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Ludovico Antonio Muratori nella cultura spagnola

Rinaldo Froldi





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Credo si possa, senza esitazione alcuna, affermare che Ludovico Antonio Muratori è una delle figure piú significative della ricezione della cultura italiana nella Spagna del Settecento e ciò sia per la quantità delle sue opere che direttamente o mediante traduzioni è penetrata in Spagna, sia per la persistenza nel tempo: lungo l'arco di tutto il secolo ed anche oltre, benché solo a partire dagli anni trenta si abbiano tracce sicure della sua presenza. Una presenza varia ed articolata in relazione con la molteplicità dei campi della sua speculazione e sempre una presenza stimolante e costruttiva.

Un primo momento di singolare importanza culturale fu l'incontro intellettuale e il rapporto personale che si stabilí fra lui e il valenzano Gregorio Mayans i Siscar. È stato questo l'aspetto finora piú studiato della fortuna spagnola del Muratori, specie ad opera di due studiosi, Vicent Peset e Antonio Mestre1 che negli ultimi lustri con appassionata alacrità e diligenza hanno lavorato sull'opera e la personalità di Mayans, contribuendo a riscattarlo da un immeritato oblio e definendo, attorno a lui, l'importanza del movimento riformatore dei «novatores» valenzani. Anche il Padre Battllori nella relazione che presentò nel Simposio valenzano del 1981, celebrato in occasione del bicentenario della morte del Mayans su Gregori Mayans i la cultura italiana,2 ha dato ampio rilievo alla relazione intellettuale fra il Muratori e il pensatore di Oliva, indicando sinteticamente ma puntualmente i punti comuni della loro riflessione.

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Fu nel 1732 che il Mayans ebbe occasione di leggere a Valenza le Riflessioni sul buon gusto e poco dopo, quando già s'era trasferito a Madrid, La filosofia morale esposta e proposta ai giovani (Verona, 1735). Comprendendone l'alto valore dottrinale e l'incidenza pedagogica che avrebbe potuto avere nella gioventú spagnola, propose di tradurla all'amico Juan Bautista Cabrera. Ma quando questi rifiutò, non giudicandosi all'altezza del compito, fu lo stesso Mayans, tra il 1736 e il 1737, a por mano a una traduzione che non arrivò mai a pubblicare, trattenuto dal timore di una probabile censura dell'Inquisizione spagnola. Proprio allora, negli anni del suo breve e non fortunato soggiorno madrilegno, iniziò il rapporto epistolare con il Muratori, facilitato dai buoni uffici del rappresentante diplomatico di Genova a Madrid, Giuseppe Ottavio Bustanzo.

Dai primi interessi eruditi, intorno all'epigrafia soprattutto (ma i due coincidevano anche nella volontà di un rinnovamento della storiografia, specie ecclesiastica, convinti seguaci -entrambi- del metodo dei bollandisti e dei maurini) il dialogo passò ben presto a temi piú propriamente filosofici ma pur sempre con una evidente prevalenza di motivi attinenti alla problematica religiosa.

Mayans lesse e commentò favorevolmente al Muratori il di lui De ingeniorum moderatione in religionis negotio. Trovava coincidenza con la natura austera ma anche profondamente umana e serena della religiosità muratoriana. L'omaggio che, in risposta, il Muratori gli fece della sua opera De superstitione vitanda fu senza dubbio il riconoscimento della sintonia spirituale stabilitasi fra loro.

Entrambi formatisi nello spirito del cristianesimo primitivo, coincidevano nella critica del lassismo e s'opponevano alla conservazione nel culto di certe forme esteriori e inutilmente gonfie di tradizione barocca, cosí come non vedevano di buon occhio l'abitudine di coltivare manifestazioni esagerate di devozione popolare, sostanzialmente prossime alla superstizione. Comune era il loro atteggiamento di critica del temporalismo papale, vicini com'erano a posizioni gallicane che li rendevano sospettosi della politica dei gesuiti.

