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ArribaAbajoCapitolo II

Gli «Iniziatori» del modernismo


Nel termine «Iniziatori» del modernismo la critica suole racchiudere implicitamente una limitazione alla portata dell'opera di Juliàn del Casal, di Manuel Gutiérrez Nájera e di José Asunción Silva, limitazione che riteniamo ingiustificata. Con questi poeti, infatti, il modernismo in America non solo inizia, ma si afferma decisamente.

Mentre i poeti di cui abbiamo parlato rimasero in una posizione di transizione tra il vecchio e il nuovo questi di cui ci accingiamo a trattare entrarono presto decisamente nella nuova corrente, e furono notevolissimi poeti, anche se alla giusta valutazione della loro grandezza nocque la fama rapidamente raggiunta da Darío, nella cui poesia il modernismo parve unicamenmente impersonarsi. Quelli vissero isolati nel loro mondo, mentre Darío stringeva innumerevoli relazioni e s'imponeva abilmente all'attenzione della critica non solo americana. Neppure Silva, il più grande dei tre, fu mai abbastanza valutato, anche se vi fu un periodo in cui si tentò di ridurre a giuste proporzioni la grandezza del poeta nicaraguense. Ed è indubitabile che Silva fu più sincero di Darío, più ricco di lui spiritualmente. La sua poesia appare più unitaria e compiuta, anche se le possibilità musicali di Rubén si mostrarono più vaste e poliedriche.

A contatto del Parnasse e del simbolismo questi primi modernisti acuirono la loro intima malinconia, l'istintivo pessimismo, il senso serio e sofferto della vita, la preoccupazione radicale per l'umana esistenza, caratteri tutti che ereditavano dal romanticismo, ma che espressero in forme nuove.

La loro sensibilità agì decisamente nei confronti dell'ambiente retrogrado nel quale si trovarono costretti a vivere, determinando una inconformità che li portò a isolarsi sempre più nel loro mondo.

A contatto della nuova poesia nordamericana ed europea, soprattutto francese, si determinò in essi un'intima espressione decadente, dolcemente inferma, nemica, in genere, del vuoto estetismo, della superficialità sonora, della sensualità volgare, dell'erotismo superficiale, qualità deteriori dalle quali lo stesso Darío non rimase immune34.

Manuel Gutiérrez Nájera (1859-1895) è colui che meglio rappresenta per F. de Onís la transizione dal romanticismo al modernismo35. Mi sembra, tuttavia, che egli rappresenti già una fusione armonica di elementi modernisti: la sua poesia non resta in uno stato intermedio tra i due movimenti, né tanto meno avverte solo «occasionalmente» la suggestione della poesia francese, da Musset al Parnasse, al simbolismo. Del resto fu proprio Nájera il fondatore, nel 1894, della Revista Azul che divenne l'organo ufficiale del modernismo americano. Da quel momento il poeta rivelò inequivocabilmente il proprio orientamento in una presa di posizione che possiamo considerare ufficiale. Ma anche la poesia precedente al 1894 lo dimostra modernista, certo agli inizi, così come ce lo mostra la prosa, estremamente raffinata e pulita dei suoi racconti, Cuentos frágiles (1883) e Cuentos color de humo (1898), oltre ai numerosi articoli, cronache di vita e critica letteraria che scrisse sotto vari pseudonimi36, per anni collaborando a vari periodici, e che da soli valgono a dare la misura delle sue possibilità.

Trattando della poesia messicana moderna A. Castro Leal considera Nájera il suo fondatore e gli riconosce il merito di essere riuscito a cambiare la sensibilità comune37. Fu, quindi, un deciso innovatore, un modernista totale, né risulta agevole determinare nella sua lirica i confini tra il poeta postromantico, come lo definisce l'Onís38, e il vero e proprio poeta modernista, tanto più che proprio l'Onís riconosce il perdurare nel modernismo di molti elementi del romanticismo.

Sfuggendo alla perniciosa influenza di Núñez de Arce, di Campoamor e di Zorrilla, Nájera preferì la poesia di Alfred de Musset e di Mendès. In non poche liriche, poi, egli mostra una musicalità così sottile che richiama i migliori simbolisti, in particolare Verlaine. Più che di una netta influenza di determinati poeti francesi mi sembra, tuttavia, il caso di parlare per Nájera di un'influenza di atmosfera intesa nel suo insieme. Egli conservò un'originalità propria. La sua poesia è espressione di un mondo tutto suo, che si manifesta in ritmi raccolti, spesso bécqueriariani (e Bécquer fu l'unico poeta ispanico dell'ottocento che si salvò nel modernismo), ritmi che per la musicalità testimoniano una felice contaminazione francese.

Federico de Onís vede nella sua lirica predominare l'influenza francese, e nota che il suo pregio sta nell'assimilazione delle qualità della letteratura e della lingua di Francia nelle sue molteplici è ricche varietà39. E' proprio questa assimilazione profonda che permette in Nájera una fusione felice tra il meglio della tradizione spagnola che sente in sé, e le esigenze spirituali della nuova età poetica, che egli rappresentò con accento del tutto messicano40, un messianismo insolito e sincero, del quale è nota distintiva il suo atteggiamento dolce e raccolto, sempre permeato di tristezza e di pessimismo. La sua lirica è poesia di raffinati accenti, ricca di suggestioni verbali, inclinata al gusto di compiaciute situazioni morbose41. E' per questo che essa talvolta giunge a dare la sensazione di un atteggiamento compiaciutamente narcissistico nel poeta, il quale pare diventare il virtuoso del proprio sentimento e contemplare con voluto distacco la propria situazione. E' innegabile che in Nájera vi è molto compiacimento per il nuovo, per la sonorità dei versi e per un sottile erotismo di marca parigina. Ma come non si può mai negare chiarezza di costruzione, costante equilibrio di toni, ugualmente non si può disconoscere sincerità di sentimenti, visibile proprio nel voluto distacco da ciò che è elemento di esperienza personale. Attraverso uno stato ininterrotto di malinconia, di tristezza espressa in forme raffinate, Nájera ci dà il senso esatto della sua disperazione, trasformando il proprio radicale «tedium vitae» in sentimento artistico di superiore categoria. Egli contempla l'esistenza da un piano staccato. Da questo voluto distacco l'elemento immediatamente personale sparisce e il verso riesce a dare sensazioni più grandi di dolore cosmico.

Trattando di Nájera il Meregalli42 non esita a indicare come la migliore sua realizzazione la lirica Para entonces, come quella che più compiutamente dimostra la ricchezza delle sue doti, il complesso aspetto della sua personalità di poeta. E' una lirica che rappresenta meglio di ogni altra la depurazione dell'elemento personale elevato a categoria universale. In essa la presenza della morte è considerata con compiacimento, ma vista con serenità. I versi rielaborano un paesaggio sentimentale che un poeta romantico avrebbe indubbiamente caricato di tinte, mentre qui, al contrario, tutto è misura, luce e armonia, levità celeste in cui l'endecasillabo sembra cullare il trasformiate elemento umano:



   Quiero morir cuando decline el día
en alta mar y con la cara al cielo;
donde parezca sueño la agonía
y el alma un ave que remonta el vuelo.
[...]

   Morir cuando la luz triste retira
sus áureas redes de la onda verde,
y ser como ese sol que lento expira,
algo muy luminoso que se pierde.
[...]

   Morir, y joven, antes que destruya
el tiempo aleve la gentil corona,
cuando la vida dice aún «soy tuya»,
aunque sepamos bien que nos traiciona.



Interessante per cogliere il senso della morte in Nájera è anche l'Elegíac omposta in morte di M. Álvarez del Castillo: qui la «pálida enlutada» rappresenta per il poeta la cristallizzazione di un momento di bellezza, è vista in funzione estetica, come colei che ferma l'attimo fuggente nella creatura intesa come monumento d'arte. Concezione estremamente lontana dalle forme romantiche: infatti ogni macabro compiacimento di ombre scompare e vive solamente il fatto in sé, visto nella serena coscienza dell'ineluttabilità delle cose umane, invito di pace al poeta:


La puerta del salón no está cerrada,
abierta la dejaste, ¡oh, viajero!
Ha de volver la pálida enlutada...
¿Quién de nosotros marchará primero?



Da ogni lirica di Nájera si effonde un elemento costante, la malinconia: per questo le sue poesie hanno un tono che è stato definito esattamente «autunnale»,43 e di questo autunno conservano l'incanto sottile e penetrante. Questa malinconia viene dalla coscienza di un ineluttabile destino d'infelicità al quale, tipico atteggiamento modernista, il poeta cerca di sfuggire con una rassegnata filosofìa della vita, riponendo la fonte di una felicità transitoria, più consolazione che felicità, nel potere evocativo del ricordo, che si alimenta degli attimi di felicità trascorsi:


   En esta vida el único consuelo
es acordarse de las horas bellas.



Capovolgimento di un concetto antico, questo di Pax animae, che lo stesso Musset aveva accennato in Souvenir, ma che rivela un atteggiamento nuovo nel poeta messicano. Questo atteggiamento che lo porta a consolarsi dei mali della vita nel ricordo è caratteristico del modernismo, e particolarmente lo è il ricordo delle ore della fanciullezza, intesa come stato d'innocenza e bene perduto, che esercita suggestione profonda nell'animo del poeta. Lo si vede anche nella lirica La cena de Nochebuena, in cui regna un senso malato del ricordo sposato ad un personaggio infantile. Qui le immagini sono romantiche, ma la misura, l'armonia del verso, il tono, sono modernisti, come lo è una fine sensorietà tattile che permea ogni parola, ogni immagine.

