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Le origini della letteratura antillana

Giuseppe Bellini


Università di Milano



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1. Non v'è dubbio che le origini della letteratura nelle Antille sia di segno ispanico. Lo attestano le vicende storiche: spagnoli sono i colonizzatori già al seguito di Cristoforo Colombo e castigliana è la prima espressione della nuova cultura.

Questa situazione si prolunga praticamente fino al Settecento, quando gli interventi della Francia nelle vicende americane finiscono per stabilire una definitiva presenza di questa nazione nella parte settentrionale dell'isola di Haiti, antica Española. È infatti nel 1795, con il trattato di Basilea, che questo territorio diviene ufficialmente francese, consolidando quella che era stata la conquista del pirata Bertrand d'Augeron, che Luigi XIV fece governatore del territorio.

Ma gli interventi delle potenze rivali della Spagna -Inghilterra, Olanda, Francia- erano iniziati ben prima. Non è una novità l'insidia ai commerci e dai pirati e dai filibustieri, spesso al servizio delle nazioni nemiche, tra esse soprattutto l'Inghilterra. Per tutto il Seicento le colonie americane della Spagna furono oggetto di attacchi, di distruzioni e di carneficine, benché mai riuscissero a concretare una stabile presenza nemica sul territorio continentale. Diverso fu talvolta il successo nell'ambito caraibico. Qui il pirata olandese Giacomo l'Hermite riuscì a impadronirsi della foce del Río Esquivo, la Guyana, e nel 1604 conquistò l'isola di Curaçao. Un altro pirata, Morgan, al servizio degli inglesi, si impadronì della Giamaica, che per il trattato di Madrid, del 1670, passò definitivamente all'Inghilterra. La Francia, da parte sua, agli inizi del secolo XVII era già padrona della Guadalupa e della Martinica.

Portorico era stato oggetto di ripetuti assalti e distruzioni da parte dei pirati e la sua storia non doveva riservargli un avvenire d'indipendenza, neppure quando si andarono affrancando dalla Spagna, agli inizi e durante tutto il secolo XIX, i vari territori americani. La vittoria degli Stati Uniti sulla Spagna, nel 1898, significò l'occupazione e l'appropriazione dell'isola, solo in seguito mascherata dall'istituzione dello «Stato Libero Associato», uno stato geloso della propria cultura iberica e della propria lingua, la castigliana.

Santo Domingo non ebbe in un primo tempo miglior sorte: per il trattato di   —8→   Basilea passava alla Francia, ma quando Haiti si proclamò indipendente, di fronte ai molti assalti dei vicini la parte ispanica dell'isola confluì nella Grande Colombia di Bolívar. La conseguenza fu l'invasione da parte del presidente haitiano Jean Boyer: il dominio haitiano durò una ventina d'anni, finché nel 1844 il generale Pedro Santa Ana riuscì a creare la repubblica indipendente, che ben presto si riannesse alla Spagna, nel 1861; l'indipendenza tornava ad essere raggiunta, dopo cruente lotte, nel 1865, ma con molta instabilità, tanto che dal 1916 al 1922 lo stato fu occupato dagli Stati Uniti.

Più o meno la medesima sorte conobbe Cuba, con Portorico ultimo dominio spagnolo in America. I numerosi tentativi di rivolta trovarono appoggio nei governi degli Stati Uniti, ma le spedizioni di Narciso López, dalla Luisiana, nel 1851, e le altre successive non ebbero fortuna. Nel 1868 Carlos Manuel Céspedes riuscì a proclamare l'indipendenza, e l'anno seguente il Congresso dichiarò costituita la Repubblica, ma i successori di Céspedes -nel frattempo morto in battaglia- accettarono nel 1878 le proposte del generale spagnolo Arsenio Martínez Campos, dando origine a un vasto movimento di opposizione e di guerriglia; numerosi furono gli esuli che si rifugiarono negli Stati Uniti, tra essi José Martí, Máximo Gómez e Antonio Maceo. Nel 1895 la guerra contro l'occupante spagnolo fu ripresa; Martí perse la vita in un tentativo di sbarco; inutile fu la concessione dell'autonomia all'isola: i rivoluzionari, forti dell'appoggio statunitense, continuarono la lotta. Nel 1898 gli Stati Uniti, per l'affondamento della corazzata Maine nel porto dell'Avana, dichiararono guerra alla Spagna, che facilmente piegarono. Per la pace di Parigi, del dicembre 1899, veniva riconosciuta l'indipendenza di Cuba, che tuttavia rimase per diversi anni occupata dagli statunitensi, i quali con l'emendamento Platt alla Costituzione cubana, del 1900, vedevano riconosciuto il loro diritto di intervento in caso di guerra o di disordini interni. La Repubblica sorgeva nel 1902 su fondamenta minate, limitata nella sua sovranità e il paese in mano al capitale nordamericano: fu un fallimento completo e l'avvento presto di dittature gradite agli U. S. A.

