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Primi manifesti del romanticismo spagnolo

Ermanno Caldera



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ArribaAbajoPrefazione

Quando, dopo la morte di Fernando VII, i liberali ritornarono dall'esilio, le dottrine romantiche trovarono facile diffusione in Spagna. Venute meno le cautele imposte dalla censura assolutista, creatosi un clima favorevole alla libera discussione, aumentato notevolmente il numero dei critici e dei letterati, il soffio delle nuove idee pervade anche la Spagna, nonostante il suo conservatorismo politico e letterario. Tuttavia, tanto sul terreno della critica quanto nel più vasto campo della produzione letteraria, il movimento romantico assume immediatamente un carattere suo particolare; anzi si moltiplicano, da ogni parte, gli inviti a comporre opere di carattere nazionale e si ambisce subito, non senza punte di xenofobia, a distinguere la letteratura romantica spagnola da quella degli altri paesi d'Europa.

Una così subitanea caratterizzazione non si spiegherebbe se, negli anni precedenti, non si fosse lentamente formato un clima particolarmente adatto, se queste idee che ora trionfavano non si fossero maturate e, per così dire, selezionate attraverso lunghe meditazioni e ripensamenti.

Fu proprio nella silenziosa decade calomardina, quando il dispotismo s'opponeva con diffidenza all'introduzione di ogni novità di pensiero, che quest'opera venne compiuta; fu allora, dal 1823 al 1833, che in Spagna si pubblicarono i primi manifesti romantici, gettando le basi di un movimento che solo più tardi avrebbe potuto manifestarsi nella sua pienezza. In questi scritti, coraggiosi e insieme titubanti, si viene via via affermando una linea da cui difficilmente ci si saprà, o ci si vorrà, scostare in seguito. La critica precede così di almeno un decennio la poesia; ed anche questo è motivo peculiare della storia del romanticismo spagnolo, probabilmente uno dei suoi grandi limiti.

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Prima della vivace esperienza dell'Europeo, c'è bensì tutta la tradizione spagnola di libertà artistica, d'insofferenza per le regole che risale, attraverso gli spiriti ribelli del Settecento, fino all'anticlassicismo barocco, a Góngora, a Gracián, all'Arte nuevo di Lope de Vega. C'incontriamo insomma in quel romanticismo perenne di cui discorre il Croce e che molti, troppi forse, hanno considerato come una costante della storia letteraria di Spagna1. Ma se consideriamo il movimento romantico entro i consueti limiti cronologici, come quello che vedeva i suoi antesignani negli Schlegel e negli idealisti tedeschi, quel movimento che poteva apparire come una riscoperta di temi e motivi dimenticati ma che era anche (e così lo sentirono, almeno in parte, i suoi teorici, in Spagna come altrove) la scoperta di una nuova sensibilità e di nuove concezioni di vita, allora non troviamo, prima dell'Europeo, che l'opera di Böhl de Faber.

Opera certamente importante, che colloca lo scrittore tedesco al punto di partenza del romanticismo spagnolo, ma che, nella sua rigida adesione agli schemi della critica germanica, non solo manca ancora di quell'apertura e di quella consapevolezza che si manifesteranno solo negli anni seguenti, ma soprattutto si rivela incapace di dare l'avvio ad un processo di acclimatazione delle ideologie provenienti d'Oltrepirenei.

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Per questo dunque ci è parso opportuno cominciare la nostra indagine dall'Europeo, che è senza dubbio la prima cosciente e vitale presa di posizione a favore delle nuove dottrine letterarie. Abbiamo proseguito col Discurso di Agustín Durán e la prolusione tenuta a Cáceres da Juan Donoso Cortés, due opere che paiono proclamare lo sfaldamento delle ultime roccheforti del classicismo; infine s'è presa in esame la prefazione al Romancero di Durán (con la quale si giunge ormai alle soglie di una nuova epoca politica), come l'opera che, affrontando il tema, caro ai romantici, della poesia popolare, può, unitamente al saggio dello stesso autore sul teatro, offrire un panorama abbastanza completo delle posizioni assunte dalla critica spagnola del tempo rispetto alle principali questioni letterarie.

Vorremmo ancora sottolineare, come ulteriore giustificazione dell'aver limitato la nostra indagine a un periodo storico definito, il fatto che le più impegnative formulazioni della poetica romantica vennero alla luce, in Spagna, alla soglia di crisi politiche per lo più di notevole entità.

Anche se possono sembrare coincidenze fortuite, non possiamo ignorare che Böhl de Faber pubblicò il suo famoso estratto delle Vorlesungen dello Schlegel nel 1814, poco dopo la dura restaurazione del regime assolutista; che, fatto ben più significativo, l'Europeo sorse nel 1823, dopo che Fernando VII ebbe abiurato per la seconda volta la Costituzione, come la cittadella in cui si rifugiavano le deluse speranze dei liberali sconfitti; che Durán diede alle stampe il suo Discurso all'inizio del secondo quinquennio dell'ominosa década, quando cominciava ad attenuarsi il rigore della tirannide calomardina; e che infine (ma il discorso potrebbe già essere diverso, trattandosi di opera pubblicata all'estero) Alcalá Galiano pubblicò il Prólogo al Moro Expósito nel 1834, poco dopo la restaurazione del regime liberale operata da Maria Cristina.

Sono coincidenze che lo storico non deve sottovalutare e che lasciano intendere come il rapporto fra vicende politiche e letterarie sia stato, almeno agli inizi, più intenso di quanto non lasci scorgere il significato puramente testuale dei vari saggi.

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I manifesti letterari che esamineremo si presentano così anche sotto la veste di programmi politici; anzi non di rado pare che la discussione letteraria non sia che uno dei mezzi adottati da determinati raggruppamenti politici per la diffusione delle proprie ideologie.

Ci pare quindi che i quattro saggi assumano, in questa luce, un significato particolare, quali espressioni del travaglio spirituale di un'epoca apparentemente tranquilla, ma che in sé covava i germi di una profonda crisi, la quale condurrà infine, quando i tempi saranno maturi, ad una lotta aperta tra conservatori e innovatori (classici e romantici, carlisti e liberali) per concludersi, com'è nelle leggi della storia, con la vittoria dei secondi.





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ArribaAbajoCapitolo primo

Cosmopolitismo e Hispanidad nell'Europeo


Fra le molte cause che influirono sul maggiore o minor successo dei diversi manifesti romantici, è degno di particolare attenzione il momento storico in cui essi vennero promulgati. Non si può infatti dimenticare che l'opera di Böhl e dell'Europeo si svolgeva in un clima di generale depressione, mentre i saggi di Durán e di Alcalá Galiano poterono ricevere migliore e più immediata accoglienza nell'euforia della ritrovata distensione politica.

Naturalmente sarebbe inadeguato prendere in considerazione questo solo fattore, quando molti altri dovettero necessariamente intervenire, primo fra tutti la normale evoluzione verso le nuove idee che sempre piú impellenti varcavano la frontiera dei Pirenei: è comunque, credo, fuor di discussione che Böhl e l'Europeo abbian trovato nel particolare momento storico un ostacolo non indifferente alla diffusione delle loro teorie.

Nonostante queste affinità, i due casi sono tuttavia diversi, sia per la personalità degli scrittori (sappiamo che una delle ragioni dell'ostilità dimostrata verso Böhl de Faber è da ricercarsi nella sua nazionalità)2, sia per il diverso impegno che ciascun d'essi portò nella propria opera.

I redattori dell'Europeo, dichiaratamente liberali (quanto Böhl fu invece assolutista e conservatore), cercarono di svolgere, attraverso la loro rivista, un programma particolarmente impegnato: vollero che dalle pagine di essa scaturisse l'ultima   —10→   voce della libertà soffocata e insieme si assunsero il compito di riportare la pace negli animi sconvolti, attraverso un'impostazione ampiamente cosmopolitica; aspirando, per mezzo della cultura, a superare i particolarismi politici ed i troppo ristretti nazionalismi.

Il Galli, che s'attribuisce il merito d'aver ideato la rivista, le assegnava chiaramente questi scopi: «Une publication périodique pouvait seule faire espérer d'atteindre ce but. Il fallait éclairer et diriger l'opinion, présenter des points de ralliement et réserver les chances de sauver quelques débris d'un vaste naufrage».

Anzi, quando il trionfo della reazione fu definitivo, l'Europeo avrebbe assunto, sempre secondo il Galli, la funzione di unico portavoce del liberalismo: «C'est alors qu'une seule voix osa s'élever pour résister et revendiquer les droits de la liberté expirante. Cette voix, c'était la notre»3.

Tutto ciò rappresenta senza dubbio un impegno e una coscienza politica non reperibili nella puntigliosa polemica sostenuta da Böhl e dai suoi avversari. In particolar modo colpisce, in un'epoca così travagliata e da parte di uomini sofferenti per l'oppressione esercitata dall'Europa reazionaria, più o meno direttamente coalizzata contro la Spagna, quel generoso atto di fede nell'universalità della cultura e nella sua virtù rasserenatrice, che li indusse a collocare sulla testata della rivista il motto quintaniano: Mente ambiciosa, vuélvete en fin a mejorar el hombre.

Converrà poi discutere se, all'atto pratico, l'Europeo abbia veramente corrisposto a così nobili intenti. Troppi ostacoli si frapponevano alla loro realizzazione: l'oculata diffidenza della censura «servile», la probabile freddezza di un pubblico esagitato da passioni politiche e presumibilmente poco disposto ad accettare il vangelo del cosmopolitismo e infine, possiamo   —11→   ben dirlo, l'inadeguatezza degli stessi redattori a un compito tanto elevato.

Cosicché, nonostante i propositi manifestati dal Galli, la difesa del liberalismo poté essere affrontata solo di scorcio e per tacite allusioni, per lo più cautamente ravvolte in meditazioni morali, o affidata all'amarezza del tono con cui si descrivono certe generiche condizioni del presente.

Ciò non toglie che talune allusioni fossero abbastanza scoperte, e c'è da pensare che, a un dato momento, si sia verificato un qualche richiamo da parte dell'autorità censoria: infatti i pochi articoli che potremmo, forse in maniera un poco iperbolica, definire «impegnati» si concentrano nei primi numeri e l'ultimo di essi, l'interessante rassegna di Barcellona scritta da Aribau, compare, ad una certa distanza dai precedenti, alla fine del 1823. Penso anzi che proprio quest'ultimo articolo, con i suoi espliciti riferimenti ai luttuosi strascichi della guerra civile, abbia potuto determinare una più decisa opposizione dei censori: sta di fatto che, nei due volumi dell'anno seguente, l'attenzione dei redattori si rivolge verso problemi meno scottanti.

Egrave; vero, peraltro, che, dopo i primi mesi di vita, la rivista comincia a dar qualche segno di stanchezza: si ha l'impressione che i vari collaboratori, il cui bagaglio culturale non era probabilmente molto vasto, abbiano esaurito troppo presto le questioni più importanti, cosicché, gradualmente, il periodico lascia sempre più spazio all'informazione e meno al dibattito. È perciò accettabile come valida la giustificazione addotta nel commiato che la redazione prende dai suoi lettori, secondo cui le pubblicazioni cessano in seguito alla partenza di Cook e di Galli; e non mi pare necessario cercarne le cause nell'ostilità della reazione, dal momento che ormai l'Europeo aveva perduto gran parte del suo tono originario4.

Per tornare alle posizioni politiche della rivista, è certo   —12→   significativo che nel primo numero venisse inserita la canzone di Aribau El Fanatismo, in cui questo appare rivestito di ropa sacerdotal ensangrentada, mentre eccita alla distruzione la plebe che trascorre al grido di: «¡Muera el profano!»; alla fine il poeta invoca il ritorno della religione rettamente intesa: ¡Oh, ven, hija del cielo! / Intemerata Religión... Al fin recobra tu usurpado nombre...

Questo trasparente attacco ai moduli della reazione sanfedista, posto all'inizio del periodico, doveva suonare come un proclama di fede liberale. Lo stesso procedimento, di attaccare l'avversario di scorcio, sotto il pretesto di svolgere argomenti di morale civica, Aribau adottò in un successivo articolo: Deber de los escritores en los tiempos inmediatos a las mudanzas políticas, en que las pasiones están exaltadas (I, 6, p. 188 sgg.). In esso l'autore tuona il suo sdegno contro il servile arrivismo dei letterati che plaudono al vincitore e perseguitano i vinti, e al contempo ammonisce seriamente i governanti a disfarsi dei consiglieri interessati, ad esser longanimi, a imporre la pace alle fazioni. Sapientemente, poi, addita, pur senza nominarlo, Luigi XVIII, come colui che avrebbe saputo, con la sua equità, guadagnare al suo governo la simpatia di tutti i partiti; un esempio non compromettente e certo efficace ai fini che l'autore si propone. L'articolo si conclude con una breve frase la cui allusione ai fatti più recenti è lampante se non altro per il tono vivamente accorato: dopo esser brevemente ritornato sul cinismo di certi scrittori in epoche di agitazioni, cosí commenta: Nuestro corazón se estremece al considerar los efectos que ha producido.

Infine Aribau affrontò audacemente i problemi d'attualità: l'articolo intitolato Revista de Barcelona en estos últimos años (I, 12, p. 361 sgg.) vuol essere, ed è in gran parte, una raccolta di dati statistici intorno alle popolazioni della città, all'industria, alla beneficenza e ai vari rami dell'attività culturale. Ma anzitutto è preceduto da una densa introduzione in cui si parla delle lamentevoli conseguenze della guerra civile appena terminata e si esprime il desiderio di una definitiva pacificazione.   —13→   Nulla di rivoluzionario dunque nell'assunto, se non fosse per la risentita amarezza che permea il discorso e che tradisce l'animo di chi sente il trionfo dell'ingiustizia, nonché per certe frasi uscite quasi a caso dalla penna, ma tali da attribuire all'intero scritto una cert'aria di fronda facilmente individuabile. Valgano alcuni esempi tra i più significativi:

Viven todavía cuantos han figurado en estos últimos años, y no porque sean infelices y les haya cabido la lamentable suerte de vencidos han de ser menos acreedores a nuestra consideración...

Consecuentes, por otra parte, a nuestros principios de no mezclarnos en asuntos políticos en cuanto tuviesen analogía con el estado de relaciones entre los pueblos, debemos evitar cuidadosamente la ocasión de contradecirnos, puesto que a ello nos arrebatara un espíritu patriótico, o una ambición literaria5.

...amantes de aquella filosofía consoladora que establece en la sociedad la tolerancia de opiniones...



Analoghe espressioni o considerazioni si trovano poi distribuite abilmente nel corso della relazione: per non dilungarci, basti rilevare che dalla parte economica di essa scaturisce l'immagine di una Barcellona stremata ed inefficiente.

Questi di Aribau sono, sul piano politico, gli articoli più avanzati dell'intera rivista; ben pochi altri si possono aggiungere per completare la rassegna: due brevi scritti del Galli (Efectos de la falta de armonía entre pueblos y monarcas, I, 2, p. 45 sgg.; Sobre los hombres que deben ponerse a la frente de los negocios, después de un cambio de sistema político, I, 4, p. 126 sgg.), che affrontano temi di una certa attualità, oltre ad alcuni lievi spunti che è dato reperire disseminati qua e là negli articoli pedagogico-morali o letterari.