Il dolore della propria infelicità viene trasformato, così, dal poeta, da stato individuale a sentimento universale, proprio per quel contemplare la propria esperienza dal di fuori. E' questo particolare modo di contemplare se stesso che lo spinge alla affermazione egolatrica della propria grandezza e della grandezza della poesia al di sopra della stessa morte, in funzione di una chiara coscienza di universale che esalta la sua sensibilità in un indirizzo tutto modernista, come in Non omnis moriar.

E modernista Nájera è ancora per quel raffinamento dell'espressione che si rivela sua preoccupazione costante e che è visibile in ogni momento nelle sensazioni, nei colori, nella musicalità della parola. Queste qualità lo conducono a una lirica cristallina, ricca di simboli, oltre che di contrasti, per la quale talvolta appare legittimo l'accostamento che si è voluto fare a quella di un poeta messicano dell'epoca coloniale e barocca, Sor Juana Inés de la Cruz44. Tale accostamento mi sembra particolarmente valido per il poemetto di Nájera Tristissima Nox che presenta molti punti di contatto, per il compiaciuto gioco dei contrasti, il vivo simbolismo e la somiglianza del tema, le tenebre e la luce nella loro battaglia, col Primero Sueño della Suora45. L'intenzione di Sor Juana è, evidentemente, di altro ordine, tutto metafisico, in quanto vuol dimostrare l'impossibilità per la mente umana di attingere l'inconoscibile. Nájera nel suo poema vuol rendere, invece evidente l'incubo della notte, delle tenebre, sullo spirito umano e la funzione liberatrice della luce. Vi è in Sor Juana, nella descrizione della quiete notturna, silenzio e stasi, e solo nella battaglia che conduce la luce, alla fine del poema, per sgominare le tenebre vi è un certo dramma; in Nájera è l'incubo deformante delle tenebre notturne che impera, con tutte le conseguenze spirituali sulle creature. La notte è terrore in Nájera e proprio per quel suo intimo messicanismo che si alimenta, qui, del grottesco e del deforme di origine ancestrale, la tenebra si popola di forze malefiche, diffonde il terrore e l'ossessione della mancanza della luce. L'«hora de inmensa paz» con cui inizia il primo verso, diventa presto regno di ombre in cui Iddio lascia errare «lo malo y lo deforme», popolato di grida raccapriccianti che giustificano la conclusione:


   La noche no desciende de los cielos;
es marea profunda y tenebrosa
que sube de los antros: mirad como
aduéñase primero del abismo
y se retuerce en las verdosas aguas.



Tristissima Nox è una delle composizioni più valide di Manuel Gutiérrez Nájera, legata sentimentalmente al romanticismo, ma modernista nella misura, nella musicalità e nella forza decadente dell'immagine che perfettamente si esprime nella parola in una pluralità di suggestioni liriche. Ed è in questo poema che troviamo l'annuncio in Nájera di un interesse per la sua terra che scaturisce da necessità imperiosamente sentimentali.

L'influenza della sensibilità francese su Nájera è avvertibile in tutta la sua produzione poetica, particolarmente in La Duquesa Job, in París, 14 de julio e in La soñadora de dulce mirar, dove possiamo cogliere anche una nuova concezione della donna e dell'amore, di ordine prettamente modernista. In La Duquesa Job Nájera ha creato, con l'introduzione di elementi erotici sottili e di ricordi e allusioni francesi, un'atmosfera perfettamente parigina e in essa una figura di donna lontana decisamente dalle forme romantiche, una «grisette», nella quale si appaga il suo amore un po' ingenuo e sensuale.

Alla dignità della donna romantica viene sostituita una creatura più lieve, leggera, che conserva una sua dignità, ma la cui funzione è squisitamente amorosa e chiaramente sensuale. Nell'erotismo misurato delle allusioni il poeta s'inebria e vede nella donna un essere esuberante di vita, che in mille forme impone la sua presenza, come creatura nata per l'amore, esplicantesi in una atmosfera di innocente peccato al quale porta il suo contributo l'allusione a una lieve ebbrezza.

E' il documento di un edonismo tutto francese, e rivela un mutamento di sensibilità nella poesia sudamericana, che si esprime con misura, in un ritmo volutamente allegro, dimentico delle tragedie della vita. Questo edonismo di marca gallica è presente anche in París, 14 de julio. Il realismo di questa composizione è una conquista di Nájera: il tono leggero, scherzoso, vale a ricreare una successione di scene popolaresche in cui si agita una sensualità latente che sfocia, infine, in versi arditi, ma misurati, che risolvono la sensualità dell'immagine in gioia e splendore:



   Quiero cumplir tus antojos
y que en mis brazos ondules,
y ver, griseta, en tus ojos
los cohetes, astros rojos,
y las estrellas azules.

   En nuestra alcoba después,
cuando el cansancio nos rinda,
del peinador a través
veré, postrado a tus pies,
tu forma púdica y linda.

   Cuando tu mano me apriete
y amorosa me sujete,
verás como, con malicia,
celebra el postrer cohete
nuestra primera caricia.



La giornata di festa nazionale è celebrata con una festa di sensi di molta sincerità. L'ambiente alluso è tanto gallico che la critica ha cercato di rintracciare nella poesia francese il modello diretto46 senza peraltro pervenire a qualcosa di sicuro. E' questo un valido esempio di assimilazione d'atmosfera ricreato in opera originale.

Nella lirica La soñadora de dulce mirar la concezione della donna sembra palesemente esperimentare un raffinamento. La donna modernista non è solo donna di peccato, ma è anche creatura celeste che diffonde fragranza, musica e luce, elementi propri di una rinnovata visione classica alla quale il gusto sensoriale del modernismo presta tutti i suoi incanti per fondere in opera d'arte la plasticità e il sogno:



   Princesita de cuentos de hadas,
la gentil, la fragante, la esbelta,
¿en qué astro se abrieron tus ojos?
¿De cuál concha brotó la belleza
de tu cuerpo ondulante y gallardo
como línea de ánfora griega?

   ¿De las ondas saliste cautiva,
como búcaro fresco de perlas,
o saltaste, temblando de frío,
de la copa de blanca azucena?
¿En qué lirio labran los genios
ese cuerpo de hada, Princesa?

   Cuando pasas, el aire se entibia
y de aroma suave se impregna,
se estremece de amor el follaje,
palidece la nívea gardenia...
Los botones de rosa, encendidos,
en voz baja murmuran: ¡es ella!...



Da questi versi è possibile cogliere molti elementi singoli del modernismo: il senso di una classicità parnassiana, una misurata sensualità che si manifesta in allusioni di cose, di colori, di profumo, un'aggettivazione notevole, allusione a elementi esotici, preziosità del vocabolo, musicalità, raffinatezza. In mezzo a tutti questi elementi la donna diventa sintesi di creatura umana e angelica e distribuisce intorno a sé grazia di spirito e di sensi.

Per tutti gli aspetti considerati, Manuel Gutiérrez Nájera è compiutamente un poeta nuovo. La sua lirica è permeata di romanticismo, di classicismo, ma soprattutto di poesia gallica fusa in un tutto unico che ne potenzia la sensibilità e l'espressione47.

A Cuba il primo vero poeta modernista fu Julián del Casal (1863-1893), figura suggestiva di artista che colpì profondamente la critica oltre che per il valore intrinseco della sua poesia, perennemente triste e desolata, espressa in moduli estremamente musicali e decadenti, per la vicenda della sua brevissima vita. Intimamente Casal fu sempre molto vicino allo stato d'animo dei «poeti maledetti» che ammirò e seguì. Il suo pessimismo è uno stato continuo di posizioni che lo portano a vedere la vita in funzione unicamente di se stesso. Egli diventa poeta del proprio dolore: dalla sua lirica traspare una preoccupazione costante di sé, un contemplarsi desolato, quasi lo specchio del verso gli presenti più evidente l'immagine della sua infelicità. Produce, in questo senso, una lirica di accenti profondi, ma spesso morbosamente compiaciuti, anche se quasi sempre valida48.

Che la poesia di Julián del Casal fosse sincera ce lo attestano molte circostanze, prima fra tutte la reale meschinità spirituale dell'ambiente in cui era costretto a vivere, la necessità, dura per un artista, e più per un sensibile poeta, di vincere le strettezze economiche, alla rovina della famiglia, e in modo tutto particolare quella sete di conoscenza che lo distinse e che lo portò a penetrare intimamente il mondo della moderna cultura francese. Verlaine, Leconte de Lisle, Mallarmé, Baudelaire e altri ancora, sono i nomi degli artisti che il poeta rivela di preferire.

Non ultima ragione del pessimismo di Casal, che lo portò a preferire Leopardi a Baudelaire, fu la coscienza della malattia irrimediabile che lo minava e che lo condusse a morte in così giovane età, togliendo alla poesia un artista del valore di colui che in Bustos y Rimas (1893) aveva dimostrato tante possibilità nell'ordine di un deciso modernismo.

Bustos y Rimas seguiva ad altre raccolte di versi: Hojas al viento (1890) e Nieve (1892), tre anni di intensa poesia che rivelano un rapido stabilizzarsi di tendenze. In Hojas al viento, infatti, Casal appare molto vicino al romanticismo, ma già rivela le sue preferenze extra-ispaniche ed extra-romantiche. La poesia francese è già presente nelle traduzioni di Hugo, di Gautier, Heredia e Coppée. In Nieve, poi, c'è un superamento delia traduzione, dell'impressione talvolta accettata un po' supinamente. Nieve è un libro parnassiano, ed è Leconte de Lisle che fornisce a Casal compostezza di sentimenti, obiettività di rappresentazione, espressa in parole esatte che danno volume all'immagine, gravità solenne sotto un tono leggero, rima ricca, sonora, agilità di ritmo e anche una essenziale misura nella rappresentazione di paesaggi esotici nei quali l'immaginazione del poeta si compiace.

