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Per una lettura di «Mulata de tal»

Giuseppe Bellini





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Sembra ormai iniziato nei confronti di Miguel Ángel Asturias e della sua opera un proficuo processo di revisione, lontano dal settarismo e dalle punte polemiche manifestatesi al momento in cui lo scrittore ricevette il Premio Nobel e che provocarono, tra gli altri, gli interventi vigorosi di Gerald Martin1. Scrive esattamente il Rogmann che Asturias ebbe la cattiva sorte di venir trasformato in un personaggio mitico, il che ostacolò una lettura «desprevenida» della sua produzione artistica, le tolse «interés actual» e minacciò persino di farla sembrare poco seria2.

E tuttavia Asturias è stato, come altri mai, interprete sincero ed efficace del suo mondo, quello indo-meticcio che caraterizza il Guatemala, pervenendo in questo a opere che affermano sull'usura del tempo la loro qualità di capolavori. Basterà pensare a Hombres de maíz e, in particolare, a Mulata de tal.

Di questo romanzo intendo trattare, al fine, di approfondire una via di lettura già abbozzata in altra sede3, per la quale è al tempo stesso di aiuto e di ostacolo la serie di appunti che a suo tempo mi fornì lo scrittore.

Partita da una ricreazione mitica e leggendaria del mondo mesoamericano, le Leyendas de Guatemala, immersa successivamente in una realtà politico-sociale cui sono dedicati i romanzi che da El Señor Presidente vanno alla «trilogía bananera» e a Week-end en Guatemala, la narrativa di Asturias sembra tornare sempre più al punto di partenza durante gli anni più duri dell'esilio e nell'incombere della vecchiaia. Benché il mondo mitico sia sempre presente, e caratterizzante, in tutti i romanzi asturiani -e non solo nei romanzi, s'intende-, anche nel Señor Presidente, il processo di più viva immedesimazione progressiva con tale mondo prende avvio con la riesumazione, e revisione, de El Alhajadito, che Asturias pubblica nel 1961; per quanto   —42→   Maladrón sia di questo processo, insieme alle leggende de El espejo de Lida Sal, documento qualificante, è certo con Mulata de tal che lo scrittore guatemalteco raggiunge il momento di più profonda immedesimazione, in un vigoroso e irripetibile sforzo creativo.

Mentre elabora nel romanzo una realtà mitica, in un monumentale affresco del Guatemala indo-meticcio, Asturias penetra una dimensione interiore del mondo meso-americano, che il gioco della fantasia rende più sfaccettata. Mulata de tal è inno ed elegia al tempo stesso di un mondo finito, materia struggente e gioco felice d'evasione; ma è soprattutto fissazione nel tempo di un universo composito, di permanente significato positivo, che si qualifica per lo scrittore con le caratteristiche sentimentali di un paradiso perduto, come sempre è per l'esiliato la terra natale, tanto più una «regione» come quella guatemalteca, dove realtà e magia convivono e il mito è nutrimento di tutta una cultura.

Il proposito di Miguel Ángel Asturias è sempre stato di riscattare l'identità americana a livello delle maggiori culture occidentali. Per far ciò egli si fonda non solo sulle espressioni dell'arte e della letteratura, ma in particolare sulla permanenza del mito e sull'animismo. Alla captazione dei valori di questo mondo e alla loro proiezione attraverso la sua opera di scrittore, gli fu di singolare aiuto l'esperienza surrealista degli anni giovanili parigini. Anche se, pur senza rinnegare mai tale esperienza, proclamandola anzi sempre di vitale importanza, negli anni più recenti Asturias andava sottolineando piuttosto la sua adesione a una sorta di surrealismo indigeno avanti lettera, per il quale tutto si presentava librato tra realtà e sogno4. Non altro sarebbe il suo particolare «realismo magico», del quale lo scrittore è venuto affermando, con impegno forse eccessivo, l'adesione alla mentalità primitiva india, nel modo di vedere la natura e di vivere le profonde credenze ancestrali5.

