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Il mondo fantastico e violento di Cien años de soledad


1.- Si è molto scritto intorno al romanzo di Gabriel García Márquez, soprattutto a quella ritenuta, almeno finora, la sua opera di più spiccato rilievo, Cien años de soledad, apparsa nel 1967441. Si potrebbe addirittura affermare che l'improvviso auge della «nueva novela» ispanoamericana sia strettamente legato all'apparizione del romanzo citato e al nome dello scrittore colombiano, che i suoi stessi «colleghi di gruppo» sembrano indicare come il più rappresentativo tra loro, tanto che uno dei più noti esponenti della nuova tendenza, Mario Vargas Llosa, gli ha dedicato un saggio monumentale, ricco di interessanti notizie e inquadrature442.

Nelle numerose interviste, concesse nel tempo, Gabriel García Márquez ha offerto una serie abbondante di riferimenti intorno alla propria vita, alle letture, alle possibili influenze, soprattutto di Faulkner -da alcuni ritenuta dominante443- e del cinema, nella propria formazione, quindi nell'opera, e al concetto personale di romanzo. I critici, da parte loro, hanno affrontato i molteplici aspetti della narrativa di questo scrittore, soffermandosi particolarmente sull'esame di Cien años de soledad, sviscerato nei minimi dettagli, interpretato nei più reconditi significati, studiato nella genealogia e nella struttura444, decifrato nei significati simboli ed esoterici445, esaltato soprattutto nell'apporto singolare al «realismo mágico»446, quale testo, in tal senso, di preminente rilievo nell'ambito della «nueva novela».

È fuor di dubbio che la prodigiosa facoltà d'invenzione rivelata da García Márquez in Cien años de soledad sia quanto di più appariscente e accattivante per il lettore e per il critico; una sorta di esplosione meravigliosa, che coinvolge irresistibilmente in un mondo incantato, dove i confini della realtà sfumano continuamente nel fantastico, popolato di personaggi la cui natura reale è immediatamente trasformata in categoria leggendaria e mitica. Ciò attraverso una singolare capacità di «fabulación», che lo scrittore, sulla scia delle affermazioni di Mario Vargas llosa447, si compiace di avvicinare a quella degli autori dei libri di cavalleria448.

Il mondo americano si presenta, d'altra parte, come il regno del meraviglioso. Miguel Ángel Asturias lo ha sottolineato in diverse occasioni e lo stesso García Márquez insiste sulla nota intensamente fantastica di tale mondo, così che il «derroche» di fantasìa nel romanzo cessa di sorprendere. Afferma lo scrittore colombiano: «[...] vivimos en un continente donde la vida cotidiana está hecha de realidades y mitos, y nosotros nacemos y vivimos dentro de un mundo de realidades fantásticas»449.

La prevalenza del gioco della fantasia in Cien años de soledad ha indotto i critici a porre in rilievo nel romanzo soprattutto le facoltà inventive dello scrittore, anche se non sono mancate qualificate eccezioni che hanno rilevato la materia dolente sulla quale il libro afferma la sua ragion d'essere450, così come l'autore afferma la sua ragione di essere scrittore. È bensì vero che García Márquez sembra divertirsi a fuorviare di proposito il lettore e il critico -con trasparente nota polemica verso quest'ultimo-, opponendosi alle interpretazioni elucubrate e arbitrarie, con l'affermare la mancanza di ogni proposito serio alla origine del romanzo: «[...] ningún crítico podrá transmitir a sus lectores una visión real de Cien años de soledad mientras no renuncie a su caparazón de pontífice y parta de la base más que evidente de que esa novela carece por completo de seriedad». E aggiunge: «Esto lo hice a conciencia, aburrido de tantos relatos pedantes, de tantos cuentos providenciales, de tantas novelas que no trataban de contar una historia, sino de tumbar al gobierno; cansado, en fin, de que los escritores fuéramos tan serios e importantes [...]»451.

La nota polemica nei confronti del «vecchio romanzo» è evidente. Ma l'alienazione dalla realtà, ossia da una situazione che prima di essere «americana» è pur sempre personale, che ha coinvolto, cioè, in modo diretto lo scrittore in patria, non è possibile neanche nella «nueva novela». Le nuove tecniche espressive, le ricerche strutturali del romanzo, non eliminano quello che è il punto comune di partenza -salvo poche eccezioni apparenti- degli scrittori ispano-americani, in particolare dei narratori del nostro secolo: l'esperienza bruciante della condizione di un mondo che si vorrebbe diverso. La «pasión americana» -mi si permetta l'espressione- si manifesta, è certo, attraverso nuovi mezzi espressivi, in forme nuove, con un nuovo linguaggio, ma continua quella dei grandi scrittori del passato, quella dei classici ancora in piena attività creativa.

L'apporto del linguaggio alla magia della narrazione è caratteristica assai rilevante nell'opera di García Márquez, non meno che in quella di Alejo Carpentier o di Miguel Ángel Asturias, certo con accento originale. Non poche affermazioni dello scrittore guatemalteco intorno al veicolo espressivo, alla lingua più idonea alla narrativa ispanoamericana, al modo di scrivere un romanzo, trovano riscontro in García Márquez, non nel senso, s'intende, di una passiva adesione, ma nell'espressione di identici problemi e di orientamenti molto simili. Infatti, anche lo scrittore colombiano ripudia la lingua spagnola tradizionale, non meno di Asturias, perché incapace di esprimere con esatta aderenza l'essenza del continente americano. Di qui la necessità di creare un linguaggio nuovo, che caratterizza il «nuovo romanzo»: «Había que crear un español nuevo. Es, yo creo, esta búsqueda de un lenguaje adecuado para relatar al hombre Ispanoamericano lo que caracteriza, lo que se ha dado en llamar la nueva novela Ispanoamericana»452.

Anche l'affermazione della mancanza di un piano prestabilito nella creazione dell'opera qualifica una modernità già annunciata da Asturias. Scrive, infatti, García Márquez:

«Cuando escribo una novela o un cuento, lo hago siempre sin un plan previo, sin saber adónde voy, para descubrir la historia que cuento. Echo todas mis fuerzas en la balanza, libero mis obsesiones y mis pasiones, no reflexiono. Lo que me importa en lo inmediato no es el libro en sí, es el camino que me abre. Pueden contarse historias y deben contarse, pero sin prejuicios de ninguna clase. Hay que dejar la puerta grande abierta a la invención, y aun a todos los excesos de la imaginación. Escribir sólo con la inquietud de saber lo que sucederá a los personales mañana [...]»453.



Il passo citato sembrerebbe suonare come una dichiarazione di disimpegno, da parte dello scrittore, dalla realtà americana. Il romanzo è, certamente, per García Márquez, un'invenzione infinita, aperto a tutti i soffi della fantasia. Egli ha parlato in tal senso di divertimento dello scrivere, scontato, s'intende, l'impegno dell'espressione. Questo, almeno, afferma di aver fatto narrando le «tribulaciones cómicas o fantásticas» del «clan» dei Buendía, sostenendo una grande verità, relativamente al romanzo, che cioè «Una novela no debe ser aburrida en ningún modo. Es necesario que las peripecias se renueven en ella sin cesar, mezclando lo real y lo irreal, lo posible y lo imposible»454.

In questa fusione di realtà-irrealtà è soprattutto la prima, in ultima analisi, a venire sottolineata. La problematica del mondo americano scaturisce scottante dalla profusione dell'invenzione, che fa sempre nuovo e allettante il romanzo. La riflessione a posteriori intorno al motivo che, in una sorta di condizione pre-cosciente, poteva essere stato all'origine dell'opera, vale a dire quello di raccontare la storia di una famiglia «obsedida por el incesto»455, non vale a chiudere gli spiragli che immettono in una responsabilità più cosciente. Che non esclude, naturalmente, il piacere del narrare, l'abbandono alla fantasia.

In un'occasione Gabriel García Márquez ha paragonato il romanzo al sogno; come il sogno esso è costituito «con fragmentos de la realidad, pero que terminan por constituir una realidad nueva y distinta»456. Per tal modo i suoi romanzi sono «experiencias elaboradas y personajes armados con pedazos de unos y otros, de seres que uno ha conocido. Lo mismo los hechos y los ambientes»457. A confermare ciò valgono le numerose rivelazioni dell'autore intorno alle presenze autobiografiche, alla realtà di personaggi e situazioni in Cien años de soledad458.