Con tutti questi limiti e queste reticenze, è chiaro che diviene arduo tentar d'individuare un preciso orientamento politico della rivista, anche se possiamo affermare con una certa sicurezza che si trattava di quel liberalismo che aveva trionfato in Spagna dal 1820 al 1823; un liberalismo ancora in gran parte settecentesco, che guardava a Quintana e a Jovellanos,   —14→   come parrebbero testimoniare l'atteggiamento cosmopolitico, propagandato come rimedio agli errori della storia più recente, l'idea -che vedremo ritornare nei saggi critico-letterari- di un costante progresso verso i lumi, e infine l'insistenza (che potè anche esser prodotto della contingenza politica) sulla tolleranza come fondamento del viver civile.

D'altronde questa classificazione pecca di genericità, poichè occorrerebbe distinguere tra le personalità dei vari collaboratori: da quel poco infatti che ci è dato desumere, o meglio intuire, attraverso le tendenze letterarie di essi, parrebbe risultare, per esempio, che le posizioni di López Soler siano più avanzate di quelle di Aribau o di Monteggia. Il solo, fra i collaboratori, le cui ideologie politiche siano, per altra via, facilmente congetturabili è il Galli, ex aiutante di campo del generale Mina, ma il suo apporto alla rivista non fu mai di particolare entità.

L'interesse che può destare l'impostazione politica del periodico rimane pur sempre circoscritto, per l'esiguità dei suoi contributi, ai problemi del momento e per la timida professione di fede liberale. Si deve peraltro riconoscere che esso fu presentato come periódico de Ciencias, Artes y Literatura e che, nell'enunciare il loro programma, i redattori s'erano esplicitamente impegnati (e chissà che un tale impegno non fosse stato imposto d'autorità) a non trattare problemi di attualità politica:

...nuestro intento es discurrir sobre las cosas como filósofos, y el tratar filosóficamente de los acontecimientos políticos de los Estados debe reservarse para un siglo después. Trataremos de política sí; pero será como ciencia, fundada sobre hechos remotos, acerca de los cuales podemos discurrir sin pasión ni interés.



Riportato a queste dimensioni, il periodico risponde abbastanza al suo titolo, sebbene risulti immediatamente palese l'estrema prevalenza d'interessi letterari. Dei circa duecento articoli pubblicati, approssimativamente un quarto tocca argomenti di letteratura, per lo più sotto forma di recensioni o di   —15→   notiziari (solo una decina è dedicata ai problemi estetici); se però a questi aggiungiamo circa trenta fra liriche e brani di prosa originali o tradotti, superiamo di gran lunga un terzo dell'intera rivista, sino a sfiorarne la metà.

Un'altra trentina di articoli si occupa di questioni scientifiche, per lo più a cura di Cook e di Galli, mentre la trattazione di argomenti artistici è piuttosto circoscritta: solo una dozzina di saggi è dedicata alle arti figurative e alla musica.

Abbastanza significativo è invece il posto occupato da questioni pedagogiche e morali (circa una ventina di articoli) che forse rappresentavano, accanto agli argomenti letterari, la sola palestra in cui fosse consentito di esporre, senza eccessive cautele, le proprie istanze spirituali.

Infine una quarta parte, o poco meno, è occupata da saggi di vario genere, di storia, di economia, di arte militare, di giurisprudenza e così via.

Abbiamo voluto tracciare questo rapido quadro sinottico per rilevare il carattere prevalentemente letterario dell'Europeo o, al più, culturale, ma nel senso meno ampio, quasi accademico, del termine. E questo ci pare un grande limite della rivista barcellonese; limite che fu bensì imposto dalla particolare contingenza storica, ma che contribuì notevolmente a caratterizzare, fin dalle origini, il movimento romantico spagnolo. Nato, con l'Europeo, all'insegna della più scottante attualità e quale espressione di alti valori etico-sociali, dovette immediatamente divorziare, se non dalla vita, almeno da una gran parte dei problemi del presente. Per una serie di circostanze che ci proponiamo d'esaminare nei successivi capitoli, nonché per una sorta di forma mentis che si venne gradualmente solidificando, il romanticismo spagnolo assai di rado defletterà da questo carattere e, sordo agli sviluppi che il movimento andrà assumendo in Europa, cercherà una sua ragion d'essere sempre più nel passato che nel presente, nei libri che nella vita.

Per i redattori della rivista in esame, l'identificazione (ovvia in quasi tutta l'Europa) fra liberalismo e romanticismo è indubbiamente valida, sia pure con qualche opportuna limitazione,   —16→   ma essa non avrà più molto senso un decennio più tardi; e potremo comprendere l'irritazione di Lista contro l'arbitrarietà di classificazioni siffatte6.

Quel generoso atto di fede nella cultura, di cui si parlava sopra, si rivela, ad una più attenta analisi, non scevro d'incongruenze, le quali balzano anche più vive, ove si passi ad esaminare l'essenza del conclamato universalismo.

Secondo le dichiarazioni programmatiche, i vari membri della redazione, scoperta la consonanza delle rispettive ideologie, ne avrebbero operata una fusione:

De lo que cada cual de nosotros debía a su patria, hicimos una masa común; y cualquiera que fuese el resplandor de los rayos que se reuniesen en este poco de comunicaciones, procuramos que fuesen útiles y aplicables a todas las naciones.



Orbene, anche a non lasciarsi influenzare dalle parole testuali, è facilmente riscontrabile, nel corso dei vari articoli, la semplicistica riduzione del programma cosmopolitico alla giustapposizione di diversi contributi personali, ad accostamenti delle esposizioni, che ciascuno fa, delle proprie idee o delle proprie conoscenze. Ne nascono talvolta ripetizioni (i due articoli, di López Soler e di Monteggia, sul romanticismo possono sembrare, e spesso sono, variazioni di un unico tema), talaltra contraddizioni7. Non perciò la rivista si trasformò in una palestra di idee: le mancò una mente capace di imprimerle unità, se non ideologica, almeno d'impostazione, e che riuscisse ad operare quell'amalgama, quella masa común che era nelle intenzioni.

Quest'accostamento d'idee diverse è riscontrabile, in maniera anche più palese, nei singoli articoli. Riferendoci a quelli di   —17→   argomento letterario, non è difficile sceverare gli influssi schlegeliani accanto a quelli di Madame de Staël, di Chateaubriand, di Schiller, talora semplicemente avvicinati, senza che il calore di una forte personalità li abbia saputi fondere ed assimilare in una visione originale. Per non parlare poi di certe oscillazioni del pensiero, per cui romanticismo e classicismo vengono ora considerati come fenomeni storicamente circoscritti, ora come perenni atteggiamenti dello spirito, talvolta risultano inscritti entro particolari delimitazioni geografiche, talaltra vengono accolti sul piano dell'universalità; o del fatto che la posizione praticamente, se non ufficialmente, assunta a favore del movimento romantico, non impedisca il riaffiorare di espliciti richiami alle poetiche settecentesche.

L'Europeo risente dunque, in queste incertezze e incongruenze, della personalità ancora immatura dei suoi principali collaboratori, giovani entusiasti (troppo giovani invero per così alto compito, se si considera che Aribau contava appena venticique anni e che López Soler e Monteggia dovevano essergli coetanei8) che aderirono sentimentalmente alle nuove idee, senza un'adeguata preparazione critica.

Con questi limiti, la rivista non potè realizzare l'intento ambizioso di «éclairer et diriger l'opinion», e scese al rango più modesto di un foglio d'informazione. Non per questo fu priva di meriti: in un'epoca in cui la Spagna tendeva a rinchiudersi e ad isolarsi, in cui le intelligenze più vive imboccavano la via dell'esilio, l'Europeo fece conoscere, sia pur confusamente,   —18→   le idee che fermentavano all'estero; e, se non altro, seppe fungere da stimolo per la ricerca e l'approfondimento delle questioni che diffondeva.

Egrave; opinione accreditata che il movimento romantico sia penetrato in Spagna con notevole ritardo rispetto alle altre nazioni dell'Europa occidentale; opinione che si può far risalire al Menéndez y Pelayo, ma che trova antecedenti nella stessa critica del primo Ottocento (Durán, nel 1828, sottolinea con una certa insofferenza che in Spagna ci si dibatte ancora in questioni ormai superate nel resto d'Europa) e che s'incontra in tutta la critica successiva, dai manuali di storia letteraria alle specifiche monografie del Peers o del García Mercadal, a panoramiche più vaste come lo studio del Van Tieghem sul romanticismo europeo. Né mancò chi, come F. Courtney Tarr, ne trasse un po' troppo rigide conseguenze, giungendo ad affermare che il romanticismo autentico è reperibile solo nella generazione del 989.

Si tratta di un'opinione che, se trova fondamento nella reale situazione letteraria della Spagna (la quale solo nel decennio fra il 30 e il 40 produsse opere di dichiarata ispirazione romantica), esige peraltro qualche opportuna rettifica e precisazione. Per l'esattezza, occorrerebbe anzitutto ricordare   —19→   che, nel periodo che va dal 1814 al 1833, occupato quasi per intero (eccettuata la breve ed esagitata parentesi del triennio liberale) dall'assolutismo fernandino, non solo non esiste una letteratura romantica, ma praticamente manca una qualsiasi produzione letteraria veramente degna di considerazione.

In particolare nel primo periodo, che va dal 14 al 20, la vita letteraria è praticamente paralizzata, con conseguenze che si estendono anche agli anni immediatamente successivi. La descrizione che fa Mesonero Romanos di questo scorcio di tempo è desolante: incarcerati Quintana, Gallego, Beña, Sánchez Barbero, Sabiñón, Solís, Tapia e molti altri ancora; in esilio gli afrancesados, tra cui Meléndez Valdés, Moratín, Reinoso, Lista, quedaba el Parnaso Español -commenta lo scrittore- desamparado y baldío, y el templo de las Musas falto de sacerdotes y entregado a los búhos y lechuzas que se albergaban en sus desvanes y quebraduras. D'altronde, è ancora Mesonero che ci soccorre, neppure gli anni seguenti, turbati come sono dalle passioni politiche, offrono un quadro più sereno; e se nel 22 si assiste ad una certa ripresa culturale (di cui testimonia, fra l'altro, la fondazione dell'Ateneo), la letteratura continua ad essere abbandonata10.

Se tuttavia spostiamo la nostra indagine dal terreno della produzione letteraria a quello della critica e della diffusione delle idee, il quadro non appare così vuoto. Nonostante la difficoltà di contatti con l'estero, non si può dire che il movimento romantico fosse sconosciuto in Spagna: non solo gli scritti di Böhl de Faber, per quanto osteggiati e irrisi, per quanto ancora titubanti e incerti, non potevano passare senza lasciar qualche traccia; ma la stessa polemica da essi suscitata sarebbe inspiegabile, se non si supponesse, negli avversari del gaditano, una conoscenza, almeno superficiale, dei termini del problema. Né bisogna dimenticare che nel 1814, quando Böhl esponeva, per la prima volta in Spagna, teorie schlegeliane, si rivolgeva ad   —20→   un pubblico che già aveva preso contatti con molti dei testi più accreditati del romanticismo e del preromanticismo straniero: ché già erano stati tradotti, oltre alla Nouvelle Héloïse e al Paul et Virginie, anche l'Ossian, il Werther, l'Atala. Più tardi si faranno conoscere altri autori, dallo Scott al Byron, all'Hugo, a Madame de Staël, finché l'intero panorama della letteratura romantica sarà presente alla cultura spagnola11. In uno dei passi surriferiti, Mesonero ricorda che, intorno al 1822, a causa della mancanza d'una produzione letteraria nazionale, gli editori inondavano il mercato di traduzioni che andavano a ruba tra i giovani.

Non indifferente fu poi l'opera di riviste, cui si suole attribuire l'etichetta del classicismo, ma che dimostrarono spesso apertura verso le nuove idee, facendo conoscere direttamente o indirettamente, accanto agli autori classicheggianti, il Macpherson, il Thompson, il Klopstock e, nel campo della critica, Schiller, Schlegel, Chateaubriand: dal Correo literario y económico de Sevilla, cui collaborava Lista, a periodici più diffusi come le Variedades de ciencias literatura y artes, che visse dal 1803 al 1805, La Minerva (1805-1808 e 1817-1818) o la stessa Crónica científica y literaria di Mora, che pure si presentava come organo conservatore; per non parlare del Censor (1820-1822), in cui la partecipazione di Lista è di per sé garanzia di serietà e di aggiornamento.

Nel triennio liberale, è assai probabile che i vari gruppi delle sociedades patrióticas del Lorencini, della Fontana de Oro, della Cruz de Malta, svolgessero una notevole opera di diffusione e propaganda anche in questo campo: è vero che gli scrittori contemporanei, parlando di queste riunioni, ne sottolineano esclusivamente il carattere politico, ma, se si considera il fermento d'idee che vi regnava, nonché la presenza di vivaci personalità culturali (Alcalá Galiano, Mesonero, Gorostiza, Gil y Zárate ecc.), è impensabile che non vi si dibattessero anche le questioni letterarie d'attualità.

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Quando dunque Monteggia e López Soler affrontano sull'Europeo la poetica del romanticismo, non si rivolgono a un pubblico digiuno, tant'è vero che entrambi manifestano il proposito (non molto sincero, in verità) di mantenersi equidistanti dalle due parti in lotta.

Al solo nombre de Romanticismo se recuerdan las infinitas disputas que tienen dividida toda la república literaria. Nuestro intento no es mezclarnos en ellas, sino decir algo sobre la significación y máximas fundamentales de este sistema de literatura: così comincia Monteggia il suo saggio critico. E López Soler: Sin embargo de que cuando manifestábamos en uno de nuestros números los principales caracteres que distinguen al estilo romántico, quisimos prescindir de la cuestión que hace algunos años se sostiene entre románticos y clasicistas, séanos permitido entrar a la vez en tan gloriosa contienda, y no ya por un espíritu de partido, sino con el objeto de conciliar, si es posible, a los contrincantes.

Come si vede, entrambi fanno allusione ad un'accesa polemica tuttora in corso; una polemica di cui non abbiamo testimonianze dirette, ma che evidentemente si dibatteva a viva voce nei circoli letterari; e il tono quasi ovvio con cui vi si riferiscono lascia intendere che si tratta di cosa tanto nota da non esigere maggiori spiegazioni. Un'ulteriore riprova di questa situazione si potrebbe, con qualche limitazione, scoprire nell'indirizzo dei due saggi, impostati entrambi (quello di López Soler, esplicitamente nel titolo stesso, l'altro in maniera più velata) più sull'antitesi classicismo-romanticismo che sull'analisi del movimento romantico in se stesso.

Monteggia è il secondo scrittore che si fa portavoce, in Spagna, delle dottrine romantiche: ancora uno straniero. Questa volta però la questione è affrontata in termini puramente teoretici, senza la dichiarata adesione dell'autore ad alcun partito   —22→   (quantunque sia evidentissima la simpatia per il movimento romantico) e senza riferimenti, nemmeno indiretti, alle lettere spagnole.

Monteggia pone in evidenza quelli che, a parer suo, sono i principali motivi del romanticismo, classificandoli secondo estilo, argumento e marcha. È una terminologia molto approssimativa, che si potrebbe tradurre in tematica (mitologia romantica, religiosità, aspirazioni), contenuto oggettivo (argomenti e fonti d'ispirazione) e tecnica.

Mentre gli antichi, sostiene Monteggia sotto il primo titolo, possedevano una visione mitica e fantastica del mondo, i moderni, influenzati dal cristianesimo, dallo spirito malinconico dei popoli nordici e dai sentimenti cavallereschi importati dai mori, tendono maggiormente ad una interpretazione sentimentale e, in sede letteraria, al patetico. I veri poeti presero perciò a cantare gli oggetti di questa nuova sensibilità (come tornei, amori, magie), mentre gli eruditi classicheggianti proseguirono in una poesia divenuta ormai artificiosa. I veri classici, al contrario, furono romantici rispetto ai loro tempi, di cui rispecchiarono fedelmente i costumi.