Il resto è storia nota: nelle due grandi isole delle Antille avvicendarsi di governi più o meno democratici e di dittature, alcune lunghe e crudeli, come quella del generale Heureaux a Santo Domingo, poi di Trujillo, e quella del sergente Batista a Cuba, cui pose fine la vittoria della rivoluzione castrista, a sua volta, nonostante il suo significato storico per l'America Latina, tutt'altro che democratica. Un ben triste destino.

2. La Española fu, ai tempi della scoperta e della successiva conquista da parte ispanica, il centro di maggior rilevanza, sia come base per le successive scoperte antillane e conquiste, sia come nucleo fondante della nuova cultura ispano-americana. La mancanza di civiltà progredite, in tutto l'ambito delle Antille -i Tainos, a Cuba, furono una pallida eccezione, come lo furono gli indigeni dell'Española, la cui religione animista indagó il padre Chanca, mentre Ramón Pané si dedicò allo studio di quella taina, entrambi i personaggi al seguito di Colombo   —9→   nel suo primo viaggio- favorì l'impianto della nuova cultura, quella ispanica.

Ben presto, fondate le prime «poblaciones», costruite chiese e conventi, si aprirono le Università. Santo Domingo divenne una sorta di «Atene del Nuovo Mondo», come la definirono, oltre che sede della Chiesa «Primada» d'America. Si aprirono due Università, quella di Santo Tomás de Aquino, nel 1538, retta dai domenicani, e l'Università di Santiago de la Paz, nel 1540, appartenente ai gesuiti. La prima di queste due istituzioni era destinata a raggiungere grande fama.

A Cuba solo nel 1725 si dotò La Habana di una Università, ma a Portorico nulla fu fatto in questo campo durante tutto il periodo coloniale: l'isola era in certo qual modo periferica, poco sicura e scarsamente popolata. Avrà un'Università solo nel 1903, ormai Stato libero Associato agli Stati Uniti.

Ben presto, comunque, in seguito soprattutto alla scoperta del Messico e all'attività di conquista, La Española perse gran parte della sua importanza, costituì solo una base di smistamento, presto sostituita da Cuba, più vicina alle coste messicane. Fu l'inizio di un lungo periodo di decadenza durato secoli. Maggior consistenza andò acquistando, anche dal punto di vista culturale, Cuba.

3. Di una letteratura antillana, che concerne cioè l'area ispanica rappresentata dalle tre grandi isole menzionate, si può parlare, con buona volontà, sin dal primo istante della scoperta. Abbiamo sempre considerato il Diario di Colombo e le lettere ai Re Cattolici sulle sue scoperte il punto di partenza della letteratura ispano-americana. Colombo, infatti, non fa che parlare delle Antille, soprattutto di Santo Domingo, cui pone il nome di Española, mentre chiamerà Cuba La Juana, e Portorico La Fernandina. Del resto, l'immagine esaltante diffusa dal navigatore genovese per le Antille, diverrà riferimento permanente per la fantasia europea, ancor oggi vivo quando si pensa all'America.

Nella Carta del descubrimiento dell'Española Colombo la descrive come terra meravigliosa, «para desear y vista para nunca dejar», dove si concreta il meglio della bellezza e degli uomini allo stato di natura: «en el mundo creo no hay mejor gente ni mejor tierra: ellos aman a sus prójimos como a sí mismos y tienen su habla la más dulce del mundo, y mansa y siempre con risa».

Nel secolo XVIII saranno debitori a questa immagine gli apologisti del «Buon selvaggio», da Rousseau a Chateaubriand, attraverso Bernardin de Saint Pierre.

Colombo è, in ogni caso, il grande descrittore, certo con una buona dose di fantasia, delle Antille. La novità del paesaggio lo prende profondamente: acque da ogni parte, e isole infinite, e vegetazione lussureggiante, con alberi che gli sembrano presentare foglie e frutti diversi per ogni ramo. Un giardino quasi d'incatesimo che, nonostante la presenza dei cannibali, gli permette di pensare, raggiunta la foce dell'Orinoco, come scrive nella quarta lettera ai Re, di essere giunto in prossimità del paradiso terrestre, dal quale il fiume procederebbe. Il Mondo Nuovo, mondo antillano, è in ogni caso paradisiaco. Colombo ne è l'esaltatore,   —10→   un vero artista senza esserselo mai proposto: «La mar llana como un río y los aires mejores del mundo. [...] El cantar de los pajaritos es tal, que parece que el hombre nunca se querría partir de aquí», afferma.