L'invenzione si esercita, perciò, nel romanzo, su un capitale di esperienze e di realtà concrete che l'autore trasforma. Per García Márquez l'ideale di romanzo è quello che mostra la realtà in tutti i suoi aspetti: «Una novela absolutamente libre, que no sólo inquiete por su contenido político y social, sino por su poder de penetración en la realidad; y mejor aun si es capaz de voltear la realidad al revés para mostrar como es del otro lado»459. Non v'è dubbio che Cien años de soledad risponde all'ideale enunciato. La perfezione della struttura, nella quale sono determinanti le «pulsioni sovratemporali» sottolineate dal Segre460, attesta una grande coscienza artistica applicata a una facoltà singolare di narrare, di inventare, di trasformare la realtà mitizzandola. Ma la realtà è pur sempre il fondamento del romanzo, e in esso si afferma, attraverso la partecipazione sofferta del narratore, che abilmente coinvolge il lettore quale protagonista.

Non a torto Julio Ortega ha affermato che Cien años de soledad è anche un «largo elogio del lector», in quanto «quiebra la razón, excita la fantasía, transparenta la sensibilidad, exige el humor, convoca la piedad»461. Ciò avviene nell'evocazione di un mondo complesso, in cui si compendia la «condizione» americana. Il mondo di Macondo, infatti, è stato in più occasioni interpretato come un simbolo di tutta l'America.

2.- In un'ode, Pablo Neruda ha rappresentato Ramon Gómez de la Sema nelle vesti di un mago intento a estrarre dal suo «cucurucho» cose impensate e meravigliose462; lo stesso si potrebbe dire di Gabriel García Márquez per Cien años de soledad, avvertendo, tuttavia, che in questo libro le facoltà magiche appaiono moltiplicate all'infinito. In Fin de mundo lo stesso Neruda, alludendo allo scrittore colombiano e al suo libro, parlava di «mille e una notte»:


y fueron las mil y una noche
saliendo de su boca mágica,
la erupción magna de mi tiempo463.



Occorre precisare che nel romanzo di García Márquez le costruzioni della fantasia sono rese credibili attraverso un raggiunto «tono convincente»464, che annulla la separazione tra reale e fantastico. Tale «tono» rappresenta la soluzione trovata d'improvviso dallo scrittore dopo quattro libri che definisce «de aprendizaje»:

«[...] la solución estaba en los orígenes mismos del problema: había que contar el cuento, simplemente, como lo contaban los abuelos. Es decir, en un tono impertérrito, con una serenidad a toda prueba que no se alteraba aunque se les estuviera cayendo el mundo encima, y sin poner en duda en ningún momento lo que estaban contando, así fuera lo más frívolo o lo más truculento, como si hubieran sabido aquellos viejos que en literatura no hay nada más convincente que la propia convicción»465.



Il segreto stava quindi nella «reducción de lo maravilloso a nivel cotidiano»466; difficile impresa, che solo uno scrittore consumato e dotato come García Márquez poteva condurre a termine con successo, mantenendo in ogni momento un alto livello artistico, nel quale non sono ammessi scadimenti, pena la rovina di tutta l'impalcatura su cui l'impresa si regge. L'autore di Cien años de soledad, onnisciente, racconta sì «impertérrito», ma non distaccato, anche se sfugge abilmente all'emozione nel momento stesso in cui essa sembra determinarsi, rifugiandosi nell'ironia o nello scherzo, lasciando al lettore di sviluppare i sentimenti che ha stimolati.

Il meraviglioso diviene cosa di ogni giorno e presto ci si abitua a ritenere logiche tutte le situazioni, legittimate dalla prodigiosa facoltà di «fabulación» del narratore, come dovevano apparire logiche le straordinarie avventure dei libri di cavalleria ai lettori del tempo. La favola trasfigura, non elimina la realtà; ne sottolinea, anzi, le connotazioni attraverso il gioco della fantasia. In Cien años de soledad il lettore si sente immerso in un clima particolare a partire dal titolo del libro; titolo «connotativo», ha notato Carmen Arnau, interpretando nella «E» volta all'indietro, della parola SOLEDAD, il simbolo della vita introversa dei Buendía467. A parte questa valida osservazione, due elementi sollecitano nel titolo l'attenzione del lettore, predisponendolo alla lettura del romanzo: l'uno d'ordine favoloso, la menzione dei «cent'anni», quantità temporale di per sé mitica per la normale durata della vita umana; l'altro di natura sentimentale, la «solitudine», allusione a una condizione desolata in cui l'individuo si sente perduto e che sollecita un'immediata partecipazione.

Nel corso della vicenda apprendiamo, poi, che il secolo alluso è realmente una misura favolosa e simbolica, superato com'è sia dalla vicenda di Macondo e dall'allusione a Drake quando assalì Riohacha, sia dalla longevità di Úrsula Iguarán e di Pilar Ternera, le due matriarche della famiglia Buendía, l'una nel campo della legittimità, l'altra in quello dell'illegittimità. Sia Úrsula che Pilar, infatti, oltrepassano abbondantemente i cent'anni di vita, esperimentando nell'infinita vecchiaia, l'una lucidamente il senso di dissoluzione del suo mondo nella decadenza della famiglia, il logorio interno delle cose, l'usura del tempo e lo squilibrio conseguente della sua logicità cronologica, che lo trasforma in una serie inquietante di ripetizioni, in tempo giratorio -«[...] el tiempo no pasaba, como ella lo acababa de admitir, sino que daba vueltas en redondo»-468, l'altra, ferma nel tempo immobile del ricordo, nella cosciente e indifferente chiaroveggenza del futuro:

«[...] continuaba viviendo en el tiempo estático y marginal de los recuerdos, en un futuro perfectamente revelado y estable, más allá de los futuros perturbados por las acechanzas y las suposiciones insidiosas de las barajas»469.



Il tempo favoloso è annunciato nel libro fin dalle prime righe, nel richiamo a un «tempo del ricordo» da parte di un personaggio del quale ancora non sappiamo nulla, naturalmente, il colonnello Aureliano Buendía, e dall'allusione a un'impresa che colpisce per la sua stranezza:

«Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre le llevó a conocer el hielo»470.



Si aggiunga la successiva descrizione di un mondo di mitica innocenza, il Macondo delle origini, e si avrà chiaro l'effetto accattivante e immediato del clima leggendario sul lettore:

«Macondo era entonces una aldea de veinte casas de barro y cañabrava construidas a la orilla de un río de aguas diáfanas que se precipitaban por un lecho de piedras pulidas, blancas y enormes como huevos prehistóricos. El mundo era tan redente, que muchas cosas carecían de nombre y para mencionarlas había que señalarlas con el dedo»471.



In questa atmosfera di leggenda, nella quale la realtà appare al tempo stesso trasfigurata ed esaltata nel continuo richiamo al tempo del ricordo, nell'allusione «entreverada» al futuro e al passato, nella ripetizione ostinata di fatti e di situazioni, prendono corpo le figure dei protagonisti, si costruiscono le cattedrali barocche della fantasia. Il lettore è aperto all'accettazione di ogni apparente irrazionalità; accetta, per citare solo qualche «momento» del libro, la stravaganza del patriarca José Arcadio Buendía, le facoltà divinatorie di Aureliano, la reazione delle cose di fronte a Ursula, il paventato -e infine realizzato- evento della creatura con la coda di «cerdo», gli odori persistenti dei personaggi, la grottesca levitazione del Padre Nicanor, come i poteri di morte di Remedios, la bella, e la sua ascesa al cielo afferrata alle lenzuola, l'inquietante presenza del defunto Prudencio Aguilar e la progressiva amicizia, dalla solitudine della morte, con il suo uccisore, José Arcadio Buendía -il ricordo del romanzo di Juan Rulfo, Pedro Páramo, sorge immediato472-; la previsione della propria morte, «cuando escampe», da parte di Úrsula, quella singolarmente lucida di Amaranta e la tranquillità con cui vi si prepara, le stravaganti imprese di un ramo della discendenza dei Buendía, gli allucinanti presentimenti del futuro di tanti personaggi, le trasformazioni e le morti dello zingaro Melquiades... Questi e numerosi altri «momenti» favolosi costituiscono il caos apparente di Cien años de soledad; essi vengono accettati come naturali dal lettore, nella stessa misura in cui accetta la dimensione umana -o disumana, meglio- del colonnello Aureliano, trasformato spiritualmente dalla guerra e dal potere, l'odio tenace di Amaranta per Rebeca, la profonda umanità di Úrsula, quella stessa di Amaranta Úrsula, che rivoluziona il clima cupo della famiglia Buendía al suo definitivo tramonto, il carattere «retraído», e già votato a concludere la tragedia del «clan», dell'ultimo Aureliano, il figlio della sventurata Meme e di Mauricio Babilonia.

