di attesa e di mistero, facendo sí che esso appaia all'improvviso quando tutti ormai lo credevano morto: il Pelayo quintaniano anticipa così di trent'anni Macías e tanti altri misteriosi eroi romantici ai quali gli autori applicheranno il medesimo accorgimento.

Analogamente, per creare intorno a lui un clima suggestivamente cupo, Quintana colloca il suo eroe, all'inizio dell'ultimo atto, in una mazmorra, secondo uno schema che, dal Macías in poi, conoscerà un'infinità di variazioni.

Uguali direttive presiedono all'elaborazione stilistica. Tutti e tre gli autori ritengono certamente che la tragedia -forse proprio in quanto tragedia- sia opus oratorium; pertanto non lesinano espressioni enfatiche e versi risonanti, nell'evidente scopo di operare quella mozione degli affetti che è compito essenziale del retore. Senonché Moratín, nel cui orecchio ancora risuonano i toni culterani e concettisti, si muove con una certa goffaggine alla ricerca di nuovi stilemi e finisce per ingolfarsi in una rozza prosasticità che tenta invano di riscattarsi attraverso l'accumulazione di aggettivi e la serie quasi ininterrotta di esclamazioni e di interrogazioni retoriche. Eccone un esempio fra i moltissimi:


Precipitada
Hormesinda, ¿qué dices?
Hormesinda infeliz, mal informada
mujer, ¿qué dices?94

In Jovellanos e in Quintana si assiste a un processo non solo di depurazione espressiva ma anche di attribuzione di maggior funzionalità agli stilemi propri del neoclassicismo. Si tende, per esempio, a far sì che interrogazioni ed esclamazioni, le quali pure abbondano in entrambi, rispondano a un clima di effettiva eccitazione sentimentale che valga a giustificarle almeno parzialmente. Poiché un'analisi troppo particolareggiata di questi aspetti rischierebbe infine di allontanarci troppo dalle intenzioni di questo lavoro, ci si limiterà a un solo breve campione per ciascuno dei due autori.

Quando Munuza ordina a Dosinda di seguirlo in chiesa per la cerimonia nuziale, ella così reagisce:


¡oh monstruo fiero,
hombre el más vil de todos los mortales,
asombro, horror, y afrenta de este siglo!
¿qué espíritu infernal contra la sangre
más ilustre conmueve tus entrañas?95

Meno sublime, meno enfatica (ma non meno elaborata) l'Hormesinda quintaniana comincia infine a piegare la retorica verso l'espressione più personalizzata. In questi termini si rivolge a Pelayo:


¿Qué peso puede hacer en la balanza,
que los reinos del mundo alza o inclina,
de una flaca mujer la resistencia?
Pelayo, ¡ah! ¡Cuánta compasión tendrías
de esta desventurada, en quien ahora
tu enojo todo sin piedad fulminas,
si vieras mi amargura y mis combates!96

Certo, il linguaggio dei romantici è ancor lontano, ma già par di vederlo affiorare qua e là, soprattutto nell'ultimo verso; d'altro canto il Pelayo quintaniano conosce, al riguardo, anche versi la cui fattura romantica è ormai totale, come quelli con cui si apre l'ultimo atto, nella scena della mazmorra:


En esta cárcel lóbrega, espantosa,
donde toda esperanza se nos niega...97

B) D. SOLÍS, Blanca de Borbón (ante 1829?)

A. GIL Y ZÁRATE, Blanca de Borbón (composta nel 1829, rappr. il 7-6-1835)

J. ESPRONCEDA, Blanca de Borbón (1834-36).

Nonostante l'assenza di una precisa cronologia, le tre opere sono collocabili intorno agli anni Trenta. Anzitutto, per Espronceda, a causa dell'affermazione contenuta nel prologo che permette di collocarla nel periodo suaccennato; per Solís, oltre che per il terminus ante quem del 1834, anno della sua morte, per il noto aneddoto secondo cui avrebbe rinunziato a far presentare la sua opera (che infatti è rimasta manoscritta) dopo aver letto quella di Gil y Zárate; di quest'ultima sappiamo inoltre che fu appunto composta alcuni anni prima della rappresentazione.98

Si tratta, in ogni modo, di tragedie di struttura neoclassica, composte in epoca ormai diffusamente romantica e pertanto utili ai fini di quest'indagine a causa della differente prospettiva che esse offrono rispetto alla catena precedentemente esaminata.

Ciò che interessa, in questa sede, non è tanto il rapporto cronologico intercorrente fra le tre opere, sostanzialmente contemporanee, quanto la differente sensibilità con cui ciascun autore affronta temi e personaggi, pur nel quadro di un'adesione di fondo ai canoni del neoclassicismo.

