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La poesia di Alfonsina Storni, o l'attrazione della morte

Giuseppe Bellini


Università di Milano



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La poesia argentina, ma più esattamente la poesia ispano-america, annovera Alfonsina Storni tra le maggiori glorie di quella che fu, nel passato, definita «poesia femminile» e che oggi, giustamente, ha nerso l'aggettivazione che in realtà la discriminava. L'artista, infatti, se è tale, non si distingue per sesso, ma per valore dell'opera e per i temi che in essa affronta.

Del pari, Alfonsina Storni è una gloria ticinese: era nata, infatti, a Sala Capriasca, nel Cantone Ticino, il 22 maggio 1892, da una famiglia originaria di Lugaggia, ma che già risiedeva in Argentina, a San Juan, in una grande casa di proprietà degli Storni, costruttori edili e fabbricanti di birra «di buon successo», come ci informa Angelo Zanón Dal Bo1. Precedentemente ad Alfonsina erano nati Maria e Romeo; la seguì un altro fratello, Hildo.

Le fortune della famiglia non continuarono, anche per la malattia del padre, e la Storni, trasferitisi i genitori a Rosario, si diplomò maestra rurale, nel 1910, e iniziò una modesta carriera docente. Scrive Federico de Onís: «desde muy joven tuvo que luchar duramente para ganar su vida y la de su familia»2. Presto, tuttavia, ottiene riconoscimenti per la sua attività di poeta, fino a divenire espressione riconosciuta della poesia nazionale e ad ottenere prestigiosi tributi onorifici, come nel 1938, a Montevideo, dove a lei, alla Mistral e a Juana de Ibarbourou fu reso un pubblico omaggio, quali massime espressioni di quella che   —182→   ancora era definita «poesia femminile», illustrata, tuttavia, da precedenti straordinari come la messicana Sor Juana Inés de la Cruz.

L'intensa attività cui la Storni si dedicò, nel giornalismo, nell'insegnamento, nel lavoro impiegatizio, nella creatività, incise sul suo fragile sistema nervoso, e ciò ancor più quando, nel 1935, scoprì di avere un tumore al seno, «che, operato il 20 marzo, si rivela canceroso con ramificazioni»3. Cercherà di esorcizzare il male non menzionandolo mai altro che come «nevrastenia», ma il suo aspetto fisico incomincia a deperire, a mutare, la depressione si accentua e la porterà al suicidio: si tolse, infatti, la vita, il 25 ottobre 1938, gettandosi in mare, a Mar del Piata, verso l'una del mattino. L'ultimo pensiero fu per il figlio Alessandro. «Me arrojo al mar», recita il biglietto trovato nella sua stanza, insieme a una lettera indirizzata allo scrittore Manuel Gálvez:

«Señor Gálvez: Estoy muy mal. Por favor, mí hijo tiene un puesto municipal, yo otro. Ruéguele al Intendente en mi nombre que lo ascienda acumulándole mi sueldo. Gracias. Adiós. No me olviden. No puedo escribir más. Alfonsina»4.



Sembra che il medico, chiamato la sera prima per l'acuirsi del male, le avesse tolto ogni speranza5. Al figlio aveva fatto scrivere dalla cameriera dell'albergo dove alloggiava, per dirgli che lo adorava, che in ogni momento pensava a lui, per inviargli «Besitos largos»6.

Una vita breve, difficile e triste, nonostante i riconoscimenti, e un'attività creativa che si rivelò base essenziale della sua esistenza, portata innanzi con regolarità e alla quale dobbiamo un numero consistente di raccolte poetiche: da La inquietud del rosal (1916) a El dulce daño   —183→   (1918), Irremediablemente (1919), Languidez (1920), Ocre (1925), Mundo de siete pozos (1934), Mascarilla y trébol (1938)7.