Il clima magico del romanzo si avvantaggia spesso di richiami a imprese che paiono ripetere la dimensione favolosa di quelle della prima conquista e scoperta dell'America, le atmosfere incantate, o comunque straordinarie, dei libri di cavalleria. Il viaggio del messagero del patriarca José Arcadio Buendía per comunicare alle autorità le sue assurde scoperte relative all'applicazione degli effetti della lente alla guerra, sembra ripetere un'impresa remota di scoperta; nella rapida successione delle notazioni riassuntive delle peripezie attraversate dal protagonista si ripetono quelle dei primi avventurosi scopritori del mondo americano:

«[...] atravesó la sierra, se extravió en pantanos desmesurados, remontó ríos tormentosos y estuvo a punto de perecer bajo el azote de las fieras, la desesperación y la peste, antes de conseguir una ruta de enlace con las mulas del correo»473.



La dimensione assolutamente corrente del risultato dell'impresa, accentua, per contrasto, quella favolosa, come l'accentua la coscienza di José Arcadio che al di là di una tenue e tuttavia insormontabile linea di demarcazione tra Macondo e il mondo che sta all'altro lato del fiume universo per lui di dimensioni fantastiche -«están ocurriendo cosas increíbles» ed esiste ogni tipo di «aparatos mágicos»474.

La realtà allucinante del primo Macondo, quello della fondazione e dell'età degli «inventos», è circondata da un inquietante territorio che risuscita i conturbanti paesaggi delle terre incantate di cui abbondano il romanzo cavalleresco e le favole nordiche, popolate di animali strani, che presentano frequentemente sembianze umane:

«Al sur estaban los pantanos, cubiertos de una eterna nata vegetal, y el vasto universo de la ciénaga grande, que según testimonio de los gitanos carecía de límites. La ciénaga grande se confundía al occidente con una extensión acuática sin horizontes, donde había cetáceos de piel delicada con cabeza y torso de mujer, que perdían a los navegantes con el hechizo de sus tetas descomunales»475.



Il mito delle sirene è ripetuto e al tempo stesso deformato, in questo passaggio, attraverso l'accentuazione della nota erotica.

Al clima brumoso delle fantasie marinare dell'età romantica si avvicina l'apparizione improvvisa dello strano vascello ancorato nel bosco, scoperto improvvisamente da José Arcadio e dai suoi:

«[...] rodeado de helechos y palmeras, blanco y polvoriento en la silenciosa luz de la mañana, estaba un enorme galeón español. Ligeramente volteado a estribor, de su arboladura intacta colgaban las piltrafas escuálidas del velamen, entre jarcías adornadas de orquídeas. [...] Toda la estructura parecía ocupar un ámbito propio, un espacio de soledad y de olvido, vedado a los vicios del tiempo y a las costumbres de los pájaros. En el interior [...] no había más que un apretado bosque de flores»476.



La dimensione fantastica e leggendaria è approfondita, nella presentazione del vascello, dall'allusione a un tempo già di per sé favoloso e remoto, implicita nella qualificazione della nave come «galeón español»; la nota fantastica è potenziata sul piano estetico dall'allusione alle orchidee che ornano le «piltrafas» del velame e all'«apretado bosque de flores» che occupa l'interno dello scafo.

La trasformazione delle cose più semplici introdotte dai gitani in cose meravigliose, per la sensibilità particolare di José Arcadio, si accompagna alla resa «reale» del fantastico, attraverso la sovrapposizione di atteggiamenti e di gesti correnti e considerati normali. Così la «estera voladora», portata dagli zingari a Macondo, è accettata come un fatto naturale nel momento in cui passa, carica di bambini, all'altezza della finestra del laboratorio di José Arcadio, proprio per la sottolineata indifferenza con cui egli si comporta di fronte al fenomeno e la presentazione a livello quotidiano degli occupanti:

«Una tarde se entusiasmaron los muchachos con la estera voladora que pasó veloz al nivel de la ventana del laboratorio llevando al gitano conductor y a varios niños de la aldea que hacían alegres saludos con la mano, y José Arcadio Buendía ni siquiera la miró»477.



Di contro alla riduzione del fantastico a livello corrente sta la sua esaltazione quale elemento fuori della normalità. Valga a dimostrarlo l'inquietante fenomeno dell'insonnia, che ha come conseguenza l'oblio; finché il ritorno di Melquiades ristabilisce improvvisamente l'integrità del ricordo. Il significato di questo momento, che trascende il gioco fantastico, è stato inteso da Ernesto Volkening come timore di perdere il vivificante contatto coi giorni andati, l'affondare dell'uomo in uno stato di imbecillità, di «cretinismo ahistórico, condenado a consumirse, sea en el vano intento de echar mano del instante fugaz y escurridizo, sea en la construcción de modelos del futuro»478.

Sul medesimo piano dell'esaltazione degli elementi fantastici, senza tuttavia l'implicazione di una problematica quale quella allusa, ma come puro gioco dell'invenzione, sta la serie delle avventure della discendenza più estroversa dei Buendía, che culmina nella presentazione carnevalesca in cui fa la sua apparizione Fernanda del Carpio, recata «en andas doradas» da una «comparsa multitudinaria»479. Subito Aureliano Segundo se ne innamora e decide di sposarla. Neppure gli elementi per così dire «soprannaturali», come la levitazione del Padre Nicanor o l'assunzione al cielo di Remedios, la bella, valgono, nel loro «decorativismo religioso»480 a esaltare tanto l'elemento fantastico quanto lo splendido montaggio in cui è presentato il ritorno di José Arcadio Segundo dall'impresa con cui aveva tentato di stabilire un servizio regolare di navigazione sul fiume, per Macondo. In un'apoteosi sacro-profana, esaltata dalle implicazioni trasparenti dello erotismo, l'uomo ricompare a Macondo circondato dalle «espléndidas» matrone di Francia, destinate a rivoluzionare con le loro arti «magníficas» i metodi tradizionali dell'amore:

«[...] una extraña nave se aproximaba al puerto. [...] No era más que una balsa de troncos arrastrada mediante gruesos cables por veinte hombres que caminaban por la ribera. En la proa, con un brillo de satisfacción en la mirada José Arcadio Segundo dirigía la dispendiosa maniobra. Junto con él llegaba un grupo de matronas espléndidas que se protegían del sol abrasante con vistosas sombrillas, y tenían en los hombros preciosos pañolones de seda, y ungüentos de colores en el rostro, y flores naturales en el cabello, y serpientes de oro en los brazos y diamantes en los dientes»481.



L'elaborata costruzione barocca si impone all'attenzione del lettore per la nota di esaltata fantasia, che spicca in sinfonia cromatica nella favolosa presenza delle donne sul grigiore della dimensione fallimentare dell'impresa, resa in tal senso dal misero piedestallo sul quale si regge lo splendido edificio, una «balsa de troncos» trascinata a forza di braccia.

Elemento determinante del clima fantastico di Cien años de soledad è la dimensione iperbolica data alle cose, la tendenza a ingigantirle, ricorrendo con frequenza a una successione di dati numerici sconcertanti; tendenza che alcuni critici hanno fatto risalire all'influenza delle letture di Rabelais, confermata, apparentemente, alla fine del romanzo, dal fatto che Gabriel -l'autore- parte per Parigi portando con sé le opere complete dello scrittore francese482; interpretazione, tuttavia, che García Márquez ha ripudiato483, ma la questione appare scarsamente rilevante di fronte ai risultati ottenuti dal narratore. È fuor di dubbio che delle «quantità» fantastiche, delle dimensioni iperboliche si avvantaggia la nota favolosa di Cien años de soledad. Ventisei mesi dura l'impresa, senza risultato concreto, dei fondatori di Macondo per raggiungere il mare; nella spedizione che va alla ricerca della «ruta» che li unisca alla civiltà, José Arcadio Buendía e la sua gente stanno dieci giorni senza vedere il sole; dieci uomini sono necessari per abbattere il fondatore invaso da furia distruttrice e, processo iperbolico crescente, occorrono quattordici uomini per legarlo, venti per trascinarlo al castagno ove rimarrà legato fino alla vigilia della morte; allora occorreranno sette uomini solo per «llevarlo a rastras a la cama»484. Il «descomunal» José Arcadio, dalle spalle quadrate che «apenas cabían por las puertas»485, di ritorno improvvisamente a Macondo, dorme tre giorni per riposarsi del viaggio, mangia diciassette uova crude, gareggia di forza, nel bordello di Catarino, con cinque uomini insieme, esibisce una «masculinidad inverosímil, enteramente tatuada con una maraña azul y roja de letreros en varios idiomas» 486, col risultato di «rifarse» a dieci «pesos» tra le donne del luogo. Egli è reduce dall'aver compiuto sessantacinque volte il giro del mondo, dopo aver affrontato avventure strabilianti, in lontananze esotiche e misteriose, che ripetono il clima delle fantasie marine:

«En un mediodía radiante del Golfo de Bengala su barco había vencido un dragón de mar en cuyo vientre encontraron el casco, las hebillas y las armas de un cruzado. Había visto en el Caribe el fantasma de la nave corsario de Victor Hugues, con el velamen desgarrado por los vientos de la muerte, la arboladura carcomida por cucarachas de mar, y equivocado para siempre el nimbo de la Guadalupe»487.