Ne sono esempio El camino de Damasco, e Paisaje del Trópico. Dove non segue Leconte de Lisle, Casal è nel far tacere se stesso: il suo romanticismo fa capolino ancora nella contemplazione di sé attore di una propria atmosfera ben definita di aspirazioni e di dolore. Egli canta sempre tristemente i propri aneliti, la propria insoddisfazione. Si veda in Nostalgias:



   Suspiro por las regiones
donde vuelan los alciones
sobre el mar,
[...]

   Mas no parto. Si partiera,
al instante yo quisiera
regresar.

   ¡Ay! ¿Cuándo querrá el destino
que yo pueda en mi camino
reposar?
[...]



In Nieve non è solo Leconte de Lisle che rivela la sua presenza. Anche José María de Heredia vi stampa la sua orma. Lo si vede nella preferenza che Casal dimostra nel racchiudere nel breve giro di un sonetto un piccolo quadro: vi si rivela il gusto tipicamente herediano del particolare, secondario in sé, ma inedito. E ancora lo rivela nella frammentarietà, che rappresenta potenziamento di perfezione e che conduce a un miniaturismo di immagine, a una cesellatura paziente del verso, per cui non esiteremo a chiamare «plateresca» la lirica di questo poeta. Naturalmente non tutto è riuscito, non tutto risulta valido. Tuttavia la sua poesia è particolarmente importante nello sviluppo del modernismo.

Il passaggio da Nieve alla raffinatezza e alla musicalità di Bustos y Rimas è breve. Qui Casal è totalmente modernista e ha raggiunto quello stato di misticismo che Verlaine preconizzava in lui alla lettura della sua prima raccolta di versi per sentirlo più vicino a sè. Nelle composizioni di Bustos y Rimas il poeta realizza una depurazione sostanziale del proprio sentimento, proiettandolo in estensioni metafisiche. Darío stesso, alla sua morte, lo celebrò come un fratello diretto in arte. Molti punti di contatto esistono anche tra Casal e Manuel Gutiérrez Nájera, anche in senso strettamente tematico.

In Bustos y Rimas regna un'atmosfera malata e decadente, propria di influenze verlainiane. Casal cerca i toni sfumati, le musicalità permeate di una malinconia vaga, che nasce da stati di animo volutamente non ben definiti. La parola non soffre più la tirannia della rima, ma si culla in una musica che per se stessa invita al sogno, triste, vago, indeterminato, che crea nel lettore uno stato d'animo commosso e gli fa percepire sempre più in profondità la vibrazione spirituale.

Le parole si raggruppano secondo un ordine sapiente, si dispongono in una istintiva armonia: nel verso si registra una insistenza musicale che ricorre anche alla reiterazione monotona, ma efficace, per introdurre musica ed emozione. La sostanza descrittiva, è il caso di Recuerdos de la infancia, procede lentamente, in uno stato volutamente vago. Si vuol creare la disposizione emotiva sull'onda della musica verbale e gli elementi reali si decantano e sfumano, nell'economia del poema, senza perdere di efficacia. I temi assumono la dimensione del formato ridotto: situazion'i personali intonate su un unico motivo di dolore, di sconforto, di malinconia. Per far più evidente il proprio stato d'animo Casal ama introdurre il contrasto, ma è un constrasto apparente in quanto fin dal primo momento rivela il germe malato che lo mina. Si veda in Día de fiesta: l'«ansia infinita de llorar a solas», che il poeta esprime nell'ultimo verso della composizione in contrasto col rumore festivo, è già avvertibile fin dal primo verso in cui ci presenta il movimento della festa sotto un «cielo gris».

Anche nella concezione della donna Casal rivela il suo modernismo. Da Baudelaire egli prende l'idea dell'amore nella preferenza per la bellezza ravvivata dall'artificio. Lo stato infelice della sua salute, quel contemplare ostinato la propria lenta fine cantandone la pena, fu forse uno dei motivi determinanti del suo ritroviarsi nei «maudits», e della concezione di un amore maledetto, peccaminoso, non spoglio di superficialità esteriori che talvolta gli danno un senso di inconsistente e di falso. Nella lirica En el campo Casal eprime le sue preferenze per un mondo che sa di peccato anche nella relativa crudezza delle enunciazioni, un mondo che è modernista per l'impostazione e perchè sollecita sensazioni sottili, di una sensualità compiaciuta, ma non volgare. Versi come quelli che dicono «tengo el impuro amor de las ciudades», che rivelano la predilezione per l'ambiente «enfermizo» di un'alcova, per i fiori di serra, per la musica armoniosa della rima, per il viso «de regia pecadora», per l'oro «de tenida cabellera», per l'opalo, la perla, i diamanti, mostrano un desiderio di sensualità tattili, visive, olfattive che apparirebbe forzato in Casal se non sapessimo che proprio in questo mondo esotico creatosi a contatto dei simbolisti, bene o male egli riesce a dimenticare a volte la propria infelicità. E' quindi il suo mondo necessario, nel quale ha bisogno di credere, e che per questo acquista sincerità. Per tal modo, invece di lasciarci prendere dal senso stucchevole e superficiale di alcuni titoli delle sue liriche, che inneggiano alla morfina, alla neurosi, alle urne, agli amori dei sensi, agli avori antichi, mi sembra giusto piuttosto considerare questi elementi, tutti d'importazione francese, come necessari alla costruzione di quel suo extra-mondo, paradiso artificiale, permeato di tristezza, più affascinante per un che di peccaminoso e maledetto in cui il poeta trova ed esprime un'intima gioia, fatta in realtà unicamente di stordimento. Vi è quindi sincerità anche in liriche come Neurosis, Candori a la morfina, e in altre del genere. In questo senso si sfata l'accusa, invero poco generosa, di Juan Ramón Jiménez che qualificò Casal, e anche Silva, come «dandy» provinciali. Se un provincialismo esiste in Casal, non manca di necessità e di sincerità, ed è talmente naturale che questo aspetto è destinato a rimanere e a completarsi nel modernismo che segue, e lo presenta lo stesso Darío Del resto è l'insieme che definisce il valore di tutta la lirica di questo poeta, non il singolo elemento. Per questo insieme Casal, oltre a essere un modernista, è un poeta notevole in tutti i sensi, anche se meno ricco di Nájera e soprattutto di Silva. Del modernismo, poi, egli presenta caratteri più marcati, un'influenza molto più aggiornata e ampia della poesia francese, particolarmente del simbolismo, che è quello che trionfa, al di sopra degli stessi moduli parnassiani, anche in Darío e negli altri modernisti americani e spagnoli.

Il maggior poeta di questo primo periodo del modernismo, e uno dei più notevoli d'America, fu José Asunción Silva (1865-1896), una delle figure più cospicue delle lettere colombiane, per molto tempo ingiustamente trascurato.

Il Capdevila ha affermato49 che J. A. Silva si presentò nella poesia «como el lucero que anuncia la mañana en los todavía grises cielos literarios de América», affermazione che, se contiene molta verità, include tuttavia ancora una limitazione che mi sembra ingiustificata: Silva fu, infatti, un poeta completo di quello stesso mattino che annunciava, e tanto più originale in quanto la sua poesia presenta qualità così personali che tolgono ogni possibilità di confusione tra i contemporanei, compreso Darío. Uno dei più intelligenti critici americani, il Sanín Cano, afferma di Silva50 che egli sarebbe stato il poeta massimo e che la sua opera sarebbe stata la più genuina del modernismo, se fosse vissuto più a lungo e se le circostanze familiari e ambientali non fossero state così poco propizie alla direzione naturale dei suoi eccezionali talenti. Indubbiamente la breve vita impedì a Silva di mostrare tutte le sue possibilità, e gli ostacoli materiali furono di notevole peso talvolta per la sua creazione, ma mi sembra che proprio a molte di quelle limitazioni che il poeta trovò nel suo ambiente, quello familiare e, soprattutto, quello cittadino si debbano certe espressioni così sensibili e raffinate, l'origine di autentici capolavori, riflesso del suo stato d'animo abbattuto e triste. Nonostante la brevità dell'opera che ci ha lasciato, Silva è oggi indubbiamente il più significativo rappresentante di un modernismo originale più di quello di Darío, anche se di minori corde, più sincero, sobrio e misurato, lontano dal vuoto estetismo e dalle sonorità vacue. Se egli fosse vissuto più a lungo è indubitabile che la sua lirica avrebbe presentato una gamma più varia, perchè grande poeta lo era.