Di Alfonsina Storni ha detto Federico de Onís che è un prodotto tipico di Buenos Aires, «mujer de ciudad populosa y moderna»8. La sua poesia richiude in sé le ansie, le ingratitudini, le aspirazioni e le insoddisfazioni del suo spirito di donna, femminista convinta, che nel suo intimo rivive il passato doloroso del suo sesso, in una profonda partecipazione fraterna. I suoi temi fondamentali sono l'amore, la delusione, la morte. Anche l'anelito sessuale è vivo, ma misurato e nascosto sotto veli di pura bellezza spirituale; e lo canta con libertà innocente, senza mai giungere alla corposità o alla morbosità erotica, come avviene invece a Delmira Agustini. Una poesia limpida, depurata di ogni pesantezza materiale. Così che il citato Onís può affermare che i sentimenti della Storni sono normali, le sue passioni deboli, l'emotività scarsa, ma che in cambio essa è la più intellettuale di tutte le donne che hanno scritto versi, «la más abierta a todo género de emociones, la más rica en variedad de tonos y matices»9.

Lo stesso Torres-Ríoseco scrive che, pur senza possedere la spontaneità di Juana de Ibarbourou, né l'intensità del sentimento di Gabriela Mistral, la Storni arriva tuttavia più lontano di entrambe nel suo concetto del fine della poesia10. Nelle sue raccolte assistiamo a un'evoluzione metrica che va sempre più perfezionandosi, depurandosi, nel passaggio dalle prime composizioni di sapore romantico a un simbolismo che si affina, negli ultimi libri, acquista perfezione classica, diviene sintesi perfetta dei due momenti, frutto di una ricerca propria di un'artista vera. Non a torto il Leguizamón afferma che l'opera di Alfonsina Storni, «de gran variedad métrica y melódica, disuelve en su coronamiento toda preocupación retórica. Llega a la voz de fundamental calidad poética», al modo stesso in cui il suo temperamento si evolve da   —184→   un piano romantico iniziale, alla conquista di una sensibilità «estilizada, honda y compleja»11 .

Secondo il Díez-Canedo, il romanticismo è punto di partenza naturale per Alfonsina, anzitutto in quanto donna, poi perché la sua origine è esotica e la Storni scrive in una lingua, lo spagnolo, romantico per tendenza naturale12. Potrebbe anche essere, ma ritengo non si debba seguire questa via nella valutazione della poetessa argentina. Il suo romanticismo dipende dalla disposizione del sentimento, e dall'epoca in cui la Storni inizia la sua attività creativa, quando ancora il modernismo era alle origini e pur sempre permeato profondamente di romanticismo. Ma già la poetessa elimina situazioni sdolcinatamente malinconiche o morbosamente tristi, non rifugge da ciò che la circonda, non si rifugia in un mondo fittizio e neppure in esotismi tanto cari ai modernisti, ma vive e affronta la realtà, lotta con essa, pur cosciente che il corso delle cose non potrà essere da lei piegato. È questa coscienza, questa combattività che dà vita al suo verso, desiderio di immergersi nel reale solo per sentire il «dulce daño». Nasce da qui la poesia della Storni: dallo scontro con la realtà sorge quel senso di «desengaño» che si prolunga sino alla fine della sua vita e si accentua negli ultimi anni. Nessun conforto le venne mai dalla fede; se Alfonsina percepì l'esistenza di Dio, le apparve lontano, muto alla sua pena, incapace di amore.

Vi è chi ha scritto che il dramma vissuto da Alfonsina Storni fu quello della sensibilità13 . La poetessa lo rivela in termini appassionati spiegando il dramma profondo della donna:

«La nostra esagerata sensibilità, il mondo complicato che ci avvolge, la sistematica sfiducia dell'ambiente, quella tremenda e costante presenza del sesso in ogni cosa che la donna fa per il pubblico, tutto contribuisce a comprimerci. [...]»14.



  —185→  

C'è una nota dolorosa in queste parole, quella stessa che compare in «Clamor», di Languidez, dove la Storni lamenta l'incomprensione del mondo per lei che gli ha offerto la sincerità del suo cuore.