José Arcadio Segundo è presentato da García Márquez come un «protomacho» dalla respirazione «volcánica»; persino l'ibrido vale, nella misura iperbolica, a imporne la non comune presenza, di essere che «se comía medio lechón en el almuerzo y cuyas ventosidades marchitaban las flores»488; quello stesso che, con potenza «ciclónica» e con «tres zarpazos» si impossessa di Rebeca, «y la descuartizó como a un pajarito»489. L'iperbole è la misura anche della descrizione della luna di miele «escandalosa» della coppia490, col risultato di concludere pienamente un clima di estrema esaltazione del reale nella dimensione del fantastico.

Il gigantismo si manifesta anche nell'allusione alle trentadue rivoluzioni fallite del colonnello Aureliano Buendía, uscito incolume da quattordici attentati e da settantatrè imboscate, sfuggito a un plotone d'esecuzione e salvatosi persino, involontariamente, da un tentativo di suicidio. La medesima esaltazione iperbolica delle dimensioni della realtà si verifica nella menzione dell'arrivo di Meme alla casa dei Buendía, accompagnata da quattro monache e da sessantotto compagne di collegio, con il conseguente acquisto di settantadue «bacinillas»; nel pantagruelico banchetto in cui Aureliano Segundo gareggia con «la Elefanta»; nell'iperbolico treno della morte, di quasi duecento vagoni «de carga», che trasporta le vittime del massacro con cui l'esercito pone termine allo sciopero dei lavoratori della «bananera». In una dimensione più apparentemente normale, per la puntualità dei dati cronologici, si presenta la lunga pioggia che cade, ininterrotta, su Macondo, per quattro anni, undici mesi e due giorni, sconvolgendo tutto, facendo crescere fiori tra gli ingranaggi delle macchine, creando un'atmosfera così umida «que los peces hubieran podido entrar por las puertas y salir por las ventanas, navegando en el aire de los aposentos»491.

Al clima fantastico recano un contributo determinante le materializzazioni dell'irreale e le srealizzazioni della realtà. Se il morto Prudencio Aguilar, ad esempio, appare «Ya casi pulverizado por la profunda decrepitud de la muerte»492, parla come un essere vivente con José Arcadio Buendía e più tardi, morto il patriarca, continua con lui ad abitare il luogo sotto il castagno dove visse, il galeone spagnolo trovato nella selva sfuma la sua consistenza materiale nell'irreale, così come nell'irreale sfuma Remedios, la bella, nella continuità di un potere mortale che colpisce gli uomini «más allá de la muerte, hasta el polvo de los huesos»493. La morte, al contrario, si materializza; Amaranta la vede, infatti, come una donna per nulla inquietante -«[...] no había nada pavoroso en la muerte, porque era una mujer vestida de azul con el cabello largo, de aspecto un poco anticuado, y con un cierto parecido a Pilar Ternera en la época en que las ayudaba en los oficios de cocina»494-; mentre la realtà del colonnello Aureliano finisce per dissolversi, sul finire del libro, nella irrealtà, abbandonato dalla memoria degli uomini. La lunga pioggia caduta su Macondo ha il potere, infatti, di cancellare anche il ricordo:

«Todo andaba así desde el diluvio. La desidia de la gente contrastaba con la voracidad del olvido, que poco a poco iba carcomiendo sin piedad los recuerdos [...]»495.



Per contro, nella stanza di Melquíades, il «cuarto de las bacinillas», dove l'ultimo Aureliano decifrerà e vivrá contemporaneamente la propria fine, permane un irreale tempo immobile ed eterno: «siempre era marzo y siempre era lunes»496.

La realtà assume trasparenze irreali nella decadenza di Macondo. Persino il postribolo delle «muchachitas tristes que se acostaban por hambre», retto da una «mamasanta» che tenta di dare consistenza di realtà all'irrealtà con un continuo aprire e chiudere di porte, sfuma nello irreale; come le «putitas», che divengono «pura ilusión», perché in quel luogo «hasta las cosas tangibles eran irreales»497.

Il tempo, nel suo corso e ricorso, nel continuo intersecarsi e fondersi, retrocedere e precorrere, nel ripetersi circolare -«[...] rueda giratoria que hubiera seguido dando vueltas hasta la eternidad, de no haber sido por el desgaste progresivo e irremediable del eje»498, secondo interpreta lucidamente Pilar Temerà- amalgama gli elementi accennati499. L'ultima comparsa degli zingari, eredi decaduti della «ciencia» di Melquíades, con la ripetizione ormai senza prestigio dei fenomeni ai quali, con ben altro interesse, avevano assistito un tempo i fondatori di Macondo, attesta l'usura irreparabile dell'asse su cui tale mondo si regge e conclude definitivamente il ciclo, suggella un'epoca e un universo finiti.

Quanto sottolineato dà al libro di García Márquez una dimensione favolosa e magica, che prende totalmente il lettore, sconvolgendone le capacità razionali, obbligandolo, per districarsi in quel mondo caotico -cui reca un sostanziale contributo, quanto a caos apparente, la ripetizione nel tempo dei nomi dei Buendía-, a sforzi continui di collegamento, all'esercizio costante della memoria, facendolo così parte attiva nel romanzo.

3.- Attraverso tanta profusione di fantasia si fa strada in Cien años de soledad una realtà violenta che finisce per imporsi sulle suggestioni della favola e gli allettamenti del mito. Se si considera che dei venti capitoli -senza numerazione nel libro- di cui il romanzo si compone, cinque -dal quinto al nono- trattano prevalentemente il tema della guerra e, dopo soli due capitoli -decimo e undicesimo- in cui Macondo è presentato nell'età più prospera, ma di effimera durata, il dramma della presenza economica straniera, la «bananera», ne occupa altri quattro -dal dodicesimo al quindicesimo-, per concludere nel clima di progressiva decadenza cui è dedicato il resto del romanzo -dal sedicesimo al ventesimo capitolo-, appare chiaro quanto peso abbia la realtà dolente nella opera di García Márquez.

Già in apertura di libro la preistoria di Macondo -narrata dal primo al quinto capitolo (prima metà)- si colora, significativamente, con un richiamo immediato a una dura realtà, nella presentazione dell'istante futuro in cui il colonnello Aureliano Buendía, posto di fronte al plotone che deve fucilarlo, ricorda il momento incantato in cui il padre lo condusse a conoscere il ghiaccio. La figura del militare, la prospettata scena di fucilazione, dominano, perciò, fin dall'inizio, Cien años de soledad, quali simboli della guerra, quindi della violenza. Non si dimentichi che Macondo e i suoi abitanti rappresentano un mondo tiranneggiato da sentimenti negativi, dilaniato dall'odio. La violenza si manifesta nell'ambito dei sentimenti, prima che in quello della realtà esterna. L'odio tenace di Amaranta per Rebeca ne è l'esempio più appariscente; la sua opposizione alla felicità di quest'ultima arriva a contemplare freddamente l'eventualità del delitto; è quanto dice alla rivale:

«-No te hagas ilusiones. Aunque me lleven al fin del mundo encontraré la manera de impedir que te cases, así tenga que matarte»500.



E se José Arcadio Buendía, il fondatore, uccide Prudencio Aguilar per futili motivi d'onore, Fernanda del Carpio -«una mujer perdida para el mundo»501, per mancanza di veri sentimenti-, provoca l'eliminazione concreta dell'amante della figlia, Mauricio Babilonia -un proiettile «lo redujo a cama por el resto de su vida. Murió de viejo en la soledad [...]»-, rinchiude questa in un monastero per il resto dei suoi giorni e obbliga il figlio nato dalla relazione a crescere nell'isolamento, dopo aver pensato, sia pure per un momento, seriamente a eliminarlo, anche se «a la hora de la verdad le faltó valor para cumplir la última determinación de ahogarlo en la alberca del baño»502.