4. Agli inizi dell'epoca coloniale Santo Domingo città vede una presenza intensa di letterati e di eruditi. La illustrano il vescovo Alessandro Giraldini, vi soggiorna frate Gabriel Tellez, meglio noto come Tirso de Molina, commediografo eccelso, così come il cronista Gonzalo Fernández de Oviedo, «Alcaide» della fortezza e «Regidor perpetuo» della città stessa, dove permase dal 1533 alla sua morte, avvenuta nel 1557. Ma forse più ricorre il nome di Santo Domingo per l'improvvisa e conturbante conversione dell'encomendero Bartolomé de Las Casas, dopo aver udito, nella quarta domenica d'Avvento del 1511, il terrificante sermone del domenicano Frate Antonio de Montesinos sulle gravissime responsabilità degli spagnoli nella distruzione degli indigeni. La Brevísima relación de la destrucción de las Indias, edita nel 1552, sarà il più spietato atto d'accusa contro la conquista: esso prende le mosse dall'esperienza di Las Casas nell'isola.

Durante i primi secoli della colonia abbondano gli storiografi e i descritti delle realizzazioni architettoniche locali, sia a Santo Domingo che a Cuba e a Portorico. La poesia neppure manca di cultori: si tratta di una poesia d'occasione, di scarso rilievo, e solo si ricordano le poche composizioni della monaca dominicana Leonor de Ovando, del secolo XVI, e nella poesia epica l'Espejo de paciencia del «canario» Silvestre de Balboa, morto prima del 1644, un poema di non grande momento, comunque interessante, poiché fu il primo, come sottolinea Cintio Vitier, a rispecchiare la natura di Cuba. Scritto in ottava rima, il poemetto è «de intención heroico religiosa», come ben lo definisce Raimundo Lazo: tratta infatti di un episodio della vicenda coloniale cubana, ossia la prigionia di frate Juan de las Cabezas Altamirano, vescovo di Camagüey, catturato da alcuni mercantipirati francesi, capitanati da Gilberto Girón, del riscatto pagato per riavere il prelato, quindi della vendetta dall'offesa da parte di un gruppo di creoli di Bayamo, che sconfiggono con le armi i francesi. Molteplici sono, come è naturale, le influenze: Balboa cita Orazio, ma è soprattutto presente l'orma dell'Araucana di Ercilla, forse delle Elegías de Varones Ilustres de Indias, di Juan de Castellanos, certamente dell'Orlando furioso attraverso le Lágrimas de Angélica, di Barahona de Soto, «débil penumbra», come esattamente scrive il Vitier, il quale, tuttavia, dichiara: «Para nosotros, sin embargo, está penetrado -il poema- de una voz matinal de playa y de un aroma de frutos cubanos que nos hacen encantadores hasta sus desaliños verbales: desaliño que le quita el empaque solemne y monótono del género, movida su palabra por un airecillo libre, modesto, secretamente insular en su misma ausencia de pretensiones y en su abierta fragancia».

Nel secolo XVIII antillano si manifestano alcuni poeti lirici, come Manuel De Zequeira (1760-1846) e Manuel Justo de Rubalcava (1769-1805), entrambi militari, a Santo Domingo, Cuba, Portorico, ma nativi di Cuba. Furono poeti neoclassici, il primo valido celebratore della natura cubana, come nella lirica «A la piña»,   —11→   il secondo lirico bucolico nelle «silvas» di «Ocios de Guantánamo» e finemente poeta nel sonetto «A Nise bordando un ramillete».

Quanto al teatro esso sorse nelle Antille come parte delle feste religiose. Secondo l'Olivera «hay constancia que todavía en la primera década de la centuria XVII en las iglesias se desarrollaban farsas, autos y comedias no del todo edificantes. Las representaciones, por supuesto, siguieron siendo de celebraciones religiosas y oficiales duramente parte del siglo XVIII».

Tra i drammaturghi si ricordano il dominicano Cristóbal de Llerena (morto prima del 1627), del quale ci è giunto un entremés, duramente critico verso gli ufficiali regi, che gli procurò persecuzione, e il cubano Santiago Pita (m. 1755), che l'Arrom fa autore della commedia El príncipe jardinero y fingido Cloridano, orientata sulla commedia del «Siglo de Oro» spagnolo, complicata per intreccio amoroso e di cappa e spada, ma generalmente fluida nella versificazione, oltre che ricca di movimento, per nulla inserita, comunque, nella realtà locale. Infatti, il punto più sicuro di riferimento è «l'opera scenica» di Giacinto Andrea Cicognini (l606-l660), fiorentino, Il Principe Giardiniero, ma con reminiscenze ispaniche e ispano-americane: Moreto, Cervantes, Calderón e Sor Juana Inés de la Cruz, col risultato sorprendente di una commedia «tersa y bien llevada», di un «deleitoso cuento de hadas», come la giudica José Juan Arrom.

5. Con il secolo XIX la letteratura antillana mostra l'accentuarsi di una differenziazione tra le diverse isole e nazioni, benché Portorico sia più sensibile al richiamo ispanico, anche per la sua debolezza politica, e Cuba divenga progressivamente il centro di maggior rilievo.