Quanto agli argomenti, propone che siano tratti dall'età moderna o dal Medio Evo, per esigenza di ritrarre situazioni che presentino analogia con i costumi del proprio tempo, e per l'usura ormai subita dai temi classici.

Naturalmente il poeta romantico affronta maggiori difficoltà, dal momento che deve riprodurre epoche e personaggi storicamente definiti, per cui ogni inverosimiglianza balzerebbe subito evidente agli occhi dei suoi lettori. Al contrario i classicisti posson foggiarsi un mondo a loro piacimento, ma proprio per questo cadono facilmente nella tipizzazione e presentano esseri privi d'umano calore. Non commuovono, non toccano; possono, al più, destare un piacere artificiale negli eruditi.

Tuttavia, anche gli argomenti tratti dal mondo antico possono esser fonte di poesia, purché vengano svolti romanticamente, ossia interpretati in chiave d'umanità e secondo le norme del patetico.

  —23→  

Per quanto concerne la tecnica, infine, Monteggia ripudia le unità, salvando, al solito, quella d'interesse, in nome della stessa verosimiglianza.

Il saggio è un centone d'idee talvolta contrapposte. Delle sue fonti l'autore cita solo Chateaubriand, da cui deriva la contrapposizione fra il mondo classico, popolato di esseri mitici, e quello della poesia moderna, più oggettivo e fonte di meditazione; ma altri influssi sono facilmente reperibili. Il motivo dell'influenza esercitata dai popoli nordici e dagli arabi è facilmente riconducibile agli Schlegel, forse attraverso la mediazione del Sismondi e di Madame de Staël, mentre l'affermazione che il vero poeta aderisce ai propri tempi ed in tal senso è romantico, richiama direttamente, per la sua formulazione, la celebre distinzione del Berchet fra «poesia dei vivi» e «poesia dei morti»12.

Ma accanto a questi riecheggiamenti di testi celebri dei romanticismo europeo, non manca qualche spunto che ci riporta all'estetica dello Schiller, certo non ignota nel circolo dell'Europeo, dal momento che Aribau ne farà oggetto di trattazione specifica in due articoli dell'annata seguente.

Sulla scorta dello scrittore tedesco, sia pure attraverso   —24→   un'interpretazione parziale ed elementare, Monteggia pone il patetico a base dell'opera d'arte:

Después del establecimiento del cristianismo las ideas religiosas empezaron a interesar el espíritu (i1 sentimento) más que la fantasía, y las imágenes de las costumbres debían ser más patéticas.



Non si tratta solo di un vocabolo gettato a caso; nella seconda parte dell'articolo (Argumento) Monteggia insiste sulla commozione che ci afferra dinanzi agli spettacoli tristi, come elemento primario dell'arte, mentre mostra insofferenza verso gli eroi raciniani, che giudica (come Schiller e A. G. Schlegel) freddi e insensibili:

El Edipo de Sófocles no se avergüenza de confesar que le duele el abandonar la vida, y nos interesa entonces más que otros a quienes la muerte no arranca tampoco un solo lamento, como en general los héroes de las tragedias francesas.



Il patetico (alleggerito e popolarizzato rispetto al pathetisches schilleriano) diviene sinonimo d'umano e di poetico, tanto da trascendere l'identificazione con la poesia moderna, quale appariva all'inizio del saggio.

Da questa coesistenza di motivi schilleriani e schlegeliani si generano antinomie da cui il saggio non riesce a liberarsi, ondeggiando perennemente fra un vero storico, che si configura nell'istanza di aderire ai propri tempi, e un vero poetico, che s'identifica col patetico. Conseguentemente i termini classico e romantico vengono ora assunti in un'accezione storica definita, ora interpretati quali categorie sovrastoriche.

Si direbbe che Monteggia stesso avverta certe incongruenze del suo scritto, cosicché di volta in volta si sente costretto a ricorrere a maggiori precisazioni e distinzioni di termini, le quali creano in realtà nuove incertezze: autores clásicos verdaderos... románticos por sus tiempos... románticos propiamente dichos... E benché sia preciso nella contrapposizione fra clásicos e clasicistas (come non sempre saprà fare la critica posteriore), non c'è da stupire che talvolta i termini si confondano e si   —25→   sovrappongano. A un dato punto, classico e romantico divengono perfino sinonimi: todos los autores clásicos verdaderos dejan en sus obras el color de las épocas en que vivieron, y en este sentido son románticos por sus tiempos Homero, Píndaro, Virgilio, etc., y lo son entre los modernos Dante, Camoens, Shakespeare, Calderón, Schiller y Byron; los hombres clásicos de todos los tiempos y de todas las naciones escriben lo que les dicta el genio ...; también los asuntos antiguos pueden servir a los poetas románticos, con tal que sepan tratarlos románticamente... Modelo de esto sean los mismos poetas antiguos, los clásicos y no los clasicistas. El Edipo de Sófocles...

Ora una tale sinonimia e reversibilità di termini, se può essere accettata e anche giustificata come superamento di partizioni scolastiche e in nome di un'indagine volta esclusivamente alla ricerca della poesia nella sua universalità (ma è dubbio che Monteggia possedesse una tale coscienza critica), mal si concilia con l'altro filone del saggio, orientato sulla contrapposizione fra mondo classico antico e mondo romantico cristiano.

Nuove incertezze poi sorgono quando, accanto alle due suaccennate categorie del vero, se ne insinua una terza, quella del verosimile, concepita secondo i vecchi canoni retorici. Accade bensì che, in nome del verosimile, l'autore prospetti l'abolizione delle unità drammatiche, ma l'istanza di base è aristotelica nel fondo, poiché lo scopo cui tende Monteggia è quello di rendere l'opera più credibile e l'illusione del pubblico più completa; è, insomma, il concetto retorico di credibilità e di persuadibilità che affiora anche più evidente là dove si suggeriscono gli argomenti moderni o medioevali, por la ventaja que puede proporcionar el ejemplo de acontecimientos de la misma clase que los que nos ocurren en la sociedad (che è veramente il concetto di verosimiglianza, quale si poteva incontrare non solo nella celebre Poetica, ma pure negli aristotelici dei Cinque e Seicento, in un Pinciano o in un Cascales). E, a ben pensarci, anche il patetico vien spesso interpretato in chiave di verosimile, dal momento che esso è la conditio sine qua non dell'umana   —26→   verità dei personaggi, che sentiamo simili a noi solo quando ci sanno commuovere.

Attraverso queste diverse e contrastanti impostazioni, Monteggia rivela tuttavia una sostanziale esigenza realistica -che non è difficile far risalire agli ambienti del romanticismo lombardo, da cui egli proveniva- la quale informa, e in un certo senso unifica, le varie proposizioni del saggio. Un realismo che da una parte lo spinge al ripudio del fantastico e del terrificante -il sublime schilleriano- (gli eroi delle tragedie francesi, non costruiti su di una realtà storicamente probante, sono criticati alla stessa stregua del Manfredo byroniano, informato a idee demasiado terribles y fantásticas), dall'altra lo induce a circoscrivere l'indagine su di un piano essenzialmente contenutistico.

Infatti, là dove tenta di formulare una poetica del romanticismo propiamente dicho -per usare le sue parole- si sofferma quasi esclusivamente sull'elezione degli argomenti, aggiungendo tutt'al più qualche rilievo stilistico piuttosto esteriore, quando accenna al colorido sencillo, melancólico, sentimental, que más interesa el ánimo que la fantasía.

Peraltro sembra ignorare i più ponderosi problemi del bello ideale e particolare, dell'universale e del nazionale, della morale artistica, che costituivano il pascolo delle diatribe letterarie del tempo.

Non si può dunque dire che da quest'articolo, intitolato troppo pomposamente Romanticismo (López Soler userà cautamente un titolo meno impegnativo), scaturisca una lucida idea del movimento letterario. Certo, se si era riproposto lo scopo di avvicinare i suoi lettori al romanticismo europeo, è ben difficile che l'abbia potuto raggiungere.

Inoltre, il carattere puramente teorico della trattazione, con i suoi scarsi esempi tratti esclusivamente da opere straniere o classiche, se poteva evitare le ostilità che s'eran destate contro Böhl de Faber, privava d'altro canto il saggio di quell'interesse vivo e concreto che, in un'epoca di acceso nazionalismo,   —27→   solo un riferimento al patrimonio culturale della Spagna avrebbe potuto suscitare.

Non è da escludersi che López Soler si fosse reso conto, forse attraverso le reazioni dei lettori, delle incertezze e dei dubbi che il saggio del suo amico aveva lasciato da risolvere; sta di fatto che, a quattro numeri di distanza, egli pensò di affrontare il problema dal punto di vista più consueto e, almeno apparentemente, più chiarificatore: quello della polemica classico-romantica.

Il titolo del saggio prometteva chiarezza e distacco scientifico: Análisis de la cuestión agitada entre románticos y clasicistas; in realtà anche il giovane catalano lasciava trasparire una viva simpatia per il movimento romantico, che le poche parole concilianti non riescono affatto a dissipare.

Muovendo dal presupposto che religione, natura e costumi siano gli elementi che maggiormente influiscono sulla produzione letteraria, il critico tenta di scorgere, attraverso di essi, le differenze sostanziali fra mondo antico e moderno, ossia fra classicismo e romanticismo.

Anzitutto la religione cristiana formò popoli menos entusiastas y más recogidos, menos brillantes y más melancólicos, más pundonorosos y menos ligeros; li distolse dalla passionalità e dalla violenza, sospingendoli verso il raccoglimento e l'introspezione. I poeti che sorsero dopo i secoli barbarici dovettero di necessità cantare questo nuovo mondo morale: he aquí el origen del romanticismo. Questa letteratura, che presentava situazioni patetiche, tentò di penetrare negli spiriti attraverso sentimenti d'amore e di tenerezza, a differenza delle opere classiche, le quali invece volevano colpire i sensi attraverso scene terrificanti. In questo risiede la differenza essenziale fra classici e romantici: los primeros tienen por base a las pasiones y hablan al mundo físico; los segundos tienen por base al sentimiento y hablan al mundo moral.

Nella diversa sensibilità di fronte alla natura sta un altro motivo di discriminazione: i classici, vivendo in paesi dalla   —28→   natura ricca e armoniosa, la rappresentarono tan varia como hermosa, y en la que brillasen sin confundirse las innumerables bellezas de la creación. Natura meravigliosa, che diletta la fantasia, ma stimola (convida) più il ragionamento che la meditazione (abstracción), essendo maggiormente vincolata all'intelletto che all'immaginazione; concepita armonica e simmetrica, favorisce, di conseguenza, la precettistica. Al contrario i romantici prediligono una natura più poetica, cupa, confusa, in armonia con l'incertezza del loro animo tormentato.

Quanto ai costumi, López Soler non ha dubbi intorno alla maggiore poeticità di quelli moderni, e pertanto delle opere romantiche che li descrivono: crociate, tornei, dame e cavalieri, castelli e chiostri racchiudono per lui una bellezza assolutamente incomparabile con i costumi greci e romani. ¿Qué son -exclama- sus náyades, sus sátiros, sus ninfas y sus temerarios guerreros en comparación del silencio del claustro, de la virgen cristiana encerrada en él, de los lóbregos castillos, del pundonor, de la religiosa piedad y valentía de los aventureros?

Cosicché, nonostante la premessa, l'autore concludeva questa prima parte del saggio (che fu suddiviso in due articoli, pubblicati sui numeri 7 e 8) con un'aperta dimostrazione della superiorità morale e poetica dei romantici sui classici. La seconda parte voleva essere più propriamente di conciliazione (nos reservamos para el número inmediato -così si chiudeva il primo articolo- tentar la reconciliación de las diferencias entre los partidarios de uno y otro sistema), ma il tentativo in questo senso, troppo contrastante con le opinioni dell'autore, suona falso e contraddittorio.

Comincia in effetti con una concessione ai classicisti: riconosce cioè, nella storia dell'umanità, due momenti essenzialmente poetici: l'uno nell'epoca favolosa dell'antica Grecia (si riferisce, vichianamente, all'età omerica?), l'altro nel Medio Evo. Ma subito biasima i classicisti che vollero tutto rivestito a la homérida, mentre approva i romantici che seppero tener conto del diverso spirito dei tempi mutati. Non perciò i classicisti devon credere che si attenti alla gloria di Omero, né   —29→   che si voglia distruggere l'antico stile; è accaduto semplicemente che la letteratura s'è arricchita di un genere nuovo.

Né reggono le accuse rivolte ai romantici d'aver trascurato l'antica precettistica, perché sarebbe assurdo che poeti così altamente ispirati e fervidi di fantasia dovessero scendere a patti con meschine esigenze geometriche.

Questo non significa che le letterature classiche siano prive di bellezze, ma è riprovevole quel «divinizzare» perfino gli errori in cui gli antichi incorsero quasi di necessità, per la mancanza di quelle risorse che i tempi non potevano ancora fornire: valida perciò l'obbedienza alle regole nei classici, inconcepibile nei romantici.

Ma se, per questa via, López Soler giunge ad ammettere, quasi di scorcio, la liceità di entrambe le correnti, si affretta subito a relegare il classicismo su di un piano d'inferiorità poetica; e, ribadendo e ampliando un concetto già esposto, afferma che i classici, partendo da una visione particolare -individuale e fisica- delle cose, pervengono alla composizione di gruppi pittoreschi e armonici, ma sterili, laddove i romantici, più spirituali ed universali, creano quadri «divinos y metafísicos, donde más se ven las almas que los cuerpos, la naturaleza que el arte y más que el lenguaje de los razonamientos se entiende el de los suspiros».

In conclusione, i due sistemi possiedono bellezze e devono essere coltivati entrambi, según el carácter particular y la inclinación de los escritores.

Come si vede, le circospette concessioni fatte ai classicisti non turbano affatto l'essenza romantica del saggio. Si direbbe perfino che lo scrittore abbia consapevolmente preferito che le debolezze del classicismo sgorgassero spontaneamente dal discorso, al di fuori di un'aperta condanna. Ci sono affermazioni che paiono indicative in tal senso, come la seguente: nos convenceremos de que tan bien parece la observancia de las reglas en los que adoran al Júpiter de los griegos como abandonarse a los raptos de la fantasía en los que adoran al Jehová de los cristianos. È chiaro che, dopo espressioni di questo tipo, l'ammettere   —30→   che il classicismo possa essere coltivato secondo il carattere e le inclinazioni degli scrittori diviene una sottintesa dimostrazione per assurdo.

La struttura del saggio poggia quasi totalmente sull'interpretazione storica di classicismo e romanticismo, secondo la tradizione schlegeliana, ma nei termini della querelle impostata da Madame de Staël e soprattutto dallo Chateaubriand. Qui infatti non tanto si prende di mira il classicismo degli imitatori, quanto si tenta di vulnerare l'intero mondo classico colpendolo alle radici. Questa sostanziale líneatità di posizioni -per quanto discutibili possano essere- dona al lavoro di López Soler un maggior rigore e una chiarezza sconosciuti all'articolo di Monteggia.

Non mancano neppure qui debolezze e oscillazioni, né si può dire che l'autore formuli idee nuove. Anche López Soler desume contemporaneamente dall'estetica schilleriana e dai trattati dei romantici stranieri, specialmente francesi, ma con risultati più felici, in quanto di Schiller si serve per dare maggiore consistenza ai concetti tratti dai teorici francesi.