Il mondo violento di Macondo si rivela in tutta la sua dimensione sconcertante durante la serie di guerre intraprese dal colonnello Aureliano e in occasione dello sciopero dei lavoratori della «bananera». Ma il colonnello si spinge sulla via della guerra mosso all'origine dal disgusto per gli esempi di violenza che si verificano nel paese. Alla violenza morale, costituita dai brogli elettorali di Apolinar Moscote, suo suocero, in favore del partito conservatore al governo, segue la guerra civile, l'imposizione della legge marziale, col conseguente «terror silencioso»503 della parte liberale e le violenze, spesso gratuite, perciò più sconvolgenti, dei soldati. L'episodio che decide il colonnello Aureliano a ricorrere alle armi è l'uccisione, «a culetazos en plena calle»504, di una donna morsa da un cane rabbioso. La brutalità dell'atto è resa con scarne espressioni e sottolinea la nota violenta che caratterizza in genere l'esercito nel mondo americano. Svelata la commedia della democrazia, García Márquez stigmatizza il comportamento dei militari. Quando, più tardi, José Arcadio, l'apprendista Papa, tornato a Macondo e datosi a vita dissoluta ed effeminata, è affogato nell'«alberca» di casa dai suoi giovani amici, l'azione di costoro viene paragonata dallo scrittore a quella dei militari: «Fue una acción tan rápida, metódica y brutal, que pareció un asalto de militares»505. La violenza ha sempre per protagonisti, nei suoi momenti più brutali, gli uomini d'arme e sono i militari a compiere l'indiscriminato massacro degli scioperanti della «bananera», sul piazzale della stazione. José Arcadio Segundo, scampato benché ferito alla carneficina, ricorderà per tutta la vita uno spettrale e iperbolico treno della morte, procedente a fari spenti, «con casi doscientos vagones de carga» zeppi di corpi morti506; sopra i vagoni i «bultos oscuros de los soldados con las ametralladoras emplazadas»507.

García Márquez sottolinea la portata dell'atto violento, insistendo sulla paura dei superstiti che, ossessionati dall'imposta versione ufficiale, brancolano tra realtà e irrealtà, poiché il terrore li costringe a negare che mai vi siano stati morti, che nulla sia mai accaduto a Macondo508. La violenza dei militari sui cittadini sospetti, realizzata col favore delle tenebre, acquista nel libro una dimensione allucinante, per la doppiezza della loro condotta, grottescamente infantile alla luce del sole, di una crudeltà spietata nelle tenebre:

«Durante el día los militares andaban por los torrentes de las calles, con los pantalones enrollados a media pierna, jugando a los naufragios con los niños. En la noche, después del toque de queda, derribaban puertas a culetazos, sacaban a los sospechosos de sus camas, y se los llevaban a un viaje sin regreso»509.



La permanenza di un elemento fantastico nella prima parte del passo citato, accentua il significato cupo della seconda, che sottolinea il clima di persecuzione. Come ne Los ojos de los enterrados di Miguel Ángel Asturias i passi dei soldati hanno sempre un significato di morte510, in Cien años de soledad lo hanno i «golpes inconfundibles de las culatas»511. Proprio perché incarna la violenza che tormenta il mondo americano, l'esercito è rappresentato da García Márquez come un animale terrificante e multicefalo. In modo simile lo aveva descritto Arguedas. L'avvicinarsi di tre reggimenti a Macondo, per porre fine allo sciopero della «bananera», è visto come quello di un drago mitologico dal respiro pestilente: «Su resuello de dragón multicéfalo impregnó de vapor pestilente la claridad del mediodía»512.

Per meglio rendere l'abnorme realtà del mostro, lo scrittore insiste sulla natura bestiale delle sue componenti; il ripudio dell'esercito è totale; García Márquez distrugge le caratteristiche umane dei militari, rappresentandoli in una uniformità animale e nella completa insensibilità morale di fronte alla propria condizione, accecati dà una logora rettorica assorbita passivamente:

«Eran pequeños, macizos, brutos. Sudaban con sudor de caballo, y tenían un olor de carnaza macerada por el sol, y la impavidez taciturna e impenetrable de los hombres del páramo. [...] todos idénticos, hijos de una misma madre, y todos soportaban con igual estolidez el peso de los morrales, las cantimploras y la vergüenza de los fusiles con las bayonetas caladas, y el incordio de la obediencia ciega y el sentido del honor»513.



Dal suo mondo ormai chiuso alla luce, l'attenta Ursula, che tanto ha lottato, nella famiglia Buendía, per preservare il «sentido común» in quella casa «extravagante»514, e poi sempre per impedire la catastrofe, percepisce chiaro il significato minaccioso della presenza dell'esercito e leva in alto la mano come a scongiurare il maleficio: «Úrsula los oyó pasar desde su lecho de tinieblas y levantó la mano con los dedos en cruz»515.

Il «puto mundo», denunciato drammaticamente nella sua perfida sostanza da José Arcadio Segundo nell'istante in cui cade ferito dai soldati sul piazzale della stazione516, si costruisce soprattutto sulla violenza di cui i soldati sono il simbolo. La condizione americana, stretta nella morsa di crudeli satrapie politiche reggentisi sulla forza militare o da questa espresse, è denunciata con durezza dallo scrittore. Il suo impegno non potrebbe essere più manifesto. L'indegnità dell'elemento militare è tale, per García Márquez, che egli fa pronunciare parole di disprezzo nei suoi riguardi anche da un generale, il conservatore José Raquel Moncada, il quale considera la gente d'armi «holgazanes sin principios, intrigantes y ambiciosos, expertos en enfrentar a los civiles para medrar en el desorden»517.

L'odio del colonnello Aureliano Buendía per i militari è forse pari a quello che egli nutre per i politici. La farsa delle ideologie è denunciata dallo scrittore con ironia tagliente in diverse occasioni. La «guerra sin futuro»518 è già una realtà per il colonnello Aureliano, allorché si avvede di star lottando solo per orgoglio. In epoca successiva il colonnello Gerineldo Márquez sarà il primo a percepire il «vacío de la guerra»519 e, finalmente, preso nel gioco dei politici, anche Aureliano si accorge che tutto è in funzione del potere, che alla lotta manca il sostegno di un qualsiasi ideale520.

I lugubri avvocati «vestidos de negro»521 sono i simboli ricorrenti della sconfitta degli ideali e del trionfo della farsa politica. In una pagina esemplare García Márquez stigmatizza l'ibrida atmosfera che circonda il potere; pensando agli inquietanti personaggi il colonnello Aureliano se li rappresenta, come in un incubo, intenti a interpretare con preoccupata e servile premura le parole del presidente, mentre il suo assillo è trovar scampo per i suoi uomini:

«En noches de vigilia, tendido bocarriba en la hamaca que colgaba en el mismo cuarto en que estuvo condenado a muerte, evocaba la imagen de los abogados vestidos de negro que abandonaban el palacio presidencial en el hielo de la madrugada con el cuello de los abrigos levantado hasta las orejas, frotándose las manos, cuchicheando, refugiándose en los cafetines lúgubres del amanecer, para especular sobre lo que quiso decir el presidente cuando dijo que sí, o lo que quiso decir cuando dijo que no, y para suponer inclusive lo que el presidente estaba pensando cuando dijo una cosa enteramente distinta, mientras él espantaba mosquitos a treinta y cinco grados de temperatura, sintiendo aproximarse el alba temible en que tendría que dar a sus hombres la orden de tirarse al mar»522.



Benché datosi alla rivolta armata e alla guerra per reazione alla violenza, il colonnello Aureliano Buendía finisce presto per incarnarla egli stesso. Rifuggendo dalla mistica dell'attentato personale predicata dal dottor Noguera523, egli cade, tuttavia, nelle aberrazioni, del potere. García Márquez fa del personaggio, malgrado non lo privi mai di una dimensione umana, un simbolo efficace della crudeltà del potere, ben diverso, s'intende, come dimensione drammatica, dalla gratuita crudeltà di Arcadio Buendía, nelle cui mani sta per qualche tempo il governo di Macondo. Arcadio si rivela presto il più crudele dei governanti che abbia avuto il paese; la stessa Ursula gli si solleva contro e lo esautora, inaugurando un'epoca di tranquillità col suo governo personale. La fucilazione del piccolo tiranno, all'arrivo delle truppe governative, elimina un essere inumano e spregevole, per il quale il potere è stato solo un mezzo per sfogare il risentimento della sua precedente soggezione e impotenza.

