La poesia di Alfonsina Storni, o l'attrazione della morte
Giuseppe Bellini
Università di Milano
—181→
La poesia argentina, ma più esattamente la poesia ispano-america, annovera Alfonsina Storni tra le maggiori glorie di quella che fu, nel passato, definita «poesia femminile» e che oggi, giustamente, ha nerso l'aggettivazione che in realtà la discriminava. L'artista, infatti, se è tale, non si distingue per sesso, ma per valore dell'opera e per i temi che in essa affronta.
Del pari, Alfonsina Storni è una gloria ticinese: era nata, infatti, a Sala Capriasca, nel Cantone Ticino, il 22 maggio 1892, da una famiglia originaria di Lugaggia, ma che già risiedeva in Argentina, a San Juan, in una grande casa di proprietà degli Storni, costruttori edili e fabbricanti di birra «di buon successo», come ci informa Angelo Zanón Dal Bo1. Precedentemente ad Alfonsina erano nati Maria e Romeo; la seguì un altro fratello, Hildo.
Le fortune della
famiglia non continuarono, anche per la malattia del padre, e la
Storni, trasferitisi i genitori a Rosario, si diplomò
maestra rurale, nel 1910, e iniziò una modesta carriera
docente. Scrive Federico de Onís: «desde muy joven tuvo que
luchar duramente para ganar su vida y la de su
familia»
2.
Presto, tuttavia, ottiene riconoscimenti per la sua attività
di poeta, fino a divenire espressione riconosciuta della poesia
nazionale e ad ottenere prestigiosi tributi onorifici, come nel
1938, a Montevideo, dove a lei, alla Mistral e a Juana de
Ibarbourou fu reso un pubblico omaggio, quali massime espressioni
di quella che —182→
ancora era definita «poesia femminile»,
illustrata, tuttavia, da precedenti straordinari come la messicana
Sor Juana Inés de la Cruz.
L'intensa
attività cui la Storni si dedicò, nel giornalismo,
nell'insegnamento, nel lavoro impiegatizio, nella
creatività, incise sul suo fragile sistema nervoso, e
ciò ancor più quando, nel 1935, scoprì di
avere un tumore al seno, «che, operato il
20 marzo, si rivela canceroso con
ramificazioni»
3.
Cercherà di esorcizzare il male non menzionandolo mai altro
che come «nevrastenia», ma il suo aspetto fisico
incomincia a deperire, a mutare, la depressione si accentua e la
porterà al suicidio: si tolse, infatti, la vita, il 25
ottobre 1938, gettandosi in mare, a Mar del Piata, verso l'una del
mattino. L'ultimo pensiero fu per il figlio Alessandro.
«Me arrojo al mar», recita
il biglietto trovato nella sua stanza, insieme a una lettera
indirizzata allo scrittore Manuel Gálvez:
«Señor Gálvez: Estoy muy mal. Por favor, mí hijo tiene un puesto municipal, yo otro. Ruéguele al Intendente en mi nombre que lo ascienda acumulándole mi sueldo. Gracias. Adiós. No me olviden. No puedo escribir más. Alfonsina»4. |
Sembra che il
medico, chiamato la sera prima per l'acuirsi del male, le avesse
tolto ogni speranza5.
Al figlio aveva fatto scrivere dalla cameriera dell'albergo dove
alloggiava, per dirgli che lo adorava, che in ogni momento pensava
a lui, per inviargli «Besitos
largos»
6.
Una vita breve, difficile e triste, nonostante i riconoscimenti, e un'attività creativa che si rivelò base essenziale della sua esistenza, portata innanzi con regolarità e alla quale dobbiamo un numero consistente di raccolte poetiche: da La inquietud del rosal (1916) a El dulce daño —183→ (1918), Irremediablemente (1919), Languidez (1920), Ocre (1925), Mundo de siete pozos (1934), Mascarilla y trébol (1938)7.
Di Alfonsina
Storni ha detto Federico de Onís che è un prodotto
tipico di Buenos Aires, «mujer de ciudad populosa y
moderna»
8.