Il Muratori condivideva l'opinione diffusa in Italia e in tutta l'Europa che la Spagna si trovasse in una condizione di profonda decadenza culturale, idea peraltro della quale era partecipe lo stesso Mayans che non ne faceva certo mistero nei suoi scritti; proprio per questo il Muratori si mostrava sempre piú convinto ammiratore dell'opera del Mayans che gli appariva un'eccezione che si staccava dalla desolazione del contorno. Solo con lui egli era riuscito, in Spagna, a stabilire un proficuo contatto intellettuale e lamentava che in quel paese mancassero altri ingegni: se la Spagna -aggiungeva- avesse avuto sei studiosi come Don Gregorio, sarebbe stato sicuro il risorgimento letterario («bene actum de litteris etiam apud vos foret»).3

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Mayans confidava al Muratori il suo disagio nel depresso ambiente culturale spagnolo e non gli taceva le proprie pene come quando si sofferma a raccontare la persecuzione subita con la confisca dei suoi libri e manoscritti, nel 1743, cioè dopo lo sfortunato soggiorno a Madrid e il ritiro nel natale paese di Oliva. In questa circostanza, anzi, gli manda una lettera con la preghiera di farla recapitare a Roma, al Pontefice, sperando nel suo aiuto e protezione.

Mayans non perde occasione di far conoscere e commentare le opere del Muratori con tutti i suoi amici. Interviene poi con appassionata decisione per evitare che La filosofia morale del Muratori ch'era stata denunciata al Tribunale dell'Inquisizione, venga condannata. Ne fa la difesa presso il Nunzio pontificio Enrico Enríquez. Sappiamo che questi intervenne e l'opera non fu condannata.

La stima del Mayans per il Muratori fu profonda e sincera; con convinzione, giunse ad affermare: «no tiene hoy la cristiandad hombre más sabio que él».4 Sappiamo peraltro che la conoscenza delle opere del Muratori non si limitò ai testi finora citati: egli acquistò per mezzo di un libraio italiano di Madrid, Jacopo Filippo Repetto, gli Annali d'Italia e Dei difetti della Giurisprudenza.

Grande significato culturale si deve attribuire all'incontro fra le due personalità che, pur con differenze di carattere, ebbero alcuni fondamentali punti di coincidenza ideologica ed individuarono comuni finalità alla loro opera intellettuale. Muratori, uomo bonario, ricco d'umanità, moderato e suasivo, di grande dottrina la quale trovava il suo significato piú profondo nel tradursi in programmi di nuove forme di vita sociale e morale. Il carattere del Mayans appare forse un po' piú aspro e puntiglioso, del pari intransigente nei riguardi delle posizioni tradizionali da abbattere, non senza tuttavia forme di risentimenti e durezze personali che a volte l'allontanavano dalla comprensione realistica delle circostanze politiche. Muratori mostrò sempre di subordinare il sapere a fini pratici, di miglioramento etico dell'uomo e con lui della società, ideali che furono anche del Mayans pur se la sua cultura si rivelò a volte piú astratta e non priva di impuntature elitarie.

Nella sostanza due coscienze intelligentemente riformatrici che si sforzarono di coniugare le istanze del moderno razionalismo con una intimamente vissuta rimeditazione della grande tradizione dell'umanesimo cristiano del sedicesimo secolo.

Penso sia nel giusto chi afferma che il Muratori contribuí in parte a rafforzare il pensiero del Mayans che tuttavia s'era costituito per proprio conto ancorché spesso su fonti comuni. Indubbiamente Muratori in Italia e Mayans in Spagna aprirono la strada al rinnovamento religioso, filosofico, letterario e civile nella prima metà del secolo offrendo spunti di riflessioni   —22→   e discussione anche al pensiero della seconda metà del secolo, in corrispondenza con piú precise istanze di cambiamento che s'accompagnavano all'emergere di un pensiero piú decisamente innovatore e in una situazione politica che offriva piú concrete possibilità di realizzazioni.

Del diverso clima intellettuale della Spagna prima e dopo l'avvento al trono di Carlo III è segno emblematico la condanna che nel 1750, proprio l'anno dopo la morte del Muratori, ricevette, da parte dell'Inquisizione, il De superstitione vitanda sive censura voti sanguinarii in honorem Immaculatae Conceptionis Deiparae emissi (Milano, 1740), episodio che segnò il momento culminante dell'opposizione al suo pensiero rinnovatore da parte del clero spagnolo piú conservatore. Muta la situazione dopo il 1759 quando i ministri di Carlo III favoriscono aperture riformistiche e ideologiche, pur fra contrasti, incertezze ed anche contraddizioni.