Le vicende della vita di Silva sono caratterizzate da dolori e da insuccessi che lo condussero ventottenne a suicidarsi. Aveva sofferto in pochi anni varie disavventure nell'ordine sentimentale e materiale: gran signore, aveva visto sfumare la fortuna della famiglia dopo una delle tante guerre civili colombiane; nel 1895, nel naufragio del vapore «Amérique», di ritorno da un viaggio a Parigi, in vista delle coste americane, perse gran parte della sua opera ancora manoscritta51; la morte della sorella lo ferì profondamente, privandolo dell'unico affetto che egli avesse incontrato; la bancarotta dell'impresa nella quale aveva investito i propri danari e quelli di alcuni amici, e l'impossibiltà di tener fede agli impegni assunti, unita alla mancata concessione di un dignitoso impiego nella diplomazia, aggravò la crisi. Tutti questi fatti lo condussero al tragico gesto, ma non fu un gesto di disperazione: la disperazione romantica era ben lontana dal suo spirito, di squisita formazione classica e moderna. Nella poesia di Silva vi è una cristallizzazione depurata del dolore e della delusione, che li fa più profondi. La sua stessa morte, cioè le circostanze esteriori che la circondarono, rivela una signorile misura, che non mi sembra posa, ma forma dignitosa e composta di chi della morte ha un profondo senso estetico. Circondò, infatti, di una scenografia misurata e «conveniente» quella che doveva essere la sua spoglia inanimata, e lasciò al capezzale un libro significa cativo, il Trionfo della Morte di D'Annunzio52. Con il gesto violento suggellò quella inadattabilità all'ambiente che fu uno dei maggiori tormenti della sua vita, l'insoddisfazione di se stesso, la sfiducia in ogni ordine costituito, il pessimismo leopardiano che veramente lo condusse a quel «cansancio cósmico» cui accenna Federico de Onís53.

E' da questo senso di «hastío» che nasce la poesia migliore di Silva, sempre frutto di sofferenza e di amarezza, anche quando è più apparentemente ironica, come in Gotas amargas. L'inadattabilità del poeta procede da un senso raffinato della vita, da un alto concetto che egli ha della poesia, non solo come forma e come musica, ma come espressione di un alto sentire umano. Nel suo verso egli porta le suggestioni musicali che eredita da tanti poeti: Musset, Baudelaire, Mallarmé, tra i francesi, Bécquer e Bartrina, tra gli spagnoli, Leopardi e D'Annunzio tra gli italiani, senza dimenticare, tra gli altri, Heine e in modo del tutto preponderante Poe. Ma porta al suo verso anche l'espressione di una grande umanità di sentire, di più alte preoccupazioni universali. L'esotismo superficiale è del tutto bandito dalla sua lirica. Anche la sua concezione dell'amore e della donna è sostanzialmente diversa da quella di Nájera, di Casal e di Darío. Nella poesia di Silva non vi sono esotici inni alla donna, non desideri di perversione peccaminosa, e neppure quella sensualità a fior di pelle della quale si compiacciono talvolta i tre poeti citati, ma una concezione profondamente misurata e seria. Quelli che Silva esprime nei suoi poemi sono temi profondi, ripetuti, è vero, da quando la poesia è nata, ma espressi in forme nuove, con sfumature originali, sentiti sinceramente. E' questa serietà di contenuto che dà omogeneità alla poesia di questo lirico, una omogeneità che non sempre troviamo in Nájera, né in Casal, e neppure in Darío.

Pensoso degli alti fini della poesia Silva crea lentamente, sottoponendo la propria creazione a processi elaborativi che per alcuni poemi rivelano chiara l'influenza della poetica di Poe, come nel procedere dei famosi Nocturnos e in Día de difuntos, il cui accostamento a The Raven e a Nevermore è più che giustificato54. L'influenza di The Philosophy of Composition, venga essa direttamente o attraverso Valery, vale a dimostrare quanto Silva si preoccupasse del poema. L'alto concetto in cui aveva la poesia ci è rivelato in Ars dove dice il verso «vaso santo». In Poemas egli ci dà la storia degli ingredienti, per così dire, del poema, rappresentandoci il nascere materiale del famoso Nocturno:


[...]
   era la historia triste, desprestigiada y cierta
   de una mujer hermosa, idolatrada y muerta:
y para que sintieran la amargura, ex profeso,
junté sílabas dulces, como el sabor de un beso,
   bordé las frases de oro, les di música extraña,
   como de mandolinas que un laúd acompaña;
dejé en una luz vaga las hondas lejanías
llenas de nieblas húmedas y de melancolías,
   y por el fondo oscuro, como en mundana fiesta
   cruzan ágiles máscaras al compás de la orquesta,
envueltas en palabras que ocultan como un velo,
y con caretas negras de raso y terciopelo,
   cruzar hice en el fondo las vagas sugestiones
   de sentimientos místicos y humanas tentaciones...



Esaminando quello che è considerato il capolavoro di Silva vi si riscontra la presenza di questi elementi. La concezione che il poeta ha del poema è del tutto modernista in quanto egli considera l'opera d'arte non come opera del caso, ma di una sapiente dosificazione di ingredienti nella rappresentazione del bello, che è sempre frutto di travaglio e di meditazione, oltre che di ispirazione, la quale, del resto, rimane imprescindibile.

La tematica della poesia di Silva presenta estrema coerenza con la vita e le convinzioni del poeta. Essa s'impernia su elementi pessimisti, su un senso di delusione intorno alla vita e a ogni fondamento umano. Talvolta nel poeta fa capolino una vaga presenza religiosa, prova che egli sentì la necessità del divino. Il suo stesso suicidio è, forse, la dimostrazione più evidente della presenza in lui di un profondo travaglio religioso che non raggiunse soluzione positiva. La mancanza di fede non esclude la esistenza del problema, ed è proprio questa impossibilità di fede che, togliendo al poeta il conforto estremo, determina la catastrofe, il suicidio. Le cose dovettero apparirgli grige, svuotate delle loro apparenze mendaci, per questo tormentose, anche se talvolta seppe trovare in semplicissimi elementi lo spunto necessario a un sognare per qualche modo pacificatore. O più esattamente, solo in apparenza pacificatore, in quanto dal sogno esce sempre più nuda la triste realtà. Questo ci spiega come anche in Silva, allo stesso modo che in Nájera e in Julián del Casal, eserciti grande suggestione il ricordo, che è sempre fonte di tristezza, di nostalgia, di nuovo e più grande dolore.

In Infancia il poeta canta la vaghezza di questo ricordo:


   Con el recuerdo vago de las cosas
que embellecen el tiempo y la distancia
retornan a las almas cariñosas
cual bandada de blancas mariposas
los plácidos recuerdos de la infancia.



Ma è proprio il ricordo dell'età felice e spensierata, piena di così semplici incanti, età d'oro dell'uomo, che trae più vivo il dolore per la giovinezza, l'innocenza, le illusioni perdute. Leopardi è molto vicino, qui, a Silva nel rimpianto del tempo felice. Il ricordo stesso dell'incanto dei racconti che popolavano i sogni infantili è dolore in Crepúsculo: all'uomo fatto adulto e che della vita ha scoperto l'intimo dolore, essi portano il sapore di una felicità alla quale ormai si sente incapacitato. Dolore è, in una delle più belle liriche di Silva, Los maderos de San Juan, quel ricordo della nonna che, mentre racconta, presente e quasi prova in sé le angustie e le delusioni che attenderanno il nipotino giunto all'età adulta. Lo sconforto che regna in questa lirica appare anche in Vejeces, elegia del tempo e dell'umano trascorrere, di cui restano unici ricordi «Las cosas viejas, tristes, desteñidas». Anche nel lungo poema Al pie de una estatua, dedicato a Simón Bolívar, si rivela la tragedia dell'inarrestabile trascorrere. Molto presente è, anche qui, la suggestione leopardiana, ma qualche verso ricorda anche un modello spagnolo, Jorge Manrique, proprio per quel senso di transitorietà delle cose umane:


   ¡Como sombras pasaron!
¿quién sus nombres conserva en la memoria?



La delusione, il «desengaño» delle cose, porta per via naturale il poeta alla contemplazione della morte, a cantarla come punto estremo e deprecato del vivere umano, o come suprema liberatrice. Per Silva essa non ha nessuno di questi due aspetti: in lui la morte ha esperimentato una catarsi, si è cristallizzata in stato per sè stante che non ammette terrore o desiderio. E' diventata un motivo di estrema compostezza estetica.

In Día de difuntos, infatti, non è la morte, ma l'insistente e lugubre suono della campana che incombe sull'anima del poeta. E nei Nocturnos la morte è bellezza, fissazione eterna di un attimo fuggente, come per Nájera, in un certo senso, non privo, quest'attimo, di un suo potere di suggestione55.

La morte coinvolge nella sua scia anche l'amore. Nella concezione di esso e della donna Silva è originale. Oggetto dell'amore è, per lui, una creatura vaga, indeterminata nei contorni, che vive nella nebbia e nel ricordo, lontana preannunciatrice della donna di Pedro Salinas. E' contornata di apparati esteriormente romantici, in realtà modernisti, perché si giovano di elementi sensori, tattili, plastici, pittorici e olfattivi.

L'indeterminatezza della donna che Silva ha preso a modello d'amore, un amore di spiriti accomunati, con un lieve accenno erotico, ha reso facile ad alcuni critici l'identificazione in essa della sorella Elvira nella quale, quasi sicuramente a torto, si è voluto vedere il centro di un affetto morboso del poeta. Hanno dato adito a questa induzione i Nocturnos, particolarmente il terzo, il più bello, modello di tutti i notturni di cui si arricchì in seguito la poesia modernista.