La sua poesia richiude in sé le ansie, le ingratitudini, le
aspirazioni e le insoddisfazioni del suo spirito di donna,
femminista convinta, che nel suo intimo rivive il passato doloroso
del suo sesso, in una profonda partecipazione fraterna. I suoi temi
fondamentali sono l'amore, la delusione, la morte. Anche l'anelito
sessuale è vivo, ma misurato e nascosto sotto veli di pura
bellezza spirituale; e lo canta con libertà innocente, senza
mai giungere alla corposità o alla morbosità erotica,
come avviene invece a Delmira Agustini. Una poesia limpida,
depurata di ogni pesantezza materiale. Così che il citato
Onís può affermare che i sentimenti della Storni sono
normali, le sue passioni deboli, l'emotività scarsa, ma che
in cambio essa è la più intellettuale di tutte le
donne che hanno scritto versi, «la más abierta a
todo género de emociones, la más rica en variedad de
tonos y matices»
9.
Lo stesso
Torres-Ríoseco scrive che, pur senza possedere la
spontaneità di Juana de Ibarbourou, né
l'intensità del sentimento di Gabriela Mistral, la Storni
arriva tuttavia più lontano di entrambe nel suo concetto del
fine della poesia10.
Nelle sue raccolte assistiamo a un'evoluzione metrica che va sempre
più perfezionandosi, depurandosi, nel passaggio dalle prime
composizioni di sapore romantico a un simbolismo che si affina,
negli ultimi libri, acquista perfezione classica, diviene sintesi
perfetta dei due momenti, frutto di una ricerca propria di
un'artista vera. Non a torto il Leguizamón afferma che
l'opera di Alfonsina Storni, «de gran variedad métrica y
melódica, disuelve en su coronamiento toda
preocupación retórica. Llega a la voz de fundamental
calidad poética»
, al modo stesso in
cui il suo temperamento si evolve da —184→
un piano romantico iniziale, alla conquista di una
sensibilità «estilizada, honda y
compleja»
11
.
Secondo il
Díez-Canedo, il romanticismo è punto di partenza
naturale per Alfonsina, anzitutto in quanto donna, poi
perché la sua origine è esotica e la Storni scrive in
una lingua, lo spagnolo, romantico per tendenza
naturale12.
Potrebbe anche essere, ma ritengo non si debba seguire questa via
nella valutazione della poetessa argentina. Il suo romanticismo
dipende dalla disposizione del sentimento, e dall'epoca in cui la
Storni inizia la sua attività creativa, quando ancora il
modernismo era alle origini e pur sempre permeato profondamente di
romanticismo. Ma già la poetessa elimina situazioni
sdolcinatamente malinconiche o morbosamente tristi, non rifugge da
ciò che la circonda, non si rifugia in un mondo fittizio e
neppure in esotismi tanto cari ai modernisti, ma vive e affronta la
realtà, lotta con essa, pur cosciente che il corso delle
cose non potrà essere da lei piegato. È questa
coscienza, questa combattività che dà vita al suo
verso, desiderio di immergersi nel reale solo per sentire il
«dulce
daño»
. Nasce da qui la poesia della
Storni: dallo scontro con la realtà sorge quel senso di
«desengaño»
che
si prolunga sino alla fine della sua vita e si accentua negli
ultimi anni. Nessun conforto le venne mai dalla fede; se Alfonsina
percepì l'esistenza di Dio, le apparve lontano, muto alla
sua pena, incapace di amore.
Vi è chi ha scritto che il dramma vissuto da Alfonsina Storni fu quello della sensibilità13 . La poetessa lo rivela in termini appassionati spiegando il dramma profondo della donna:
«La nostra esagerata sensibilità, il mondo complicato che ci avvolge, la sistematica sfiducia dell'ambiente, quella tremenda e costante presenza del sesso in ogni cosa che la donna fa per il pubblico, tutto contribuisce a comprimerci. [...]»14. |
—185→
C'è una nota dolorosa in queste parole, quella stessa che compare in «Clamor», di Languidez, dove la Storni lamenta l'incomprensione del mondo per lei che gli ha offerto la sincerità del suo cuore.