Cosí l'opera del Muratori Della regolata devozione dei cristiani, del 1747, e che aveva visto una traduzione tedesca nel 1753 e una in latino nel 1760, viene tradotta in Spagna nel 1763.5 Il traduttore è Miguel Pérez Pastor, presbitero del vescovato di Guadix e, dal 1756, Censor general de libros. Nel prologo alla traduzione egli precisa d'aver soppresso alcuni punti capaci di suscitare conflitti; il suo intento è infatti soprattutto quello d'assicurare «el orden de la espiritualidad española». Si consideri che l'opera aveva superato senza ostacoli dieci anni prima il giudizio della Congregazione dell'indice di Roma.

In sostanza il prudente Pérez Pastor ritiene opportuno eliminare alcune affermazioni muratoriane non proprio in materia dogmatica ma su problemi relativi alla pratica religiosa: l'uso della lingua volgare nella Santa Messa e la proposta di una diminuzione delle giornate festive che Muratori difendeva sia per ragioni religiose e morali (in molti vescovati s'era diffuso l'uso della vendita delle dispense per permettere il lavoro festivo) sia economiche e sociali. Ad esempio prendeva in considerazione l'esigenza da molti avvertita di un maggior numero d'ore lavorative, vuoi per incrementare la produzione, vuoi per accrescere il salario dei lavoratori.

L'eliminazione di tali passi significava che il traduttore non era favorevole a sollevare una discussione su questi temi: chiaramente egli si poneva dalla parte del clero conservatore, non certo dalla parte di coloro che (con una certa improprietà) venivano definiti giansenisti e che appoggiavano la politica riformatrice, anche in materia religiosa, dei ministri di Carlo III. Traducendo l'opera, il Peréz Pastor tuttavia mostrava di riconoscere prezioso il contributo del Muratori in favore di una religiosità piú profonda, intimamente evangelica, motivi che diffusamente emanano dal libro e che egli giudicava opportuno diffondere nel pubblico spagnolo.

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A questo medesimo fine, oltre che a ragioni piú strettamente dottrinali penso si debba ricondurre la traduzione che il trinitario fra Antonio Moreno Morales fa nel 1780 de La filosofia morale.

Già s'è detto dei giustificati timori del Mayans che prudentemente sospese la pubblicazione della propria traduzione dell'opera muratoriana, delle difficoltà che essa ebbe con l'Inquisizione di Valenza e della protezione che, anche per l'intervento del Mayans, ricevette da parte del Nunzio. Orbene, a distanza di piú di trent'anni, La filosofia morale può, senza conseguenze, essere pubblicata in una traduzione spagnola.

Tema assai delicato per la Spagna quello della filosofia morale: non bisogna dimenticare che nel 1754 il Mayans aveva pubblicato a Valenza in appendice a una nuova edizione del Compendium philosophicum del Tosca i suoi Institutionum philosophiae moralis libri tres e che nel 1755 Andrés Piquer aveva dato alle stampe una Filosofía moral para la juventud española. Anzi fra il Mayans e il Piquer che fino allora erano stati in ottimi rapporti d'amicizia, nacque una contesa (ce l'ha raccontata con ricchezza di particolari Vicent Peset). Mayans dissentiva da alcune proposizioni del Piquer che gli apparivano sospette di troppa condiscendenza al pensiero dei protestanti Puffendorf ed Heinecke o per altre che giudicava pericolosamente derivate da un concetto materialistico di natura. Certo, al di là del dissenso ideologico, a volte non esente da forzature e preconcetti, trapelava un vivo disappunto e risentimento personale del Muratori che non aveva gradito l'inatteso intervento del Piquer nel campo della sua ricerca, senza ch'egli ne fosse stato preventivamente informato. Tralasciando questi aspetti di una polemica non proprio esemplare e tornando al nostro tema, ci chiediamo: quanto devono Mayans e Piquer all'opera del Muratori? È un problema aperto e bisognoso di un'analisi specifica che dovrebbe, a mio parere, estendersi anche ad altri autori. Per esempio ritengo che si dovrebbe considerare anche il possibile influsso muratoriano sulla filosofia che s'insegnava all'Università di Cervera. È uno studio che m'auguro possa fare persona piú di me preparata nel campo della filosofia e della teologia.

Per tornare alla traduzione del Moreno Morales, bisogna dire ch'essa è sostanzialmente fedele al testo muratoriano. La volontà di far conoscere il Muratori in Spagna appare evidente anche perché egli fa precedere alla traduzione del testo un riassunto di quella Vita del Muratori che il nipote Gian Francesco Soli Muratori aveva pubblicato a Venezia nel 1756.