Il Romanticismo dà alcuni nomi rilevanti, tra essi quello, di José María Heredia (1803-1839), patriota, traduttore dell'Alfieri, del Foscolo e di Voltaire, autore di prose, articoli di critica letteraria, di solida sostanza, e notevolissimo poeta, in composizioni divenute famose, come «En el Teocalli de Cholula», l'ode al «Niágara», l'«Himno del desterrado», scritte tra il 1820 e il 1825. Domina i suoi versi una tensione profonda, una viva sensibilità, colorata di angosciato rimpianto, per il paesaggio patrio, che evoca dall'esilio. Così egli celebra con trasporto in «En el Teocalli de Cholula» l'abbondanza di frutti della terra americana -vi si ispirerà il Bello delle Silvas Americanas-; modello lontano sono la Grandeza Mexicana, di Bernardo de Balbuena e la Rusticatio Mexicana del padre Rafael Landívar, ma la sensibilità è tutta romantica. Infatti, alla solarità dei due poemi citati Heredia sostituisce l'imbrunire, ora di raccoglimento, la notte, carica di suggestioni misteriose:


Bajó la luna en tanto. De la esfera
el leve azul, oscuro y más oscuro
se fue tornando: la movible sombra
de las nubes serenas, que volaban
por el espacio en alas de la brisa,
era visible en el tendido llano.



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E romantica è la suggestione delle rovine, qui quelle azteche, naturalmente, originale la maestà dei vulcani, agghiacciante il clima tenebroso dell'invocazione al gigantesco Anáhuac, dove si compie la tragedia dell'uomo, delle generazioni, solo passeggere sulla terra:


¡Gigante del Anáhuac! ¿cómo el vuelo
de las edades rápidas no imprime
alguna huella en tu nevada frente?
Corre el tiempo veloz, arrebatando
años y siglos como el norte fiero
precipita ante sí la muchedumbre
de las olas del mar. Pueblos y reyes,
viste hervir a tus pies, que combatían
cual ahora combatimos y llamaban
eternas sus ciudades, y creían
fatigar a la tierra con su gloria.
Fueron: de ellos no resta ni memoria.
¿Y tú eterno serás? Tal vez un día
de tus profundas bases desquiciado
caerás; abrumará tu gran ruina
el yermo Anáhuac; alzaranse en ella
nuevas generaciones, y orgullosas
que fuiste negarán...
    Todo perece
por ley universal. Aun este mundo
tan bello y tan brillante que habitamos,
es el cadáver pálido y deforme
de otro mundo que fue...



Il paesaggio messicano, quello continentale in genere, includendo lo spettacolo delle cascate del Niágara, è motivo sempre per l'evocazione intima e dolente del paesaggio natale. Di fronte alla meraviglia delle acque, spettacolo grandioso, di forza trascinatrice, si fa largo un paesaggio intimo, le


... palmas deliciosas
que en las llanuras de mi ardiente patria
nacen del sol a la sonrisa, y crecen,
y al soplo de las brisas del océano
bajo un cielo purísimo se mecen...



Col passare del tempo la nostalgia diviene disperazione, conclude nella tormentosa coscienza del fallimento, conduce al senso della morte, sulla quale, tuttavia, con convinzione afferma la permanenza al segno della fede:


[...]
sin patria, sin amores,
sólo miro ante mí, llanto y dolores.
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      ¡Niágara poderoso!
oye mi última voz: en pocos años
ya devorado habrá la tumba fría
a tu débil cantor. ¡Duren mis versos
cual tu gloria inmortal! ¡Pueda piadoso
viéndote algún viajero,
dar un suspiro a la memoria mía!
Y yo, al hundirse el sol en occidente,
vuele gozoso do el Creador me llama,
y al escuchar los ecos de mi fama,
alce en las nubes la radiosa frente.



6. Il trionfo del Romanticismo nelle Antille vede alcuni poeti dei quali vale la pena la menzione: il cubano, mulatto, Gabriel de la Concepción Valdés, «Plácido» (1809-1844), fucilato come cospiratore, autore di versi di grande freschezza e semplicità; Domingo del Monte (1804-1853), poeta e prosatore, pure cubano, che esercitò grande influenza sulla formazione della critica letteraria; José Jacinto Milanés (1814-1863), ugualmente cubano, poeta di grande sensibilità e drammaturgo; Gertrudis Gómez de Avellaneda (1814-1873).