In un esame anche
rapido della poesia di Alfonsina Storni è possibile cogliere
appieno la sua sensibilità vivissima. Fin dai primi versi,
da lei ripudiati più tardi insieme a tutta la raccolta
La inquietud del
rosal, perché, a suo giudizio, troppo sovraccarica di
«mieles
románticas»
15
, si coglie un'atmosfera emotiva che si qualifica per note dolenti.
La inquietud del
rosal esprime il palpito, la commozione di una vita che si
consuma nel vano tentativo di dare i suoi fiori. Anche il roseto ha
una sua inquietudine, ma i suoi fiori sono rose che diffondono un
profumo che sa di attesa trepida, di sofferenza, aroma di un giorno
che presto sarà spento, ma che perdurerà nel ricordo,
suscitando nostalgia che consuma. È questo il «dulce
daño»
, un male dolce perché
ha ancora i fiori della vita. La realtà, che ad Alfonsina si
rivela nuda, priva di possibili illusioni, distruttrice del sogno,
ancora non le toglie, tuttavia, la facoltà di sognare.
Nasce, così, il sogno ogni giorno, per essere ad ogni
istante distrutto, ma per rimanere nel ricordo più dolce,
più tenero dopo ogni delusione.
Il sentimento
impetuoso della Storni si dà completo ad ogni istante: il
«dulce
daño»
è sempre originato da
una concessione totale, così che attraverso questa «entrega»
anche la
delusione, e il male, diventano positivi. Quando la poetessa
riflette non recrimina, non si isola, ma constata una realtà
già nota che, lungi dall'accrescere la sofferenza, la colora
sentimentalmente, predisponendo a una nuova «entrega»
.
Nella raccolta poetica El dulce daño, la poesia di Alfonsina Storni si colora di tinte serene, nonostante l'amarezza di alcuni passi, diviene dolce per spontaneità, tesa com'è al desiderio di primavera e d'amore:
|
Come la natura, la
donna si rinnova eternamente. Essa sente rinascere in sé,
dopo ogni distruzione, l'amore e gli va incontro, senza mai
ricordare —186→
il male sofferto, anche se sa che va incontro nuovamente
alla rovina. Ma è primavera e intorno le cose profumano:
un'aria soave si diffonde dai versi di Alfonsina, colmi di
emozione. Le immagini sono tranquille, serene, animate di vita
occulta, e le parole consunte dall'uso ritrovano il palpito vitale
per attestare la dedizione piena della donna, di una donna che mai
potrà essere felice. Perché la Storni nel Dulce daño appare
solo come una creatura debole e appassionata, nella quale palpita
un cuore che quasi vien meno di fronte all'amore, che è
sempre sofferenza. Il sentimento diffonde tinte primaverili su
tutta la raccolta: la poetessa esprime la sua ricchezza interiore
nella «tarde
hermosa»
di «Capricho»
, nel
silenzio notturno in cui se Dio «parpadeara»
lei lo
udrebbe («El
llamado»
). Il verso acquista non di rado
colori lunari, ad esprimere la piena del sentimento. E quando pensa
all'amato, la voce della Storni trema di sottile passione, e le
frasi si fanno allusive, come in «Tú y
yo»:
La realtà distruggerà ancora una volta il sogno d'amore. La poetessa cederà allora alla solitudine:
|
—187→
Nella propria solitudine, Alfonsina Storni vede riflessa quella delle innumerevoli donne che non hanno conosciuto l'amore. Ma, come abbiamo detto, il dolore della delusione resta episodio breve, poiché il cuore torna ad aprirsi incessantemente alla speranza, unico filo che lega alla vita.
