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Neruda o le delusioni della storia

Giuseppe Bellini


Università degli Studi di Milano



In più occasioni si è visto, attraverso i precedenti interventi, come la vicenda storica e sociale abbia parte determinante nello sviluppo della creazione artistica sia di Neruda che di Alejo Carpentier, per restare ai due grandi autori ispano-americani di cui con questo Convegno si celebra il Centenario della nascita.

Io mi limiterò ad evocare momenti decisivi in cui, per Neruda, la storia, politica e sociale, esercitò decisiva influenza, determinando momenti significativi del suo orientamento e quindi della sua opera poetica.

Quando il giovane cileno torna in Europa, dopo l'esperienza asiatica, e sbarca a Barcellona, per poi trasferirsi presto a Madrid, sembra inaugurarsi per lui un periodo che l'entusiasmo della giovinezza e l'accoglienza di amici come García Lorca, Alberti, Aleixandre, gli faceva ritenere definitivo. Era, come sappiamo, il tempo della Repubblica spagnola, ma presto le cose dovevano cambiare radicalmente. Dal Marocco Francisco Franco dava il via alla rivolta contro il governo legittimo e la triste e sanguinosa vicenda si concludeva, con efferatezze da entrambe le parti, portando il franchismo al potere.

Neruda era appena passato dall'autocommiserazione della propria condizione di «abandonado en los muelles en el alba»1, dalla riflessione, di fronte alle pire funebri dell'India, circa l'inconsistenza di quegli apparentemente «poderosos viajeros» che sono gli uomini2, dalla raggelante visione di una Morte alta su un porto verso il quale si dirigono tutte le vite3, da un panorama deprimente, il «día de los desventurados», il giorno «pallido», caratterizzato da un «desgarrador olor frío», gocciolante l'alba da ogni parte, «naufragio en el vacío, con un alrededor de llanto»4, a una euforica scoperta della solidarietà nella lotta, unito agli altri uomini, per instaurare un giorno migliore, come dichiara in «Reunión bajo las nuevas banderas»:


Yo de los hombres tengo la misma mano herida,
yo sostengo la misma copa roja
e igual asombro enfurecido:
un día
palpitante de sueños
humanos, un salvaje
cereal ha llegado
a mi devoradora noche
para que junte mis pasos de lobo
a los pasos del hombre.
Y así reunido,
duramente central, no busco asilo
en los huecos del llanto: muestro
la cepa de la abeja: pan radiante
para el hijo del hombre
en el misterio el azul se prepara
para mirar un trigo lejano de la sangre.5



La guerra civile scoppiata nel 1936 non avrebbe eliminato questo sentimento, al contrario lo avrebbe rafforzato, trasferito nella lotta. È il momento in cui, di fronte a Franco e alla sua gente, Neruda compone un poema demolitore durissimo, España en el corazón, che Aragón definirà gigantesca introduzione a tutta la poesia impegnata del ventesimo secolo6. Nella creazione del cileno il testo rappresenta uno dei momenti più alti della sua poesia, nella denuncia dell'assassinio della speranza, quella in un mondo caro, fatto di cose e di persone, che muove Neruda a un'invettiva da alcuni giudicata cronaca apoetica7, mentre è efficace reazione di fronte alla nuova barbarie. Non v'è dubbio, l'espressione è in molti casi particolarmente dura, il poeta indulge alla scatologia, ma è giustificata dall'indignazione. Lì stanno i generali traditori, principe Franco, definito


      ... Triste párpado, estiércol
de siniestras gallinas de sepulcro, pesado esputo, cifra
de traición que la sangre no borra...8



Il massimo responsabile della guerra civile sta, qual nuovo Lucifero, al centro di un inferno che nulla ha da invidiare a quello dantesco. La sua condizione, anzi, è peggiore di quella del demonio della Divina Commedia, poiché di fronte a lui


      Retrocede la llama sin ceniza,
la sed salina del infierno, los círculos
del dolor palidecen9.