L'Avellaneda fu la figura di maggior rilievo del Romanticismo cubano. Ebbe una vita piena di contrasti, tormentata, con trasporti non di rado verso il misticismo, ma fu anche profondamente scossa dalla passione. Come scrittrice fu eccezionalmente equilibrata. Scrisse romanzi come Sab (1841), su un tormentoso conflitto d'amore tra uno schiavo mulatto e la figlia del latifondista suo padrone. Il tema era già stato affrontato da un altro narratore cubano, Anselmo Suárez y Romero (1818-1878) in Francisco (1838) e quasi nel medesimo periodo Cirilo Villaverde (1812-1894) preludeva al Realismo nel romanzo Cecilia Valdés, sul dramma di una mulatta che, innamoratasi di un bianco, poi da lui abbandonata, scopre che è il suo fratellastro. Opera tremendista, ma acuta nella ricreazione della vita cubana.

Anche la storia del passato indigeno attirò l'Avellaneda e vi si ispirò per alcuni romanzi, come Guatimozín. Al teatro, sull'orma di Alfieri, ma anche di Alexandre Soumet, diede un Saúl di notevole fattura.

Al movimento romantico Cuba diede altri nomi rilevanti: Rafael María Mendive (1821-1866), maestro di Martí, fu poeta finemente malinconico; Juan Clemente Zenea (1832-1871), che finì fucilato dagli spagnoli per la sua attività di appartenente all'associazione segreta «La Estrella solitaria», favorevole all'annessione dell'isola agli Stati Uniti, autore dei Cantos de la tarde (1860), dove domina il sentimento, presagi tristi sulla propria sorte, una tristezza intima che si compiace dell'amaro. Maestro di Zenea era stato José de la Luz Caballero (1800-1862), aperto agli ideali di giustizia e di liberà.

A Santo Domingo si afferma, nell'ambito del romanticismo, il poeta Félix Mota (1822-1861), a Portorico Alejandro Tapia (1826-1882), autore di leyendas,   —14→   riunite in El Bardo de Guamaní (1862) e di un poema come La Sataniada (1878), definito dal Menéndez Pelayo una «magnífica pesadilla», ispirato al Faust di Goethe, in trenta canti, stravagante e confuso ideologicamente, come lo sono i suoi vari romanzi. Poeta, critico, erudito e romanziere fu pure il portoricano Eugenio Maria de Hostos (1839-1903), autore di racconti lirici ispirati a Hoffman e ad Ossian, romanziere in La peregrinación de Bayoán (1863), felice «cuentista» nei Cuentos a mi hijo (1878) e pensatore positivista in Moral social (1888), attivo educatore a Santo Domingo.

Le «tradiciones» e il racconto costumbrista ebbero nelle Antille vari cultori. A Cuba il già ricordato Cirilo Villaverde e José Victoriano Betancourt (1813-1875), a Portorico Manuel Alonso (1823-1890), tra altri. Anche il romanzo storico ebbe cultori: rilevante narratore fu il dominicano Manuel de Jesús Galván (1834-1910), autore de El Enriquillo (1879-1882), romanzo ispirato alla cronaca di frate Bartolomé de Las Casas, abbondantemente citato, complicato per trama e tuttavia con un suo equilibrio che lo fa testo esemplare della tendenza indianista ispano-americana.

Quanto al teatro, come si è visto, molti autori vi si cimentarono, tra essi la Avellaneda e l'Heredia. Drammaturgo fu, a Cuba, Francisco Covarrubias (1775-1850), autore del «género chico» e di teatro popolare oggi perduto. A Portorico Ramón Méndez y Quiñones (1847-1889) fu interprete del mondo popolare e rurale, iniziatore del teatro nell'isola, con commediole come Un jíbaro como hay pocos (1871), Los jíbaros progresistas (1882) e altre opere, nelle quali fece ricorso alla parlata popolare.

Neppure a Santo Domingo mancarono autori teatrali, come Francisco Javier Foxá y Lecanda (1816-1865?), che col suo Don Pedro de Castilla (1836) fu cronologicamente il primo drammaturgo romantico in America, ma di scarso valore; Manuel de Jesús Rodríguez (1847-1915), Francisco Gregorio Billini (1844-1898), marcatamente romantico, questo, in Amor y expiación (1882).

7. Gli ultimi decenni del secolo XIX vedono nelle Antille una situazione politica instabile, fortemente scossa sia dai tentativi di raggiungere l'indipendenza dalla Spagna, sia dall'ingerenza, pesante, degli Stati Uniti. È il momento in cui, nelle lettere, si fa largo un movimento destinato a dare la maggiore età alle lettere ispano-americane, il Modernismo, annunciato da alcuni precursori di grande significato, tra essi i cubani José Martí (1853-1895) e Julián del Casal (1863-1893).

Martí fu l'eroe e il martire dell'indipendenza cubana. La sua voce divenne espressione dell'America tutta, anelante alla libertà. La sua morte violenta, in battaglia, fu il simbolo della fusione perfetta tra le lettere e la spada, benché egli professasse sempre la soluzione pacifica del conflitto e soprattutto un ripudio dell'odio. Larga eco, anche ai nostri giorni, ha avuto la composizione XXXIX di Versos sencillos (1891), persino musicata e cantata:

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Cultivo una rosa blanca
en julio corno en enero,
para el amigo sincero
que me da su mano franca.