Nella raccolta Irremediablemente, tuttavia, la poesia della Storni sembra perdere improvvisamente l'incanto della primavera. Il roseto sfiorisce d'un tratto, sotto il colpo di una delusione più dolorosa. La tristezza domina il verso e un senso ironico della vita si impone. La visione del mondo diviene cupa, sconsolata, e l'uomo è visto come un uccello rapace, preso dai sensi e indifferente di fronte alla fonte a cui si è dissetato. In «Mujer» si coglie un dolore accorato; di fronte alla sventura la poetessa si sente, come la fonte, triste, abbandonata, ma sempre disposta a dissetare di nuovo chi l'ha lasciata sola:
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In realtà, nell'intimo di Alfonsina Storni scende opprimente il peso della vita. È in questo momento che la poetessa manifesta tutta la sua solidarietà con il mondo femminile, in nome della sofferenza, secolare destino della donna, che in sé lo porta come un retaggio antico («Peso ancestral»). Spetta ora alla poetessa liberarla e la coscienza di questa missione dà di nuovo scopo alla sua vita, confortandola nell'amarezza.
Irremediablemente è un libro triste, nel quale talvolta la voce di Alfonsina pare disperata, nella malinconia sottile del verso. Il volume che segue, Languidez, è il risveglio da un sogno d'amore finito, un sogno breve che tuttavia ha colpito nel profondo tutta la vita. A volte è la vanità delle cose del mondo che muove il verso della Storni, colonna bianca di fumo che si perde ai confini del cielo, uomo che si risolve in chimera impalpabile («Las tres etapas»). Una delicata armonia permea le liriche, il verso diviene trasparente, immateriale, si direbbe. Una nota intimamente romantica torna nella lirica «La casa», ricordo di un attimo d'amore che colora il verso di nostalgia. La poetessa richiama —188→ quanto ne serba la memoria: la casa, la notte, il venir meno inebriato delle forze, l'intima ascesa al cielo nello stupore dell'amplesso:
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Anche il paesaggio è reso come qualcosa di meraviglioso, permeato dal sentimento, e lo stato di abbandono della donna appare naturalissimo nella magia dello scenario, in quell'ebbrezza dell'anima davanti all'amore:
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Tra le poesie più belle della raccolta è certamente la «Carta lírica a otra mujer», trasformazione affettiva di un desolato disinganno. Negli accenti della Storni non vi è odio per la rivale felice e neppure per l'uomo che l'ha abbandonata. In una conversione singolare di affetti, nella donna la poetessa vede rivivere il proprio amore, si vede rappresentata in lei e le si rivolge, con affetto e tenerezza, evocando gli atteggiamenti che lei stessa assumerebbe con l'amato, suggerendole i gesti che lei medesima compirebbe, baciando in lei l'orma di quell'amore che l'ha resa infelice, dimentica quasi del proprio dolore per inseguire il fantasma dell'amato.
Ed è un vaneggiamento lieve, che alla fine conclude in un grido di dolore. Il vuoto diviene più cupo, più grande l'infelicità della donna ferita —189→ e la Storni sente come sia amaro il gioco di far propria una traccia non più sua:
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Languidez è il libro che Alfonsina Storni preferiva, prima di comporre Ocre, un libro intessuto di sogno doloroso, libro nel quale il ritmo assume, volta a volta, dinamismo disperato, tensione, o ristagna nell'evocazione. Una conclusione amara lo colora, quella della suprema delusione, propria di un creatura che si sente abbandonata, sola nel suo dolore. E il pensiero della morte incomincia a farsi largo. In verità già si era manifestato in Irremediablemente, ma in Ocre si esprime con chiarezza, in creazione artistica perfetta, pensosa e profonda per tema, quella che sfocia in «Un cementerio que mira al mar», forse non dimentica della preziosa elegia, dal titolo «Para entonces», con cui il grande modernista messicano Manuel Gutiérrez Nájera elevava a categoria universale il personale sentimento, in una creazione di luce, misura ed armonia:
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—190→
Così Nájera; ma Alfonsina Storni accentua nella sua composizione lirica il tono drammatico, indaga nell'«hastío» dei defunti, stanchi di udire, impotenti, solo l'eco della vita che passa lontano, interpreta infine il loro desiderio di essere stretti dalle onde come un tempo da braccia amanti, di uscire di nuovo alla vita,
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E una minuta elencazione macabra, con una chiusa trasparente:
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Ma per tornare a Ocre, qui la sua poesia attinge una purezza classica. I versi sono ricchi di un simbolismo che si armonizza perfettamente con il fondo intimamente romantico. Il senso della delusione della vita si accentua, in un esame acuto, disperato, della propria intima essenza. Di fronte al buio vitale, al destino che le appare ineluttabile, la voce della poetessa effonde passione e dolore. La sua anima permane fantastica e vagante, quasi l'avvolgesse una tenue nube di pazzia e il mare le risuona dentro, come un presentimento.