Il poeta augura al «maldito» un'eternità in cui, insonne, solo l'umano lo perseguiti; all'inferno tutte le vittime della guerra, i bimbi soprattutto, lo attendono per condannarlo a una raccapricciante pena eterna:


Cómo el agudo espanto o el dolor se consumen,
ni espanto ni dolor te aguardan. Solo y maldito seas,
solo y despierto seas entre todos los muertos,
y que la sangre caiga en ti como la lluvia,
y que un agonizante río de ojos cortados
te resbale y recorra mirándote sin término10.



Durissimi accenti, ma in España en el corazón l'atto d'accusa è nella sostanza dichiarazione d'amore verso la Spagna, fatta da un uomo straziato di fronte all'immane spettacolo della distruzione, che versa tutta la sua tenerezza sulle vittime innocenti. Basta leggere il «Canto sobre unas ruinas» che, se richiama per qualche verso il Quevedo che esprime malinconia politica di fronte alla decadenza delle mura patrie, un tempo forti, ormai sgretolate11, rimanda più direttamente all'elegia di Rodrigo Caro A las ruinas de Itàlica12, superandola per originali accenti, che non evocano fulgidi esempi del passato, ma minute grandezze umane distrutte dalla guerra:


Esto que fue creado y dominado,
esto que fue humedecido, usado, visto,
yace -pobre pañuelo- entre las olas
de tierra y negro azufre13.



E in particolare la toccante immagine della donna, appena apertasi alla vita e subito troncata dalla morte:


      Ved cómo se ha podrido
la guitarra en la boca de la fragante novia:
ved cómo las palabras que tanto construyeron,
ahora son exterminio: mirad sobre la cal y entre el mármol deshecho
las huellas -ya con musgo- del sollozo.



Non sarà questa l'unica tragedia della storia che colpirà Neruda lungo il corso della sua esistenza. Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo indurrà a celebrare l'eroismo del popolo russo14, sciogliendo un «Canto de amor a Stalingrado»15. Né mancherà di celebrare Stalin quale artefice di un mondo che riteneva paradisiaco. Ma di nuovo la vicenda storica, spogliata degli orpelli della retorica, all'epoca di Kruscev, procurerà a Neruda una cocente delusione. Cercherà allora di giustificare il suo errore di celebratore degli dèi caduti, allo stesso modo di Stalin e di Mao Tse-Tung, dichiarerà la sua stanchezza di fronte agli eroi del lavoro e alle statue, freddi simulacri immobili sui quali si deposita lo sterco degli uccelli e lo farà in Elegía e in 2000, libri che appariranno postumi, ma tutto questo non darà luogo a grandi risultati di poesia. Più li aveva dati nel Canto general la riflessione intorno alle condizioni dell'America nella sua lunga storia, grande cronaca poetica, esempio unico nella poesia ispanica moderna, dopo La Araucana di Ercilla.

Neruda acquistava la coscienza, allora, di essere destinato a interpretare la vicenda storica del continente, partendo dalle sue origini, «Antes de la peluca y la casaca», vale a dire prima che vi arrivassero i conquistatori spagnoli: «Yo estoy aquí para contar la historia»16, afferma; perciò sente la necessità di indagare le proprie origini, di ricercare il padre, ossia l'uomo delle epoche anteriori alla conquista.

Significativamente egli si sofferma sulle superstiti, grandiose rovine di Macchu Picchu. La storia archeologica esalta l'architettura degli Incas, ma avanzando come tra resistenti elementi, abissi profondi e l'eco solenne dell'Urubamba, la scoperta è deludente, dolorosa: Neruda è costretto a constatare che anche allora l'uomo, che aveva innalzato nel silenzio la «más alta vasija», una «permanencia de piedra y de palabra», con «pétalos de piedra»: la «rosa permanente», la «morada», l'alto «arrecife andino de colonias glaciales»17, era stato sfruttato, maltrattato duramente ed era morto nel sangue. Da questa constatazione prende il via l'inno al fratello perduto, cui il poeta presta la sua voce per interpretarne, partecipe, i dolori:


A través del confuso esplendor,
a través de la noche de piedra, déjame hundir la mano
y deja que en mí palpite, como un ave mil años prisionera,
el viejo corazón del olvidado18.