Y para el cruel que me arranca
el corazón con que vivo,
cardo ni oruga cultivo:
cultivo una rosa blanca.



La concezione di Martí riguardo alla poesia è che essa è prodotto delle sue viscere, sfogo spontaneo necessario all'anima, espressione che rifugge dall'artificio; ma il poeta si avvale di molti accorgimenti, esperimenta metri diversi, controlla l'espressione, la mantiene in perfetto equilibrio col sentimento, rifuggendo da ogni forzatura, sia nella composizione breve come nel romance, e tutta la colora di malinconia sincera, di fine lirismo, di cromatismi delicati, di richiami visuali, tattili, olfattivi e soprattutto la permea di musicalità.

Ismaelillo (1882), è già in gran parte modernista: Versos sencillos ne sarà un'ulteriore affermazione. Romantico-modernista si era rivelato nel romanzo Amistad funesta (1885) e chiaramente innovatore nella prosa de La Edad de Oro (1889), dove celebra pittori e scrittori italiani, e anche nei suoi discorsi politici, infiammati di patriottismo, come quello che pronuncia a Tampa la notte del 27 novembre 1891, in ricordo degli otto studenti massacrati nello stesso giorno e mese del 1871. Vivono, qui, le grandi esaltazioni romantiche delle tombe e l'inno al futuro; la tragedia si trasfigura in segno della vittoria; si afferma un alto senso della giustizia e un'idea grandiosa di fraternità. Ma il tono e il paesaggio romantico sono resi nuovi, diversi, da una sensibilità che è già tutta modernista. Sembra di vedere questa natura nei suoi cromatismi, di sentirne il profumo nella sera, di udire lo stormire delle fronde:

«[...] Mañana, como hoy en el destierro, irán a poner flores en la tierra libre, ante el monumento del perdón, los hermanos de los asesinos, y los que, poniendo el honor sobre el accidente del país, no quieren llamarse hermanos de los asesinos!

Cantemos hoy, ante la tumba inolvidable, el himno de la vida. Ayer lo oí a la misma tierra, cuando venía, por la tarde hosca, a este pueblo fiel. Era el paisaje húmedo y negruzco; corría turbulento el arroyo cenagoso; las cañas, pocas y mustias, no mecían su verdor quejosamente, como aquellas queridas por donde piden redención los que las fecundaron con su muerte, sino se entraban, ásperas e hirsutas, como puñales extranjeros por el corazón; y en lo alto de las nubes desgarradas, un pino, desafiando la tempestad, erguía, entero, su copa. Rompió de pronto el sol sobre un claro de bosque, y allí, al centelleo de la luz súbita, vi por sobre la yerba amarillenta erguirse, en torno al tronco negro de los pinos caídos, los racimos gozosos de los pinos nuevos. Eso somos nosotros: ¡pinos nuevos!»



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8. Poeta tra i più significativi del Modernismo ispano-americano fu il cubano Julián del Casal (1863-1893) -La sua breve vita trascorse tra strettezze economiche e sogni di evasione, solo una volta realizzati, con un viaggio a Parigi, che accentuò il senso della sua frustrazione, costretto a sopravvivere miseramente nella terra natale, vivendo di saltuarie collaborazioni ai giornali.

Fu il poeta sincero del proprio dolore, in una lirica desolata e triste, decadente. I suoi poeti furono Leopardi, Baudelaire, Verlaine, Leconte de l'Isle, Mallarmé: essi significarono lezioni profonde, che presiedettero all'evolversi della sua poesia. Dal romanticismo di Hojas al viento (1890), infatti, Casal passò al parnassismo di Nieve (1892), al pieno Modernismo di Bustos y rimas (1893). Nello spazio di tre anni, più o meno, la sua poesia esperimentò una radicale trasformazione. Le rime di Nieve, per ricchezza e sonorità, sono già il superamento dei modelli romantici di Hojas al viento: Hugo, Gauthier, Heredia, Coppée. Il poeta acquista misura, si libera dei primitivi impacci, giunge alla contemplazione triste del proprio dolore, della propria insoddisfazione, facendo di questi sentimenti elementi di alto valore estetico, cifrato in un paesaggio che interpreta con sensibilità acuta, miniaturizzandolo.