In un esame anche rapido della poesia di Alfonsina Storni è possibile cogliere appieno la sua sensibilità vivissima. Fin dai primi versi, da lei ripudiati più tardi insieme a tutta la raccolta La inquietud del rosal, perché, a suo giudizio, troppo sovraccarica di «mieles románticas»15 , si coglie un'atmosfera emotiva che si qualifica per note dolenti. La inquietud del rosal esprime il palpito, la commozione di una vita che si consuma nel vano tentativo di dare i suoi fiori. Anche il roseto ha una sua inquietudine, ma i suoi fiori sono rose che diffondono un profumo che sa di attesa trepida, di sofferenza, aroma di un giorno che presto sarà spento, ma che perdurerà nel ricordo, suscitando nostalgia che consuma. È questo il «dulce daño», un male dolce perché ha ancora i fiori della vita. La realtà, che ad Alfonsina si rivela nuda, priva di possibili illusioni, distruttrice del sogno, ancora non le toglie, tuttavia, la facoltà di sognare. Nasce, così, il sogno ogni giorno, per essere ad ogni istante distrutto, ma per rimanere nel ricordo più dolce, più tenero dopo ogni delusione.

Il sentimento impetuoso della Storni si dà completo ad ogni istante: il «dulce daño» è sempre originato da una concessione totale, così che attraverso questa «entrega» anche la delusione, e il male, diventano positivi. Quando la poetessa riflette non recrimina, non si isola, ma constata una realtà già nota che, lungi dall'accrescere la sofferenza, la colora sentimentalmente, predisponendo a una nuova «entrega».

Nella raccolta poetica El dulce daño, la poesia di Alfonsina Storni si colora di tinte serene, nonostante l'amarezza di alcuni passi, diviene dolce per spontaneità, tesa com'è al desiderio di primavera e d'amore:


¿Vendrás tú? Por mis jardines vuelan
Ya las primeras mariposas
Sobre las rosas.



Come la natura, la donna si rinnova eternamente. Essa sente rinascere in sé, dopo ogni distruzione, l'amore e gli va incontro, senza mai ricordare   —186→   il male sofferto, anche se sa che va incontro nuovamente alla rovina. Ma è primavera e intorno le cose profumano: un'aria soave si diffonde dai versi di Alfonsina, colmi di emozione. Le immagini sono tranquille, serene, animate di vita occulta, e le parole consunte dall'uso ritrovano il palpito vitale per attestare la dedizione piena della donna, di una donna che mai potrà essere felice. Perché la Storni nel Dulce daño appare solo come una creatura debole e appassionata, nella quale palpita un cuore che quasi vien meno di fronte all'amore, che è sempre sofferenza. Il sentimento diffonde tinte primaverili su tutta la raccolta: la poetessa esprime la sua ricchezza interiore nella «tarde hermosa» di «Capricho», nel silenzio notturno in cui se Dio «parpadeara» lei lo udrebbe («El llamado»). Il verso acquista non di rado colori lunari, ad esprimere la piena del sentimento. E quando pensa all'amato, la voce della Storni trema di sottile passione, e le frasi si fanno allusive, come in «Tú y yo»:



Si luces enciende tu casa
Mi casa de luz se corona.
[...]
De día, de tarde, de noche
Te sigo por selvas y frondas.
¿No hueles que exalan mis labios
Profundos aromas?

De día, de tarde, de noche
Te sigo por selvas y frondas.
¿No sientes que atrás de tus pasos
Se quiebran las hojas?



La realtà distruggerà ancora una volta il sogno d'amore. La poetessa cederà allora alla solitudine:


Cuidando tu casa en silencio
Me encuentra despierta la aurora.
Cuidando en silencio tus plantas,
Podando tus rosas.
Tu casa proyecta en mi casa
De tarde, alargada, su sombra,
Y nunca miraste sus muros
Cargados de rosas.