Proprio questa esperienza rafforzerà in Neruda la convinzione di doversi dedicare a difendere l'uomo sfruttato. Eletto senatore per il distretto minerario si opporrà alla politica del capitale, accuserà arditamente e finirà perseguitato da González Videla, traditore delle sinistre che lo avevano portato alla presidenza del Cile. Il poeta sarà costretto alla macchia, ma avrà la solidarietà piena della sua gente e la natura stessa solleverà fino a lui nella notte, che «apenas parecía temblar en el follaje», le sue labbra:


Tierra nocturna, a mi ventana
llegabas con tus labios,
para que yo durmiera dulcemente
como cayendo sobre miles de hojas,
de estación a estación, de nido a nido,
de rama en rama, hasta quedar de pronto
dormido como un muerto en tus raíces.



Le delusioni della storia, la persecuzione, non interrompono l'attività creatrice di Neruda, anzi la stimolano. Durante la clandestinità egli termina il Canto general, rassegna della storia tragica del continente. La retorica che circonda da secoli la grandezza mitica dell'impresa di Colombo e quella dei conquistatori è rivista e denunciata nella negatività che rappresenta per il mondo americano, secondo le convinzioni del poeta, anche se alla fine concluderà che «La luz vino a pesar de los puñales»19.

È un «viento asesino»20 quello che gonfia le vele degli affamati che giungono dall'Europa21; Cortés «avanza hundiendo puñales»22, Alvarado procede nella conquista «llevando sangre en su estandarte»23, il vescovo Diego de Landa brucia in piazza i codici indigeni, «haciendo humo las viejas hojas / gastadas por el tiempo oscuro»24, in nome di un Dio che il poeta definisce «pequeño».

Dei conquistatori nessuno si salva dalla condanna, uniche eccezioni Balboa ed Ercilla. Il primo, in quanto scopritore dell'Oceano Pacifico, mare sempre amato dal poeta, sostanza della sua vita, è celebrato come «novio de la oceánica dulzura, / hijo del nuevo útero del mundo»; Neruda afferma che attraverso i suoi occhi entrò «como un galope / de azahares el olor oscuro / de la robada majestad marina», e nel suo sangue cadde «una aurora arrogante», che lo possedette completamente, e dopo tanto fulgore solo la morte poteva essergli riservata, come lo fu in realtà:



No en balde por la historia
entraba el crimen pisoteando, el halcón devoraba
su nido, y se reunían las serpientes
atacándote con lenguas de oro.

Entraste en el crepúsculo frenético
y los perdidos pasos que llevabas,
aún empapado por las profundidades,
vestido de fulgor y desposado
por la mayor espuma, te traían
a las orillas de otro mar: la muerte25.



Quanto ad Ercilla, Neruda vede in lui l'uomo conquistato interiormente dalla natura cilena, dalla sostanza spirituale più profonda del paese in cui è capitato:


Piedras de Arauco y desatadas rosas
fluviales, territorios de raíces,
se encuentran en el hombre que ha llegado de España.
Invaden su armadura con gigantesco liquen.
Atrepellan su espada las sombras del helécho.
La yedra original pone manos azules
en el recién llegado silencio del planeta26.



Ammiratore, come ho detto, de La Araucana e del suo autore, il poeta cileno vede nello spagnolo il valorizzatore del suo mondo, sente nella sua voce «el pulso del agua», un «frenesí de pájaros / y un trueno en el follaje», individua colui che non berrà il sangue della sua gente; perciò solo al «fulgor», da lui sorto all'improvviso, «llegará la secreta boca del tiempo en vano»27.

Un altro personaggio, non un conquistatore, ma un religioso, si salverà dalla generale condanna di Neruda, e verrà posto tra i «Libertadores»: fra Bartolomé de Las Casas, che definisce, dal limite dell'angoscia fondatore della speranza28. Il cileno valorizza la sua parola, che vede corrispondere a un'azione concreta di difesa e di protezione degli indigeni; nel domenicano individua il precursore della sua stessa lotta e lo invoca:


Hoy a esta casa, padre, entra conmigo.
Te mostraré las cartas, el tormento
de mi pueblo, del hombre perseguido.
Te mostraré los antiguos dolores.
Y para no caer, para afirmarme
sobre la tierra, continuar luchando,
deja en mi corazón el vino errante
y el implacable pan de tu dulzura29.