A proposito del terzo Nocturno abbiamo già accennato al parallelismo che si può riscontrare con Il Corvo di E. A. Poe: questo dal lato strutturale, mentre dal lato tematico la lirica di Silva ci sembra più vicina a Ulalume, e a entrambe le composizioni del poeta nord-americano per un'atmosfera lunare, ricca di suggestioni musicali e pittoriche. Il che non diminuisce il valore della poesia di José Asunción Silva, tuttora insuperata e unica nella lirica ispanica. Se esaminiamo i vari Nocturnos nel primo vediamo imperare la pompa modernista in colori, in rappresentazioni lievemente corpose, in musicalità. La morte vi è rappresentata come una cosa tetra, dopo il ricordo delle ore d'amore, ricordo di colori, di forme, di sensazioni di ogni ordine. Nei secondo Nocturno regna il ricordo, un tanto bécqueriano, del sogno felice, in un paesaggio molle di musica e di colorazioni notturne. Nel terzo Nocturno è l'apoteosi gloriosa del sentimento. Nel paesaggio lunare le ombre si allungano, camminano, si allacciano in funebri suggestioni. La corposità sparisce: tutto è leggero, evanescente, etereo, anche l'abbraccio. I sentimenti sembrano estendersi in un dolore senza fine, così come all'infinito si prolunga il sogno:


      Una noche,
una noche toda llena de perfumes, de murmullos y de músicas de alas;
      una noche
en que ardían en la sombra nupcial y húmeda las luciérnagas fantásticas,
a mi lado lentamente, contra mí ceñida toda, muda y pálida
como si un presentimiento de amarguras infinitas
hasta el más secreto fondo de las fibras te agitara,
      caminabas;
      y la luna llena
por los cielos azulosos, infinitos y profundos, esparcía su luz blanca.
      Y tu sombra,
      fina y lánguida,
      y mi sombra,
por los rayos de la luna proyectadas,
      sobre las arenas tristes
      de la senda se juntaban,
      y eran una,
      y eran una,
y eran una sola sombra larga,
y eran una sola sombra larga,
y eran una sola sombra larga...
      Esta noche,
      solo; el alma
llena de las infinitas amarguras y agonías de tu muerte,
separado de ti misma por el tiempo, por la tumba y la distancia,
      por el infinito negro
      donde nuestra voz no alcanza,
      solo y mudo
      por la senda caminaba...
Y se oían los ladridos de los perros a la luna,
      a la luna pálida,
      y el chillido
      de las ranas...
Sentí frío; era el frío que tenían en tu alcoba
tus mejillas y tus sienes y tus manos adoradas,
      entre las blancuras níveas
      de las mortuorias sábanas.
Era el frío del sepulcro, era el hielo de la muerte,
      era el frío de la nada...
      Y mi sombra
por los rayos de la luna proyectada,
      iba sola,
      iba sola,
iba sola por la estepa solitaria;
      y tu sombra, esbelta y ágil,
      fina y lánguida,
como en esa noche tibia de la muerta primavera,
como en esa noche llena de perfumes, de murmullos y de músicas de alas
      se acercó y marchó con ella,
      se acercó y marchó con ella,
se acercó y marchó con ella... ¡Oh, las sombras enlazadas!
¡Oh, las sombras de los cuerpos que se juntan con las sombras de las almas!
¡Oh, las sombras que se buscan en las noches de tristezas y de lágrimas...!



In questi versi c'è musica raffinata, perizia tecnica di concezione, ispirazione originale. E' il ricordo il tormento, qui, non la morte, il ricordo precisamente del tempo d'amore. La costruzione ardita del verso basata sulla reiterazione, introduce a poco a poco la sinfonia di colori, di luce lunare, di profumi, di «músicas de alas», e prepara sapientemente l'animo all'emozione per costruire intorno alla donna amata un'atmosfera rara, nella quale essa risplende di luce triste, dolorosa, in una figurazione unica nella poesia.

Il quarto Nocturno è enormemente inferiore per qualità non solo al terzo, ma anche ai precedenti, e non vale a mostrare nessuna delle doti di Silva, cesellatore esperto, orafo del verso e dell'immagine.

Con la sua poesia José Asunción Silva ha dato al modernismo novità di versificazione e d'impostazione sentimentale: da una parte ha introdotto il verso libero, una musicalità delicata e fine, che ottiene ricorrendo spesso, come si è visto, alla reiterazione, dall'altra, serietà di intenzioni, misura di sentimento, depurazione del pessimismo, una nuova concezione dell'amore e della morte. Egli ha accentuato il fascino delle cose tristi e vecchie, segno tangibile del tempo che fugge e della giovinezza il cui ricordo rinnova dolore. E ancora, ha portato valori di raffinato cromatismo, tinte tenui, tinte di luna, tinte di madreperla, suggestioni di un mondo tra la luce e la tenebra che gli doveva essere familiare nella sua Bogotà56. Ma soprattutto ha portato al modernismo una serietà di poesia, riflesso dell'intima e costante preoccupazione del poeta per l'umano destino57.

Da quanto siamo venuti esponendo, ci sembra che risulti chiaro come Nájera, Casal e Silva, ciascuno in misura diversa e con diversa originalità, appartengano pienamente al modernismo. In Nájera e in Casal è più evidente l'orma esteriore francese che non in Silva. Il poeta colombiano dà al modernismo una autonomia creativa che è degna di ricollegarsi con la parte più originale e personale dei modernisti che sono venuti dopo di lui. Ognuno di questi poeti rappresenta, in ogni istante, non un momento transitorio nella storia della nuova poesia americana, ma un momento veramente essenziale, che potrebbe vivere validamente anche senza la comparsa di Darío, in un suo giro armonicamente concluso e definito il quale trova proprio in Silva il suo punto culminante. Con questo non intendiamo negare a Darío la sua necessità nell'ambito modernista e la sua straordinaria importanza per il rinnovamento di tutta la lirica ispanica. Con Nájera, Casal e Silva, infatti, la poesia americana non avrebbe compiuto completamente la sua trasformazione, né avrebbe raggiunto quelle possibilità extra-continentali che le diede il poeta nicaraguense.




ArribaAbajoCapitolo III

La poesia di Rubén Darío


Con l'apparizione di Rubén Darío (1867-1916) il modernismo sembra trovare la sua maggiore ampiezza, la più completa espressione. La critica non ha esitato a datare, del resto, dall'apparizione di Azul (1888) il sorgere ufficiale del movimento, così che il poeta nicaraguense sembra rappresentarlo nella sua totalità.

Rubén Darío fu una creatura singolare, un misto di «niño grande, inmensamente bueno», come lo definì Valle-Inclán, e di poeta maledetto. La sua intrinseca bontà e la sua ingenuità, valsero a fargli perdonare molti degli sconcertanti aspetti che presentò la sua esistenza, e gli creò intorno un'atmosfera di simpatia propizia alla sua affermazione, che del resto sostenevano qualità veramente eccezionali.

Dal Nicaragua nativo, dove condusse una vita di stenti, Darío passò nel Cile (1886) dove ebbe modo di ampliare presto quelle conoscenze che furono il fondamento della sua formazione letteraria. Se prima aveva conosciuto e amato la letteratura classica spagnola, e, con qualche conoscenza della lingua latina, aveva tentato qualche accostamento al mondo classico, ripiegando poi su Campoamor, Bécquer, Zorrilla e Bartrina, la letteratura francese aveva già fin d'allora sollecitato la sua attenzione, in paticolare la poesia di Hugo e di Gautier. In Cile lo orizzonte delle lettere galliche gli si amplia: legge, infatti, Musset, Lamartine, Baudelaire, Leconte de Lisle, Sully-Prudhomme, Barbey d'Aurevilly, Catulle Mendès, Coppée, Groussac e altri ancora58, il cui influsso acutamente colse Juan Valera alla lettura di Azul59, il primo libro veramente importante di Darío, anche se per certi aspetti contemporaneo a Abrojos (1887) e a Rimas (1888)60, libri validi, questi, solamente per la genesi del modernismo rubeniano che annunciano timidamente, come già lo annunciavano per qualche lato Primeras notas: epístolas y poemas (1883-1885). Del 1887 è il Canto épico a las glorias de Chile, che fu un po' la rivelazione ufficiale di Darío, attraverso un tono americano61.

Di particolare importanza per lo svolgimento poetico di Rubén furono i viaggi, i soggiorni in Spagna, a Parigi e a Buenos Aires. Del 1892 è il suo primo viaggio nella Penisola Iberica. A Madrid conosce Salvador Rueda che, votatosi alla scuola modernista, contribuisce con la sua influenza all'affermazione del poeta americano. Del 1898 è il secondo viaggio, durante il quale Darío viene a contatto con Benavente, con Unamuno, Azorín, Baroja e Valle-Inclán.

A Buenos Aires si reca nel 1893, dopo essere passato per New York, dove conosce Martí, e per Parigi, dove stringe legami di amicizia con Moréas, Banville e Verlaine. A Buenos Aires, nell'ambiente tanto propizio al modernismo, Darío assume, per così dire, la direzione ufficiale del movimento62. Ma solo nel 1896 egli si decide ad accettare definitivamente per la sua tendenza il nome di modernismo che gli oppositori da qualche tempo venivano usando con evidenti intenzioni di scherno. E proprio nel 1896 appare il volume delle Prosas profanas, nel quale la sua poesia si presenta cristallizzata in forme e temi nuovi. Ma già nel 1893, al pubblicare Los Raros, Darío aveva espresso i fondamenti della sua poetica, ed era ormai completamente cosciente del valore della nuova poesia.

Del 1900 è il secondo viaggio a Parigi, dove soggiorna a lungo, e del 1910 il terzo soggiorno parigino. Nel 1916, dopo nuovi viaggi in Europa e in America, Darío si spegne di malattia in patria.

Frattanto, nel 1905, aveva pubblicato i Cantos de vida y esperanza, l'espressione più intensa della sua intimità e nello stesso tempo la sua raccolta poetica meno modernista in senso stretto. Nel 1906 era apparsa la Oda a Mitre.