I testi cui attinge sono relativamente pochi; il che contribuisce indubbiamente ad una maggiore unità: se togliamo qualche breve riferimento allo Schlegel e qualche più ampia traccia dello Chateaubriand, il saggio sviluppa essenzialmente le idee di Madame de Staël e dello Schiller. È, inoltre, degno di considerazione il fatto che il primo teorico spagnolo del romanticismo, pur non essendo ancora in grado di procedere ad una caratterizzazione originale del movimento, tenti almeno di dargli una fisionomia più personale e che le fonti cui attinge appartengano soprattutto alla sfera più conservatrice del romanticismo europeo. Durán e i suoi seguaci, anche se partiranno da premesse diverse, non faranno che sviluppare queste posizioni.

Ben pochi concetti di A. G. Schlegel sono reperibili in questo saggio, che, anzi, spesso contrasta con talune posizioni del critico germanico. Schlegeliana è l'importanza attribuita al cristianesimo e l'idea di una natura concepita dai classici come   —31→   armonia e serenità, come pure la più generale affermazione che la poesia debba adeguarsi alle esigenze dei tempi; ma si tratta di motivi che López Soler poteva attingere anche da Madame de Staël. Non possiamo tuttavia escludere una conoscenza diretta del Corso di letteratura drammatica, dal momento che lo Schlegel appare citato una volta13.

Assai più notevole è il contrasto con certe posizioni schlegeliane, reperibile soprattutto nella sostanziale condanna del classicismo, considerato quale espressione di una mentalità primitiva e di una sensibilità puramente fisica e passionale, laddove il critico tedesco accennava bensì ad una visione meno «religiosa» della vita, ma parlava di «sensualità purgata e nobilitata», di poesia «ideale», che «assoggetta lo spazio ed il tempo all'impero della nostra anima», ne si peritava d'esprimere un'ammirazione senza riserve per le lettere greche14.

Questa diffidenza verso il mondo classico, che permea ed informa il suo scritto, López Soler la trasse dalla Francia. Dallo Chateaubriand anzitutto dovette provenirgli l'ostilità un po' gretta verso la religione pagana (che non esita a definire tejido de fábulas groseras) e soprattutto il paragone -che era già in Monteggia- fra costumi antichi e moderni, il quale si risolve nel riconoscimento della maggior poeticità dei secondi.

  —32→  

La sua guida è soprattutto Madame de Staël; la Staël del saggio De la littérature, non ancora quella dell'Allemagne, come testimoniano, tra l'altro, i vocaboli homéridas e osiánicos, che compaiono fin dall'inizio del lavoro. Questo spiega certe reticenze nei confronti di problemi specifici, come le unità (di cui la Staël tratta solo nella seconda opera) o l'assenza di una vera distinzione fra classici e classicisti.

Inoltre è proprio nel primo libro che la scrittrice francese sviluppa con impegno le teorie che maggiormente colpirono López Soler, tra cui l'affermazione che gli antichi ebbero una visione meramente fisica del mondo: concetto che riaffiora in De l'Allemagne, ma con impegno di gran lunga minore.

«C'est par la description animée des objets extérieurs que les Grecs ont excellé dans la plus ancienne époque de leur littérature»: gli antichi, secondo Madame de Staël, erano animati da un'immaginazione entusiastica, le cui impressioni non venivano analizzate dalla meditazione. Essi stimavano solo la forza fisica, né comprendevano la delicatezza del punto d'onore o il rispetto per la debolezza, che saranno poi prerogativa dei secoli seguenti; conobbero lo splendore e la varietà delle immagini, ma ignorarono le riflessioni profonde dello spirito e, nel teatro, non seppero rappresentare il vero dolore15.

Altrettali analogie sono reperibili nella descrizione della natura nordica, definita dalla Staël sombre et nébuleuse e pervasa di melanconia16, cui corrisponde l'affermazione di López Soler: La naturaleza de los románticos es más confusa, más lúgubre y más melancólica; nell'attribuire al cristianesimo la funzione civilizzatrice nei confronti dei popoli del Nord17; nel considerare inconcepibili sia un ritorno all'antica mitologia, sia una ripresa dei motivi classici18.

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López Soler commise l'errore di accettare con troppa fiducia le asserzioni che Madame de Staël diffondeva attraverso la sua brillante causerie; errore in cui, invero, incorsero tanti altri ingegni d'Europa, ma che contribuì notevolmente alla cristallizzazione di taluni schematismi che ritorneranno con insistenza nella critica romantica spagnola: in un Durán o in un Donoso Cortés, per addurre gli esempi più significativi.

La sua probabile assenza di cultura classica, unita agli influssi del chiuso moralismo dello Chateaubriand, impedì allo scrittore spagnolo di scorgere quanto di approssimativo era nel giudizio espresso intorno al mondo classico, cosicché egli non esitò, una volta accettate le premesse, a trarre illazioni conseguenti, ma che ingigantivano l'errore di prospettiva. Convinto che i classici si fermassero dinanzi agli aspetti esterni, fisici dei mondo circostante e che fossero mossi da stimoli essenzialmente sensoriali o aridamente intellettualistici, ne trae la conclusione che essi, e i loro imitatori, possiedano una visione particolare e pittoresca della realtà, di cui colgono i singoli oggetti nella loro individualità, mentre i romantici, partendo da una visione complessiva e unitaria, salgono a contemplare l'armonia universale del creato. Il che può essere un modo di combattere i classicisti con le loro stesse armi, ma è storicamente falso: semmai fu propria dei romantici la ricerca di un bello particolare e individuale da contrapporre al bello ideale e assoluto perseguito dai classici -antichi e moderni- come forma universale che in se assorbisse ed armonizzasse gli aspetti particolari della bellezza. I romantici ebbero «il desiderio di intendere le forme più diverse dello spirito, da tempo a tempo, da luogo a luogo, da anima ad anima»19.

E non è da stupire che proprio a questi ultimi A. G. Schlegel attribuisse quel «genio pittoresco» che López Soler considera invece proprio dei classici20.

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Altrove, il desiderio di convalidare con esempi le proprie asserzioni induceva López Soler a forzature evidenti, che eran dovute anche a letture affrettate. Pertanto, come esempio di dolore puramente fisico, cita Andrómaca buscando frenéticamente el cadáver de Héctor y precipitándose desesperadamente sobre él; che è interpretazione per nulla autorizzata dal testo omerico, cui evidentemente si riferisce, dove la scena si condensa in un solo delicatissimo verso, dal tono semplice e sommesso.

Ma, accanto a questi errori, bisogna pur riconoscere al fervido ingegno del giovane catalano il merito d'aver cercato un sostegno più valido agli asserti della Staël nell'ambito dell'estetica schilleriana21.

Si tratta di un'interpretazione parziale e soggettiva, che spezza l'equilibrio originario fra sensibilità e ragione a tutto vantaggio della prima e che, come già era accaduto a Monteggia, propende verso il sublime patetico, pur non ignorando il sublime terrificante. Tuttavia, anche con questi adattamenti, l'essenza del pensiero schilleriano appare evidente e la distinzione tra l'uomo fisico e l'uomo morale22 è veramente la sottintesa giustificazione dell'intero discorso. Infatti l'autore si dilunga in considerazioni d'ordine teoretico, dalle quali scaturisce la dimostrazione della validità dell'arte romantica -e di essa sola- in quanto fondata sul sublime.

  —35→  

Un evento tragico produce, secondo López Soler, due distinte sensazioni in rapporto al diverso modo con cui viene presentato. Si ha un primo caso, caratteristico dei classici, cuando el poeta no nos ponga sino de manifiesto el dolor puramente físico, il che produce in noi un sentimiento terrible que nos hace estremecer, porque se dirige más a los sentidos que al corazón, y en consecuencia, que más agita a nuestro cuerpo que conmueve a nuestro espíritu. Forma d'arte imperfetta o, come l'avrebbe definita Schiller, «volgare», cui invece si contrappone quella «nobile» dei romantici:

Si, empero en lugar de irritar a nuestros nervios procura ablandarlos por medio de cuadros más delicados y melancólicos; si se propone excitar en nosotros sentimientos de amor, de suavidad y de ternura, presentándonos situaciones patéticas en las que más lleguen a interesarnos los delirios y la profunda tristeza del alma que los furiosos arrebatos del cuerpo, probamos cierto placer en el interés que nos cause y derramamos tal vez lágrimas dulcísimas de sublime compasión23.



I classici dunque ebbero il sentimento del bello, i romantici quello del sublime. Tuttavia, anche se López Soler riconosce agli antichi un sinnúmero de bellezas sembra dare al termine l'accezione restrittiva dello Schiller, poiché attribuisce ai classici, menos espirituales y más pintorescos, una visione particolare e circoscritta: sujeta su musa a una liga material, no puede remontarse al contemplar la encantadora armonía establecida   —36→   entre los innumerables seres de la creación. Proposizione che, ove si prescinda da un certo lirismo e la si legga col conforto di altre asserzioni (quella dei classici, aveva detto prima, no es quizá la naturaleza más poética; es, por decirlo así, la naturaleza del hombre físico... por lo que deja a nuestro espíritu en demasiada tranquilidad) risponde alla definizione schilleriana del genio del bello, inteso bensí come espressione di libertà, «ma non di quella che ci eleva sopra il potere della natura e ci slega da ogni influenza corporea, ma di quella che godiamo dentro la natura, come uomini»24. Al contrario «il sublime ci procura un'uscita dal mondo sensibile, in cui il bello vorrebbe sempre tenerci prigionieri»25. Su questa falsariga López Soler rappresenta i poeti romantici elevados sobre lo terreno y vagando por una región más sublime, che dipingono cuadros divinos y metafísicos.

In contrapposto all'agitazione fisica e all'indifferenza spirituale (demasiada tranquilidad, inalterable sosiego) che producono in noi le opere dei classici, i romantici sanno destare una apacible sensibilidad, che pare un non infelice volgarizzamento della definizione schilleriana del sentimento del sublime, quale «composizione di uno stato affettivo che si manifesta nel suo grado massimo come una scossa e di uno stato di benessere che può giungere fino all'estrema allegria»26.

Si sarebbe tentati d'attribuire all'influenza dello Schiller anche la spiccata predilezione per il lugubre e il misterioso, ma si resta esitanti, trattandosi di motivo che ormai da decenni s'era diffuso in tutta Europa. A dire il vero, non mancano ragioni per un'interpretazione siffatta, dal momento che lo scrittore tedesco considera lo straordinario (nelle sue componenti di solitudine, segreto, oscurità) e l'indeterminato (articolantesi in velato e misterioso) quali ingredienti del sublime27 e che López Soler attribuisce a tali motivi un preciso valore estetico,   —37→   anzi in essi fa consistere l'essenza dell'arte stessa, almeno per quanto concerne il sentimento della natura.

La naturaleza de los románticos, -egli dice- es más confusa, más lúgubre y más melancólica; más análoga a la incertidumbre de nuestros afectos y al combate de las pasiones; no nos ofrece sino tempestades, noches en las que apenas se trasluce una luna amarillenta, y las olas del mar agitado estrellándose al pie de un sepulcro, de algún silencioso monasterio, o de un antiguo y solitario castillo. Sobre estas escenas aparecen los héroes y sus almas tiernas y enérgicas movidas de sus propias desgracias y de los sentimientos que les inspira un cuadro tan sublime como terrorífico y patético; se abandonan a los delirios de la fantasía y a las ilusiones, tal vez, de una ligerísima esperanza.



Se non possiamo affermare che questi toni siano propriamente desunti dallo Schiller, non pare tuttavia fuor di luogo, da certi particolari del periodo ora citato, concludere che l'autore abbia usato, nei confronti della cosiddetta Arcadia lugubre, lo stesso procedimento già adottato per l'opera di Madame de Staël: in Schiller cioè viene ricercata la giustificazione estetica di una predilezione sentimentale. Ne può essere una riprova un passo dell'articolo intitolato Bellas artes, in cui queste sono interpretate esclusivamente in termini di poesia notturna e sepolcrale. Le arti, dichiara l'autore col suo consueto lirismo, amigas de la soledad divierten al sabio en su retiro y aun mitigan a veces las amarguras de un destierro; y sensibles al dolor y a la melancolía se sientan sobre los sepulcros y tal vez sobre las ruinas de alguna ciudad antigua. Felice un'etá siffatta! esclama lo scrittore: ¡ella es testigo de engrandecimiento de sí misma y no ha de llorar cual nosotros la decadencia del corazón en el abandono de las artes!28

  —38→  

Nell'articolo ora citato, López Soler affrontava la questione della prosperità e decadenza delle arti figurative, ma in realtà non faceva altro che applicare, in questo campo, la medesima prospettiva che domina le sue analisi letterarie; pertanto esso ci pare assai propizio per meglio lumeggiare e definire certe posizioni del saggio sul romanticismo. Particolarmente interessante è proprio l'impostazione dell'articolo, secondo cui le arti tendono dapprima alla rappresentazione sempre più perfetta di oggetti, ma, in un secondo tempo, insoddisfatte di parlare solo al nostro fisico, si sforzano di rivolgersi anche allo spirito, finché, raggiunto un perfetto equilibrio tra fisico e morale (momento culminante delle arti), s'avviano verso il declino e cadono nella freddezza dell'imitazione.

Donde l'autore abbia desunto questa sua visione è problema che non si può risolvere facilmente, dal momento che non sarebbe difficile sentirvi riecheggiamenti della teoria vichiana dei «corsi», accanto a un illuministico concetto di progresso (che potrebbe derivargli attraverso la mediazione di Madame de Staël) e alla distinzione schilleriana fra poesia ingenua e sentimentale29: queste teorie s'erano tanto assimilate nel patrimonio culturale dei romantici da rendere quasi impossibile ogni tentativo d'isolarle nuovamente. Ci pare invece opportuno sottolineare il giudizio limitativo che qui s'esprime intorno al mondo antico. Come nel saggio sul romanticismo, ma forse in maniera anche più aperta, esso è definito come un mondo primitivo e infantile (senza che questo d'altronde generi la simpatia dell'autore, che sta appena sviluppando la prima fase dell'evoluzione artistica. L'arte classica è perentoriamente relegata non solo ad un livello d'immaturità, ma anche sul piano di   —39→   un'esperienza definitivamente conchiusa e implicitamente indegna delle luces del secolo. In tal modo si spiega quel tono di sufficienza con cui, nel saggio letterario, lo scrittore giustifica le imperfezioni dei classici, facendole derivare dall'assenza di recursos que aquellos siglos no pudieron proporcionarles.

Se López Soler fosse stato rigorosamente conseguente, sarebbe potuto giungere, per questa via, all'eliminazione del presupposto classicistico dei generi letterari; al contrario, classicismo e romanticismo rimangono per lui generi diversi, con un congruo patrimonio di regole specifiche, che traggono la loro ragion d'essere dall'appartenenza all'uno o all'altro di essi.

Egrave; vero che, per quanto concerne il romanticismo, egli tende a identificarne le regole con le leggi eterne della poesia, ma ciò non gli impedisce di fissare certe norme, di necessità restrittive, per esempio per quanto riguarda la scelta degli argomenti (sotto quest'aspetto più avveduto era stato Monteggia, che aveva finito per ammettere la liceità di qualsiasi contenuto). Più evidente si fa questa partizione secondo i generi nel riconoscimento della legittimità delle regole nelle opere classiche o là dove, accogliendo per un istante formule della retorica tradizionale e secondo un costume invalso nel secolo precedente, definisce il romanticismo come un genere nuovo che viene ad aggiungersi a quelli preesistenti.