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Nella propria solitudine, Alfonsina Storni vede riflessa quella delle innumerevoli donne che non hanno conosciuto l'amore. Ma, come abbiamo detto, il dolore della delusione resta episodio breve, poiché il cuore torna ad aprirsi incessantemente alla speranza, unico filo che lega alla vita.

Nella raccolta Irremediablemente, tuttavia, la poesia della Storni sembra perdere improvvisamente l'incanto della primavera. Il roseto sfiorisce d'un tratto, sotto il colpo di una delusione più dolorosa. La tristezza domina il verso e un senso ironico della vita si impone. La visione del mondo diviene cupa, sconsolata, e l'uomo è visto come un uccello rapace, preso dai sensi e indifferente di fronte alla fonte a cui si è dissetato. In «Mujer» si coglie un dolore accorato; di fronte alla sventura la poetessa si sente, come la fonte, triste, abbandonata, ma sempre disposta a dissetare di nuovo chi l'ha lasciata sola:


Puede ser que algún día, nuevamente de paso,
Vuelvas por un momento a posar en la fuente,
Y el agua que la llena, inexperta nacida,
Te dirá como entonces: -Ave de presa, bebe...



In realtà, nell'intimo di Alfonsina Storni scende opprimente il peso della vita. È in questo momento che la poetessa manifesta tutta la sua solidarietà con il mondo femminile, in nome della sofferenza, secolare destino della donna, che in sé lo porta come un retaggio antico («Peso ancestral»). Spetta ora alla poetessa liberarla e la coscienza di questa missione dà di nuovo scopo alla sua vita, confortandola nell'amarezza.

Irremediablemente è un libro triste, nel quale talvolta la voce di Alfonsina pare disperata, nella malinconia sottile del verso. Il volume che segue, Languidez, è il risveglio da un sogno d'amore finito, un sogno breve che tuttavia ha colpito nel profondo tutta la vita. A volte è la vanità delle cose del mondo che muove il verso della Storni, colonna bianca di fumo che si perde ai confini del cielo, uomo che si risolve in chimera impalpabile («Las tres etapas»). Una delicata armonia permea le liriche, il verso diviene trasparente, immateriale, si direbbe. Una nota intimamente romantica torna nella lirica «La casa», ricordo di un attimo d'amore che colora il verso di nostalgia. La poetessa richiama   —188→   quanto ne serba la memoria: la casa, la notte, il venir meno inebriato delle forze, l'intima ascesa al cielo nello stupore dell'amplesso:



¡Cómo me acuerdo de la noche aquella
En que entré sostenida por tu brazo!
Moría casi bajo el doble abrazo
De tu mirada y de la noche bella.

¡Moría casi! Me llevaste tierno
Por largas escaleras silenciosas
Y ni tuve conciencia de las cosas:
Era un cuerpo de luna sin gobierno.



Anche il paesaggio è reso come qualcosa di meraviglioso, permeato dal sentimento, e lo stato di abbandono della donna appare naturalissimo nella magia dello scenario, in quell'ebbrezza dell'anima davanti all'amore:



Abriste una ventana: allá, lejano,
Penetraba el río y el silencio era
Dulce y enorme, y era primavera,
Y se movía el río sobre el llano.

Y mi alma también rodó en el río,
Se hundió con él en perfumadas frondas,
Siguiéndolo hasta el mar cayó en sus ondas,
Y suyo fue el divino poderío.



Tra le poesie più belle della raccolta è certamente la «Carta lírica a otra mujer», trasformazione affettiva di un desolato disinganno. Negli accenti della Storni non vi è odio per la rivale felice e neppure per l'uomo che l'ha abbandonata. In una conversione singolare di affetti, nella donna la poetessa vede rivivere il proprio amore, si vede rappresentata in lei e le si rivolge, con affetto e tenerezza, evocando gli atteggiamenti che lei stessa assumerebbe con l'amato, suggerendole i gesti che lei medesima compirebbe, baciando in lei l'orma di quell'amore che l'ha resa infelice, dimentica quasi del proprio dolore per inseguire il fantasma dell'amato.