Gli appunti su Mulata de tal cui ho accennato, che Asturias mi inviava, su mia richiesta, nel 19656, rappresentano una prima interpretazione di Mulata de tal dall'interno, da parte del suo autore. Vi si sottolinea la presenza nell'opera dell'elemento popolare, l'incidenza del mito, la funzione fondamentale che lo scrittore si assume di riscattare nel tempo la memoria di un capitale di cultura genuina: cerimonie   —43→   religiose, feste e fiere, costumi e credenze, leggende e superstizioni: tutto, infine, «lo que constituye el mundo popular, un mundo que el escritor ve paulatinamente desaparecer frente a la civilización mecanizada invadente»7. Asturias assegna, per tal modo, a se stesso la funzione di supremo custode e interprete di un mondo di valori positivi, del quale il romanzo sarebbe illustrazione e repertorio. Troppo poco per spiegare il valore di Mulata de tal come creazione artistica; poiché il romanzo è, in realtà, pretesto per affermare un'adesione di dimensioni più profonde al mondo guatemalteco, per la quale non occorrono altre motivazioni se non quella che viene dall'intimo dello scrittore, lacerato nell'esilio dal ricordo e dalla nostalgia. Il romanzo è, perciò, reinterpretazione del mondo guatemalteco dall'interno, con totale adesione, con esaltante entusiasmo; modo per affermare, in denfinitiva, di tale mondo la moralità, di fronte alla classe dominante-mondo occidentalizzato che ne disconoscono i profondi valori, perduti nell'alienazione del potere e del danaro.

Pretesto per questa affermazione di moralità è la vicenda di Celestino Yumí, che vende la propria moglie, Catalina Zavala, al diavolo del maíz Tazol, per averne ricchezza e potere, per ottenere così non solo la provocante mulatta-demonio, ma la soddisfazione meschina di superare in ricchezza il compare Teo-Timoteo-Teo. Su questa vicenda Mulata de tal si definisce accattivante parabola. Quello della ricchezza è tema ricorrente nell'opera di Asturias, la cui ascendenza sta in Quevedo8. La «conseja popular», antichissima, della vendita della moglie al diavolo per ricchezze agricole o auree, la leggenda della «donnaluna» o «Mulata de tal» o «Fulana de tal», che mai si concede all'uomo se non di schiena, perché altrimenti genererebbe mostri, richiamate da Asturias9, restano alla superficie, costituiscono un puro ornamento del testo. Intenzione dello scrittore è di denunciare nell'infelice Celestino Yumí -un Dottor Faust degradato-, l'abiezione di chi tutto sacrifica per la ricchezza. Tanto più se per essa finisce per rinnegare e vendere gli esseri più cari, come la moglie, che poi dovrà rimpiangere per il resto della vita, fino a riscattarla dalla condanna, ma per ripiombare nella povertà primitiva.

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Nel protagonista Asturias condanna chi per divenire ricco mette al bando ogni scrupolo. La critica al potere corruttore della ricchezza raggiunge in Mulata de tal toni vicinissimi al Quevedo dei Sueños, in una visione del mondo dei ricchi «dal di dentro», dove ogni principio di moralità è rovesciato, svuotato.

Al di sopra della meschina statura di Celestino Yumí, ironicamente insistita, diffonde il suo «aire luminoso» la cervantina «autora de los días»10. L'immagine, raffinatamente barocca, sottolinea vieppiù la condizione miserabile dell'uomo. Celestino non è destinato a godere del «rosicler de rosas» che la citata autrice dei giorni lascia cadere sulle acque dell'ampio fiume scorrente a pie del monte, né dell'«aire luminoso» che già «iluminaba de naranja las extensiones»11. Tazol, in veste di «pajarraco», per meglio convincere l'uomo a delinquere gli mostra, dall'alto di un albero che cresce prodigiosamente, in dimensione smisurata, tutte le ricchezze agricole che sta per dargli. Fonte di questo passo è naturalmente la tentazione demoniaca di Gesù sulla montagna. Ma già si insinua in Celestino l'inquietudine per la mancanza della moglie, il rimpianto per il suo «compañerismo en la pobreza»12, tanto che, se non lo trattenesse Tazol, si impiccherebbe allo stesso albero.

I termini del conflitto sono evidenti, e in essi la dualità della possibile soluzione: perdita totale dell'uomo, schiavo della ricchezza e del demonio, intermediaria la sanguinaria mulatta, o riscatto nell'affetto e nel ritorno alla povertà. Asturias sceglie la seconda soluzione, con profondo senso morale.