Nel 1790 viene tradotto da Pascual Arbugech6 il Della pubblica felicità oggetto de' buoni principi (Verona, 1749), forse il testo piú significativo   —24→   dell'ultima fase del pensiero muratoriano, dominata da una prevalente preoccupazione sociale e politica, testo che costituisce quasi la summa del suo riformismo.

Per il Muratori la pubblica felicità deve essere il fine principale di chi è stato destinato dalla Provvidenza a reggere uno stato. Questa felicità fondamentalmente nasce dall'esercito della virtú. Muratori è convinto che mediante l'educazione e l'uso della ragione l'uomo può insieme soddisfare le esigenze private suggerite dalla natura e quelle pubbliche, sociali. Il principe, sovrano assoluto, deve essere colui che favorisce il processo. Il libro si propone come una specie di manuale, un breviario politico per il principe. Egli deve curare l'educazione dei piú capaci, destinati ad occupare le cariche pubbliche, sí da favorire -grazie ai loro provvedimenti- le attività, specie quelle commerciali, che agevolano il diffondersi della ricchezza. Il tutto enunciato con l'abituale tono muratoriano del buon consiglio morale anche là dove si affrontano temi tecnici (e c'è la presenza di un mercantilismo attenuato e ci sono spunti fisiocratici ancorché si noti l'assenza di una rigorosa analisi di politica economica).

A quarantun anni di distanza dall'edizione veneziana, la traduzione spagnola appare come una difesa dell'assolutismo illuminato e delle sue iniziative riformatrici, un sostegno a quella politica ch'era stata di Carlo III e che si vorrebbe continuasse, ponendo a modello l'autorità ormai riconosciuta del Muratori, anche contro l'avanzare di piú radicali posizioni ideologiche, fra queste un concetto di felicità strettamente legato a istanze d'utilitarismo individualistico sfiorato d'edonismo, conseguenza di una morale e di una economia che tendono a conquistarsi un proprio spazio autonomo.7

Ancora piú esplicita nella difesa degli ideali che avevano animato il regno di Carlo III si presenta l'iniziativa di tradurre, nel 1794, il volume Dei difetti della Giurisprudenza che il Muratori aveva pubblicato nel 1742. Il traduttore fu Vicente María de Tercilla che intervenne a commentare il testo con numerose glosse e personali annotazioni. Cosí l'opera muratoriana è utilizzata per sottolineare i progressi realizzati in Spagna: quello che il Muratori aveva proposto a Papa Benedetto XIV perché fosse l'iniziatore di una riforma in campo giuridico che potesse poi estendersi a tutti gli stati italiani, ritiene il traduttore che si è avverato in Spagna. Ne risulta quasi una apologia dei progressi conseguiti dal riformismo borbonico.

Il testo muratoriano viene dunque additato, dopo cinquantadue anni, sotto l'urgenza di problemi contemporanei, come un modello di saggezza giuridica e dimostrazione di una politica che ha già conseguito positivi risultati e che si vuole continui in vista della costituzione e diffusione di   —25→   una piú illuminata coscienza giuridica. L'opera del Muratori -scrive il traduttore- è un trattato «utilísimo para todos los que se dedican al estudio de esta Facultad y llegan al honor del actuar como abogados o decidir como jueces en los Tribunales».8

Se dal campo del pensiero religioso, giuridico e politico ci trasferiamo ora a quello propriamente letterario, dobbiamo sottolineare, in primis, l'importante influsso che Ludovico Antonio Muratori ha avuto sulla riforma del gusto letterario spagnolo attraverso l'opera di Ignacio de Luzán, quella Poética che il Luzán pubblicò a Saragozza nel 1737, qualche anno dopo il suo ritorno in Spagna dopo il lungo soggiorno in Italia, dal 1715 al 1733, anni della sua formazione, i primi trascorsi a Genova e a Milano, i piú maturi a Palermo e a Napoli.9