Il colonnello Aureliano offre una ben diversa dimensione, dominata com'è la sua vicenda, la sua figura, dal fallimento totale delle sue imprese. Delle trentadue rivoluzioni armate, vale a dire di vent'anni di guerra civile, non rimarrà, infatti, alla fine, altro che una targa dedicata al suo nome, apposta dopo la sua morte a una via di Macondo. Se Arcadio aveva esperimentato la «seguridad del poder»524, vale a dire l'impunità della violenza, il colonnello Aureliano trova nel potere la propria maturità, che lo chiude, tuttavia, ai sentimenti. Quando egli torna a Macondo prigioniero, circondato dalla «omnipotencia de los militares»525 e dalle manifestazioni della loro violenza, Úrsula rimane «cohibida» di fronte alla maturità del figlio, colpita soprattutto dalla sua aria di dominio, dal «resplandor de autoridad que irradiaba su piel»526. È questo il segno che egli sfuggirà alla morte; il plotone del capitano Roque Carnicero, infatti, terrorizzato dalle voci della vendetta che seguirà alla morte del colonnello, si unisce a lui all'ultimo momento, per una nuova guerra totale al regime. Nell'inatteso finale lo scrittore denuncia, è evidente, la facilità con cui i militari, in regimi avventurosi, mutano bandiera.

Si inaugura, così, un'epoca di estrema violenza, mentre il mito dell'ubiquità del colonnello ingigantisce agli occhi della gente la sua figura. Tempi gravidi di morte sono annunciati anche dalla comparsa dell'Ebreo Errante, e una lunga guerra civile distrugge il paese, non sostenuta da altro ideale che dal desiderio di esercitare il potere. Aureliano ne è trasformato; quando Úrsula lo rivede, ha l'impressione di trovarsi davanti un intruso. È il momento in cui il colonnello crea intorno a sé una barriera invalicabile. Il potere reca con sé il terrore per la propria incolumità e insieme una ripugnanza fisica per il contatto con gli altri. Aureliano, infatti, impartisce ordini severissimi perché nessuno, neppure la madre, gli si avvicini a meno di tre metri. Perduto nell'«abismo de la grandeza», i suoi «edecanes» tracciano intorno alla sua persona, in ogni luogo ove egli si fermi, un circolo che nessuno potrà superare:

«Fue entonces cuando decidió que ningún ser humano, ni siquiera Úrsula, se le aproximara a menos de tres metros. En el centro del círculo de tiza que sus edecanes trazaban dondequiera que él llegara, y en el cual sólo él podía entrar, decidía con órdenes breves e inapelables el destino del mundo»527.



Di pari passo con il crescere iperbolico del potere, García Márquez segnala in Aureliano il procedere della «frialdad de las entrañas»528. La vecchiaia imminente è mantenuta lontana dalla mancanza dei sentimenti. Úrsula percepisce nel figlio il significato dèi mutamento: «"Dios mio", se dijo Úrsula, alarmada. "Ahora parece un hombre capaz de todo"»529.

Il potere elimina, coi sentimenti, la distinzione tra amici e nemici; Aureliano permette con estrema indifferenza che vengano fucilati tutti gli ufficiali dell'esercito regolare trovati a Macondo e con la medesima indifferenza fa fucilare il generale Moncada, condanna a morte l'amico, colonnello Gerineldo Márquez. Solo la decisione di Úrsula, che affronta arditamente il figlio, riesce a salvare l'ultimo dalla morte. La vanificazione degli ideali di reazione alla violenza, che stavano all'origine dell'azione di Aureliano, è opera della perversione del potere. Il generale Moncada, prima di morire, rimprovera al colonnello di essere divenuto in tutto uguale ai militari da lui odiati; ciò significa per Aureliano una vita completamente perduta, un'attività sanguinosa interamente sterile:

«Lo que me preocupa -agregó- es que de tanto odiar a los militares, de tanto combatirlos, de tanto pensar en ellos, has terminado por ser igual a ellos. Y no hay un ideal en la vida que merezca tanta abyección»530.



Allo stile dei militari il colonnello Aureliano fa saccheggiare la casa della vedova Moncada. «Cuídate el corazón», è l'avvertimento del colonnello Gerineldo Márquez, «Te estás pudriendo vivo»531. Il processo di isolamento da ogni contatto umano fondato sulla validità dei sentimenti e dalla realtà, si accentua nel colonnello Buendía in proporzione diretta all'aumentare della sua potenza; come in un circolo vizioso il potere porta allo squilibrio e alla solitudine: «Extraviado en la soledad de su inmenso poder empezó a perder el rumbo»532.

Il recupero di Aureliano prende le mosse dalla ribellione di Úrsula; egli si avvede improvvisamente che gli sono occorsi quarant'anni e trentadue guerre per scoprire i «privilegios de la simplicidad»533, e incomincia a sentire di non poter più sopportare il «sabor a mierda de la guerra»534. Il ripudio di essa, sottolineato dalla crudezza dei termini, spinge il colonnello Aureliano ad accentuare la violenza delle sue azioni per porvi termine definitivamente. In questa impresa egli giunge a «incancelables extremos de crueldad»535 e mai come ora si mostra miglior soldato, perché agisce mosso da un vero fine, la liberazione di se stesso. Quando fa di nuovo ritorno a Macondo, sotto la scorta dell'esercito regolare al quale si è arreso, in attesa di firmare il trattato di pace, Aureliano è finalmente un essere umano e rivedendo sua madre si rende conto che essa è l'unica persona che abbia saputo «desentrañar su miseria»536.

Avverso alla violenza, quindi alla guerra e agli uomini d'arme, Gabriel García Márquez nega, tuttavia, al suo protagonista, la possibilità di un vero recupero dei sentimenti. Neppure lo spettacolo di devastazione della madre, di cui improvvisamente prende coscienza -«Tenía la piel cuarteada, los dientes carcomidos, el cabello marchito y sin color, y la mirada atónita»537- riesce a suscitare in lui un sentimento di pietà. La guerra ha distrutto definitivamente i sentimenti e l'uomo naufraga nella solitudine. È il risultato non solo dell'aberrazione del potere, ma di ogni forma di violenza.

Il resto della sua vita, il colonnello Aureliano Buendía lo trascorre nell'amarezza del mancato suicidio, nello sdegno per «la guerra triste de la humillación cotidiana»538 dei suoi uomini, che attendono invano la pensione promessa dal governo. È la vicenda patetica del protagonista di un libro precedente, El coronel no tiene quien le escriba. I giorni di Aureliano sono amareggiati dai tentativi del governo di sfruttare a fini propagandistici il suo nome, mentre egli sta «pudriéndose de viejo en la exquisita mierda de la gloria»539. La demolizione sistematica dei miti della guerra e della gloria rende in profondità il fallimento del protagonista. Per il colonnello il rudimentale laboratorio d'oreficeria diviene, nel circolo vizioso della trasformazione delle monete d'oro in «pescaditos», un rifugio apparente, in realtà un mondo chiuso che accentua la sua solitudine, una sorta di anticipazione della morte. Da tale mondo Aureliano è sottratto una sola volta, alla vigilia della fine, dall'apparizione di un circo, nel cui spettacolo fantastico, minato intimamente dalla tristezza, percepisce più profondo il freddo di una solitudine che prelude alla morte. Aureliano si avvicina allora, come per un atto abituale, all'albero che sembra simboleggiare la vita della famiglia, il castagno cui fu legato per anni il fondatore, in realtà attratto, come da un rifugio, a ricongiungersi con le proprie radici, e muore:

«Entonces fue al castaño, pensando en el circo, y mientras orinaba trató de seguir pensando en el circo, pero ya no encontró el recuerdo. Metió la cabeza entre los hombros, como un pollito, y se quedó inmóvil con la frente apoyada en el tronco del castaño»540.



Gabriel García Márquez colora di tinte patetiche la morte del colonnello Aureliano Buendía, con semplici notazioni, per contrastanti piani che hanno il compito di sottolinearne la statura umana, e al tempo stesso eccezionale. Nell'estrema semplicità della morte il protagonista acquista, infatti, una dimensione che neppure la guerra aveva saputo dargli. Simbolo dell'aberrazione del potere nella violenza, il personaggio denuncia il pensiero dominante dello scrittore: non esiste movimento rivoluzionario valido quando sia avulso dal fortificante contatto col proprio mondo, e l'uomo che si abandona alla violenza inaridisce.

Il colonnello Aureliano Buendía si riscatta solo nella morte da un lungo momento non qualificante della sua esistenza, proprio in virtù del significato espiatore che assume il periodo di passività e di solitudine seguito alla pace di Neerlandia. La sua attività e la sua figura esaltano, tuttavia, la condizione tormentata del mondo americano dilaniato dalla violenza.