Piena musicalità raggiunge Casal in Bustos y rimas, dove il Modernismo perviene a quello stato mistico che Verlaine aveva raccomandato al poeta cubano per sentirlo più vicino a sé, quando aveva letto la sua prima raccolta di versi. Qui Casal giunge alla depurazione del sentimento, che proietta in dimensione metafisica. Lo stesso Darío, alla sua morte, celebrò il poeta come fratello diletto. L'atmosfera che domina Bustos y rimas è delicata, sfumata, musicale, pervasa di una vaga malinconia, che sorge da stati d'animo volontariamente poco definiti. La parola non sottostà alla tirannia della rima, sembra cullarsi in una musica che invita al sogno, triste, vago, ricco di vibrazioni intime. Il contrasto vitalista, che si afferma nell'immagine-desiderio di una donna sofisticata e disponibile, l'atmosfera superficialmente peccaminosa, che si ispira a una Parigi più sognata che vista, la preferenza per il paesaggio campestre, l'esotismo che si colora d'oro, di opalo, di perla, di diamanti, mentre confermano, nella sua originalità, il Modernismo del poeta cubano, sono il documento vivo di un intimo e drammatico contrasto tra il quotidiano grigiore della vita e l'evasione desiderata. Se, al primo istante, l'impressione può essere negativa per il lettore, la reazione è spontanea: l'inno al peccato, la sensualità, il canto alla morfina e alla neurosi, il canto alle urne, il culto per gli antichi avori, le sensualità tattili, visive, olfattive, musicali non rispondono che alla necessità intima di mondi «rari», dove occultare il proprio dramma interiore. Nella sostanza, Julián del Casal resta quello che si afferma in «Nostalgias», di Nieve.


Suspiro por las regiones
donde vuelan los alciones
sobre el mar,
[...]
¡Ay! ¿Cuándo querrá el destino
—17→
que yo pueda en mi camino
reposar?



Era del tutto ingeneroso Juan Ramón Jiménez quando qualificava il poeta, allo stesso modo di Silva, un «dandy» provinciale.

9. La tendenza modernista si diffonde presto in tutte le Antille, dove dà poeti di vario livello. Discepolo di Casal fu a Cuba Federico Uhrbach (1873-1932), autore di Oro (1907) e Resurrección (1916). A Santo Domingo Osvaldo Bazil (1884-1946) seguì Darío, dando il meglio della sua opera poetica in Arcos votivos (1907). A Portorico Luis Muñoz Rivera (1859-1916) fu parnassiano in Tropicales (1902). Tra tutti rilevante fu il dominicano Gastón Fernando Deligne (1861-1913), che, colpito dalla lebbra, si uccise con un colpo di pistola. Distinguono la sua poesia l'inquietudine sociale e l'indagine psicologica. Notevoli sono i suoi Romances de la Hispaniola (1931)

Come si vede il Modernismo fiorisce nelle Antille anche ben addentro il secolo XX, allo stesso modo in cui tonalità romantiche colorano ostinatamente l'opera poetica di numerosi lirici. Come il dominicano Fabio Fiallo (1866-1942), che ancora si ispira a Bécquer e a Heine nella sua poesia amorosa. Mentre il portoricano José de Diego (1866-1918), propugnatore dell'indipendenza patria e uomo politico ragguardevole, da precursore del Modernismo nell'isola passò ad essere l'introduttore di una tonalità filosofico-patriottica che si espresse nei Cantos de rebeldía (1916).

Nella prosa intanto Realismo, Naturalismo e Modernismo si contendevano le simpatie degli scrittori, non eccezionali quasi mai. Costumbrismo e «tradición» furono coltivati a Portorico da Manuel Fernández Junco (1846-1928), autore di Tipos y caracteres (1882) e Costumbres y tradiciones (1883), a Santo Domingo da César Nicolás Pensón (1855-1901), poeta e prosatore, ispirato a Ricardo Palma in Cosas añejas (1891), tradizioni isolane interessanti anche per la lingua impiegata.

Il Naturalismo trovò uno scrittore dotato nel portoricano Manuel Zeno Gandía (1855-1930), autore di una serie di romanzi di dura denuncia, come La Charca (1894), Garduña (1896), con efficace captazione della maestà della campagna, tanto da fare di lui, per alcuni, un precursore del «romanzo della terra». Lo aveva preceduto, entro la tendenza naturalista, il compatriota Matías González García (1866-1938), con il romanzo Cosas (1893), autore di un'opera narrativa numerosa, di tono più misurato che non quella di Zeno Gandía.

A Cuba fu real-naturalista, se così si può dire, data la difficoltà di definire i confini tra le due tendenze presenti in lui, Miguel de Carrión (1875-1929), denunciatore dell'ipocrisia morale in El milagro (1897), Las honradas (1918), Las impuras (1919), e chiaramente naturalista Carlos Loveira (1882-1928), forte nella denuncia della corruzione sociale in Los inmorales (1919), Los ciegos (1922), La última lección (1924); efficace nella descrizione dei tipi è in Generales y doctores (1920) e Juan Criollo (1928).

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Un genere particolarmente seguito nelle Antille fu il romanzo storico-costumbrista di denuncia. Vi si cimentò con esiti felici il dominicano Tulio Manuel Cestero (1877-1955), inizialmente scrittore modernista nelle «semblanzas» letterarie di Notas y escorzos (1898), nei racconti riuniti in Sangre de primavera (1908) e in Ciudad romántica (1910) e Sangre solar (1911). La sangre (1914) è un romanzo di dura denuncia nei confronti della dittatura ventennale del generale Heureaux, precursore del genere cui darà risonanza internazionale Asturias con El Señor Presidente.