Dall'esame dei suoi studi e della sua attività letteraria italiana, risulta chiaro che l'educazione e la formazione culturale del Luzán avvenne nel clima della riforma suscitata dall'Arcadia. Frequentò a Palermo l'Accademia del Buon Gusto la cui denominazione è di per sé altamente indicativa, e poi quella degli Ereini che pubblicò diciassette sue poesie, prova di una diretta partecipazione al movimento di rinnovamento della letteratura italiana in senso classicistico, quell'Arcadia appunto che affermava il valore del concetto controllato contro l'argutezza peregrina, della metafora fondata sul verisimile contro quella basata sul sofisma, della necessità di buoni modelli contro un'originalità ricercata, Luzán si ricorderà dell'ambiente arcadico nel quale s'era formato quando, nella Poética, vorrà offrire ai lettori esempi positivi di poesia moderna, citando il Metastasio, Leonardo Orlandini, Scipione Maffei, Francesco Lemene e, per la poesia latina, il padre Ceva. Ma gli anni trascorsi in Italia l'avvicinarono soprattutto alla problematica letteraria del Muratori. Questi aveva inizialmente (1703) concepito un'opera dal titolo Genio e difesa della poesia italiana, modificato poi in Riforma della poesia italiana e infine, a quel che sembra per esigenze editoriali, in Della perfetta poesia italiana. L'opera vide la luce nel 1706.

Al di là e al di sopra dei problemi teorici, dominante vi appare l'esigenza di suscitare un rinnovamento della poesia nazionale che trova del resto conferma in un'altra opera coeva: I primi disegni della Repubblica letteraria d'Italia nella quale proponeva la costituzione di una sola Accademia letteraria e scientifica italiana: idea che passerà al Luzán e che in lui avrà piú lunga durata: fra il 1750 e il 51 formulerà infatti un progetto per un'Accademia   —26→   Reale di Scienze, Belle lettere e Arti. Il Muratori presto e sempre piú s'era allontanato dalle sue iniziali posizioni arcadiche ed accademiche e -in fondo- dalla stessa letteratura intesa nel suo significato piú ristretto.

Un minuto, particolareggiato esame comparativo fra il Della perfetta poesia del Muratori e La poética del Luzán non è stato ancora fatto ma balzano facilmente all'occhio dell'attento lettore fondamentali coincidenze come, ad esempio:

a) la definizione dei concetti di ingegno e fantasia come potenze dell'anima che devono essere guidate, dirette, dal giudizio inteso come potenza maestra,

b) i concetti d'imitazione e di «perfezionamento della natura»,

c) la distinzione fra immagini della fantasia e immagini dell'intelletto,

d) l'accettazione da parte di Luzán della distinzione muratoriana dei tre mondi: celeste, umano, materiale come soggetti ed oggetti della poesia e il concetto di poesia come «dipintura del vero» che si lega a una precisa identificazione di «bello» e di «vero»,

e) il fine assegnato alla poesia identificato nell'utilità e nel diletto, conseguendosi la perfezione nella coincidenza del raggiungimento delle due enunciate finalità.

Come si può constatare da queste necessariamente rapide indicazioni si tratta di coincidenze su punti fondamentali che traggono in generale la loro origine dalla lunga tradizione aristotelica ma che sono enunciati dal Luzán nei termini stessi usati dal Muratori e spesso con la diretta, precisa citazione della fonte.

Ritengo che sostanziale sia l'influsso del Muratori sulla Poética del Luzán, come già parecchi anni fa aveva osservato uno studioso italiano dell'opera dell'aragonese, Luigi De Filippo.10

Ma ci sono anche differenze: la Poética del Luzán ha carattere piú sistematico, è trattazione piú ordinata e rigorosa, è anche piú ampia: si pensi ad esempio al III e al IV capitolo sulla poesia drammatica e sull'epica (mi riferisco all'edizione del 1737 e non a quella piú ampia del 1789 che contiene interventi assai probabilmente esterni). Il Muratori aveva trattato quei temi ma vi aveva prestato minore attenzione. Bisogna tuttavia tener presente la diversità delle motivazioni. Muratori era partito in difesa della poesia italiana contro accuse che riteneva ingiustificate, la sua è una risposta polemica ai critici francesi che avevano, con la poesia barocca, condannato tutta la poesia italiana. Di qui il carattere non sempre rigorosamente ordinato nel procedere delle argomentazioni e il tono non sempre tecnico e dottrinale, ma direi conversevole, garbato e persuasivo.   —27→   Luzán invece s'era proposto di dotare la Spagna di un vero e proprio trattato teorico che le mancava: «Sólo en España por no sé que culpable descuido muy pocos se han aplicado a dilucidar los preceptos poéticos y tan remisamente que (por cuanto yo sepa) no se puede decir que tengamos un cabal y perfecto tratado de poética».11

Egrave; un fatto però che pur proponendosi fini diversi c'è coincidenza nella dottrina e soprattutto nella manifesta volontà di rinnovamento, nella rinuncia al barocco, nell'affermazione del buon gusto. D'altra parte penso si debba aggiungere che il Luzán, pur condividendo il concetto dell'utilità morale e civile che della poesia sostenne il Muratori, ebbe forse un'idea meno ampia della funzione e dei compiti del letterato che maturò invece il Muratori. Forse per questo la Poética del Luzán piú ordinata e teoricamente elaborata ed anche maggiormente svincolata da residui barocchi presenti nel Muratori, rivela una rigidità normativa che il testo muratoriano non presentava.