Ed è un vaneggiamento lieve, che alla fine conclude in un grido di dolore. Il vuoto diviene più cupo, più grande l'infelicità della donna ferita   —189→   e la Storni sente come sia amaro il gioco di far propria una traccia non più sua:


¡Oh, qué amargo deleite, este deleite
De buscar huellas suyas y seguirlas
Sobre las manos vuestras tan sedosas,
Tan finas, con sus venas tan azules!
Oh, que nada podría, ni ser suya,
Ni dominarle el alma, ni tenerlo
Rendido aquí a mis pies, recompensarme
Este horrible deleite de hacer mío
Un inefable, apasionado rastro...



Languidez è il libro che Alfonsina Storni preferiva, prima di comporre Ocre, un libro intessuto di sogno doloroso, libro nel quale il ritmo assume, volta a volta, dinamismo disperato, tensione, o ristagna nell'evocazione. Una conclusione amara lo colora, quella della suprema delusione, propria di un creatura che si sente abbandonata, sola nel suo dolore. E il pensiero della morte incomincia a farsi largo. In verità già si era manifestato in Irremediablemente, ma in Ocre si esprime con chiarezza, in creazione artistica perfetta, pensosa e profonda per tema, quella che sfocia in «Un cementerio que mira al mar», forse non dimentica della preziosa elegia, dal titolo «Para entonces», con cui il grande modernista messicano Manuel Gutiérrez Nájera elevava a categoria universale il personale sentimento, in una creazione di luce, misura ed armonia:



Quiero morir cuando decline el día
en alta mar y con la cara al cielo;
[...]
Morir cuando la luz triste retira
sus áureas redes de la onda verde,
y ser como ese sol que lento expira,
algo muy luminoso que se pierde.
[...]16



  —190→  

Così Nájera; ma Alfonsina Storni accentua nella sua composizione lirica il tono drammatico, indaga nell'«hastío» dei defunti, stanchi di udire, impotenti, solo l'eco della vita che passa lontano, interpreta infine il loro desiderio di essere stretti dalle onde come un tempo da braccia amanti, di uscire di nuovo alla vita,


¡Y acaso el mar escuche, innumerable,
Vuestro llamado, monte por la playa,
Y os cubra al fin terriblemente hinchado!
Entonces, como obreros que comprenden,
Se detendrán las olas y leyendo
Las lápidas inscriptas, poco a poco
Las moverán a suaves golpes, hasta
Que las desplacen, lentas, y os liberten.



E una minuta elencazione macabra, con una chiusa trasparente:



Brazos cansados de guardar la misma
Horizontal postura; tibias largas,
Calaveras sonrientes; elegantes
Fémores curvos, confundidos todos,
Danzaréis bajo el rayo de la luna
La milagrosa danza de las aguas.

Y algunas desprendidas cabelleras,
Rubias acaso, como el sol que baje
Curioso a veros, islas delicadas
Formarán sobre el mar y acaso atraigan
A los pequeños pájaros viajeros.



Ma per tornare a Ocre, qui la sua poesia attinge una purezza classica. I versi sono ricchi di un simbolismo che si armonizza perfettamente con il fondo intimamente romantico. Il senso della delusione della vita si accentua, in un esame acuto, disperato, della propria intima essenza. Di fronte al buio vitale, al destino che le appare ineluttabile, la voce della poetessa effonde passione e dolore. La sua anima permane fantastica e vagante, quasi l'avvolgesse una tenue nube di pazzia e il mare le risuona dentro, come un presentimento.