La narrativa antillana va sempre più facendosi voce degli squilibri socio-economici e politici delle varie entità statali. Con prosa estremamente raffinata il cubano Jesús de Castellanos (1879-1912) scrive, in questo orientamento, i racconti di De tierra adentro (1906), i romanzi La conjura (1908) e La manigua sentimental (1910).

Numerosi altri narratori nelle Antille completano il quadro letterario: elencarli diverrebbe esercizio di scarso significato.

10. Prosperano nel secolo XIX anche la saggistica e la critica. Ricorderemo i nomi dei cubani Enrique José Varona (1849-1933), positivista in Conferencias filosóficas (1880-82), critico di Cervantes (1883), sensibile saggista in Desde mi belvedere (1907) e altre raccolte, e di Enrique Piñeyro (1839-1911), studioso appassionato di classici e contemporanei: Dante y la «Divina Comedia» (1879), Vida y escritos de Juan Clemente Zenea (1901), El Romanticismo en España (1904), Biografías americanas (1906); storico attento degli avvenimenti patri: Morales Lemus y la Revolución cubana (1871), Cómo acabó la dominación de España en Cuba (1908). Critico letterario di rilievo, studioso di Cervantes, fu il cubano José de Armas y Cárdenas (1866-1919): El Quijote de Avellaneda y sus críticos (1884) fu un lavoro precoce, ma lo studioso mostrò la sua solidità di critico in opere mature come Cervantes y El Quijote (1905), El Quijote y su época (1915) e Cervantes en la literatura inglesa (1916).

Nella Repubblica di Santo Domingo fu critico letterario e storico apprezzato Amérigo Lugo (1870-1952), autore di saggi come Sobre los «Capítulos que se le olvidaron a Cervantes» (1896), di Montalvo, raccolto poi con altri lavori in Bibliografía (1906), ma anche poeta e drammaturgo.

A Portorico fu critico letterario, e anche poeta e narratore, Nemesio Canales (1878-1923), collaboratore della «Revista de las Antillas» con Luis Lloréns Torres.

Sono solo alcuni nomi tra i molti, comunque i più significativi.

Quanto al teatro, nel secolo XIX continuò nelle Antille soprattutto un impegno di buona volontà. Non si ebbero, infatti, autori di rilievo, benché diversi scrittori si cimentassero in testi drammatici più o meno estesi, a Cuba lo stesso Martí, Deligne a Santo Domingo, Nemesio Canales a Portorico. Ancora menzionerò il cubano Raimundo Cabrera (1852-1923), drammaturgo di vena satirica, e il dominicano Ulises Heureaux (1876-1938), figlio dell'omonimo dittatore: la sua   —19→   opera attesta notevole conoscenza della tecnica drammatica, come dimostrano, ad esempio, El grito de 1844 (1925) e De director a Ministro (1926).

11. Come si può constatare le Antille vedono una notevole attività letteraria in tutti i campi, benché prevalga la creazione poetica, nell'ambito della quale si affermano i migliori artisti. Dai primi decenni del secolo XX, tuttavia, la letteratura antillana di lingua spagnola denuncerà una progressiva maturazione, con il concretarsi di letterature nazionali, che tuttavia conservano sempre vivi i contatti le une con le altre, soprattutto a Portorico e a Santo Domingo. I movimenti d'avanguardia si manifesteranno positivi, a Cuba in particolare, dove daranno vita a una varia e fiorente creazione lirica, con nomi come quelli di Boti, Florit, Guillén, Lezama Lima, Vitier. Mentre a Portorico l'Avanguardia farà sorgere movimenti numerosi e anche una corrente «negrista» che in Luis Palés Matos avrà il suo maggior poeta. A Santo Domingo il «negrismo» avrà voce potente in Manuel del Cabral, ma altri movimenti si svilupperanno, spesso verso un più attento spiritualismo.

La grande poesia di Vallejo e di Neruda, insieme alle voci dei poeti spagnoli, Juan Ramón Jiménez, a lungo a Portorico, García Lorca, Rafael Alberti, Pedro Salinas, Jorge Guillén, Antonio Machado, Vicente Aleixandre, saranno lezione proficua.

Nella narrativa bastano i nomi dei cubani Alejo Carpentier e José Lezama Lima, del portoricano Enrique Laguerre, per dare un'idea del mutamento di valori.

Anche il teatro raggiunge, sia a Cuba che a Portorico una notevole maturità, con autori e opere che si impongono in ambito continentale e internazionale. Si tratta ormai dell'età adulta della letteratura antillana e il discorso su di essa esula ormai dal nostro tema.





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