Con Azul, Prosas profanas e i Cantos de vida y esperanza si può affermare sostanzialmente conclusa la cifra di Darío poeta. Il Canto a la Argentina (1910) è intimamente legato ai Cantos de vida y esperanza, e quanto pubblica in seguito non appare determinante per un giudizio sul poeta, anche se non di rado è valido in campo artistico. Darío si sapravvive, riesuma se stesso, come ha scritto Anderson Imbert63, e in El Canto errante (1907), come nei Poemas del Otoño (1910), ripete la nota della sua stanchezza, scade più di una volta di tono, rivela la prossima fine, prematura certo, affrettata fisicamente dai vizi, dell'alcoolismo, dai piaceri dei sensi, dall'abulia, in cui fece naufragare la propria moralità durante tutta la sua esistenza di acclamato poeta.

Le condizioni umane del vivere rubeniano non influiscono, del resto, sulla valutazione dell'artista. Il Verlaine uomo non ha certo influito sulla valutazione del poeta, e Darío si avvicina a Verlaine anche per le condizioni esterne della sua esistenza, per la debolezza morale e per il vizio, oltre che per la poesia. Tutto ciò rivela una ancor più grande intensità di penetrazione, di assimilazione spontanea di quell'ambiente parigino decadente nel quale il vizio, il peccato, la sensualità e l'ebbrezza di paradisi artificiali, uniti al colore, alla musica, a spontanee facoltà creative, hanno originato un'atmosfera artistica di così grande significato.

In un esame della genesi rubeniana i libri precedenti ad Azul, rinnegati poi dal poeta, prestano un valido ausilio per la determinazione progressiva del suo modernismo. Vi si trova in germe tutta la sua arte, che apparirà meglio, più che nelle poesie, nelle prose di Azul, e in tutta la sua potenza lussureggiante in Prosas profanas. Se le liriche disperse precedenti a Epístolas y poemas (1883-1885) seguono, per lo più, una vuota declamatoria romantica64, quelle comprese in questa raccolta rivelano già la conquista, sia pure limitata, di una maggiore coscienza artistica.

La retorica impera sempre, ma il verso è già agitato da molteplici correnti, non solo da quelle che portano a Quintana, a Zorrilla, a Campoamor e a Espronceda, ma anche a Hugo e alle nuove curiosità poetiche francesi più moderne, oltre che da sentimenti che si muovono verso espressioni più personali. Il gusto zorrillesco della leggenda porta Darío a rivolgere l'attenzione ad atmosfere orientali, nelle quali, pur perdurando nell'atteggiamento romantico, e non della miglior lega, il poeta trova modo di esprimere la propria incipiente sensibilità coloristica, musicale ed erotica65.

Anche Abrojos ci offre in qualche quadro alcuni elementi del Darío futuro sempre nell'ordine dell'erotismo, e del colorismo66. Ma Abrojos è un libro di regresso quanto a svolgimento: Darío, già a conoscenza del Parnasse ed entusiasta della nuova poesia, forse timoroso del pubblico, ritorna a modi prevalentemente tradizionali. La circostanzialità delle «coplas» che appaiono nel volume è evidente: sono espressione di un pessimismo che si vuol sminuzzare in esemplificazioni di reale esperienza, ispirate a modelli ispanici, a Campoamor, Bartrina, Espronceda, e molto a Bécquer67. Allo stesso Bécquer si ricollegano direttamente le Rimas, dove è più evidente che in Abrojos l'evoluzione parnassiana di Darío. Qui, infatti, vi è maggior misura, finezza musicale, perfezione d'immagini armoniose, sfumate nei colori sul modello bécqueriano, ma ricche spesso anche di cromatismi insoliti, che preannunciano Azul68, più l'Azul in prosa che l'Azul in verso. Nella prosa, infatti, Darío presenta un periodo originale perfettamente cesellato e la pagina risponde a una complessità di sensazioni che fondono nella parola le molteplici caratteristiche di tutte le arti. L'atmosfera che ne sorge acquista grazia, levità di accenti, di tinte, di suggestioni, potere di rappresentazioni sensorie. Darío rivela una profonda assimilazione della prosa artistica di Gautier, di Flaubert, dei Goncourt, di Loti e particolarmente di Mendès, giungendo a una ricreazione di essa del tutto modernista.

Nella poesia Azul ci mostra, al contrario, solamente una strada ben avviata. Nelle liriche che vi compaiono non si deve cercare la rivoluzione dei metri, che restano tradizionali (romance, silva, sonetto), ma un progressivo ampliamento della musicalità, della misura, nella composizione, e una maggiore portata spirituale, visibile nelle poesie riunite in El año lírico, che rivela in Darío un notevole sentimento panteistico, una sensibilità più attenta, tendente a vibrazioni wagneriane. Nei versi di Azul il poeta (lo dice egli stesso nella Historia de mis libros), abbandona l'ordine consueto per meglio fissarsi sulle note di una melodia interiore che contribuisce al ritmo, introduce aggettivi nuovi, studia l'etimologia del vocabolo, fa uso di un'opportuna erudizione e sceglie un lessico aristocratico. Questo è indubbiamente modernismo, anche se non tutto è nuovo, né valido in campo artistico. Si veda, ad esempio, Primaveral: vi sono versi mediocri e versi passabili, ma soprattutto vi è ricchezza significativa di colori, musicalità, vaga mitologia, sensualità di «bianche ninfe» che «se bañan desnudas», e Pan che presiede la sinfonia di paesaggi silvestri rivela un profondo sentimento della natura. I versi finali sono colmi di suggerimenti erotici che sorgono da figurazioni di un mondo classico vago, espresso in ritmi di luce, di esaltazione e di beatitudine epicurea, di misurata grazia:


Mi dulce Musa Delicia
me trajo un ánfora griega
cincelada en alabastro
de vino de Naxo llena;
y una hermosa copa de oro,
la base henchida de perlas,
para que bebiese el vino
que es propicio a los poetas.
En el ánfora está Diana,
real, orgullosa y esbelta,
con su desnudez divina
y en su actitud cinegética.
Y en la copa luminosa
está Venus Citerea
tendida cerca de Adonis
que sus caricias desdeña.
No quiero el vino de Naxos,
ni el ánfora de ansas bellas,
ni la copa donde Cipria
al gallardo Adonis ruega.
Quiero beber el Amor
sólo en tu boca bermeja,
¡oh, amada mía, en el dulce
tiempo de la primavera!



In Estival, poi, vi è intensità, impetuosità sensuale, colorismo, abbondanza di figurazioni oniriche, e un entusiasta sentimento panteistico. In Autumnal il sentimento della natura si fonde in dolce e profonda sinfonia col desiderio amoroso. I versi iniziali, pausati e lenti, richiamano per un momento l'atmosfera del Nocturno di Silva. L'amore si esprime in triste rimpianto, in malinconia mortale, la stessa che vediamo in Invierno colorare di pianto il desiderio amoroso. Al disopra degli elementi più esteriormente modernisti vi è tutta un'atmosfera di delirio sensuale che ben preannunzia il Darío erotico di Prosas profanas; ma vi sono molti elementi di malinconia che annunciano anche il poeta deluso ed esperimentato di Cantos de vida y esperanza.

Il desiderio amoroso di Darío si rivolge a una creatura che non riuscirà mai a prendere forme veramente reali, ma resterà sempre un misto di sogno e di desiderio di perversione, più che realtà. Nel poeta si rivela un desiderio di possesso che si compiace degli elementi esteriori: l'alcova, i sospiri, gli echi, il riso, il sussurro dei baci... Eppure su tutti questi elementi erotici aleggia un senso di sconforto: il sacro inno a Eros si trasforma in amarezza e rivela un radicale pessimismo, «aquel sabor amargo, que brota del centro mismo de todo deleite» che individuò Juan Valera69 riesumando il lucreziano.


«... medio de frute leporum
Surgit amari aliquid, quod in ipsis floribus angat».



Questa amarezza la ritroviamo anche in Venus, forse la più misurata e raffinata lirica di Azul, sonetto che conserva la sua validità per tutto lo svolgimento di Darío. Qui il desiderio amoroso del poeta, che si riversa su Venere, si depura nell'amaro senso di una insoddisfazione che sa ineludibile:


Venus, desde el abismo, me miraba con dulce mirar.



Le altre liriche di Azul ripetono motivi noti. Nella seconda edizione il libro apparve accresciuto di qualche composizione di tema americano, come Caupolicán, di valore piuttosto mediocre, ma che facendo seguito al Canto épico para las glorias de Chile dimostra un persistente interesse per le cose continentali, interesse che sfocerà in molte delle composizioni dei Cantos de vida y esperanza.

Azul fu veramente la rivelazione di un Darío nuovo. L'assimilazione francese vi è tanto perfetta che Juan Valera potè ben dire che non esisteva in castigliano autore più francese e al tempo stesso più indipendente e rivoluzionario di lui70.

Per comprendere la portata innovatrice di quest'opera nella lingua castigliana -ha scritto il Marasso71- è necessario pensare a Boscán, a Garcilaso, a Góngora: a Boscán e a Garcilaso versificatori e umanisti; a Góngora latinista di misteriosa penetrazione nel vocabolario, nella sintassi e nel mito.

In Prosas profanas Darío ci appare più completo. Il modernismo si mostra, qui, in tutto il suo splendore. L'orgia di colori e di suoni, di sensazioni e di erotismo è perfettamente intonata, in una interpretazione panteistica dell'universo. Il mito, l'erudizione classica sapientemente contenuta, riempie di sfolgorio vitale la rappresentazione e fa più avvertibile il palpito universale del poeta che vorrebbe fondersi in beato godimento sensuale con tutto il creato.