Con Luzán comunque penetra in Spagna il pensiero estetico muratoriano. Luzán sarà il principale animatore di quella Academia del Buen Gusto che la Marchesa di Sarria riuní nel suo palazzo di Madrid fra il 1750 e il 1751 e la sua Poética l'opera che educherà al gusto classico alcune generazioni.

Quando si parla di «buon gusto» non si può non ricordare che la definizione del concetto appare nelle già citate prime opere del Muratori ma al concetto egli dedicò poi un'opera specifica: le Riflessioni sul buon gusto nelle scienze e nelle arti, in due tomi, pubblicati il primo a Venezia nel 1708 e il secondo a Colonia (che in verità è Napoli) nel 1715. L'opera fu letta ed apprezzata dal Mayans -come s'è gia visto- nel 1732 ma venne presa in considerazione anche dai redattori del Diario de los literatos che non esitarono a definire il Muratori «uno de los primeros críticos de nuestro siglo».12

Le Riflessioni attirarono l'interesse di Juan Sempere y Guarinos che nel 1780 era giunto a Madrid, dalla nativa Elda, nel Levante, e aveva trovato impiego in casa di Don Felipe López Pacheco, Marchese di Villena, in qualità di segretario. Il Marchese era buon amico del Mayans e possedeva una splendida biblioteca. Sempere frequentò certamente la tertulia che il Marchese teneva nel suo palazzo e forse nella sua stessa biblioteca conobbe il testo del Muratori oppure esso gli fu favorito da altri amici valenzani come il Muñoz o il Cerdá i Rico ch'erano abituali frequentatori della Fonda de San Sebastián, cenacolo ove s'agitavano idee nuove e dove una parte considerevole aveva la cultura italiana.

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Uomo di vastissime letture, Sempere y Guarinos giudica il testo muratoriano una buona occasione per una riflessione critica intorno allo stato della letteratura spagnola dell'epoca o -come noi oggi preferiamo dire, con la consapevolezza di cosa significasse letteratura nel Settecento- sullo stato della cultura spagnola dell'epoca.

Il primo volume dell'opera muratoriana si presenta come lo sviluppo delle idee enunciate nei Primi disegni della Repubblica letteraria d'Italia e Della perfetta poesia italiana, cioè una piú ampia e chiara definizione del concetto di buon gusto come capacità di conoscere e giudicare il difettoso e l'imperfetto in tutti i campi del sapere e di scegliere il razionale e opportuno. Il Sempere ignora nella sua traduzione13 questa prima parte delle Riflessioni troppo legata alla peraltro ormai lontana nel tempo situazione italiana: traduce soltanto la seconda parte, precisando nel Prólogo di non essersi attenuto all'originale «con una timidez escrupolosa». Anzi afferma: «lexos de esto me aparto de él frecuentemente, omito multos pasajes y añado o propongo en otra forma algunas reflexiones». Insomma una traduzione assai libera. In effetti il Sempere è fedele alla sostanza del testo ma tende a delineare con essenzialità la linea fondamentale del pensiero, tagliando le argomentazioni che gli appaiono superflue perché ripetute in funzione retorico-esortativa, cosí come elimina quanto specificamente si riferisce a problemi o situazioni italiane. In certi casi aggiunge di suo, come nel cap. XII quando, sembrandogli insufficientemente trattato il tema delle leggi civili, inserisce un estratto del VIIº libro del De causis corruptarum artium di José Luis Vives, nel quale appunto si tratta del diritto civile.

A Sempere interessa la parte dottrinale dell'opera, la relazione che il Muratori pone fra ragione ed esperienza, il rifiuto dell'erudizione pura, l'impegno costante verso la ricerca della verità: operazioni tutte che sono caratteristiche di quell'atteggiamento spirituale che si riassume nel termine di «buon gusto» che non si limita al campo delle lettere e delle arti ma investe l'intero campo del sapere e coinvolge totalmente la figura dell'intellettuale. Il «buon gusto» cioè come equilibrio razionale, come discernimento del meglio cui si deve sempre aspirare onde il letterato possa divenire «utile» a tutta la società civile. Seguendo il pensiero del Muratori e adattandolo alle proprie esigenze, Sempere y Guarinos teneva l'occhio fisso alla sua Spagna che proprio in quegli anni (la traduzione è del 1782) gli sembrava avesse raggiunto una nuova luce e dignità culturale, staccandosi finalmente dalle brume della decadenza.

