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Il Canto épico si pubblicò nel 1918, a Santiago del Chile.

 

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A Buenos Aires parnassiani e simbolisti erano stati già tradotti prima dell'arrivo di Darío. Il giornale La Nación fu l'organo diffusore dei nuovi valori. Si veda a questo proposito lo studio preliminare di E. Anderson Imbert a Rubén Darío: Libros poéticos completos y antología de la obra dispersa, México, 1952, p. XVI, e la nota 7 della stessa pagina.

 

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E. Anderson Imbert, Rubén Darío, poeta, in R. Darío, Poesías, México, 1952, p. XLII.

 

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Le liriche disperse sono il prodotto degli anni che vanno dal 1881 al 1883, e sono permeate di anticlericalismo, di aneliti alla libertà, di invettive contro la tirannia, di inni al progresso e all'unità dell'America. Si vede qui il Darío adolescente, ma già esperto versificatore, che della poesia fa esercitazione retorica, sia pure in sincerità di intenzioni. Qualche composizione, tuttavia, preannuncia già un avvicinamento di sensibilità alla nuova poesia francese, come la Serenata del 1882, così vicina a Baudelaire e a Gautier, musicale e leggera nel ritmo, esotica nell'atmosfera evocativa del paese «del sándalo y la goma», nuova nell'uso dell'alessandrino francese.

 

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Si vedano, a questo proposito, le liriche La cabeza de Rawi e Alí. Nella prima vi è una compiaciuta descrizione delle donne tra le quali il re dovrà scegliere la sua sposa. Questa descrizione preannuncia qualcosa della policromia modernista, particolarmente nella menzione delle perle, dei rossi coralli, dell'aurea pioggia in cui si allude alla bionda capigliatura. L'esotismo affiora nel ricordo delle terre di Circassia e di Nubia, di Bagdad dalle favolose suggestioni erotiche e coloristiche. Nel tradizionale verso del «romance» questi elementi si presentano fusi in forme nuove, in nuova musica verbale. L'erotismo è evidente anche in quell'accennare alla condizione di «completamente desnudas / en toda su esplendidez» delle donne: l'avverbio rivela intenzioni erotiche nella sua forza estensiva, e un compiacimento sensuale che in Darío si svilupperà sempre più come motivo di desiderio. Quanto ad Alí, zorrillesca e romanticamente truculenta, essa ci mostra un acuirsi dell'erotismo: la donna non è più lasciata nella sua sia pur ampia, ma indeterminata nudità. Darío ricorre a esemplificazioni corpose, al dettaglio che sa già di paradisi orientali e di compiaciuta perversione: «-Se vía tras las ligeras / gasas de su vestidura, / lo leve de su cintura, / lo lleno de sus caderas». La contrapposizione tra «leve» e «lleno» ha un valore di estrema plasticità. Il sogno erotico del poeta prende sempre più corpo e nella stessa composizione lo porta alla sollecitazione cerebralmente sensuale del velo leggero che mosso dal vento lascia indovinare, più che vedere, «lo que a la vista se veda». Questo gli comunica un desiderio violento di andare «al paraíso maometano». Vi sono, quindi, chiari preannunci di elementi che saranno fondamentali nella poesia di Rubén, ma che sono qui ancora corposi e grossolani. E vi è facilità indubbia di versificazione.

 

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L'atmosfera dalla composizione IV, ad esempio, è nettamente orientale: vi è calore e raffinatezza erotica nella descrizione degli elementi della bellezza dell'odalisca dalla bocca porporina, esotismo nel soggetto femminile scelto, atmosfera orientale nella menzione del «Kiosco bien oliente».

 

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Si vedano per l'influsso di Bécquer su Darío in questo periodo le composizioni XI, XIII e XIV di Abrojos.

 

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E. Anderson Imbert ha notato (op. cit., p. XIII dello studio preliminare) questa parentela di Azul con Abrojos e con Rimas; egli asserisce che i tre libri furono scritti simultaneamente, e aggiunge che proprio nella prosa di Azul Darío fu un innovatore, mentre la lirica può dare solo elementi sparsi di quello che sarà il Darío posteriore. La differenza tra le qualità della prosa e quelle della poesia del libro in questione è realmente molto evidente. La prosa presenta un valore più definito e concluso, sia dal lato formale che da quello del contenuto.

 

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J. Valera, II.ª Carta prólogo a Azul, ed. cit, p. 21.

 

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J. Valera sorisse: «no hay autor en castellano mas francés que Ud.», «Ud. no imita a ninguno: no es Ud. romántico, ni naturalista, ni neurótico, ni decadente, ni simbólico, ni parnasiano. Ud. lo ha revuelto todo: lo ha puesto a cocer en el alambique de su cerebro, y ha sacado de ello una rara quintaesencia». (Cfr.: I.ª Carta prólogo a Azul, ed. cit., p. 14, e p. 15).

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