  —191→  

L'offerta d'amore si rinnova incessantemente, scopo ultimo della vita. «Yo nací para el amor», dice in una poesia ( «Inútil soy»), e un po' d'amore vale anche la delusione. Ma essere nati per l'amore non vuol dire corrispondenza. Il momento più cupo della vita di Alfonsina Storni si avvicina e, come già in Languidez, e prima ancora in Irremediablemente, il tema della morte ricompare in diverse composizioni, a rivelare, come in «Epitafio para mi tumba», il desiderio di essere finalmente fuori dalla «línea de combate». Torna allora suggestivo il richiamo del mare. La Storni vorrebbe scomparire in esso, sentire il suo «olvido perenne», in una sera divina d'ottobre, quando la sabbia è d'oro e l'acqua verde, quando finalmente i cieli sono puri. È quanto esprime in «Dolor». Ma Ocre lascia ancora sospesa la conclusione; neppure si concluderà l'evoluzione sentimentale della poetessa in Mundo de siete pozos, raccolta che apre una parentesi nuova nella poesia della Storni, ricca com'è di toni molteplici, mentre il verso diviene cristallino e si rinnova nelle forme metriche: la poetessa elimina, infatti, la rima per il verso libero, e per modernissime disposizioni ritmiche, che pure richiamano, nelle loro novità e schematicità, l'ampia musicalità del sonetto e dell'endecasillabo usati fino al momento.

Libro di immagini, Mundo de siete pozos è un capolavoro per sensibilità e armonia, presentazione di un volto, mondo dei sette pozzi, senza particolarità, nel quale tuttavia la poetessa coglie la profondità dei segni, pozzo profondo ognuno che giunge fino all'anima.

E a poco a poco il verso ascende in costruzione perfetta, diviene quasi preghiera, grido appassionato per la bellezza, che è bellezza virile, per la quale ancora la Storni sospira, esprimendosi in forme barocche. Così il cervello è presentato come «núcleo primero», dal quale scende in azzurre maree l'acqua dello sguardo, attraverso le porte soavi degli occhi. Le orecchie sono «catacumbas», pozzi di suoni, «caracolas de nácar donde resuena / la palabra expresada / y la no expresa;» il naso è veicolo «por donde adelanta / -flores, ramas y frutas- / la serpentina olorosa de la primavera». La bocca diviene cratere da cui sale il fumo denso che tormenta il cuore e lo zolfo della parola; è


la puerta
en corales labrada sontuosas
por donde engulle la bestia
—192→
y el ángel canta y sonríe
y el volcán humano desconcierta.



Si potrebbe avvicinare questa composizione a quella celebre con cui Sor Juana Inés de la Cruz descriveva la bellezza della viceregina amica, contessa di Paredes17, ma qui la concezione è più ardita e significativa, espressione perfetta, nella tensione barocca della metafora, della tensione passionale della Storni: il mondo dei sette pozzi è lì, come animale tentatore, illuminato da una bianca luna morta, quasi a togliere ogni speranza.

Quadri suggestivi si susseguono nella raccolta: un paesaggio intimo, di crepuscoli quasi immobili e metafisici, alla De Chirico, «Mares tristes», che appena muovono le loro onde, o paesaggi diurni che «navegan / lentos». Proprio il paesaggio acquista ora un significato simbolico intenso, che si esprime in novità metaforiche e in suggestive sinestesie. In «Voluntad», ad esempio, la sera è una «mariposa ebria», che, come una creatura umana, muore nella musica verde delle acque, sorbendo la cicuta dalla bocca dell'amato. Toni di luce tristi entrano nella poesia della Storni dai versi brevi di «Congreso», e singolari novità aggettivali:



Por las ventanas
abiertas
el mar florece
su campo de nomeolvides.

Y verdea,
el árbol
su placidez vertical,
perfumosa.



La poetessa interpreta gli elementi materiali umanizzandoli e il paesaggio diviene un immenso essere vivente, che lento si muove e cresce:

  —193→  


Afuera el mar,
en su nivel,
ondula.

El árbol,
sabio,
crece...