—191→L'offerta d'amore
si rinnova incessantemente, scopo ultimo della vita. «Yo nací para el
amor»
, dice in una poesia (
«Inútil soy»), e un
po' d'amore vale anche la delusione. Ma essere nati per l'amore non
vuol dire corrispondenza. Il momento più cupo della vita di
Alfonsina Storni si avvicina e, come già in Languidez, e prima ancora in
Irremediablemente, il tema della morte ricompare in
diverse composizioni, a rivelare, come in «Epitafio para mi tumba»,
il desiderio di essere finalmente fuori dalla «línea de
combate»
. Torna allora suggestivo il
richiamo del mare. La Storni vorrebbe scomparire in esso, sentire
il suo «olvido
perenne»
, in una sera divina d'ottobre,
quando la sabbia è d'oro e l'acqua verde, quando finalmente
i cieli sono puri. È quanto esprime in «Dolor». Ma Ocre lascia ancora sospesa la
conclusione; neppure si concluderà l'evoluzione sentimentale
della poetessa in Mundo de siete pozos, raccolta che apre una
parentesi nuova nella poesia della Storni, ricca com'è di
toni molteplici, mentre il verso diviene cristallino e si rinnova
nelle forme metriche: la poetessa elimina, infatti, la rima per il
verso libero, e per modernissime disposizioni ritmiche, che pure
richiamano, nelle loro novità e schematicità, l'ampia
musicalità del sonetto e dell'endecasillabo usati fino al
momento.
Libro di immagini, Mundo de siete pozos è un capolavoro per sensibilità e armonia, presentazione di un volto, mondo dei sette pozzi, senza particolarità, nel quale tuttavia la poetessa coglie la profondità dei segni, pozzo profondo ognuno che giunge fino all'anima.
E a poco a poco il
verso ascende in costruzione perfetta, diviene quasi preghiera,
grido appassionato per la bellezza, che è bellezza virile,
per la quale ancora la Storni sospira, esprimendosi in forme
barocche. Così il cervello è presentato come «núcleo
primero»
, dal quale scende in azzurre maree
l'acqua dello sguardo, attraverso le porte soavi degli occhi. Le
orecchie sono «catacumbas»
, pozzi di
suoni, «caracolas de
nácar donde resuena / la palabra expresada / y la no
expresa;»
il naso è veicolo «por donde adelanta /
-flores, ramas y frutas- / la serpentina olorosa de la
primavera»
. La bocca diviene cratere da cui
sale il fumo denso che tormenta il cuore e lo zolfo della parola;
è
|
Si potrebbe avvicinare questa composizione a quella celebre con cui Sor Juana Inés de la Cruz descriveva la bellezza della viceregina amica, contessa di Paredes17, ma qui la concezione è più ardita e significativa, espressione perfetta, nella tensione barocca della metafora, della tensione passionale della Storni: il mondo dei sette pozzi è lì, come animale tentatore, illuminato da una bianca luna morta, quasi a togliere ogni speranza.