Dopo un periodo babelico di vita, ricco, ma non felice, Celestino sente sempre più vitale la presenza della moglie e la riscatta dal «nacimiento» dove Tazol l'aveva richiusa, ridotta a statuina minuscola. Con l'aiuto della moglie, ora «enanita», ma ormai toccata dall'«inefable», Celestino si libera della mulatta, ossia del demonio, rompe il patto e torna libero, ma perde ogni ricchezza: un terremoto distrugge, infatti, ogni cosa; il fuoco brucia i granai colmi di foglie di maíz-danaro. Distruzione e morte significano, tuttavia, l'inizio di una nuova vita.

Asturias fa intervenire nuovamente, a questo punto, miti e leggende, motivi popolari e pratiche magiche, personaggi fantastici come i «salvajos», leggende «espeluznantes», come quella delle «nueve vueltas del diablo», dove un uomo-diavolo si trasforma in pietra e nuovamente in uomo alla fine di ogni caduta.

Sotto mentite spoglie il demonio tenta ora di rapire la Catalina Zavala appiccicandosela alla schiena; ma gli è strappata da Celestino e   —45→   nello sforzo di strapparla al diavolo essa torna alla sua dimensione normale. I piani della realtà e dell'irrealtà si confondono sempre più in un clima di magia. La salvezza dei due sta nell'evasione «cabalística a través del 9 de los destinos»: il potere magico del numero restituisce i protagonisti alla libertà, ma al tempo stesso a un'età preterita, dove Quiavicùs, loro villaggio, è irriconoscibile, come gli abitanti, dai quali neppure sono riconosciuti. Celestino e la Catalina Zavala non hanno ora più desideri, nell'unico apprezzamento per la vita: «la buena vida es la vida y nada más, no hay vida mala, porque la vida en sí es lo mejor que tenemos»13.

E' questo uno stadio di previa purificazione, onde intraprendere una nuova e terrificante avventura in Tierrapaulita, «el tenebroso reino de la magia negra»14, quali apprendisti «brujos». Il composito mondo guatemalteco esalta in queste pagine i suoi accattivanti, inquietanti chiaroscuri, in una sintesi efficace della sua sostanza più intima. Asturias è qui, ancora una volta, interprete valido del suo mondo, o meglio di quel mondo che egli fa caratteristico del suo paese.

Nell'ultima avventura di Celestino e Catalina lo scrittore intende affermare una superiore moralità del mondo indio, che si impone sull'allucinante panorama, contorto di case e di uomini, di Tierrapaulita, popolato di «brujos» e di giganti, dilaniato da lotte accanite tra demoni terrigeni e il demonio cristiano, entrato in America con la conquista. I due personaggi raggiungono la città della magia nera nel momento in cui più tale lotta infuria, dovuta a una diversa concezione dell'uomo, che per i demoni terrigeni dev'essere distrutto in quanto, allontanandosi dalla sua funzione passiva nell'universo, perfettamente ordinato, si è fatto padrone delle sue stesse opere, è divenuto individualista, egoista; mentre per il demonio cristiano deve essere oggetto di continua tentazione, produttore instancabile di «legna per l'inferno», quindi inesauribile nella procreazione.

E' qui dove i demoni terrigeni si fanno moralisti, come avviene per i diavoli dei Sueños -nuovo punto che avvicina Asturias a Quevedo-; Cashtoc, la più alta divinità infernale terrigena, condanna l'uomo perché ha preteso di far vita a sé, «ajeno a los millones de destinos que se tejen y destejen alrededor suyo»15.

Di fronte al male, al peccato, rappresentato dal demonio cristiano, le infernalità indigene si dichiarano vinte e lasciano Tierrapaulita, mentre una legione di «forjadores de tinieblas, endemoniados y desendemoniados,   —46→   nigrománticos, astrólogos, alquimistas, magos», eccetera, conquista la città al seguito dei demoni cristiani. E' un processo senza appello alla conquista spagnola e all'imposizione della religione cattolica, che per Asturias ha introdotto in un mondo incontaminato il senso del peccato.