Solís, il celebre refundidor, risulta il più legato ai vecchi schemi soprattutto nell'elaborazione dei personaggi. I due protagonisti, Pedro e Blanca, appaiono subito notevolmente tipizzati come l'incarnazione l'uno della crudeltà tirannica (Notorio os es... / que de sangre / la espada mía en inundar sus campos (di Castiglia) / ocupo siempre...;99 così si presenta allo spettatore), l'altra della mitezza, della sottomissione, della fedeltà amorosa condotte fino all'estremo (Líbrame ¡o Pedro! del dolor de oírte / decir que me aborreces...100).

Ma soprattutto li caratterizza quel loro parlare più con il pubblico e per il pubblico che fra loro101; salvo brevi tratti, tutti i personaggi di Solís a turno espongono le loro ragioni o anche lasciano traboccare la piena dei loro sentimenti, ma restano per lo più chiusi in una loro incomunicata individualità. Le loro battute possiedono bensì la dignitosa sapienza di una ben architettata retorica ma, oltre a far loro difetto una vera capacità di dialogo, la stessa preoccupazione stilistica tende a raffreddarle. Si veda, per esempio, la reazione di Pedro e di Blanca al tumulto popolare:


PEDRO Pueblo infame y traidor!...
¡O furia! ¿Y aún a ríos
no está corriendo, aborrecido pueblo,
tu sangre por mi alcázar?
BLANCA No, Españoles:
primero en mí los acerados filos
emplead, que en ofensa de mi esposo
arméis la armada mano...102

Anche il tentativo di far affiorare un dramma interiore sfocia o nella pura informazione:


¡En qué conflicto
tan espantoso estoy!103

o nella levigata sentenziosità:


¡Duda cruel, que me prepara, ay triste!
una espantosa eternidad de penas.104

La scoperta di Gil y Zárate fu invece la capacità di dialogo da lui attribuita soprattutto al personaggio della regina. Blanca ha ora la vitalità di un carattere più complesso: vittima sì, della malvagità altrui, ma ora rassegnata, ora, quando entra in gioco la sua dignità di donna, aggressivamente ribelle; che non esita a stracciare la domanda di divorzio che Pedro vuol farle firmare e che a Pedro parla della propria morte come di quella che


medio es digno
de ti, monstruo, de ti, que estás sediento
siempre de sangre humana;

che d'ora innanzi rifiuta persino di piangere:


Harto he gemido
harto ya me humillé...
Clava, si lo osas, el feroz cuchillo
en este corazón...105

Non si può certo affermare che Gil y Zárate abbia saputo sfruttare sino in fondo quest'attitudine al dialogo dei suoi personaggi: resta tuttavia il fatto che questi lasciano ormai avvertire la possibilità di instaurare un rapporto di comunicazione fra loro, di parlare uno stesso linguaggio. Per esempio, María, momentaneamente abbandonata da Pedro, lo supplica in nome dell'antico amore:


Si un tiempo hubo que grata
a vuestro pecho fui, si la primera
supe en él inspirar ardiente llama,
nunca de vos se aparte el fiel recuerdo
de tan fiera pasión.

Alle sue parole Pedro si lascia nuovamente irretire:


Lo sé, mil pueblos mi pasión funesta
van a llorar... no importa.106

Si direbbe tuttavia che la preoccupazione più vigile di Gil y Zárate sia, al solito, la ricerca delle motivazioni psicologiche dei personaggi e degli effetti di terrore e di compassione che questi esercitano sul pubblico.

Già Solís si era posto il problema di evitare la gratuità degli atteggiamenti crudeli di Pedro e ne aveva cercato le cause in una ripugnanza istintiva per Blanca:


Esta francesa odiosa a quien mi madre
de su tirana autoridad usando,
unir a mí con infelices lazos...107

Ma se questo poteva giustificare il ripudio della regina, non era certo un'adeguata spiegazione della sua sete di sangue.

Gil y Zárate affronta e risolve il problema attingendo al repertorio della sensibilità romantica e fa di Pedro un superuomo satanico su cui pesa l'ostilità di un destino avverso. Come il Manfredo byroniano o come Don Álvaro, egli sente la maledizione fatale che lo opprime:


De todo soy capaz... Fiero anatema
cayó al nacer sobre mi frente, y llevo
grabado el sello del furor en ella.
A ser espanto de los hombres todos
el cielo me lanzó sobre la tierra...