4.- Con la morte del colonnello Aureliano Buendía inizia, in Cien años de soledad, la decadenza definitiva della famiglia e di Macondo, il processo di distruzione -o di autodistruzione per i Buendía- che li cancellerà dalla faccia della terra. Un lungo crepuscolo al quale García Márquez dedica più di un terzo del romanzo. In un clima di fatale isolamento e di solitudine, gli ultimi esponenti del «clan» trascorrono la loro esistenza tra i presagi della fine e la concreta e intermittente manifestazione della morte541, opponendo ad essa, talvolta, un fragile schermo, come fa Amaranta ricorrendo all'artificio di prolungare, nuova tela di Penelope, la confezione del proprio sudario542.

Dopo la scomparsa di Aureliano le morti in Macondo e in casa Buendía si succedono a ritmo accelerato. Muore, infatti, Amaranta; scompaiono per sempre dalla scena, anche se non defungono materialmente, Meme e Mauricio Babilonia; l'intervento dell'esercito contro i lavoratori della «bananera» cancella d'un sol colpo dal paese più di tremila persone; i soldati compiono, quindi, un sotterraneo lavoro di finitura, eliminando col favore delle tenebre altri cittadini sospetti. La lunga pioggia di quattro anni, undici mesi e due giorni sommerge Macondo, come a istanza del fantomatico e onnipotente Signor Brown, condannando gli abitanti superstiti a vegetare in una sorta di inframondo che li sottrae a ogni azione. Nel clima di fatale disfacimento, García Márquez introduce una visione quasi irreale, inquietante, di valore simbolico, il funerale del colonnello Gerineldo Márquez, che passa accompagnato da pochi superstiti dell'ultima campagna, allegoria significativa del processo di decomposizione e di morte che domina il paese:

«No habría podido concebirse un cortejo más desolado. Los chorros de agua triste que caían sobre el ataúd [...]. Detrás de la carreta, algunos descalzos, y todos con los pantalones a media pierna, chapaleaban en el fango los últimos sobrevivientes de la capitulación de Neerlandia»543.



Il clima di disfacimento e di decadenza si riflette anche nelle passioni. Petra Cotes e Aureliano Segundo se ne rendono conto; i tempi sono mutati: «Ya los tiempos no están para estas cosas», afferma la donna544, non sono più adatti, cioè, alle «locuras» dell'amore; anche Aureliano Segundo se ne convince, quando negli assurdi specchi del soffitto, posti all'epoca della pienezza erotica della passione, vede riflessa non più la bella schiena giovanile dell'amante, ma la sua spina dorsale, «como una hilera de carretes ensartados en un mazo de nervios marchitos»545.

Il senso della distruzione è reso da García Márquez attraverso immagini inquietanti; egli insiste su particolari apparentemente minimi, ma che comunicano immediato il senso della fine. La rovina coinvolge cose e persone. Agli occhi di Aureliano Segundo gli abitanti di Macondo appaiono immersi in una lunga vigilia di morte, nell'attesa attonita che cessi la pioggia. L'immagine corrente si esalta in una dimensione irreale:

«[...] Los había visto al pasar, sentados en las salas con la mirada absorta y los brazos cruzados, sintiendo transcurrir un tiempo entero, un tiempo sin desbravar, porque era inútil dividirlo en meses y años, y los días en horas, cuando no podía hacerse nada más que contemplar la lluvia [...]»546.



L'usura del mondo, il «desgaste» del clima familiare, si manifesta anche nella monotonia della «cantaleta» con cui Fernanda assale il marito; lungo brano in cui lo scrittore raggiunge uno dei suoi momenti più validi artisticamente, coniugando l'umorismo con l'ossessione, in una litania grottesca e interminabile547, che ricorda l'altrettanto ossessionante lamentazione della donna derubata dell'uovo, nel Corbacho dell'Arcipreste de Talavera548.

Nell'imperversare della pioggia Úrsula, ormai decrepita, confonde il tempo reale con il passato, immedesimandosi in eventi antichi e dando modo ai ragazzi, Amaranta Úrsula e Aureliano, di prendersi gioco di lei evocandole intorno una parentela irreale. Alla fine della pioggia Macondo è un villaggio in rovina, anticipazione del «vento profético» che anni dopo lo distruggerà definitivamente. Úrsula, con la sua sensibilità particolarissima, percepisce l'avanzare della rovina nelle cose:

«Moviéndose a tientas por los dormitorios vacíos percibía el trueno continuo del comején taladrando las maderas, y el tijereteo de la polilla en los roperos, y el estrépito devastador de las enormes hormigas coloradas que habían prosperado en el diluvio y estaban socavando los cimientos de la casa»549.



La morte di Úrsula coincide con la ricomparsa dell'Ebreo Errante e con un calore eccezionale che fa strage di uccelli. Dopo la matriarca, muoiono contemporaneamente i gemelli José Arcadio Segundo e Aureliano Segundo, e più tardi Fernanda. Il processo di decadimento dei Buendía si accelera con l'arrivo dell'apprendista Papa, José Arcadio, e col clima corrotto e decadente che diffonde nella casa. Quando anch'egli muore, con l'ultimo pensiero ai rapporti incestuosi intercorsi anni prima con la zia, Amaranta, la decadenza è completa. Né vale a infondere vigore ai resti di un «clan» agonizzante la giovinezza e lo spirito d'iniziativa di Amaranta Úrsula, presa presto nell'intrico dell'amore incestuoso, dal quale nascerà -realizzazione della profezia paventata- il figlio con la coda di «cerdo»550.

In questo «paraíso de desastres» un senso di generale aspettazione della fine circonda il mondo a sé in cui finiscono per vivere Amaranta Úrsula e Aureliano, «flotando en un universo vacío, dónde la única realidad cotidiana y eterna era el amor»551. Nell'antico «barrio de tolerancia» stanno le allegorie del peccato, prive ormai d'ogni incanto, le «macilentas y gordas viudas de nadie, las bisabuelas francesas y las matriarcas babilónicas», che continuano in un tempo immobile, «esperando junto a la victrola»552. Esse rappresentano solo il ricordo di ciò che fu Macondo.

La vitalità del sesso si raccoglie nella negra Nigromanta. Un clima irreale prende corpo dalle evocazioni del «burdel de mentiras» che sorge alla periferia di Macondo, dove le «muchachitas» si accoppiano solo per fame553. Le dimostrazioni di virilità di Aureliano nella casa delle «putitas» sono solo un tentativo di affermare la propria esistenza su una realtà sfuggevole, ormai quasi del tutto perduta. Solo Pilar Ternera, nel suo «burdel zoológico», sembra incarnare un tempo eterno e immobile che resiste al logorio universale. Ma anche la matriarca nel campo dell'illegittimità della famiglia Buendía, la donna che non sta in opposizione a Úrsula, matriarca legittima, ma la complementa quale iniziatrice sessuale di varie generazioni del «clan», giunge alla morte. Quando ciò accade si percepisce che il mondo dei Buendía è finito; la sua scomparsa è presentata come quella di una regina mitica. Úrsula Iguaràn, nonostante «un cierto aturdimiento» della natura, che precede la sua morte, avvertito da Santa Sofía de la Piedad -«[...] que las rosas olían a quenopodio, que se le cayó una totuma de garbanzos y los granos quedaron en el suelo en un orden geométrico perfecto y en forma de estrella de mar, y que una noche vio pasar por el cielo una fila de luminosos discos anaranjados»-554 e il calore insopportabile, con la conseguente strage di uccelli, che ne accompagna la scomparsa -«[...] este mediodía hubo tanto calor que los pájaros desorientados se estrellaban como perdigones contra las paredes y rompían las mallas metálicas de las ventanas para morirse en los dormitorios»-555 se ne va dal mondo quasi in sordina: «Amaneció muerta el Jueves Santo»556. Pilar Ternera parte, invece, accompagnata dallo splendore rituale che circonda i personaggi dotati di poteri magici e che costituiscono il centro intorno a cui tutto ruota nelle società primitive. In un quadro che ha del sacro e del profano insieme, con un risultato di indimenticabile grandezza, il seppellimento di Pilar Ternera chiude il ciclo vitale di Macondo e dei Buendía. I riti funebri pagani si ripetono nel decorativismo che accompagna il funerale della matriarca; la fine del mondo è simbolicamente rappresentata nel tributo dei gioielli che le mulatte del seguito gettano nella fossa, tra i salmi dissacratori delle «putas». Neppure nell'ultimo istante Pilar Ternera perde la sua dignità; la sua figura acquista, anzi, maestà nel simbolico seppellimento come fosse una regina, seduta sul «mecedor de mimbres», al centro della pista da ballo del «burdel»:

«Las mulatas vestidas de negro, pálidas de llanto, improvisaban oficios de tinieblas mientras se quitaban los aretes, los prendedores y las sortijas, y los iban echando en la fosa, antes de que la sellaran con una lápida sin nombre ni fechas y le pusieran encima un promontorio de camelias amazónicas. Después de envenenar a los animales, clausuraron puertas y ventanas con ladrillos y argamasa, y se dispersaron por el mundo con sus baúles de madera [...]»557.