Conclude in questo modo la seconda avventura, Catalina divenuta ormai «Poderosa Giroma» per aver generato da Tazol Tazolito; mentre Celestino è ora, giusta punizione, sottomesso a lei. Asturias afferma tutto il vigore della sua fantasia nella rappresenazione di un mondo contorto, spazio del peccato ma anche regno del folclore, dove si accavallano e confondono in gigantesca sarabanda miti, superstizioni, leggende, magie, di cui lo scrittore appare conoscitore profondo. Il lettore trascorre di sorpresa in sorpresa, assistendo a danze inverosimili di «gigantones», a rappresentazioni simboliche come la decapitazione di San Giovanni, dove il cattolicesimo si confonde con il mito maya-quiché del gigante Zipacnac, uno di quelli che sulle sue spalle regge la terra. La realtà si scompone, perde i suoi contorni e cede, incalzata dalla magia, dal gioco sfrenato della fantasia, sì che il lettore si sente soggiogato, felicemente perduto.

Allucinante contesto, dal quale si libera finalmente il vecchio prete di Tierrapaulita, che abbandona la città al seguito dei demoni terrigeni, contro i quali aveva invano lottato, ma che fagocita il nuovo «cura», benché giunga armato di poderosi testi esorcizzatori, «artillería gruesa contra Satán», ma del tutto inutile, «mosquetería» che nell'incalzare dei titoli ben ricorda la lista dei testi nigromantici del Sueño del Infierno.

Il padre Chimalpín, magicamente trasformato in «araña ensotanada» conduce, infatti, un'impari battaglia contro il demonio indigeno e quello cristiano, in una chiesa contorta, dove la stessa messa diviene atto di supremo sacrilegio. Il «realismo magico» di Asturias raggiunge qui i suoi risultati più originali, in un succedersi instancabile di novità creative, che coinvolgono irresistibilmente il lettore nell'alogico. Fantasie inedite scaturiscono da un magma in continua ebollizione germinativa, dando contorno a un mondo disorientante, contorto come il peccato. Perché Tierrapaulita è la città del peccato; in essa si afferma, al di sopra del delirio creativo, della magia debordante, la moralità asturiana. Nuova città di Dite, è cinta da un'invalicabile muraglia, da un ampio fossato e in essa sta rinchiuso l'inferno.

Il romanzo pullula di demoni di ogni categoria, rappresenta uno spazio sottoposto a volontà diaboliche duramente divergenti. Se per un momento leggendo Mulata de tal vien fatto di pensare, anche per questo, ai Sueños di Quevedo, è per affermarne subito l'assoluta originalità. L'opera sorge vigorosa dal contesto meso-americano, del quale sottolinea, in rigogliosa architettura accentuatamente barocca, la dimensione spirituale profonda e con essa la condizione desolata dell'uomo, strappato dal concerto di un'armonia universale irripetibile. Simbolo della perdizione umana, Tierrapaulita domina il romanzo con luce sinistra, affermando inconfondibile la sua identità tra la lunga serie delle città infernali create dalla letteratura. Città una e molteplice, per le ricorrenti distruzioni, di stadi sotterranei e di piani visibili, che «subían del mar al cielo por terrenos altos, más altos, más altos, piso sobre piso»16 , ricorda per l'inquietante architettura quella del Bosco, nel Jardín de las delicias; il Bosco, pittore preferito da Quevedo, ma anche da Asturias, forse per influenza dello scrittore spagnolo.

Con l'avventura di Celestino Yumí e di Catalina Zavala a Tierrapaulita il passato sembrerebbe dimenticato, per un'attualità che tutto comprende. Ma d'improvviso la vicenda demoniaca, dominata dal patto sacrilego con Tazol, riaffiora. I legami tra l'«ora» e il tempo preterito si riaffermano; risorgono da un apparente oblio personaggi del tempo trascorso e la cronologia dei fatti riprende il suo corso. Mentre il grido di Candanga empie le cupe notti cittadine spronando all'«engendro», la mulatta, ora punita per non aver saputo tener testa al demonio cristiano, nell'impari combattimento della chiesa, perché innamorata di Celestino, asessuata e ridotta alla metà del suo corpo, ricompare, alla vana ricerca dell'altra metà di se stessa, già votata alla condanna definitiva.