Naturalmente, dopo aver pianto la sorte che la storia della conquista riservò alle grandi figure indigene, Moctezuma, Caupolicán, Lautaro, Cahutemoc, Tupac Amaru, e ai loro popoli, conforta Neruda l'aspetto positivo ed esaltante della lotta per l'Indipendenza, rappresentata da personaggi come O'Higgins, San Martin, Miranda, Carrera, che diede la libertà agli schiavi, il guerrigliero Manuel Rodríguez, Bolívar, costruttore di «un sueño», di «un fuego / de velocidad duradera»30, Morazán, Juárez, ma anche Lincoln, Marti, Balmaceda, Emiliano Zapata, Sandino, Recabarren, Prestes del Brasile. È tutta la storia positiva dell'America, ma una storia presto oscurata da quella negativa delle dittature, denunciata nel gruppo di liriche riunite in La arena traicionada, iniziando dal Dottor Francia, continuando con Rosas, Garda Moreno, Estrada Cabrera, Ubico, Gómez, Machado, Melgarejo, Belzú, Martínez, le «Satrapías» centroamericane,Trujillo, Somoza, Carias, «desangradores / de patrias»31, e proseguendo con le oligarchie, con la denuncia di quella che Neruda definisce «la ley del embudo», per la quale i potenti stabiliscono nette distinzioni tra i cittadini:


Para el rico la buena mesa.
La basura para los pobres.
El dinero para los ricos.
Para los pobres el trabajo.
Para los ricos la casa grande.
El tugurio para los pobres.
El fuero para el gran ladrón.
La cárcel al que roba un pan.
París, París, para los señoritos.
El pobre a las minas, al desierto32.



Neruda rende tutti responsabili della situazione descritta, anche quelli che chiama «i poeti celesti», seguaci di Gide, di Rilke, dell'esistenzialismo, i surrealisti, che definisce «europeizados / cadáveres de la moda, / pálidos lombrices del queso / capitalista», i quali non fecero nulla per gli oppressi, tesi unicamente alla ricerca di detriti, di «cabellos celestes», di «plantas cobardes, uñas rotas», di «Belleza pura», «sortilegios», evasioni per «enmarañar las delicadas / pupilas, para subsistir / con el plato de restos sucios» gettatogli dai «señores». Polemica nota, ma che trae le sue origini sempre dalla delusione della storia, politica e sociale.

Nel corso degli anni la vicenda storica si incaricherà di dare altre cocenti delusioni al poeta, alcune legate all'ingratitudine umana, come la condanna degli intellettuali cubani -e anche non cubani, come Cortázar- nei suoi confronti, quando proprio lui aveva celebrato vitalisticamente la rivoluzione castrista nella Canción de gesta. Ciò avveniva dopo la partecipazione di Neruda a una seduta del Pen Club a Nuova York, peccato nefando per gli intellettuali castristi. Il poeta, profondamente colpito, eliminerà dalle edizioni successive delle Obras Completas, l'importante poema, e solo Hernán Loyola lo ripescherà per la sua edizione critica di tutta l'opera nerudiana.

Sempre la storia, qui per Neruda positiva, aveva dato origine all'opera, dove, se pure era presente la sostanza di una problematica personale tormentosa, che contemplava quella che, seguendo Quevedo, additava come «la muerte con su arado / para la agricultura de los huesos»33, tuttavia celebrava, con la rivoluzione castrista, lo straordinario vitalismo del mondo caraibico, la sua bellezza cromatica, particolarmente visibile nella varietà degli uccelli34, preludio alla raccolta più tarda di Arte de pájaros.