In verità non saranno i romantici a superare la teoria dei generi letterari e la posizione di López Soler appare condivisa da molti altri critici europei30; è tuttavia significativo che, agli albori del romanticismo spagnolo, si delinei, sia pur confusamente, quel problema che ritroverà in Durán chi l'affronterà in maniera più rigida e conseguente e che, poco più tardi, quando se ne sarà presa maggiore coscienza, contribuirà a sospingere la critica verso la ricerca di soluzioni nuove, che possano prescinderne; si genererà così quell'atteggiamento insieme innovatore e conservatore, che una tradizione critica suole definire, forse con poca proprietà, eclettico.

  —40→  

Come già s'è rilevato a proposito di Monteggia, anche López Soler affronta la questione su di un piano essenzialmente teorico, senza che se ne possano desumere spunti o motivi specificamente validi per le lettere spagnole. Ma ben presto lo scrittore barcellonese tentò di colmare questa lacuna tracciando, in due interessanti saggi, un profilo storico della letteratura spagnola in generale e del teatro in particolare (Sobre la historia filosófica de la poesía española, I, 11, p. 342; Teatro, III, 13, p. 21). Si tratta di saggi che lasciano deluso chi tentasse di scorgervi l'applicazione integrale di quella nuova prospettiva estetica che lo studio precedente pareva promettere.

I giudizi che l'autore vi esprime rivelano una sensibilità tuttora neoclassica, sia pure nei termini di quel neoclassicismo nazionalistico -preromantico sotto certi aspetti- che aveva trovato i suoi paladini nel circolo letterario di Moratín.

Egli vede dunque svolgersi la storia della letteratura spagnola in un costante progresso, dai primi tentativi ancora informi di Berceo e dei romances del Cid allo splendore che essa raggiunse con Garcilaso, Lope, Cervantes, Calderón, Ercilla; poi, a partire dagli ultimi anni del regno di Filippo III, la decadenza, provocata dall'introduzione del culteranismo, e infine la rinascita ad opera soprattutto di Luzán e di Cadalso, cui si accompagnano i nomi di Nicolás Moratín, Iriarte e Meléndez Valdés.

Quel che lascia maggiormente perplessi non è tanto l'elogio che egli tributa a questi ultimi (in modo particolare a Meléndez), quanto la convinzione che con essi abbia avuto inizio l'ultima delle cinque età in cui periodizza la storia letteraria di Spagna, quella cui egli sente di appartenere. È vero che, quando López Soler scriveva queste righe, non poteva aver coscienza di una rivoluzione letteraria che andasse maturandosi, ma può sembrare strano il fatto che egli potesse scorgere in Meléndez un pregevole innovatore.

Nel saggio successivo giunge ad affermazioni anche più compromettenti, poiché, secondo lui, il teatro spagnolo, in perenne evoluzione alla ricerca di caratteri sempre più marcatamente   —41→   nazionali, raggiunge la sua pienezza soltanto con Leandro Moratín, definito come il talento che seppe assommare in sé la fluidez de Lope, el artificio de Calderón, la gracia de Moreto y la profundidad de Molière.

La portata di queste affermazioni si circoscrive tuttavia, quando si ponga mente al mutamento delle fonti: se nel saggio teorico lo scrittore s'era infatti rivolto, per necessità di cose, agli stranieri, nel tracciare questi due schemi di storia letteraria s'era invece rifatto alla critica spagnola. La fonte più diretta era probabilmente Lista (il Lista ancora classicheggiante di quegli anni, ma aperto pure alle nuove idee, così da poter essere accettato dai pionieri del romanticismo), che, non molto tempo prima, aveva prospettato, dalle colonne del Censor, un'analoga visione della letteratura spagnola31.

Qualche traccia di una tendenza più nuova e rivoluzionaria si lascia però scorgere accanto alle affermazioni più conservatrici: se infatti López Soler attribuisce grande rilievo all'introduzione dei metri italiani ad opera di Boscán e Garcilaso, se ancora fa sua la protesta, pietista e illuminista al contempo, contro gli autos sacramentales e i sainetes, non esita a spezzare una lancia a favore della poesia primitiva, da Berceo a Juan de Mena, che Lista ancora relegava in una sorta d'insignificante preistoria.

Non bisogna dunque lasciarsi troppo influenzare dalla tradizionalità di taluni giudizi, né queste posizioni devono mettere in ombra quel che di altamente positivo c'è nella prospettiva storica in cui tali giudizi s'inquadrano.

Un vivo senso storicistico trapela infatti da queste pagine, le quali postulano quell'esigenza, avvertita dai romantici d'ogni paese ma destinata a divenire motivo preponderante nel romanticismo spagnolo, di riallacciarsi al passato, soprattutto alle età più gloriose, di indagare attentamente la storia per riconoscervi i caratteri più salienti della nazione e per rilevarvi   —42→   la stretta concomitanza di prosperità politica e di grandezza letteraria.

De todo deduciremos que la historia de nuestra literatura es la de nuestros progresos militares y políticos; que en virtud de esta armonía entre objetos al mismo tiempo bien distintos no sólo resultarían ventajas literarias de poseer una historia filosófica de nuestra poesía nacional, sino verdades muy profundas sobre el verdadero carácter de los españoles y el modo quizá de poner en movimiento las cualidades que les determinan, a cuyo influjo se debe el desarrollo de otras demasiado indolentes o modestas para atreverse a figurar por sí mismas (Sobre la hist. fil. de la poesía española).



Rivolgersi alla storia non significa pertanto immergersi nella sterile contemplazione di una grandezza tramontata, ma trarne conforto o stimolo per rimediare alla carenza del presente e per prepararsi proficuamente all'avvenire. E questo ci pare, di là dalle formulazioni teoriche e dalla concretezza dei singoli giudizi, l'aspetto più vivo e fruttifero dell'opera di López Soler, e quello che meglio ne riflette il temperamento romantico. A ben considerarlo infatti, l'interesse per la storia scaturisce in gran parte da un'incapacità di adattarsi al presente che gli appare -come ben sottolinea nell'Examen sobre el carácter superficial de nuestro siglo (I, 6, p, 193)- meschino e superficiale, inadeguato a quelle idealità etico-patriottiche che invece passato e avvenire paiono realizzare in sé. L'articolo ora citato, permeato di una visione cupamente pessimistica del presente, s'innalza di tono quando l'autore rievoca il glorioso Cinquecento, con i suoi mari solcati da navigatori spagnoli e portoghesi, le lettere fiorenti per il mecenatismo di papi e di principi, mentre il nuovo mondo apre agli uomini smisurati confini; e si conclude col monito rivolto alla generazione presente a meditare sulle proprie colpe e ad avviare i figli su di un cammino diverso e più nobile: por medio de una educación sólida y bien dirigida podemos preparar a la generación venidera un siglo menos brillante y más filósofo que el nuestro, en apariencia no tan espléndido, pero en realidad más feliz.

  —43→  

Egrave; vero che anche qui ricompare la sbrigativa soluzione (già prospettata nella storia della poesia spagnola) di ignorare circa due secoli (grosso modo, dall'ultimo Seicento all'epoca contemporanea) considerati puramente negativi e quindi praticamente estromessi dal processo storico; ma proprio questa posizione che affiora in contrasto con lo storicismo informatore dell'articolo parrebbe sottolineare un atteggiamento più sentimentale che critico, come una vena di Sehnsucht romantica che sospinge lo scrittore alla ricerca di un'evasione. Impressione che si fa tanto più viva ove si leggano le pagine di un articolo che potrebbe essere assunto come la poetica del costumbrismo: Perjuicios que acarrea el olvido de las costumbres nacionales (II, 4, p. 109); in esso il desiderio di far risorgere il passato attraverso il mantenimento delle tradizioni fa sì che López Soler, liberale, romantico e, per certi versi, illuminista, si trasformi in conservatore, misoneista (si propone di declamar contra este espíritu de innovación), nazionalista e xenofobo.

Egrave; stato detto che una delle ragioni che favorirono il sorgere del costumbrismo è da ricercarsi nella reazione provocata in Spagna dai molti scritti di viaggiatori stranieri, i quali davano del paese una rappresentazione falsa e spesso denigratrice32; ma ragioni anche più profonde si possono scoprire in quel più vasto atteggiamento di anti-extranjerismo, le cui origini si possono bensì far risalire al primo insediamento della dinastia borbonica, ma che incontra un particolare sviluppo con l'introdursi del romanticismo.

Fu proprio questo movimento, col suo amore per le tradizioni, a sollecitare, in un paese così legato al proprio orgoglio nazionale, una più gelosa tutela dei costumi, che quasi naturalmente si trasformava in atteggiamento difensivo nei confronti delle mode straniere. E se le cautele imposte dalle contingenze politiche esigevano un linguaggio circospetto, non impedirono comunque a López Soler di presentare, in una   —44→   sorta di allegoria, la Spagna che si difende dalla corruzione francese nell'episodio in cui è descritto il popolo spartano restio ad accettare la musica delicata ma imbelle che l'ateniese Timoteo tenta di fargli conoscere e gustare. Le parole che l'autore pone in bocca all'eforo spartano suonano come un severo ammonimento ai suoi concittadini spagnoli:

Acaso el corrompido ejemplo de nuestros vecinos presenta a los sentidos nuevos placeres y deseos, y, por tanto, nueva corrupción, delitos y miseria; pero no perdamos de vista que acostumbrados los sentidos a otros deleites obligan a la razón a concedérselos, y que al paso que se multiplican las concesiones de ésta crecen el imperio y la impetuosidad de aquellos.



Ci pare assai degno di nota il fatto che il romanticismo, quando per la prima volta viene elaborato da uno spagnolo, assuma quasi istintivamente un atteggiamento di conservatorismo e di difesa del patrimonio nazionale.

Per il momento, ci si muove ancora su due piani distinti, perfino contrastanti: da una parte l'enunciazione teorica dell'estetica romantica, esposta in termini molto vasti e senza alcun palese tentativo di darle un'impronta ispanica; dall'altra una viva sollecitudine ad addentrarsi nelle vicende dell'anima spagnola, attraverso la sua storia, le sue espressioni, i suoi costumi.

Ben presto, da Durán in poi, abbandonata la Catalogna e rifugiatasi nella più conservatrice Castiglia, la critica spagnola insisterà soprattutto su questo secondo aspetto e orienterà le sue indagini verso lo scoprimento di un supposto romanticismo latente nelle viscere della Spagna o, col passar del tempo, di peculiari atteggiamenti dello spirito che distinguano l'anima spagnola dai toni comuni del romanticismo europeo.



  —45→  

ArribaAbajoCapitolo secondo

Alla ricerca de una formula spagnola del romanticismo


La propaganda romantica dell'Europeo lasciò certamente tracce, così come necessariamente ne aveva lasciate l'opera di Böhl de Faber; ma se quest'ultimo aveva destato un coro di ostilità, si direbbe che la rivista barcellonese passasse, sul momento, quasi inosservata, tanto che, come rileva il Peers, i periodici contemporanei appena s'accorsero della sua nascita e della sua scomparsa33. Non è fuor di luogo ricercare la ragione della diversa accoglienza, oltre che nella particolare tensione del momento politico in cui sorse l'Europeo -la quale, come si diceva, potè distogliere gli animi dalle preoccupazioni letterarie- in un processo di acclimatazione delle idee romantiche, che, nel 1823, non urtavano più con tanta violenza contro i rigidi preconcetti che ancora dominavano nel decennio precedente.

D'altra parte, all'Europeo era mancata, insieme ad una chiara linea d'impostazione, la capacità di far leva su sentimenti e aspirazioni tali da far scaturire nel pubblico colto un'immediata adesione alle nuove idee.

Una serie di circostanze favorevoli, unita a certi intrinseci pregi -reali o presunti- del saggio, permise invece a Durán di accattivarsi l'immediata simpatia di quasi tutta la cultura spagnola che, da quel momento, si può dire, venne definitivamente conquistata al romanticismo.

Risulta infatti abbastanza chiaro che il suo Discurso, pubblicato   —46→   nel 182834, fu letto, discusso e per lo più approvato: poco dopo la sua pubblicazione, Gallardo lo commentava con entusiasmo35 e Böhl de Faber esprimeva la sua adesione36; più tardi Larra lo recensiva favorevolmente37 e Lista ne raccomandava la lettura durante le sue lezioni all'Ateneo. Fu letto e apprezzato anche fuori di Spagna: dall'Avana, dove ebbe immediata diffusione, veniva inviato a Durán il diploma di socio corresponsal de la Real Sociedad patriótica locale e, a quanto comunica Böhl, fu lodato dai periodici inglesi38. Solo la voce di un anonimo osava levarsi sfavorevole dalle colonne del Correo literario y mercantil, ma formulando una critica così ingenua e antiquata da non poter assolutamente intaccare la validità del folleto39.

Ma più ancora di queste manifestazioni di solidarietà, ci paiono interessanti due giudizi di contemporanei che tendono ad attribuire esplicitamente a Durán il merito d'aver avviato le lettere spagnole su un nuovo cammino.

Il primo, contenuto nel Discurso de apertura che Donoso Cortés pronunziò nell'assumere la cattedra a Caceres, appartiene all'anno immediatamente successivo alla pubblicazione del   —47→   saggio di Durán e tradisce quindi le reazioni immediate degli ambienti colti. Così dunque si esprime Donoso Cortés:

Loor eterno al filósofo modesto y metafísico profundo que, levantando su frente en medio de la superficialidad que le rodea, ha merecido bien de las musas castellanas, juzgándolas con la fuerza irresistible de su razón y la solidez que acompaña a su talento: el nombre de don Agustín Durán estará grabado en el corazón de todos los buenos españoles, como lo está de un modo indecible en el de todos sus amigos, que se gozan con su saber y se honran con sus virtudes40.



A cinquantasei anni di distanza, un altro contemporaneo, ma più giovane, Manuel Cañete, rievocando i tempi in cui la corrente romantica si diffuse nella Spagna, riconosceva a Durán una funzione preminente e perfino indispensabile per la rigenerazione del teatro spagnolo:

Cuando el príncipe de nuestros oradores políticos, el terso y abundante Galiano, escribía en París el sesudo proemio de El Moro expósito... cuando... muchos otros españoles ilustres endulzaban las amarguras de la emigración preparando con estudios y trabajos útiles el renovamiento moral y político de nuestra patria, un escritor sabio, modesto, lleno de entusiasmo por el arte, levantaba su voz en el silencio general, en medio del abatimiento en que yacía la inteligencia dentro de los límites de la Península, aventajando en elevación de miras a cuantos le rodeaban, para deslindar con profundo conocimiento filosófico las diferencias esenciales de las doctrinas clásica y romántica, predicando arrojadamente la libertad en el corazón del más sofocante absolutismo; abriendo camino a la independencia del teatro en los momentos en que para juzgar las comedias eran buscados los teólogos.