Riconosce che il «buon gusto» è la condizione intellettuale che permette un sano progresso culturale e che la sua applicazione è la causa della   —29→   trasformazione avvenuta in Spagna. Nasce cosí l'idea di apporre al testo muratoriano (che occupa nella sua traduzione 195 pagine) un'appendice intorno al «gusto actual de los españoles en la literatura». Un'appendice che occupa un altro centinaio di pagine e che non vuol essere una storia letteraria del secolo ma solo la segnalazione del processo avvenuto: «mi ánimo sólo es insinuar las causas que más han contribuido a formar el gusto que reina ahora entre los españoles».14

A una serie di considerazioni storiche sulle cause della decadenza e sui meriti dei Borbone nell'aver favorito la rinascita, egli fa seguire una serie di osservazioni sul progresso nelle singole discipline con abbondanti citazioni di autori e di opere, tutte percorse da osservazioni e riflessioni critiche, come ad esempio, quelle sulla tematica nuova del teatro e l'educazione al gusto che ha reso piú esigente il pubblico, sul valore di un nuovo modo di dedicarsi a una storia critica nella quale «el juicio y la razón van borrando la afición a cosas inútiles y de poca entidad y dirigiéndola hacia lo sólido y de cuyo conocimiento se puede sacar algún provecho».15 Sullo studio della fisica egli sottolinea come «ya no reina tanto la preocupación de que la Filosofía moderna es incompatible con la Teología»,16 mentre nello studio di quest'ultima si è abbandonata l'inutile «sotileza y sofistería»17 di un tempo. Ed ancora: Sempere che deplora l'antico costume, nel campo giuridico, dell'esclusivo studio del Diritto romano a danno di quello nazionale, loda invece la maggiore consapevolezza storica portata in questo campo cosí come approva la fondazione di cattedre di Diritto naturale e si compiace di constatare il maggior equilibrio cui ha portato la politica regalista di Carlo III in «una concordia justa y equitativa entre el Sacerdote y el Imperio».18 Lo studio della medicina «está más despejado para la observación de la Naturaleza» e lo studio delle matematiche e della fisica sperimentale è andata di pari passo con la diffusione di idee nuove sul lavoro e la sua dignità: «no se advierte aquella especie de horror que antes se tenía a los oficios y a sus instrumentos».19 In questo campo molto bene hanno operato le Sociedades económicas de amigos del País; insomma un quadro lusinghiero di una cultura viva che permette alla Spagna d'avvicinarsi al livello europeo: «se puede afirmar sin adulación que la Nación piensa ahora bien».20

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L'appendice del Sempere alla traduzione delle Riflessioni muratoriane è -in nuce- l'opera che di lí a pochi anni, fra il 1785 e il 1789, egli comporrà, quell'Ensayo de una Biblioteca española de los mejores escritores del reinado de Carlos III che costituí la sintesi bibliografica e storiografica della cultura spagnola nell'epoca dell'assolutismo carolino, ormai governata, nel giudizio del Sempere, dal «buon gusto» di chiara ascendenza muratoriana.

Accanto alla traduzione delle Riflessioni ne va ricordata un'altra, quella che pochi anni prima, nel 1777, aveva fatto del trattato muratoriano Della forza della fantasia (1745) il da noi già citato Vicente María de Tercilla, anch'egli -come il Sempere- uomo di legge, di formazione umanistica. Tercilla avvertí l'importanza dell'opera del Muratori che vuol precisare la natura e le funzioni di questa facoltà -la fantasia- che si pone al servizio dell'intelletto e costituisce, per dirla con l'autore, quell'arsenale di cui l'intelletto si serve per pensare e discorrere di una infinità di cose da lui apprese per mezzo di questo materiale potenza21 ed anche avvertí che la valorizzazione della fantasia offriva lo spunto a una comprensione piú approfondita del processo poetico.