Quadri suggestivi
si susseguono nella raccolta: un paesaggio intimo, di crepuscoli
quasi immobili e metafisici, alla De Chirico, «Mares tristes», che appena
muovono le loro onde, o paesaggi diurni che «navegan /
lentos»
. Proprio il paesaggio acquista ora
un significato simbolico intenso, che si esprime in novità
metaforiche e in suggestive sinestesie. In «Voluntad», ad esempio, la
sera è una «mariposa ebria»
, che,
come una creatura umana, muore nella musica verde delle acque,
sorbendo la cicuta dalla bocca dell'amato. Toni di luce tristi
entrano nella poesia della Storni dai versi brevi di
«Congreso», e singolari
novità aggettivali:
|
La poetessa interpreta gli elementi materiali umanizzandoli e il paesaggio diviene un immenso essere vivente, che lento si muove e cresce:
—193→
|
Nel
«Retrato de García
Lorca» Alfonsina Storni raggiunge l'acme, si
potrebbe dire, della sua poesia più nuova e originale. Nei
versi brevi, che la parola interrotta, spezzata, empie di vita e di
calore, si coglie il furore e la passione di colei che vede nel
poeta assassinato il miracolo infranto. Leggendo questi versi si
coglie, nella voluta vicinanza al tono lorchiano, anche in questo,
il devoto omaggio al poeta. Ma presto torna in Mundo de siete pozos la nota
più personale; Alfonsina canta nuovamente la propria pena e
i versi si fanno languidi. La poetessa si vede triste, inchiodata
alla croce del tempo («Llama») e la sua voce sale
a colpire il cuore divino, per ridiscendere a
«vellutare» il muschio della terra. Tornano anche
accenti sensuali; di nuovo si accende la speranza, ma è
breve la sua durata; il ricordo porterà solo l'immagine di
una «boca muerta que
fuiste boca viva»
(«Regreso en
sueños»).
Non v'è
dubbio, si percepisce prossima la fine. In questo periodo il mare
torna a dominare la poesia della Storni, diviene un rifugio
gradevole e viva è la tentazione delle sue acque. Ha notato
il Díez-Canedo18
che se nelle opere dei poeti, dopo la loro morte, è facile
vedere i presentimenti e i timori che li hanno dominati, in
Alfonsina Storni ciò è particolarmente visibile
nell'ultimo libro da lei pubblicato in vita, la Antología
Poética del 1938. Regna effettivamente in questa
raccolta una presenza ossessiva della morte. Il mare ha parte
dominante nell'atmosfera di tristezza, è come regno di pace
dopo le lotte sulla terra. Ad Alfonsina si ponevano già in
epoca lontana -«La dulce
visión» è del 1916- assillanti
interrogativi: «Hay
otra vida. ¿Allí cómo se
llega?»
. Più tardi, nel 1919, in
«Silencio», parte di
Irremediablemente, la morte —194→
era intesa come regno di infinita pace e la poetessa
immaginava se stessa nel giorno ultimo, bagnata dalla luce della
sera, quieta e triste:
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Una certa eco
della dannuziana «Pioggia nel pineto», così
presente nella poesia femminile ríoplatense del modernismo,
è certamente avvertibile, ma Alfonsina Storni volge «a lo
fúnebre»
l'armonia del poema di
D'Annunzio, ricrea i silenzi della notte eterna, nei quali ancora
percepisce la voce dell'amato. Il sonetto famoso di Quevedo
«Amor más allá de la
muerte», avvertiva sull'eternità del
sentimento19
. La Storni conferma, tra veli funebri e tristi silenzi. Il mare
è ormai inteso dalla poetessa, desolata, tormentata dal
male, sola, come il liberatore. Nella raccolta Mundo de siete pozos, compare
la lirica «Yo en el fondo del
mar», prefigurazione della propria fine da
parte dell'autrice. La situazione si ripete in «Cabeza y mar». Nella
lirica dedicata «A Horacio
Quiroga», il narratore uruguaiano morto
suicida, vi è un verso di chiarissimo significato: «Morir como tú,
Horacio, en tus cabales»
. La Storni evoca
il gesto drammatico dell'amico: «un rayo a tiempo y se
acabó la feria»
. Sembra che lei
stessa, il giorno precedente il suo suicidio, avesse cercato di
procurarsi una pistola20,
evidentemente senza riuscirvi.
La vita di Alfonsina Storni conclude tristemente, come quella di altre poetesse del suo tempo: María Eugenia Vaz Ferreira, Luisa Luisi, Delmira Agustini, ma con un atto volontario, non determinato da altri o da squilibri psichici, certamente stanca della vita, in dignitoso silenzio. La sua ultima composizione poetica ebbe titolo: «Voy a dormir». —195→ Non a torto il poeta César Tiempo richiama21 due versi del suo primo libro poetico, di ventidue anni prima:
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