Este hombre, cuyo Discurso... encierra en muy breves páginas lo más fundamental y sustancioso de las teorías regeneradoras; este hombre, menos popularmente aplaudido que el inimitable Fígaro, aunque de más alcance crítico y de mayor solidez y profundidad en materias filosófico-literarias, no sólo fue el verdadero precursor de la nueva escuela, anticipándose a todos en la predicación de sus   —48→   doctrinas, sino rayó en una altura donde no consiguieron rayar después ni el mismo célebre Larra, ni ninguno de los que al estallar de la revolución poética se encargaron de dirigir la opinión o de aleccionar e instruir a los fervorosos cuanto inexpertos sectarios de la nueva ley. Sin los esfuerzos heroicos, no bien apreciados todavía, de D. Agustín Durán, para quien la poesía no es otra cosa que el modo ideal de expresar los sentimientos humanos; sin la singular constancia con que se lanzó a la arena como campeón firme y decidido de nuestro antiguo teatro y del espíritu eminentemente cristiano, nacional y libérrimo que lo produjo; sin sus vastos conocimientos estéticos, difundidos ardorosamente cuando nadie se curaba en España de tales cosas, tal vez hubiera sido más difícil a la dramática de la regeneración naturalizarse en nuestro suelo...41



Questi riconoscimenti, così ampi e senza riserve, trovano suffragio nella storia del teatro spagnolo di quegli anni, che parve aver ben presto inteso l'insegnamento del Discurso, per cui si assistette a una fioritura di drammi per lo più storici, che spesso riecheggiavano (anche se in maniera estrinseca) le opere dell'Edad de oro. Nel 1831 Rivas aveva già scritto il Don Álvaro, nel 34 Larra, che pur potrebbe sembrar lontano da questi interessi, componeva il mediocre Macías, nel 36 García Gutiérrez esordiva trionfalmente con El Trovador, nel 37 si susseguivano sulla scena Los Amantes de Teruel di Hartzenbusch, Doña María de Molina di Roca de Togores, Carlos II el Hechizado di Gil y Zárate, La Corte del Buen Retiro di Escosura, mentre Bretón dichiarava, col Don Fernando el Emplazado, la sua conversione al nuovo gusto cui già tre anni prima s'era accostato con Elena. Quando poi, poco più tardi, dopo altre innumerevoli opere del genere, saliranno alle scene i drammi di Zorrilla, la nuova dottrina incontrerà, soprattutto nel Don Juan Tenorio (1844), alcune delle sue più felici interpretazioni.

Certamente non s'ingannava Durán quando, nel 1841, credeva   —49→   di scorgere ormai applicate le sue teorie in queste e in altre opere che da vari anni s'alternavano sulle scene spagnole42.

Se dunque il Discurso rappresentò questa forza di rottura, occorrerà analizzare ciò che di originale e d'inedito circolava nelle sue pagine.

In primo luogo, però, non si dovrà trascurare il momento politico in cui esso sorse; come si accennava, il 1827 fu l'anno che segnò un certo attenuarsi del rigore assolutista e diede l'avvio alla crisi dell'estremismo realista; crisi che fu esplicitamente sanzionata nei primi mesi dell'anno seguente, attraverso disposizioni che, dopo la sconfitta del capo degli agraviados, ponevano fine al loro esclusivismo politico e davano adito al risorgere delle speranze liberali43. Lo stesso Ferdinando VII inaugurò una personale politica di maggior distensione nei confronti degli intellettuali, afrancesados nella maggior parte, che non esitò ad attrarre presso di sé44.

Soprattutto il reinserimento nella vita ufficiale degli afrancesados, che costituivano la parte più ampia ed eletta della cultura spagnola, dovette giovare non poco a creare l'impressione che la vita culturale si stesse normalizzando e che si potesse riprendere un discorso lungamente interrotto.

Né bisogna dimenticare che proprio tra coloro che si erano compromessi col re Giuseppe si trovavano i più strenui difensori del patrimonio nazionale, come Moratín, Martínez de la Rosa o Lista, i quali rappresentavano l'ala più moderata del   —50→   classicismo spagnolo, disposti com'erano a non ignorare le esigenze del presente e, di conseguenza, a rinnovarsi.

Durán, sebbene non appartenesse agli afrancesados, ma fosse un liberale conservatore (il che, a prescindere dai trascorsi filonapoleonici dei primi, indicava una sostanziale affinità politica) proveniva dalla stessa schiera; cresciuto alla scuola di Lista, lettore attento e appassionato dei classici (il cui amore non lo abbandonò per l'intera esistenza), era stato, fino a poco tempo innanzi, un classicista di rigida osservanza45.

Questa provenienza è destinata a spiegare più cose di quanto non possa a tutta prima sembrare; anzitutto la stessa conversione di Durán, la quale, sotto un certo rispetto, può apparire come l'ultimo episodio di un processo di maturazione insito nel classicismo spagnolo. Di questo, Durán portava alla ribalta due esigenze fondamentali, che non di rado s'eran trovate in contrasto fra loro e che si può dire caratterizzino il movimento; quella di portare la Spagna al livello delle altre nazioni europee e, insieme, di rielaborare secondo modulí ispanici le dottrine che provenivano d'Oltrepirenei.

Tali esigenze impedirono al classicismo spagnolo di cristallizzarsi entro formule fisse e gli impressero anzi una spinta dinamica, per cui vi si lasciano scorgere facilmente continui assestamenti sulle posizioni nuove che esso va acquistando, dalle   —51→   formulazioni ancora un po'rigide di Nicolás Moratín, Montiano e Luzán alle più articolate interpretazioni di un Leandro Moratín, di un Capmany, di un Martínez de la Rosa e soprattutto di un Lista.

In particolare si vanno accentuando le simpatie verso il teatro barocco e al contempo s'intensificano i tentativi di darne una giustificazione critica; cosicché, se da principio si tendeva soprattutto a cercarvi i rari esempi di obbedienza alle regole o a limitare la portata delle trasgressioni, ponendo l'accento su altri aspetti, man mano che la precettistica va perdendo il suo peso, si tende a dimostrare che la presenza di valori intrinseci compensa, quando non supera, la disobbedienza ai canoni dell'aristotelismo46.

Così Martínez de la Rosa è indotto a riconoscere, sia pure di scorcio, l'insufficienza dell'estetica razionalistica per un'adeguata valutazione del teatro secentesco:


      Y la razón severa
Al mirar tantas dotes peregrinas
El grave fallo en su favor modera47.



Lista era andato oltre e, benché solo dopo la pubblicazione del Discurso di Durán giungesse a quella notevole rivalutazione di Lope che fu oggetto delle sue lezioni all'Ateneo, era già pervenuto a mettere in forse il valore delle unità aristoteliche48.

  —52→  

Si stavano così raggiungendo, nei confronti del teatro barocco, posizioni che certo né Luzán né Montiano avrebbero potuto prevedere, ma le cui premesse erano da ricercarsi proprio nell'animus con cui essi avevano accolto il classicismo francese; poiché, se alle origini la possibilità di conciliare l'istanza di ammodernamento in senso europeo con la difesa del patrimonio nazionale si presentava problematica, col passar del tempo si fece sempre più naturale e finì col divenire, ad opera di Durán, quasi ovvia. Aderendo alle idee romantiche, il critico non faceva che l'ultimo di quei molti passi che s'eran compiuti in questa direzione, nel passare, di volta in volta, da Boileau a Batteux, da Batteux a Blair, e che infine, ora, portavano ad A. G. Schlegel e ai diffusori delle sue dottrine.

Personalmente Durán aveva maturato in sé le idee che dovevano condurlo al Discurso, soprattutto attraverso le letture di scritti di teorici stranieri e le discussioni che sostenne col suo maestro Lista.

A questo proposito possediamo un'interessante nota apposta probabilmente da Durán in margine a una copia della Galería de Españoles célebres; in essa il critico polemizza col suo biografo, il quale aveva affermato che le idee esposte nel Discurso non erano assolutamente nuove, poiché all'autore le aveva insegnate Lista. Dice dunque Durán:

Lo que aquí se expresa no es exacto. Cuando Lista discutía estas materias con su Discípulo Durán, el 1º defendía a todo trance el sistema clásico exclusivo, y el 2º la necesidad de admitir y de sistematizar otro que abrazase y fuese capaz de expresar aquellas bellezas propias de una civilización diversa de la de los antiguos Griegos, y fundada en un orden de verosimilitud menos material y sensualista, porque considera las cosas en una escala más elevada. ¿Por qué los sentimientos íntimos y las creaciones de una fantasía más ideal emanados de consideraciones más metafísicas no habían de tener un género Dramático especial y apto para expresarse? Esta cuestión motivó las discusiones entre el Maestro y su Discipulo; resultando de ellas que aquél fuese en adelante menos rígido en sus opiniones, y éste más juicioso y menos exagerado en las suyas. Tal fue la causa porque Lista recomendó en sus lecciones del Ateneo el Opúsculo de Durán, y no porque aceptase todas sus ideas ni las tuviese por   —53→   su propia doctrina, en lo que hizo muy bien quizá, si se atiende a que luego exageradas por otros dieron origen, a muchos extravíos, aunque por otro lado... Lo que es verdad es, que el entusiasmo con que Lista elogiaba la sublime poesía de Calderón y la ternura caballeresca de Lope de Vega, sin dejar de condenar su sistema Dramático... es como puede decirse que Durán es hechura de Lista, sin que éste sea responsable de los desaciertos, que aquél haya cometido al separarse de las doctrinas puramente y exclusivamente clásicas que le enseñó, como tipo de verdad y de belleza y de buen gusto49.



Circa un ventennio dopo il Discurso, il critico rilascia una breve confessione assai significativa, che pone in evidenza il sostrato psicologico (destinato a trapelare assai spesso nei suoi scritti) della sua conversione; questa, stando alle sue parole, si sarebbe prodotta quando egli avvertì che era giunta l'ora della emancipación literaria, la quale consisteva, per lui, nella difesa dell'antica letteratura spagnola, considerándola en sí misma, y como medio necesario para recuperar la perdida originalidad e independencia que debiera nacer de la unión de lo pasado con lo presente50.

Il particolare momento politico e il maturare della critica spagnola avevano dunque determinato una situazione favorevole al rilancio di un manifesto romantico.

Egrave; tuttavia probabile che due avvenimenti letterari abbiano contribuito, come cause prossime, ad accelerare l'intervento di Durán: la pubblicazione, avvenuta nel 1827, della Poética di Martínez de la Rosa e della Préface al Cromwell di Victor Hugo.

Per quanto concerne la prima opera, nonostante che vi si possano reperire aspetti che le donano un sapore di relativa   —54→   modernità51, rimane tuttora valida la definizione che ne diede il Menéndez y Pelayo e che viene ripetuta come un topico: essere la Poética di Martínez de la Rosa la chiave che chiude il periodo aperto dalla Poética di Luzán52. In effetti con essa si conclude il momento retorico della critica spagnola, l'era delle poetiche improntate al razionalismo illuministico; l'era soprattutto di quei canoni della regolarità e dell'unità che Durán tenterà d'infirmare. Se si tiene presente l'intento patriottico che sospinse il critico alla rivalutazione della drammaturgia barocca, ben si comprende come egli potesse pensare a contrapporre all'ultima poetica classicheggiante un'opera che, situando l'antico teatro in una prospettiva parzialmente diversa, potesse addivenire alla completa rivalutazione.

Tanto più Durán dovette avvertire l'urgenza di un discorso nuovo, in quanto contemporaneamente usciva in Francia un'altra poetica, diametralmente opposta, che prospettava un'interpretazione più vasta e rivoluzionaria delle idee romantiche. Non era più il moderato progressismo dello Chateaubriand e di Madame de Staël quello che risonava nelle pagine della Préface: era un vangelo nuovo e infiammato che pareva minacciare i vecchi istituti e che certo doveva destare qualche apprensione negli animi più timorati.

La Préface ebbe probabilmente una duplice funzione di stimolo alla stesura del Discurso: da una parte si trattava di mostrare all'Europa che la Spagna aveva ormai superato le vecchie formule, dando alla luce un'opera che sostituisse più degnamente la Poética di Martínez de la Rosa e assolvesse, nei confronti del teatro spagnolo, un compito analogo a quello svolto dall'Hugo nei confronti del francese; dall'altra occorreva stabilire   —55→   subito alcuni punti fermi ad evitare che il movimento romantico si affermasse in Spagna (e il successo raggiunto in Francia dalla Préface poteva ben giustificare questi timori) secondo moduli dalla parvenza rivoluzionaria.

Durán si faceva così, anche in sede letteraria, campione di quel moderato riformismo che seguiva in politica53 e che pareva trovare da qualche tempo rispondenza negli ambienti governativi. Era la politica del conceder qualcosa perché non si chieda troppo, che Durán applicava alla critica letteraria. Non ci stupirebbe che questo saggio, il cui sapore politico non si deve sottovalutare (particolarmente evidente nella sua impostazione teocratico-monarchica e nella sua condanna del regime repubblicano), fosse stato sollecitato a Durán dagli ambienti della destra liberale.

Così, fin da principio, Durán si trovò a combattere su due fronti: interno ed esterno; quest'avvio polemico della sua attività critico-letteraria rimarrà inalterato nel corso di quasi tutta l'opera sua e contribuirà non poco a caratterizzare la critica spagnola successiva, che da lui prenderà in gran parte le mosse.

La stessa struttura del Discurso rivela questa duplice posizione, dal momento che esso si può facilmente suddividere in due parti distinte, anche se di diversa estensione.

Nella prima parte, molto vasta ma anche un po'dispersiva, l'autore entra immediatamente in polemica con i critici del secolo precedente e dell'attuale, i quali causarono la rovina dell'antico teatro spagnolo, funesta alla gloria patria e alla letteratura; il loro errore capitale fu quello di applicare le regole del teatro classico a un genere drammatico che non le poteva ammettere.

  —56→  

Egli intende pertanto dimostrare i seguenti tre punti:

1º) que el drama antiguo español es, por su origen y por el modo de considerar al hombre, distinto del que imita al griego54,

2º) que esta diferencia la constituyen dos géneros diversos entre sí, los cuales no admiten del todo iguales reglas, ni formas en su expresión; y

3º) que siendo el drama español más eminentemente poético que el clásico, debe regularse por reglas y licencias más distantes de la verisimilitud prosaica, que aquéllas que para el otro se hallan establecidas.



Nonostante quest'enunciazione, lo scrittore amplia notevolmente lo schema e non di rado si lascia andare a divagazioni. Anzitutto sbozza una storia della cultura spagnola, partendo dalla dominazione araba, durante la quale la Spagna fu maestra di civiltà all'Europa barbarica, per giungere, attraverso la mediazione del secolo XVI (in cui, ad opera di Garcilaso, si fusero la metrica italiana, l'immaginazione araba e la semplicità nordica), alla pienezza del Seicento, che seppe fondere in un amalgama perfetto tutte le risorse della precedente cultura e, sacudiendo el yugo de la imitación erudita, diede vita al teatro nazionale.

Ma questo teatro declinò per opera del culteranismo e, contemporaneamente, ebbe inizio il declino della nazione, mentre sorgeva la grandezza della Francia. I critici del secolo XVIII credettero di porre rimedio alla decadenza teatrale, proponendo l'imitazione delle opere francesi e così introdussero in Spagna un genere che in realtà non vi si poteva acclimatare: el teatro -sostiene a questo punto Durán- debe ser en cada país la expresión poética o ideal de sus necesidades morales, y de los goces adecuados a la manera de existir, sentir y juzgar de sus habitantes.

Questa proposizione, invero piuttosto dogmatica (che Durán   —57→   traeva dall'estetica schlegeliana), viene introdotta a sostegno della tesi che il teatro barocco, a differenza di quello francesizzante, rispondesse alle esigenze spirituali della nazione spagnola; in realtà però, nel corso dell'intero saggio, questa tesi non riceve mai una dimostrazione convincente. Evidentemente Durán ritenne sempre la cosa troppo ovvia, tanto più che, in Spagna, dall'Arte nuevo in poi, questo era divenuto un topico, da cui non era andata immune neppure la critica settecentesca.

L'autore si limita pertanto a rilevare il persistente amore del pubblico per questo teatro e a biasimare i detrattori di esso, i quali non avrebbero compreso che, essendo il teatro spagnolo, il classico e il francese tre diversi generi, esigono regole e forme differenti.