Nel «Retrato de García Lorca» Alfonsina Storni raggiunge l'acme, si potrebbe dire, della sua poesia più nuova e originale. Nei versi brevi, che la parola interrotta, spezzata, empie di vita e di calore, si coglie il furore e la passione di colei che vede nel poeta assassinato il miracolo infranto. Leggendo questi versi si coglie, nella voluta vicinanza al tono lorchiano, anche in questo, il devoto omaggio al poeta. Ma presto torna in Mundo de siete pozos la nota più personale; Alfonsina canta nuovamente la propria pena e i versi si fanno languidi. La poetessa si vede triste, inchiodata alla croce del tempo («Llama») e la sua voce sale a colpire il cuore divino, per ridiscendere a «vellutare» il muschio della terra. Tornano anche accenti sensuali; di nuovo si accende la speranza, ma è breve la sua durata; il ricordo porterà solo l'immagine di una «boca muerta que fuiste boca viva»Regreso en sueños»).

Non v'è dubbio, si percepisce prossima la fine. In questo periodo il mare torna a dominare la poesia della Storni, diviene un rifugio gradevole e viva è la tentazione delle sue acque. Ha notato il Díez-Canedo18 che se nelle opere dei poeti, dopo la loro morte, è facile vedere i presentimenti e i timori che li hanno dominati, in Alfonsina Storni ciò è particolarmente visibile nell'ultimo libro da lei pubblicato in vita, la Antología Poética del 1938. Regna effettivamente in questa raccolta una presenza ossessiva della morte. Il mare ha parte dominante nell'atmosfera di tristezza, è come regno di pace dopo le lotte sulla terra. Ad Alfonsina si ponevano già in epoca lontana -«La dulce visión» è del 1916- assillanti interrogativi: «Hay otra vida. ¿Allí cómo se llega?». Più tardi, nel 1919, in «Silencio», parte di Irremediablemente, la morte   —194→   era intesa come regno di infinita pace e la poetessa immaginava se stessa nel giorno ultimo, bagnata dalla luce della sera, quieta e triste:



Un día estaré muerta, blanca como la nieve,
Dulce como los sueños en la tarde que llueve.

Un día estaré muerta, fría como la piedra,
Quieta como el olvido, triste como la hiedra.



Una certa eco della dannuziana «Pioggia nel pineto», così presente nella poesia femminile ríoplatense del modernismo, è certamente avvertibile, ma Alfonsina Storni volge «a lo fúnebre» l'armonia del poema di D'Annunzio, ricrea i silenzi della notte eterna, nei quali ancora percepisce la voce dell'amato. Il sonetto famoso di Quevedo «Amor más allá de la muerte», avvertiva sull'eternità del sentimento19 . La Storni conferma, tra veli funebri e tristi silenzi. Il mare è ormai inteso dalla poetessa, desolata, tormentata dal male, sola, come il liberatore. Nella raccolta Mundo de siete pozos, compare la lirica «Yo en el fondo del mar», prefigurazione della propria fine da parte dell'autrice. La situazione si ripete in «Cabeza y mar». Nella lirica dedicata «A Horacio Quiroga», il narratore uruguaiano morto suicida, vi è un verso di chiarissimo significato: «Morir como tú, Horacio, en tus cabales». La Storni evoca il gesto drammatico dell'amico: «un rayo a tiempo y se acabó la feria». Sembra che lei stessa, il giorno precedente il suo suicidio, avesse cercato di procurarsi una pistola20, evidentemente senza riuscirvi.

La vita di Alfonsina Storni conclude tristemente, come quella di altre poetesse del suo tempo: María Eugenia Vaz Ferreira, Luisa Luisi, Delmira Agustini, ma con un atto volontario, non determinato da altri o da squilibri psichici, certamente stanca della vita, in dignitoso silenzio. La sua ultima composizione poetica ebbe titolo: «Voy a dormir».   —195→   Non a torto il poeta César Tiempo richiama21 due versi del suo primo libro poetico, di ventidue anni prima:


Inferma di un mal che non guarisce,
dev'essere la morte la salvezza.







 
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