Ma al di là dell'interesse teorico il Tercilla mostra d'aderire all'ideale muratoriano, che affiora nel libro, di una repubblica letteraria al di sopra delle partizioni nazionali, ideale coincidente con le istanze illuministiche dell'epoca, in opposizione al provincialismo culturale ancora ampiamente diffuso in Spagna. La sua traduzione è un'ulteriore prova dell'accoglimento di un testo del Muratori in funzione di un rinnovamento sia teorico che pratico.

A completare il quadro della ricezione del pensiero muratoriano in Spagna, quadro che di necessità è stato tracciato con sintetica brevità, ricorderò altre due opere, anch'esse tradotte dal Tercilla e cioè i Vantaggi dell'eloquenza popolare, l'ultima opera del Muratori che vide la luce a Venezia nel 1750 cioè l'anno dopo la morte dell'autore. La traduzione è del 1780 e viene a completare nel mondo ispanico la conoscenza della visione pedagogico-morale che il Muratori ebbe della funzione letteraria. L'altra opera è il Trattato sul governo politico della peste che per la prima volta era stato pubblicato a Modena nel 1714 e aveva avuto parecchie ristampe. La traduzione del Tercilla è del 1801.

Di considerevole importanza è anche l'influsso che in Spagna ebbe l'opera storica del Muratori. Antonio Mestre ha giustamente posto in rilievo che Antonio Capmany nella sua grande opera, le Memorias históricas   —31→   sobre la marina, comercio y artes de la antigua ciudad de Barcelona che è del 1779, riuscí a tracciare un quadro preciso della straordinaria attività marinara catalana, sia commerciale che militare, studiando a fondo le fonti italiane raccolte dal Muratori nel Rerum italicarum Scriptores che gli permisero di collegare la storia delle città di mare italiane con la Catalogna in una prospettiva mediterranea. Piú recentemente una studiosa alicantina ha approfondito in un accurato saggio l'influsso muratoriano sulle metodologia critica di Antonio de Capmany.22

A questo punto l'attento ascoltatore si sarà meravigliato del non aver ancora sentito citare l'opera del Muratori in cui lo studioso modenese piú specificamente s'accostò al mondo ispanico: quel Cristianesimo fèlice23 che vide la luce nel 1743 e fu tradotto in francese nel 1754, in tedesco nel 1758, in inglese nel 1759 e piú tardi anche in olandese. Ma non in spagnolo. Le ragioni furono strettamente politiche. Le riduzioni del Paraguay già a partire dal 1750 erano divenute materia di contrattazione fra Spagna e Portogallo: se ne proponeva lo scambio con la colonia di Sacramento. Inoltre la politica borbonica s'andò sempre piú caratterizzando come anti-gesuitica. I gesuiti furono accusati di fomentare la rivolta degli indios. In questo clima si può facilmente comprendere che l'opera del Muratori non venisse tradotta.

Certamente però fu conosciuta in Spagna. Ad esempio, già nel 1746 il Padre Andrés Marcos Burriel ne aveva mandato una copia al Mayans, consigliandogli di recensirla.24 A molti la visone quasi idillica delle riduzioni che Muratori ebbe (vi ritrovava l'immagine della Chiesa primitiva) certamente piacque ma la Spagna ufficiale ignorò il libro che ebbe invece una straordinaria difusione per tutta Europa e interessò anche Voltaire e l'Encyclopédie.

Operando nella prima metà del Settecento, il moderno umanista cristiano che fu Ludovico Antonio Muratori riuscí a far meditare sia i suoi contemporanei che le generazioni seguenti -come abbiamo visto avvenne anche in Spagna- sia i religiosi che i pensatori impegnati nell'avviato processo di secolarizzazione della cultura caratteristico del secondo Settecento, per la sua dottrina ma soprattutto per quel concetto essenzialmente concreto, pratico, profondamente umano e morale che egli ebbe della funzione della letteratura.

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Una breve citazione da un suo testo (si tratta del Della pubblica felicità) penso poter qui apporre come conclusione perché mi sembra sintetizzare un'aspirazione a una nuova idea di letteratura che fece propria la Spagna illuministica, tesa al progresso civile ed insieme alla valorizzazione della persona umana nel suo significato piú ampio e profondo: «Piú, a mio credere, è da stimare un libro che insegna a un mercatante, ad un marinaro, ad un giardiniero o agricoltore, ad uno speziale... il suo mestiere col meglio di quell'arte, che cento libri di secca filosofia, di smilza erudizione e di poesie poc'altro contenenti che infilzate parole».25





 
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