A questo punto s'inserisce una lunga diatriba in cui Durán difende il teatro spagnolo dalle accuse che gli si rivolgevano (l'ideale avversario è probabilmente il Sismondi) d'ignorare i classici e di svolgere un genere più facile di quello francese; e ne trae spunto per sottolineare polemicamente la grandezza dei poeti spagnoli di fronte a quelli francesi, con affermazioni indubbiamente capziose, ma la cui buona fede è probabile, dal momento che qui Durán non fa altro che ampliare, esasperandoli, certi giudizi già formulati da A. G. Schlegel. Gli spagnoli, egli dice, possono contrapporre, nel genere classico, un Moratín a Molière, mentre i francesi non possono opporre nessuno a Lope, Calderón, Moreto. Affermazione per lo meno ingenua, che chiunque avrebbe potuto facilmente controbattere facendone notare l'ovvietà, la quale nasceva dal fatto che in Francia non era esistito un teatro d'imitazione spagnola e che Moratín poteva essere avvicinato a Molière (ma quante limitazioni occorrerebbe introdurre in un simile accostamento!) solo in quanto ne era stato, almeno in parte, l'imitatore. È chiaro che, con tali premesse, il critico può giungere a conclusioni ancor più discutibili, tanto che non esita ad affermare che la Francia è complessivamente più lontana dalla perfezione romantica di quanto non lo sia la Spagna da quella classica. Proposizione che tuttavia lascia ancor meno perplessi di quella,   —58→   che di poco la precede, secondo cui, se il teatro classico fosse stato congeniale alla Spagna, Lope e Calderón l'avrebbero certamente coltivato, anticipando cosí di un secolo (sic) Racine e Corneille, perfino superandoli.

Dopo alcuni altri rilievi marginali sull'arte popolare (sulla quale, in questo momento, Durán nutre idee alquanto vaghe), l'autore riprende il discorso interrotto sulla storia del teatro spagnolo. Quando in tutta Europa, così prosegue, dominava l'imitazione delle opere francesi, alcuni saggi tedeschi55, ammirate le bellezze del teatro spagnolo, conclusero che non c'è un solo mezzo per ottenere lo scopo finale di toccare il cuore degli spettatori:

De aquí se ha deducido la necesidad de admitir dos generos dramáticos distintos, los cuales deben tener reglas y formas diversas.



Deduzione che invero è più di Durán che della critica tedesca, almeno per la rigidità con cui viene formulata, sebbene posizioni consimili si possano reperire, per esempio, in F. A. Schlegel.

Pertanto, continua il critico, si contrappose al genere classico, che proveniva dall'antichità, il genere romantico, che viene definito come quello que eleva sus creaciones en el nuevo modo de existir, emanado de la espiritualidad del cristianismo, de las costumbres heroicas de los siglos medios, y del modo diverso que tiene de considerar al hombre.

In questa proposizione sono condensate le varie interpretazioni che s'eran date del romanticismo, da parte di A. G. Schlegel e dei suoi rielaboratori francesi e che, attraverso questi ultimi, eran passate in Spagna per opera di Monteggia e di López Soler.

Egrave; una formula il cui tono moderato e conservatore balza   —59→   subito agli occhi e che, in quanto tale, ben si contrapponeva ai motivi più esaltati del più recente romanticismo francese. Con essa Durán dà appunto inizio alla seconda parte del saggio, in cui si sofferma compiaciuto nella descrizione di un Medio Evo idillico, durante il quale l'uomo, sottratto alla vita pubblica cui lo inducevano gli antichi regimi repubblicani, poté godere, all'ombra protettrice del, trono, i piaceri più intimi della vita domestica.

Per opera della religione cristiana, l'uomo si distaccò sempre più dai beni terreni, spiritualizzò la realtà in cui viveva (al contrario del paganesimo che tende a personificare e a materializzare), diede un significato più casto all'amore e trovò infine, nella religione stessa, quel bello ideale che è l'essenza della poesia (la poesia, afferma, no es otra cosa que el modo ideal de expresar los sentimientos humanos).

Ed ecco insorgere una visione della realtà non più materiale e simmetrica, ma spirituale e indefinibile; ecco il discendere nell'interiorità dell'uomo, che conduce il poeta romantico a creare individui veri, laddove i classici portano sulla scena astratte personificazioni di virtù e vizi.

Ne consegue che la trasgressione alle unità, nel teatro romantico, è assolutamente conforme al suo spirito, poiché la personalità di un individuo risulta dalla complessità delle sue caratteristiche morali ed il suo sviluppo non si può pertanto circoscrivere nelle ventiquattro ore canoniche, così come un solo atto o una sola circostanza non potranno mai darci il fedele ritratto d'un uomo.

In una pari inverosimiglianza si cadrebbe pure se non si variasse, come fa invece il teatro romantico, il linguaggio usato dai diversi personaggi, in rapporto alle loro caratteristiche individuali e alle situazioni in cui si trovano.

Stabilite così le differenze essenziali fra il genere classico e quello romantico, ne consegue che quest'ultimo esige «altre licenze, concessioni e forme», la cui determinazione è invero difficile, cosicché il critico pensa di lasciare ad altri questo compito.

  —60→  

Sul finire del saggio, il tono si fa parenetico e lo scrittore invita a ripubblicare i testi dei grandi drammaturghi spagnoli affinché i giovani possano trarne ispirazione per compiere nuove grandi opere. Da ultimo conclude ricordando che in Spagna si giudica ancora, in materia letteraria, col metro del classicismo, mentre nel resto d'Europa la discussione è quasi terminata.

E come s'era aperto in tono patriottico, con la considerazione che il declino del teatro aveva inciso negativamente sulla grandezza della Spagna, così il saggio si conclude con l'invito, che Durán rivolge ai lettori, a voler apprezzare, se non la dottrina, almeno il valore patriottico della sua opera.

Ma anche senza questo rilievo, a nessuno poteva sfuggire quella vena -più nazionalistica invero che patriottica- che percorre tutto il Discurso, costituendone il motivo fondamentale ed unificatore.

A differenza dei suoi predecessori dell'Europeo, Durán affrontava infatti la questione del romanticismo da un punto di vista immediatamente ispanico, anzi interpretava senz'altro il movimento in chiave d'hispanidad. In questo senso c'era stato bensì un precedente nell'opera di Böhl de Faber, ma è chiaro che sia la nazionalità di questo, sia l'immaturità dei tempi avevano impedito che le sue idee facessero presa su questo terreno. S'era anzi visto, in questo straniero che pretendeva d'insegnare agli spagnoli in che consistesse la loro vera grandezza, un uomo che aspirava a rituffarli in un'epoca lontana e quasi primitiva, frustrando tutti gli sforzi che essi avevano compiuto per mettersi al livello europeo. Taluni spunti polemici di Mora contro Böhl rivelano appunto questa preoccupazione di mantenere la Spagna dignitosamente collocata nell'Europa moderna. Come spagnolo, egli afferma a proposito della disobbedienza alle regole teatrali, non può esaltare i difetti della sua patria y ponerla a la vergüenza en el mundo culto e ilustrado56; e, quanto allo spirito cavalleresco esaltato da Böhl, protesta che nunca   —61→   es ni puede darse como una lección a una nación que esté clavada en la Europa culta y que hace su camino en las bellas letras con tan excelentes disposiciones de ingenio y de imaginación57.

Tali polemiche risalivano al decennio precedente e nel frattempo s'era letto, s'era discusso e ci si era resi sempre più conto dell'interesse che la Spagna, nei suoi costumi e nella sua letteratura, destava all'estero; ed è anche probabile che, dopo le molteplici amare esperienze degli ultimi vent'anni, si facesse sentire più forte l'impulso a non fidare troppo nello spirito europeo e quindi a gareggiare sì col resto d'Europa, anche sullo stesso terreno, ma a non confondersi con gli altri popoli.

Inoltre, c'era un dato di fatto che doveva far riflettere tutti coloro che s'interessavano ai destini della drammaturgia spagnola: da Moratín in qua, ed era trascorso più di un ventennio dal Sí de las niñas, le scene avevano conosciuto solo opere di secondo e terz'ordine, mentre l'interesse popolare continuava a polarizzarsi sulle opere del Seicento.

A queste incertezze, a queste ansie e insoddisfazioni si faceva incontro il Discurso: e quell'amore per il teatro nazionale che palpitava in esso appariva, ed era, amore per la Spagna e nascondeva un invito a cercarne il rinnovamento.

La stessa personalità dell'autore dovette contribuire a rendere accettabili le concezioni esposte nel saggio; la figura di Durán non era certo sconosciuta alla cultura madrilena; appartenente a famiglia benestante, oficial della Dirección general de Estudios dal 1821 al 23, messo a riposo per le sue idee liberali in seguito all'ingresso delle truppe francesi (il che dovette procurargli una qualche notorietà), discepolo di Lista, e fra i prediletti, già stava svolgendo, attraverso la collaborazione alla Colección general de comedias escogidas, iniziatasi due anni prima58, e ancor più con la raccolta dei romances moriscos,   —62→   pubblicata nello stesso anno 1828, un'attività erudita che costituiva, nell'evidente interesse per la letteratura nazionale, la logica premessa alla sua opera di critico letterario. Inoltre da anni aveva intrecciato amichevoli rapporti con le personalità più in vista della cultura, dalle quali già erano apprezzate le sue doti: Moratín nel 25 gli si rivolge per discutere intorno all'antico teatro e per richiedergli informazioni ed opere; Quintana, nel 28, gli raccomanda J. Donoso Cortés, allora appena agli inizi della sua carriera; Gallardo gli manifesta amicizia ed ammirazione59.

Sebbene dunque non fosse uno dei grandi nomi della letteratura del tempo, Durán non era neppure uno sconosciuto e questo potrebbe in parte spiegare le ragioni del successo incontrato dal Discurso; anzi dovette contribuirvi la sua fama di serio erudito, la quale non permetteva di considerare il saggio né come estrosa manifestazione d'un ingegno imbevuto di teorie alla moda, né come la formulazione di una personale poetica attuata da uno scrittore di professione.

Il tono stesso del saggio, distaccato e quasi scientifico, s'adattava perfettamente all'uomo, mentre i brani più vivaci, sgorganti dallo sdegno per l'immoralità di certa produzione o dall'adesione entusiastica ai tradizionali valori della nazione, non potevano non essere assunti, nella Spagna semiliberale e conservatrice di quel tempo, che come una nuova garanzia di serietà e di equilibrio.

La vivacità di questi interessi, unita al calore sentimentale che li pervade, se può essere il limite del saggio (limite che i contemporanei certamente non avvertirono, ma che abbiamo visto condurre all'estensione di giudizi inaccettabili) gli conferisce peraltro un'intonazione personale, che fa quasi dimenticare le fonti cui l'autore attinge.

  —63→  

Sono ancora gli Schlegel, Madame de Staël, Chateaubriand, forse perfino il Manzoni60, gli autori da cui Durán prende spunto; ma è assai più facile reperirne il riferimento diretto, e pertanto circoscritto a una proposizione o a un pensiero inserito nel discorso, che non la sostanza delle dottrine; dalle quali Durán trae bensì ispirazione, ma piuttosto per rielaborarle o, talvolta, contraddirle, che per ripeterle.

Con questo limite, i maggiori influssi sono quelli esercitati da Madame de Staël, soprattutto attraverso il De l'Allemagne (il che sottolinea il progresso della critica spagnola rispetto alle posizioni dell'Europeo). Da essa deriva l'affermazione che il carattere di un individuo non può svilupparsi nel ristretto ambito delle ventiquattro ore61; che le tragedie e commedie francesi non incontrano il favore del popolo, il quale si diletta assai più; assistendo al più prosaico melodramma62; e infine la definizione dell'entusiasmo che è propriamente una parafrasi, con qualche aggiunta personale, di un periodo della scrittrice francese63.

Si tratta dunque di motivi nel complesso marginali, cui si dovrebbe tuttavia aggiungere la contrapposizione fra l'esteriorità del paganesimo e l'interiorità del cristianesimo; tema che   —64→   ha un discreto sviluppo in Durán, ma che non presuppone di necessità un diretto riferimento a Madame de Staël (o a Chateaubriand), dal momento che ormai s'era talmente radicato nella critica spagnola che vi riapparirà più d'una volta64.

Per quanto concerne gli Schlegel, i riferimenti si fanno ancor più vaghi e per lo più si circoscrivono a motivi ricorrenti in tutta la critica romantica: a Federico si potrebbe ricondurre l'idea della concorrenza d'influssi molteplici nella formazione della cultura spagnola e a Guglielmo il concetto che cavalleria, onore e amore, strettamente congiunti, costituiscono i frutti più caratteristici della spiritualità cristiana; ma forse ancora Durán poté desumere da quest'ultimo l'insofferenza per la poesia erudita e l'invito rivolto agli spagnoli (che però aveva già trovato un suo interprete in Böhl de Faber) a tornare all'amore per la loro letteratura.

Ben più significativo ci pare invece ciò che egli modifica o più spesso rifiuta di certi motivi divenuti ormai tradizionali. Anzitutto ignora quel che di odioso s'era detto, sia nel Corso di letteratura drammatica, sia in De l'Allemagne, intorno ai re di Spagna, limitandosi a porre in evidenza gli influssi benefici che l'istituto monarchico avrebbe esercitato sugli spiriti. Non credo che si possa parlare di reticenze dovute al timore della censura, tanto più che Durán non fa riferimenti diretti alla monarchia spagnola (ma, nella prefazione al Romancero, ne parlerà in termini di viva ammirazione); penso piuttosto che rientri nel suo generale intento di dipingere un quadro esclusivamente lusinghiero della società cristiana.

Non un'ombra tocca infatti questa visione del Medio Evo, in cui tutto è positivo, morale e solido: Durán non vuole che   —65→   il romanticismo di cui si fa apostolo venga confuso con l'immoralità e l'ateismo che si credeva di scorgere nelle più recenti manifestazioni letterarie straniere, francesi in particolar modo.

Ancor meno si lascia attrarre dal gusto del patetico che pure aveva assunto così grande importanza presso i teorici dell'Europeo; nessuno dei caratteristici motivi romantici, che con tanta ampiezza erano stati svolti da A. G. Schlegel e da Madame de Staël -il dramma cristiano di materia e spirito, la malinconia, il senso indefinito o arcano dell'universo- trovano nel Discurso il minimo accenno.

Si può pensare, e con ragione, che l'autore abbia decisamente respinto tutto ciò che non poteva rientrare nella sua interpretazione dell'anima spagnola, per ora non chiaramente definita (ma che più tardi vedremo intesa «grave, nobile, fiera, guerriera», protesa verso l'eroismo e la lealtà65), ma certo identificata con i caratteri più salienti delle comedias, nelle quali Durán non scorgeva che sentimenti forti e risoluti. Una ragione più profonda di questa diffidenza va ricercata nel suo gusto neoclassico tuttora persistente, o, se vogliamo, in un atteggiamento neoplatonico che istintivamente lo allontana (come ne allontanava Lista) da ogni interpretazione men che luminosa, men che plastica del bello.