In Prosas profanas il modernismo canta realmente la sua messa rosa: il sacro contamina di luce liturgica il profano, il sesso ravviva i significati liturgici delle parole, il colore assume significati «eucaristici», la forma ondulata dei marmi greci si anima, attraverso l'influsso francese di una Grecia di sensazioni corpose, in movimento di carne. Scandalo ed edificazione, perversione e purezza, sono le componenti di questa orgia poetica. Ma non s'intenda il termine orgia come sregolatezza di composizione: tutto è, anzi, misurato, sull'onda di una perfezione formale che viene dal parnassismo, ma che molto risente anche dal classico tradizionale ispanico.

Evidentemente in Prosas profanas Darío ha messo da parte ogni timore nella presentazione delle sue innovazioni. Il tempo era propizio: alti consensi erano venuti alle novità del modernismo, che in América era ormai cosa evidente. Scomparsi Nájera, Casal e Silva, Darío si considerò, probabilmente, unico rappresentante della nuova poesia e si sentì impegnato a orchestrare definitivamente in tutta la loro estensione le novità introdotte. E' perciò da Prosas profanas che la reazione modernista diventa definitiva. Anche il verso nella sua forma esteriore presenta una decisa rivoluzione: Darío usa, qui, l'alessandrino francese moderno, i versi di nove sillabe, una accentazione originale nell'endecasillabo, combinazioni strofiche inusitate, e ritorna anche a forme primitive di versificazione proprie dei Cancioneros. La critica ha giustamente affermato più di una volta, a proposito di tali innovazioni, che il modernismo viene in tal modo ad acquistare lo stesso significato dell'italianismo dei tempi di Boscán e di Garcilaso. Tuttavia, se l'apporto di Prosas profanas si limitasse alle innovazioni metriche la sua portata sarebbe di molto ridotta. Nel libro vi è invece una nuova sostanza poetica, che rivela un mondo insospettato in tutta la sua ricchezza, un mondo che non è solamente coloristico e musicale, ma anche più intimamente spirituale, misuratamente malinconico e deluso. Il rinnovamento si manifesta, in questa raccolta, in una complessa gamma di toni. Domina in particolare una tendenza estetica che fa ricorso ad accostamenti di fatti, di personaggi, di circostanze; a elementi di cultura raffinata fondata sulle arti, scultura, pittura, musica, e sulla mitologia. Non di rado tale estetismo sfocia nel decorativismo religioso, di origine chiaramente simbolista e decadente. I simboli religiosi si svuotano del loro significato superiore, o meglio, lo riversano in una sorta di messa profana, a santificare la bellezza carnale delle forme. Nell'economia del poema si determina un'atmosfera illuminata di elementi artistici, consacrata negli elementi sensuali in tinte liturgiche dal ricordo del sacro.

Del decorativismo artistico è mostra quasi ogni lirica di Prosas profanas. Del decorativismo religioso è un esempio particolare Blasón, dove la figura mitologica del cigno, carica di significati erotici, assume esteriormente specie sacre. In tal modo l'ala diventa «eucaristica», e la sua bianchezza porta al ricordo dei sacri lini, o dei teneri agnelli pasquali. Dal profanatore contatto della sensualità e della carne con gli elementi densi di suggestioni mistiche esce accresciuto l'effetto erotico della composizione. Di singolare effetto è anche il contrasto tra l'eucaristico cigno e il ricordo, pompa, raffinatezza e peccato, della Pompadour.

In Para una cubana, la pallidezza della donna diviene «blancura eucarística»; in Bouquet si cantano i cigni, «cirios, cirios blancos, blancos lirios». Il bianco, come più prossimo all'eucaristico, è quello che più attira l'erotismo profanatore del poeta, il quale in Ite, Missa est non esita a paragonare lo spirito dell'amata, «sonámbula con alma de Eloisa», a un'ostia della sua messa d'amore.

Si è parlato a questo proposito di paganesimo in Darío, e certamente il poeta non rivela spirito religioso nel suo decorativismo; ma il suo profanare i termini liturgici non risponde che a un'intima necessità di deificazione, di nobilitazione dell'elemento erotico, che sente in sé così presente.

A questa necessità di nobilitazione risponde anche la filtrazione dell'elemento sensuale attraverso il ricordo del mondo greco e del settecento francese. In «Era un aire suave...», la prima composizione di Prosas profanas, la marchesa Eulalia è il simbolo di un amore inquieto, volubile e disperso. Nell'atmosfera settecentesca aumenta la musicalità, il colore, e l'esotismo del settecento appare elemento necessario al poeta, tratto dalla sensibilità francese delle Fêtes galantes di Verlaine. E' attraverso questo mondo, attraverso questa sensibilità francese, che deve passare il mondo greco di Darío per suscitare pienamente la sua adesione. Lo si veda in Divagación: qui è tutta un'atmosfera di sensualità gioiosa, espressa in colori sfumati, in musica e sospiri. La sua ricerca d'amore risponde a sensazioni cosmopolite filtrate attraverso la sensibilità francese:



   Amo más que la Grecia de los griegos
la Grecia de la Francia, porque en Francia
al eco de las risas y los juegos
su más dulce licor Venus escancia.

   Demuestran más encantos y perfidias
coronadas de flores y desnudas,
las diosas de Clodión que las de Fidias.
Unas cantan francés, otras son mudas.



Il suo scorrere in rassegna l'amore teutonico, ispanico, orientale e negro, risponde a un desiderio di intensificazioni erotiche, rafforzate da ricordi rituali: l'amore «de mil genuflexiones» della Cina, l'amore indù che alza le sue fiamme «en la visión suprema de los mitos / y hace temblar en misteriosas bramas / la iniciación de los sagrados ritos», rispondono a un desiderio di raffinata sensualità, quella stessa che fa celebrare al poeta l'amore universale, cosmopolita, misto di iniziazione, di arte e di liturgia:



   Ámame así, fatal, cosmopolita,
universal, inmensa, única, sola
y todas; misteriosa y erudita:
ámame mar y nube, espuma y ola.

   Sé mi reina de Saba, mi tesoro;
descansa en mis palacios solitarios.
Duerme. Yo encenderé los incensarios.
Y junto a mi unicornio cuerno de oro,
tendrán rosas y miel tus dromedarios.



Il sentimento panteistico di Darío è più che mai percepibile in Divagación, ma particolarmente nel Coloquio de los Centauros. Qui l'accento del poeta acquista una misura classica di andamento e di figurazione. La natura penetra sovrana in ogni aspetto. Le forze animali si sviluppano con logicità. Tutta l'esperienza spirituale e sensoria dell'universo confluisce in una visione angosciata della vita. Il motivo artistico della mitologia ravviva e dà dignità al desiderio erotico, che si giova di ben equilibrati elementi «maledetti». Nel Centauro il poeta non vede solamente la brutalità maschile, ma anche la capacità riflessiva dell'uomo72. Per tal modo, già in questa composizione egli preannuncia tempi più pensosi, percepisce, col trionfo del «terrible misterio de las cosas», la necessità della verità per la «triste» razza umana, la vita nascosta delle cose, l'aspetto umano e divino delle creature, il fatale tormento dell'Enigma, l'impero di Venere divina e perversa, l'umanità marmorea della Morte. Accenti questi che fanno davvero pensare a quanta «carne viva» ci fosse in Prosas profanas sotto quello che alcuni vollero interpretare come marmo. Una profonda pensosità domina anche il gruppo di liriche raccolte sotto il titolo Las ánforas de Epicuro che Darío aggiunse a Prosas profanas alla seconda edizione (1910). Questa pensosità si esprime particolarmente nelle liriche La espiga, «Ama tu ritmo...», Yo persigo una forma, preludio evidente a un'atmosfera di più ampie e sostanziali sollecitazioni spirituali. In Prosas profanas, quindi, non c'era più solamente il poeta squisito, aristocratico cultore della forma, rimpicciolito, perciò, nel suo contenuto umano e nella sua universalità come era sembrato a Rodó alla prima edizione. Rodó, anzi, fu colui che prologo la seconda edizione della raccolta, e con piena sua soddisfazione, poiché in essa egli trovava il vero poeta che aveva cercato.

L'importanza di Prosas profanas nella determinazione del modernismo è, evidentemente, incalcolabile. Le fonti francesi, Heredia, Leconte de Lisle, Verlaine, Gautier, Baudelaire, e quanti altri poeti ha amato Rubén Darío sono state perfettamente assimilate e ricreate in atteggiamenti originali. In Prosas profanas il poeta ha celebrato la messa «rosa» della sua gioventù, come egli ha detto73, ha cesellato le iniziali del suo breviario vedendo passare, attraverso le vetrate istoriate, le battaglie della vita, ma non ridendone tanto come gli piace affermare74. Il suo «vecchio clavicordio pompadour» non è rimasto insensibile al ritmo profondo dell'esistenza, né l'«eterno incensano de carne» l'ha inebriato unicamente del profumo del suo seno. La poesia primaverile di Prosas profanas racchiude più di un germe autunnale, che poi si svilupperà e prenderà forma più adatta nei Cantos de vida y esperanza. Il ricordo, «en sueños», dell'oro, della seta e del marmo della corte di Eliogabalo non ha potuto nascondere i palpiti di una più seria vita interiore.