E alla stregua di tanti altri eroi romantici, finisce per esser travolto dal delirio in cui si crede assalito dalle torme delle sue vittime che


Tremendas,
en torno mío con furor se agitan.108

Per Blanca naturalmente il problema delle motivazioni era assai meno pressante, dato che la fonte del suo agire è essenzialmente Pedro: per questo Gil y Zárate cercò soprattutto di renderne ancor più patetica la pur già patetica figura. E se in Solís ella sollecitava la simpatia del pubblico con la «nobiltà» dei suoi sentimenti, ora fa ricorso in prevalenza al rimpianto di una giovinezza felice, ossia all'espediente più tipico -e già collaudato all'estero- dell'età romantica. Ella compare infatti sulla scena immersa nella nostalgia della patria perduta:


¡Oh nunca lejos
de ti, Sena dichoso, otras orillas
mi planta hollase! En el hogar paterno
¿qué a mi anhelo faltaba? Allí do quiera
sólo encontraba amor, sólo respeto.
Mil y mil héroes a mis pies rendían
o la espada adquirida en el torneo,
el glorioso laurel que en las batallas
arrancaba al inglés su ardor guerrero...109

Analogamente María -che acquista anch'essa un carattere patetico -rievoca i tempi ormai trascorsi di una felicità perduta:


¡O de un tiempo feliz memoria amarga,
cuando a mi lado un rey joven, valiente,
eterna fe sensible me juraba!

o una più lontana fanciullezza in cui avrebbe potuto


correr en quieto albergue
días esentos de ambición insana.110

Senza procedere a ulteriori analisi, possiamo dunque constatare come le consuete esigenze di verosimiglianza e di credibilità, oltre che di un linguaggio sempre più appropriato, abbiano condotto infine all'acquisizione -in una opera formalmente rispettosa dei canoni neoclassici- di moduli ormai in voga presso i romantici. Naturalmente non si tratta più, come nelle catene precedenti, di motivi che il gusto neoclassico abbia espressi dal suo stesso seno; tuttavia l'acquisizione di essi, sia pure ab externo, risiede nella logica stessa del movimento, che dalle astratte incarnazioni di virtù e vizi sublimi, scivolava costantemente verso la concretezza di figure sempre più vicine alla realtà umana; che nella ricerca di una più efficace mozione degli affetti doveva infine sfociare nella scoperta della comunicazione dei sentimenti e del patetico, tanto sul piano del linguaggio quanto su quello della caratterizzazione dei personaggi.

Era logico pertanto che quando queste esigenze si fecero più intense e pressanti, gli autori neoclassici che più vivamente le avvertirono non esitassero a rivolgersi anche al di fuori onde avvalersi di procedimenti utili a soddisfarle. Ed è particolarmente interessante notare come, nel caso in esame, Gil y Zárate abbia utilizzato due motivi -quello della fatalità e quello del tempo- destinati ad essere a lungo sfruttati dal teatro romantico spagnolo al punto da potersi annoverare fra i tratti più salienti e caratterizzanti di esso.

È evidente che, a questo punto, il neoclassicismo è alle sue ultime battute e che la sua disponibilità alle influenze esterne è l'indice stesso del suo declino. Ne fa in certo modo testimonianza la Blanca de Borbón di Espronceda, nella quale l'autore accumula numerosi espedienti del più tipizzato romanticismo: la Maga assetata di sangue (¡Ah! su sangre / al fin mi pecho beberá sediento;111 sí, llegó el día / de hartar de sangre mi sediento pecho;112 sangre en el cráneo / de Blanca beberás113), il bestiale e altrettanto sanguinario Abenfarax (Yo tan sólo / sé con sangre adular114) la prigione di Blanca, la caverna nel bosco, la cappella gotica, il temporale che accompagna le ultime vicende e un costante cupo richiamo al sangue; il tutto su di una struttura ancora in gran parte neoclassica, ravvisabile soprattutto nella versificazione a endecasillabi assonanzati nei versi pari e nell'esasperata linearità dei personaggi, continuamente fedeli al tipo in cui sono stati cristallizzati. Gli stessi accostamenti si avvertono sul piano del linguaggio dove accenti carichi di rimpianto o espressioni dalle tinte fosche si giustappongono a battute della più pura retorica classicheggiante.115

D'altra parte, le unità di tempo e di luogo sono accantonate e un accavallarsi di vicende travolge anche l'unità di azione.

Se accostata all'opera di Gil, questa di Espronceda rivela dunque un'adesione tutta esteriore al neoclassicismo di un autore la cui sensibilità è ormai proiettata verso formule nuove. Per questo Espronceda non fa compiere alcuna evoluzione al teatro neoclassico: i suoi personaggi rimangono fissati entro schemi antichi e insieme, per la massiccia intrusione di motivi nuovi, svuotati anche della loro primitiva funzione.

Espronceda commise, certo inconsapevolmente, l'errore di accostare i motivi classici e i motivi romantici mantenendoli al contempo ben distinti, quasi a sottolinearne l'opposizione: ne scaturì un'opera fredda e squilibrata.

Ciò che invece intuì Gil y Zárate fu l'esistenza di un processo storico che di grado in grado conduceva il teatro neoclassico a rinnovarsi fino al momento in cui si sarebbe definitivamente trasformato in teatro romantico.





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