Il significato emblematico del rito è evidente; una pietra tombale viene posta su tutto il passato: «Era el final. En la tumba de Pilar Ternera, entre salmos y abalorios de putas, se pudrían los escombros del pasado [...]»558.

Di fronte sta un presente che tenta ancora di salvarsi dal crollo del tempo, dalle rovine di un mondo condannato: Gabriel -l'autore- e i suoi amici, che rappresentano l'inserimento scoperto della vicenda umana di Gabriel García Márquez nella storia di Macondo. Con la partenza di costoro dal paese -dopo quella del vecchio libraio catalano, che ne fu l'aio spirituale559-, la prospettiva si apre su un panorama diverso, l'Europa, più concretamente Parigi, per Gabriel, col riferimento alla rue Dauphine e alla stanza dove -implicazione ennesima di personaggi del nuovo romanzo, in questo caso di Rayuela di Cortázar- doveva morire Rocamadour560.

La morte di Pilar Ternera è solo il penultimo atto materiale della catastrofe di Macondo e dei Buendía; l'ultimo sarà, nel verificarsi della profezia e nell'interpretazione dei manoscritti dello zingaro Melquíades, il vento biblico che distruggerà il paese dalla faccia della terra. Mentre Aureliano scopre il significato dell'ordine simultaneo dato dallo zingaro agli episodi della vita della famiglia e del paese, «de modo que todos coexistieran en un instante»561, si leva il vento misterioso, «el viento tibio, incipiente, lleno de voces del pasado, de murmullos de geranios antiguos, de suspiros de desengaños anteriores a las nostalgias más tenaces»562.

La confusione del mondo in cui vive si va chiarendo a Aureliano Babilonia nel corso della lettura dei manoscritti misteriosi. Ad un determinato momento egli si trova a decifrare l'ultimo istante della sua stessa vita, quando già Macondo è «un pavoroso remolino de polvo y escombros centrifugado por la cólera del huracán bíblico»563.

Con Aureliano Babilonia, bastardo dei Buendía e incestuoso, e col frutto del suo amore per Amaranta Úrsula divorato dalle formiche -mentre la donna muore dissanguata-, si conclude il ciclo vitale del «clan», predestinato sin dalle origini alla rovina. In esso sembra riflettersi pienamente il pessimismo di García Márquez di fronte al futuro del mondo americano; senonché il romanzo termina con una chiara apertura alla speranza: il futuro è fondato, infatti, su quel manipolo di giovani che, sul finire del libro, sfuggono alla catastrofe di Macondo. Sono i superstiti di un universo perduto, del quale raccolgono le esperienze, i nascosti valori fattisi largo, alla fine, durante tutto il crepuscolo di Macondo e dei Buendía, nei personaggi di Cien años de soledad. García Márquez umanizza i protagonisti del romanzo sul suo finire; nel pieno vigore dell'attività vitale essi apparivano quasi sempre privi di una vera dimensione interiore, o almeno carenti di quei sentimenti che non significassero odio, risentimento, eccezione rilevante Úrsula Iguarán. Il tramonto e la sventura li rende umani. Nella rovina incipiente di Macondo, in quella fisica propria e nella perdita della fortuna, Petra Cotes e Aureliano Segundo, ad esempio, scoprono finalmente che al disopra dell'interesse e della passione esiste l'amore, del quale, si convince Aureliano, la povertà è condizione determinante: «en la plenitud del otoño volvió a creer en la superstición juvenil de que la pobreza era una servidumbre del amor»564. Ciò che la coppia rimpiange è il tempo occorso per trovare «el paraíso de la soledad compartida»565. Nell'«impenetrable soledad de la decrepitud»566 Úrsula Iguarán decifra acutamente i valori spirituali dei componenti la sua famiglia, e se giunge alla convinzione che il colonello Aureliano non aveva mai amato, in realtà, nessuno e aveva condotto tante guerre «por pura y pecaminosa soberbia»567, in quanto semplicemente incapace d'amore, scopre anche tutto un mondo di valori positivi: in Amaranta, immagine apparente dell'insensibilità e della freddezza, percepisce l'esistenza della donna «más tierna que ha habido jamás»568, nella quale ha finito per trionfare una paura irrazionale del proprio «atormentado» cuore; in Rebeca, la vedova solitaria e ripudiata dal grembo della famiglia Buendía, scopre alla fine la donna che mostrò la «valentía sin frenos»569 da lei desiderata per la sua stirpe. La stessa Fernanda, negli anni del tramonto riscatta il suo cuore di «ceniza apelmazada»570 attraverso gli «embates» della nostalgia e si umanizza nella solitudine. Petra Cotes passa, a sua volta, dall'odio per Fernanda alla compassione, e finisce per mantenerla nascostamente, nel periodo di crisi economica, sacrificando anche se stessa e l'amante. Ma è soprattutto l'amore di Amaranta Úrsula e di Aureliano Babilonia a riscattare, benché votato alla tragica fine, il valore positivo del sentimento. In un mondo in cui impera l'odio, in cui l'amore è cancellato dalla «routine» o snaturato dall'interesse, il sentimento che domina i due giovani, che è anche delirio erotico, appare unico mezzo, nella totale dedizione, per resistere al senso della fine e della rovina che viene da ogni cosa:

«[...] los amantes solitarios navegaban contra la corriente de aquellos tiempos de postrimerías, tiempos impenitentes y aciagos, que se desgastaban en el empeño inútil de hacerlos derivar hacia el desierto del desengaño y el olvido»571.



La morte di Amaranta Úrsula, pur nel significato di espiazione della colpa, conferma il valore imperituro dell'amore; esso sopravvive, infatti, alla «desidia» (della gente, alla denunciata voracità dell'oblio, «que poco a poco iba carcomiendo sin piedad los recuerdos»572. Di fronte all'amore impallidisce ogni altro simbolo di salvezza. Perché, se la casa dei Buendía cade improvvisamente, alla partenza di Santa Sofía de la Piedad, «en una crisis de senilidad»573, e tutto Macondo è roso da un intenso lavorio interno di distruzione, anche gli uomini si lasciano trascinare dalla corrente dell'abbattimento, dal dubbio e dalla rassegnazione.

Nello sgretolamento finale di Macondo taluni personaggi sembrano attendere come annullati nella loro consistenza spirituale, nella volontà e nella fede, oltre che nella persona, il compiersi del fatale evento. Con valida immagine García Márquez offre nel «cura anciano» che a Macondo ha sostituito il Padre Ángel -il cui nome nella generale «desidia» nessuno si è preso la briga di indagare-, il simbolo efficace dello sgretolamento del corpo e dello spirito: egli sta, infatti, in attesa della pietà di Dio, «tendido a la bartola en una hamaca», tormentato dall'artrite, reso insonne dal dubbio e dalla coscienza della distruzione, «mientras los lagartos y las ratas se disputaban la herencia del templo vecino»574.

Nel clima apocalittico dell'uragano biblico conclude la parabola sulla quale sembra fondarsi Cien años de soledad, quella delle origini dell'uomo, secondo i testi sacri del cristianesimo, con il concetto del peccato e il senso della colpa, ma comprendendo un punto finale estremamente cupo, al quale, se non fosse per i giovani emigranti che si recano in Europa, mancherebbe ogni spiraglio di salvezza. Mondo accattivante e fantasioso, continuamente trafitto dalle dure lame della violenza, non si offre solo quale microsmo rappresentativo del mondo americano, ma attraverso un'inconfondibile identificazione con esso proietta le sue vicende inquietanti e drammatiche in un ambito universale. Fantasia e realtà si fondono, nel romanzo, per darci uno dei documenti più validi delle qualità d'artista di Gabriel García Márquez, e nel contempo di partecipe diretto e impegnato della condizione americana. È questa condizione che finisce per imporsi al lettore e al critico, insieme ai risultati sorprendenti della creazione fantastica575.



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