La vittoria di Fidel Castro muoveva il verso del poeta, ancora una volta, a condannare, come già nel Canto general, i «tristes familiares» del dollaro, i «sangrientos caníbales caribes», un'eredità di «escupos militares», a denunciare amaramente un'America «en sangre sumergida»35. La convinzione di Neruda era che per il continente americano si inaugurasse un tempo nuovo della storia: «Y así comienza una vez más la Historia»36. Per il poeta Cuba diveniva un significativo simbolo per tutta l'America:


Cuba es un mástil claro que divisan
a través del espacio y las tinieblas,
es como un árbol que nació en el centro
del mar Caribe y sus antiguas penas:
su follaje se ve de todas partes
y sus semillas se van bajo la tierra,
elevando en la América sombría
el edificio de la primavera37.



Non arrise gratitudine a tanto amore per la nuova Cuba, ma forse, uomo fondamentalmente onesto, negli anni successivi, Neruda stesso colse il pericolo di una deriva del castrismo e che tutto rimanesse nell'ambito di un episodio sterile per il futuro dell'America, dove la vicenda delle dittature è infinita.

Grande delusione della storia fu poi la guerra americana in Vietnam e successivamente l'invasione sovietica di Praga. Ne è straziante documento Fin de mundo. Proprio per questo il crepuscolo del secolo ventesimo appare al poeta drammatico: violenza e morte dominano la scena mondiale, protagonisti i due imperi contrapposti; ma se la concezione nerudiana dava per scontata la violenza del mondo capitalista, deludente fu per lui rendersi conto -finalmente, occorre dire- che tale violenza era propria anche del mondo comunista. L'invasione di Praga fu per Neruda una nuova lezione durissima della storia: «La hora de Praga me cayó / como una piedra en la cabeza»38, scrive; per essa il bilancio del secolo XX diveniva drammatico e ciò indusse il poeta a formulare, sulla morte di un giornalista, schiacciato nella città da un carro armato sovietico, le più nere previsioni per il futuro immediato dell'umanità:


Preparémonos a morir
en mandíbulas maquinarias,
preparemos piernas, espaldas,
meditaciones y caderas,
codos, rodillas, entusiasmo,
párpados y sabiduría
serán tragados, triturados
y digeridos por un tanque39.



Neruda considerava questa nostra l'epoca «pesada, / la de las patas de fierro», vedeva il secolo «sangriento y redondo», dove era giocoforza riconoscere «las ruedas del Apocalipsis»40.

Denunciando la guerra del Vietnam, la tenerezza nerudiana trova sfogo nel compianto per un mondo, un'umanità minima distrutti dalla guerra: un «sombrero caído», un «zapato quemado», un «juguete», un «montón pòstumo de anteojos», uomini e donne, città41. Resti che non muovono solo al rimpianto per quanto non è più, ma denunciano amaramente la tragedia della guerra, che Neruda condanna attraverso immagini di immediato impatto, come quella della bimba bruciata dal napalm nelle risaie vietnamite, della quale solo rimane la bambola:


Muñeca del Asia quemada
por los aéreos asesinos,
presenta tus ojos vacíos
sin la cintura de la niña
que te abandonó cuando ardía
bajo los muros incendiados
o en la muerte del arrozal42.



Forse mai come considerando gli effetti della guerra in Vietnam Neruda ha raggiunto note così immediate e profonde di umanità; egli carica di commossa pietà gli oggetti rimasti soli vicino agli «asesinados», biancheria distesa ad asciugare «en el sol brillante», richiamo alle gambe che mancano, alle braccia «que no las llenaron», a «partes sexuales humilladas / y corazones demolidos», e sente la vergogna di vivere mentre gli altri sono morti43.

La storia è veramente quella dell'Apocalisse. Neruda reagirà ancora ne La espada encendida, prospettando la rinascita del mondo al segno dell'amore, dopo che tutto è stato distrutto come per effetto di un'esplosione atomica, ed egli tornerà ad essere poeta guerrigliero in Incitación al nixonicidioy alabanza de la Revolución chilena, a sostegno di Mende. Ma le vicende politiche gli procureranno, in extremis, con il golpe militare di Pinochet, una nuova, tragica delusione. La morte concluderà la serie delle delusioni che la storia ha dato al grande poeta.





 
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