Vi è, perciò, unità di svolgimento tra Prosas profanas e i Cantos de vida y esperanza, un'unità che non è solamente di ordine formale, ma anche di intima sostanza. Lo stesso Darío scrisse, all'inizio del nuovo volume di versi, che molte delle parole, dei concetti da lui espressi nell'introduzione alle Prosas si sarebbero potuti ripetere totalmente. Il suo rispetto per l'aristocrazia del pensiero, per la nobiltà dell'arte, non sono cambiati; l'orrore per la mediocrità, per la «mulatez» intellettuale e la «chatura» estetica è solamente corretto da una ragionata indifferenza75. I concetti che queste parole esprimono indicano inequivocabilmente un cosciente modernismo. Dal lato metrico il movimento si arricchisce, qui, della introduzione dell'esametro, in particolare relazione col modello carducciano. Vi è, però, nei Cantos una definitiva decantazione della forma, oltre che della sostanza. Gli anni non passano inutilmente e portano maggiore riflessione, e un desiderio più sostanziale di serietà poetica. La piena primavera del libro precedente si cambia ora in «esencia y savia» dell'autunno. La qual cosa porta il poeta a rinunciare volutamente alla ricchezza di forme brillanta sua precedente caratteristica, per cercare un modo di espressione più complesso, che risponda al superamento di profonde difficoltà nel raggiungimento di una semplicità di parola essenziale. Per ottenere questo, Darío cerca rispondenza in una materia più raccolta, più pensosa, che viene da esperienze vive, e proclama il suo senso deluso della vita, anche se il canto è «di vita e di speranza». Egli esprime una sua filosofia della vita non imbevuta di pessimismo, ma permeata di rassegnazione, quando non rivolta a un ideale più alto, quello della ricostruzione spirituale della comunità ispanica. Nei Cantos de vida y esperanza Darío ci appare come l'uomo che giunto alla sua piena maturità, nell'ora del bilancio finale, vede sfilare davanti a sé la sequenza della sua esistenza, dalla triste fanciullezza di miseria, alla gioventù densa di lotta, all'apoteosi di gloria. Al disopra di ogni compiacimento per il cammino percorso egli sente l'amarezza della mancanza di elementi spirituali più positivi, la mancanza della fede e di superiori ideali. La crisi che ne viene in lui lo conduce a credere nella divinità e nell'avvenire del suo popolo. Il ritorno a Dio di Darío può sembrare frutto di opportunismo, se pensiamo all'ambiente cattolico a oltranza in cui dovè muoversi, ma mi sembra piuttosto frutto di una viva esperienza e di una necessità tormentosa. L'amarezza della vita trova nella fede l'unico conforto. Nel canto del valore eterno della spiritualità ispanica il poeta trova finalmente la sua missione trascendente, quella che probabilmente gli sembrò più idonea a dare significato determinante alla sua opera. Credo che si possa vedere in questo una certa influenza dei contatti che Rubén Darío ebbe con gli scrittori del '98, ai quali si avvicina indubbiamente il suo nuovo orientamento spirituale. Risorge, quindi, in Salutación del optimista la fede nelle «ínclitas razas ubérrimas, sangre de Hispania fecunda, espíritus fraternos, luminosas almas», la fede nella comunità dei popoli ispanici, nella quale unicamente trova la difesa contro l'aggressione dell'imperialismo statunitense. Quanto alla fede in Dio, mi sembra che il poeta la senta necessaria per trovare l'ausilio di forze extra-umane contro le «férreas garras» che minacciano il suo mondo. Nel canto A Roosvelt egli preconizza la fusione del mondo ispanico cattolico, per la creazione di un blocco compatto. Darío diventa poeta civile, ma non decade nell'oratoria, esprime sempre, al contrario, la preoccupazione intima e sincera per un problema che considera vitale e che realmente soffre in sé. L'orientamento patriottico americano è, certo, il meno rispondente, a parer nostro, al modernismo puro, ma nonpertanto è uno degli elementi che gli iniziatori del modernismo avevano annunciato e che con Darío doveva avere il suo adeguato sviluppo anche in altri poeti modernisti.

Nella raccolta dei Cantos de vida y esperanza vi sono, tuttavia, molte liriche che esulano dall'americanismo e che presentano maggiore continuità e unità con la poesia precedente di Rubén, anche se sembrano considerarla, e sinceramente, lontana. Nella lirica che inizia la raccolta il poeta canta il se stesso di un tempo finito:


   El dueño fui de un jardín de ensueño
lleno de rosas y de cisnes vagos;
el dueño de las tórtolas, el dueño
de góndolas y liras en los lagos;



Eppure perdura ancora in lui una significativa sete di «ilusiones infinitas». Si veda, del resto, con quanta insistenza in mezzo ai canti di fede fa capolino il simbolo erotico del cigno, il ricordo sensuale di Leda. La continuità con la lirica di Prosas profanas non potrebbe essere più palese nel terzo sonetto del gruppo Los Cisnes e nella quarta composizione. L'avventura celeste è celebrata con ardore di desiderio in Leda e il poeta si compiace visibilmente di ricreare le condizioni dell'atto in cui la bestia e la divinità si confondono.

Sono questi orientamenti apparentemente contrastanti che ci rivelano la sincerità che ha presieduto allo svolgimento di Darío, nel quale la lotta tra lo spirito e la carne sembra essersi fatta più acuta. Se egli celebra con entusiasmo delirante di desiderio la «celeste carne de la mujer», che è «ambrosía», «maravilla» -si veda la composizione XVII-, è perchè ancora incapace del definitivo superamento dei sensi sente nell'amore il più forte antidoto contro la tristezza della vita, che gli appare «tan doliente y tan corta».

Ma questi non sono ancora altro che barlumi indicativi di quell'autunno che appare completo in «Yo soy aquél...», e particolarmente nella Canción de otoño en primavera, lirica questa così permeata di musicalità, di tristezza e di sincera umanità, da essere divenuta giustamente famosa. Il poeta vi canta la fine di tutte le sue illusioni, con la fine della giovinezza:


Juventud, divino tesoro,
¡ya te vas para no volver!
Cuando quiero llorar, no lloro...
y a veces lloro sin querer...



Le illusioni, tuttavia, sono lente a morire, e neppure nell'ultima coscienza dell'impossibile appagamento il sogno perde la sua suggestione:


En vano busqué a la princesa
que estaba triste de esperar.
La vida es dura. Amarga y pesa.
¡Ya no hay princesas que cantar!
Mas a pesar del tiempo terco,
mi sed de amor no tiene fin:
con el cabello gris me acerco
a los rosales del jardín...



Quando, più innanzi, al poeta si apre nella sua totalità il vuoto dell'esistenza, la «miseria de toda lucha por lo infinito», come canta nella composizione XV, la prospettiva spirituale con la quale ci si presenta si amplia a toni umani ed eterni, a quei toni raccolti e pensosi che scaturiscono dall'essenza stessa dei temi, eterni come la poesia e sui quali si è venuta costruendo la spiritualità del mondo. Nascono, così, i Nocturnos, quello che inizia coi versi «Quiero expresar mi angustia...», canto di rinuncia completa alle illusioni, e l'altro, «Los que auscultásteis el corazón de la noche», più pensato, tutto in sordina, sfumato in toni leggeri nell'amaro considerare l'eterna delusione del sogno, le nostalgie tristi per un passato sprecato e per un futuro che ormai non vede realizzabile. Nel tramonto di ogni illusione terrena la sensibilità di Darío s'affina straordinariamente, si fa capace di cogliere il battito recondito dell'universo:


... siento como un eco del corazón del mundo
que penetra y conmueve mi propio corazón.



Se consideriamo tutti questi motivi Cantos de vida y esperanza, pur presentando un momento di superamento di uno stato di «desengaño», è però fondamentalmente il prodotto di un autunno spirituale, inteso come età propizia alla riflessione e alla tristezza. Tuttavia anche l'americanismo che il poeta rivela, e che rappresenta la sua evasione dalla triste considerazione del fallimento della sua vita, è sincero, e tale sarà anche nello sconforto dei libri che seguono. Ma il Darío vera espressione di questo importante e definitivo momento è quello delle liriche più pensose. Qui egli acquista la serietà della musa malinconica di José Asunción Silva, anche se con orientamenti diversi, che d'altra parte sono quelli che in ogni poeta ne conservano l'originalità nel concerto modernista.

In Rubén Darío possiamo dire che se il battito umano è stato sempre latente, fors'anche senza sua chiara coscienza, esso si è rivelato più che mai nei Cantos de vida y esperanza e occasionalmente nelle Prosas profanas. La delusione non ha generato atteggiamenti pessimisti, ma solo una rassegnazione che conduce il poeta a Dio, senza riuscire a spegnere totalmente la profonda attrazione dell'erotico.

Il Darío del Canto errante e del Poema del Otoño non ci presenta nulla che non sia già apparso, e in forme più valide, nella lirica fin qui esaminata. L'esame di questi libri ci porterebbe a ripetere in altre parole il già detto. Noteremo, tuttavia, che in entrambi i libri ciò che maggiormente attrae è la musicalità del verso e una accentuata attenzione per il paesaggio e la natura americani in liriche di intenso cromatismo. In sostanza, però, la decadenza del poeta è ormai nettamente visibile, nonostante composizioni di un certo tono e ancora significative.

Il modernismo di Darío, meglio, la sua originalità, la sua unicità nel mondo della poesia, si conclude nei Cantos e in essi si conclude anche l'artista, il poeta straordinario che, sia pure attraverso non poche, e del resto inevitabili, fangosità, ha dato alla lirica di lingua spagnola realmente la carica vitale che l'ha condotta a realizzare un nuovo Secolo d'Oro76.



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