Introducendo la lotta sessuale, la «sexualidad suelta de los días de Semana Santa», spiega Asturias17, in climi in cui la festa religiosa corrisponde all'inizio della primavera, un'orgia del sesso si consuma, sempre inteso in senso sacrale, penetrato dalla magia, originando trasformazioni incredibili nei personaggi. Sono gli atti finali del tremendo sovvertimento che concluderà in catastrofe definitiva. Tierrapaulita è infine distrutta da una luce terribile: «fue sepultada, quemada con lava bianca, reminiscencia, en la creencia popular, del castigo celeste a las ciudades pecaminosas»18. Un enorme silenzio occupa tutto: «el silencio también callaba entre los cielos y la tierra, mientras iba pintando el día cubierto de plumas de fuego inmensas, sobre las que en estrías aún más luminosas corrían regueros de plumitas de colores que se amontonaban empujadas por quién sabe que vientos, hacia sitios en que estuvo Tierrapaulita, y está, sólo que soterrada»19.

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Grandiosa allegoria del peccato, Mulata de tal non sembrerebbe prospettare alcuna visione positiva per il futuro. Permane incancellabile l'impressione di luce accecante che distrugge il peccaminoso mondo tierrapaulitano, dopo una notte di tregenda in cui Candanga sembra deciso a non porre termine al peccato, e le menti sono così turbate che lo stesso padre Chimalpín, a cavallo di una mula che forse è lo stesso diavolo, si fa «pregonero» del demonio cristiano; finché sbalzato di sella, nel sovvertimento finale, e ustionato a sua volta dalla luce atomica, è ricoverato in ospedale. Qui il prete vive la sua ultima trasformazione, navigando in un succedersi incessante di nuovi incubi, alla fine riscattato alla salvezza dal ricordo auditivo dei bimbi che preparava, nel villaggio distrutto, alla prima comunione:


¡Yo soy feliz,
yo nada, nada espero,
porque el azul
del cielo, es ya mi casa!20



Potrebbe sembrare un finale di rinuncia; in realtà lo è di vittoria. Malgrado tutto non più la fuga dalla realtà, ma l'inaugurazione di una prospettiva diversa: sulla distruzione operata dal peccato è sempre possibile fondare un ordine morale nuovo. Finale di improvvisa pace, contrasto efficace con l'agitato clima di fatti e invenzioni che domina il romanzo.

Mondo in continuo ribollire, fusione di miti e di credenze, di realtà e irrealtà, sospesa in un tempo che è esso stesso mitico, Mulata de tal afferma così un suo messaggio positivo, il valore intrinseco di straordinaria opera d'arte, al disopra di vecchie e nuove incomprensioni, mirando costantemente all'uomo come fine ultimo. Perché l'impegno di Asturias è, in ogni momento, con l'uomo, del quale in questo romanzo denuncia, al disopra dell'orgia inventiva, la grave orfanezza, la condizione di derubato della magia, di condannato all'alienazione, in un mondo che avendo perso i legami col divino è divenuto invivibile.

Magia e mito danno vita, in Mulata de tal, a una realtà di assoluta irrealtà, «choque de fuerzas ciegas, de destinos sin ojos, de seres que no se ven y se los siente batallar por su empeño de destruirse, con una especie de gozo, de gozo heroico, de aniquilación total»21. Leggere questo romanzo per chi sia «forastero» alla visione indigena americana, è stato scritto, significa sentirsi perduto davanti alla realtà circostante, all'«incoherencia»22. Ma più che perduto il lettore si sente soggiogato e l'incoerenza   —49→   finisce per divenire coerenza perfetta, nell'ambito di una fantasia che non ha confini, in un «ensueño de mundos en potencia», «estado coloidal de fantasmas»23, dove il meraviglioso invade ogni espressione vitale. Opera di sommo artista, Mulata de tal afferma con l'originalità della sua architettura quella assoluta dell'espressione. Una volta ancora, proprio per questo, è lecito l'accostamento di Asturias a Quevedo. Nel suo romanzo lo scrittore guatemalteco è più che mai innovatore, inventore possente della lingua: gli innumerevoli neologismi, l'instancabile giocare con la parola, la novità e il vigore dell'immagine, assegnano ad Asturias un posto particolarissimo, come già a Quevedo nel suo secolo, tra i forgiatori del castigliano.





 
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