Già abbiamo visto López Soler operare curiosi rovesciamenti dell'estetica schlegeliana; Durán procede su questo cammino e là dove il critico tedesco interpretava la poesia classica quale espressione armoniosa di un mondo ideale66, lo spagnolo si esprime in maniera poco differente a proposito di quella romantica. Nella religione cristiana, egli sostiene, si trovò il bello ideale, da cui nacque la poesia, la quale -secondo la frase che doveva colpire il Cañete- no es otra cosa que el modo ideal de expresar los sentimientos humanos67; pertanto, mentre gli antichi miti conducevano ad espressioni non lontane dalla   —66→   verosimiglianza prosaica, col cristianesimo gli uomini si elevano assai più in alto: la expresión de la belleza los arrebata al universo de las idealidades68. Che queste idealidades siano veramente le idee platoniche è confermato dalla definizione che egli dà dell'entusiasmo, in cui, pur seguendo le orme di Madame de Staël, trova modo d'inserire un motivo diverso: l'entusiasmo -egli dice- se eleva a las ideales regiones de la belleza poética, arrebatando, por decirlo así, del celestial modelo un rayo de luz divina...69

Espressioni siffatte dovrebbero suggerire un'immediata cautela nell'interpretazione romantica del Discurso o, per meglio dire, dovrebbero lasciar intendere che l'adesione di Durán alle nuove teorie fu solamente parziale, concordando egli più con i risultati che con la metodologia critica che esse postulavano70.

Conferma di questo limite ritroviamo nel secondo dei punti programmatici (richiamato ancora nel terzo e in altri passi del saggio), che costituisce l'argomento principe a favore del teatro barocco: que esta diferencia la constituyen dos géneros diversos entre sí, los cuales no admiten del todo iguales reglas, ni formas en su expresión. La frase rivela, nella stessa scelta dei vocaboli (reglas, formas), oltre che nella formulazione dei concetti, un atteggiamento di fondo tuttora neoclassico; quel che distingue il nostro critico dai suoi predecessori, poniamo da un Luzán, è soltanto la maggiore duttilità che lo induce ad accogliere un nuovo «genere» letterario da porre accanto all'antico, su un piano di parità.

Egrave; vero che posizioni analoghe erano condivise da numerosi scrittori di schietta fede romantica, da López Soler, in Spagna, al ben più importante Federico Schlegel; senonché in costoro   —67→   il presupposto retorico trovava una limitazione o, se vogliamo, veniva parzialmente superato nell'interpretazione storica che si dava al genere classico e al romantico, cosicché le regole eventualmente postulate per il secondo (inteso come forma più evoluta di poesia) tendevano a identificarsi con le leggi universali della poesia71.

Durán, ignorando di proposito certe conquiste compiute dall'Europeo, torna invece a considerare i generi quali categorie sovrastoriche (che il genere classico provenga dall'antichità non significa per lui che si tratti di un'esperienza conclusa), coesistenti, e pertanto riconosce al critico il circoscritto compito che gli assegnavano le poetiche rinascimentali: quello cioè di controllare la completa applicazione delle regole proprie del genere.

A sostegno della sua tesi adduce un esempio quanto mai significativo: il classico Moratín, spiega, pur essendo personalmente contrario all'apparizione di un morto sulla scena, deplorerebbe il fatto che Moreto, nel Valiente Justiciero, non abbia saputo trarne tutto l'opportuno partito romantico, usando dell'apparizione stessa come base dell'opera, la quale è espressione della fatalità72.

Date queste premesse, è naturale che Durán pervenga, nel corso dell'indagine, a prospettarsi il problema delle regole da imporre al nuovo genere; ma è altrettanto logico che confusamente avverta l'impossibilità di una soluzione soddisfacente.   —68→   Si limita pertanto a postulare regole più ampie e più duttili:

siendo el drama español más eminentemente poético que el clásico, debe regularse por reglas y licencias más distantes de la verisimilitud prosaica, que aquéllas que para el otro se hallan establecidas73.



Sarà ben raro che qualcuno accolga l'invito di Durán a delineare questa nuova precettistica e, al contempo, quasi tutta la critica spagnola degli anni successivi lascerà intendere una costante insoddisfazione per l'assenza di una precettistica romantica da contrapporre a quella classica.

Forse solo Alcalá Galiano (dopo aver affermato che, se Rivas disobbedisce alle regole tradizionali, ne applica tuttavia altre) tenterà di formulare una nuova poetica. Secondo lui, le regole applicate dal poeta romantico sono: impegnare l'interesse dei lettori, adeguare lo stile all'argomento e ai personaggi, descrivere oggetti reali o possibili (que son, fueron, o pueden ser reales y verdaderos: come si vede, sia detto per inciso, la formulazione è di stampo aristotelico), rappresentare fedelmente costumi storici, unire reale e ideale; infine, de seguir los impulsos propios74.

Quattro anni più tardi, lo stesso critico uscirà in un'affermazione di ben più vasta portata che, se avesse avuto maggior sviluppo, avrebbe anche potuto imprimere un più forte dinamismo al movimento:

La nueva crítica filosófica atiende poco a las formas externas, y ambiciosa y osada al juzgar una obra pretende y a menudo consigue explicar la índole del ingenio.



Ciononostante, mentre sottolinea la superiorità della nuova critica su quella passata, lamenta che la prima, proprio per   —69→   l'assenza di regole precise, si trovi svantaggiata rispetto alla seconda75.

L'anno seguente Gil y Zárate propone una letteratura teatrale che riunisca i pregi della greca, della spagnola, dell'inglese e della tedesca; a parte l'assurdità di una proposta siffatta, è interessante che egli concluda affermando che, quando una tale perfezione sarà stata raggiunta, si potranno finalmente fissar le regole, che ora mancano76.

Hartzenbusch stesso, nella polemica con Bermúdez, asserisce che i romantici non solo hanno sempre rispettato l'unità d'azione, ma pure le altre due, quando non apparivano pregiudizievoli77. Infine l'insistenza dello stesso Hartzenbusch, di J. Pidal78, di Lista79 sul rispetto dell'unità d'azione (o d'interesse) lascia intravedere il perdurare d'uno stato d'animo classicistico che determina, nei difensori o fiancheggiatori della nuova corrente, una sorta di complesso d'inferiorità.

Sarà al contrario ben raro incontrare, presso qualche personalità più estrosa, voci inneggianti alla totale libertà dell'artista. È probabilmente Bretón colui che chiede al poeta d'esser soltanto tale e di farci sentire come sente e vedere come vede, aggiungendo che per il vero poeta è valida qualunque forma, mentre neppure Aristotele saprebbe foggiar regole per chi poeta non è80.

A Larra si deve l'affermazione che il mondo doveva alfine trovare, in politica come in letteratura, la libertà per cui era   —70→   nato81; nonché la più celebre frase: Libertad en literatura, como en las artes, como en la industria, como en el comercio, como en la conciencia82.

Sin reglas no hay arte, proclamava Lista83; e Durán e i suoi seguaci, quasi tutti allievi del sacerdote salmantino, non seppero, o non vollero, discostarsi da questa posizione, il cui carattere conservatore è posto bene in risalto da quest'altra frase:

Así como la libertad en el orden civil y político es la obediencia a las leyes, así en el orden literario es la sumisión a las reglas84.



Non aveva d'altronde proprio Durán premesso, nelle prime righe del Discurso, che non intendeva vulnerar los principios inconcusos que sirven de base al buen gusto?85

Tuttavia, se è facile rilevare ciò che di antiquato permane in questa teoria dei generi letterari, non si deve sottovalutare il tentativo compiuto da Durán per arrecarvi un relativo ammodernamento attraverso l'introduzione della categoria nazionale, per mezzo della quale i generi tendono nuovamente a storicizzarsi, sebbene su di un piano diverso.

Egrave; chiaro che Durán risentì di quel clima, che ormai s'era determinato in tutta Europa, di ricerca dell'anima etnica, di cui abbiamo notato, in Spagna, le prime avvisaglie in López Soler;   —71→   ma anche sul piano più propriamente letterario, poteva notare facilmente come la critica straniera avesse dato spicco, in particolar modo dal Lessing in poi, all'enucleazione di temi e atteggiamenti che venivano assunti come mezzi idonei a caratterizzare lo «spirito» -in altre parole il genere- delle varie letterature. E in particolare per quella spagnola poteva trovare esempi insigni, dagli Schlegel al Bouterweck, al Sismondi, alla Staël. Ma aveva anche, dietro le spalle, tutta la tradizione indigena dei classicisti che, ora attraverso parziali concessioni, ora pigliando partito in maniera più decisa, avevano sempre lasciato sottintendere che il teatro spagnolo, lodevole o biasimevole, occupava comunque un posto a sé.

Si sono trovati alcuni appunti di Gorostiza, che potrebbero sembrare il precedente immediato delle posizioni di Durán; e non si può davvero escludere che il primo abbia esercitato un certo influsso sul secondo, dal momento che, quando apparve il Discurso, entrambi collaboravano alla pubblicazione delle Comedias escogidas86.Gorostiza contrappone i teatri nazionali (inglese, tedesco e spagnolo), i quali dipingono i costumi propri di ciascun popolo, a un teatro classico universale che descrive o censura virtù e vizi generali: quest'ultimo, secondo l'autore è un teatro cosmopolita que pertenece a todos los pueblos, y que está sujeto en todo a las mismas reglas o convenciones, por girar únicamente alrededor de una sola órbita87.

Durán, pur accettando l'opinione che il teatro classico dipinga virtù e vizi in termini generali, vi attribuisce un significato negativo e di conseguenza lo priva di quei valori di universalità che gli aveva assegnato lo scrittore messicano. Per il nostro critico è chiaro che non esistono se non teatri, o generi, nazionali; pertanto, forte soprattutto delle classificazioni operate   —72→   nelle Vorlesungen schlegeliane, stabilisce l'equivalenza classico = francese, romantico = spagnolo.

Logicamente, in questa accezione, i due termini non solo assumono un significato molto più circoscritto di quello che abitualmente si attribuiva loro, ma non hanno più molta ragion d'essere. In effetti Durán non vi dà soverchia importanza e usa i vocaboli, entrati ormai nella consuetudine critica, per ragioni di pura praticità: para evitar perífrasis y rodeos. Anzi, si preoccupa, fin dal principio, di dissociare il genere romantico di cui si fa paladino dalle forme più intemperanti cui s'era attribuito lo stesso nome: Ya no se trata -afferma in una nota- de dramas clásicos ni románticos: la moda consiste en celebrar los más innobles y patibularios espectáculos88.

Sebbene l'allusione non sia esplicita, è comunque chiaro il riferimento al teatro francese contemporaneo, poiché la nota, inserita in un passo in cui si parla delle opere francesizzanti del secolo XVIII, intende stigmatizzare gli effetti cui avrebbe condotto, all'epoca di Durán, una tale imitazione.

Si delinea così, di là dall'uso di una terminologia di comodo, l'idea di un genere spagnolo, che non è classico, ossia d'importazione straniera, ma non è neppure romantico, o che, per meglio dire, lo è soltanto entro i limiti in cui romantico può significare castizo. Si direbbe perfino che Durán abbia usato il vocabolo solo per l'urgenza d'impostare il discorso in termini accessibili e moderni, oltre che per quella rivalutazione del teatro spagnolo che esso pareva quasi racchiudere in sé; quando però avvertì che la penetrazione delle nuove idee si stava compiendo, lo usò sempre più parcamente, preferendogli talvolta termini meno impegnativi, come escuela moderna o stigmatizzando il romanticismo malo di certi drammi (esos dramas románticos, donde se embriaga al pueblo de envidioso rencor89).

  —73→  

Non ci sarebbe nulla da eccepire circa l'interpretazione personale di vocaboli di cui oggi riconosciamo facilmente la precarietà e che lasciavano perplessi gli stessi teorici del movimento90; e si deve inoltre riconoscere che una simile interpretazione era stimolata dal clima dell'epoca, così favorevole ai nazionalismi politici e letterari. È tuttavia da rilevare che una posizione siffatta, la quale troverà largo seguito nella critica successiva (per cui si giungerà a parlare d'eclettismo) veniva in fondo a limitare sensibilmente la portata e il significato stesso delle teorie che Durán voleva propagare; e che quell'inserimento nello spirito europeo che il Discurso pareva promettere ne veniva implicitamente negato.

In sostanza Durán ripercorreva, anche in questo caso, il cammino dei critici classicisti, ma forse incappando in un limite a quelli ignoto. I classicisti avevano, infatti, tentato di rinnovare le lettere spagnole attraverso la contemperanza degli insegnamenti stranieri con le esigenze -più o meno sentite- della tradizione nazionale, mentre il nostro critico si limitava praticamente a cogliere, delle teoriche straniere, ciò che poteva ridondare a lode del teatro spagnolo o pareva comunque conformarsi a certi schemi, che egli s'era prefigurati, dell'anima spagnola. A differenza dunque dei suoi predecessori, che s'erano preoccupati d'ispanizzare la cultura europea, tale cultura egli circoscriveva alle sole componenti ispaniche o, per meglio dire, realmente o potenzialmente ispanofile.

A quale rinnovamento poteva Durán sperare che accedesse, per questa via, la letteratura drammatica del suo paese? A quello appunto che auspica sul termine del saggio: che cioè le nuove generazioni sappiano riconquistare la primitiva gloria letteraria, ispirandosi ai grandi drammaturghi del passato. Un rinnovamento   —74→   dall'interno, insomma, che sapesse trarre la sua linfa vitale da ciò che di più genuino si poteva reperire nella tradizione.

Nel Discurso, l'oggetto più immediato dell'indagine era, come sottolinea il titolo, la rivendicazione del teatro barocco; e se l'incitamento a una produzione nuova ed originale ne era la logica conseguenza, Durán non vi si soffermò che di sfuggita. Ma più tardi precisò come intendesse il rinnovamento teatrale da effettuarsi attraverso l'unión de lo pasado con lo presente: esso doveva consistere nella ripresa dei temi, forse anche della problematica secentesca, il tutto rivissuto in una più vigile coscienza filosofica e realistica, che desse maggiore importanza ai nessi strutturali, riducesse il ricorso al meraviglioso, si preoccupasse maggiormente delle leggi del verosimile91.

S'accorgeva Durán che questo era all'incirca l'ideale moratiniano?92 E che un simile rinnovamento nell'ambito della tradizione rischiava di risolversi in conservatorismo senza vie di uscita?

Certamente no, dal momento che l'onestà e la buona fede del critico sono evidenti. È vero che del suo programma egli non vide che gli aspetti positivi di un sano conservatorismo, che pagasse il debito scotto, ma nulla più, alla modernità; ma su tale modernità delle sue posizioni egli non nutriva dubbio alcuno. Il suo errore, se errore fu, consistette nella prospettiva un po' sfuocata in cui inserì le sue argomentazioni e nell'ingenua fede che ripose in certe formule, senza chiedersi mai a quali traguardi esse conducessero con esattezza.

Allo stesso modo non avvertì, o ne ebbe tutt'al più una   —75→   fugace intuizione, l'intrinseca debolezza delle dimostrazioni addotte per sostenere l'identificazione dello spirito romantico con lo spirito spagnolo e, per contrapposto, dello spirito classico con quello francese. La genesi del romanticismo, colta, secondo la formula schlegeliana, nel consolidarsi del cristianesimo e della monarchia, doveva necessariamente applicarsi a tutte le nazioni europee, Francia compresa. Durán previde la possibilità di una obiezione ed in una lunga nota si preoccupò di dimostrare, attraverso congetture spesso discutibili, come i francesi, nonostante l'apparente analogia, avessero subito vicende storiche sostanzialmente diverse che li avrebbero posti fuori dal romanticismo93.

Inutile aggiungere che il Durán chiaramente non parava, ma rendeva più evidente la forza dell'obiezione, la quale minacciava l'essenza stessa di una gran parte del Discurso; ma non si deve dimenticare che la tendenza romantica, non di Durán soltanto, a identificare storia politica e storia letteraria impediva di scorgere come di fenomeni così complessi, quale il teatro di Lope e Calderón e di Racine e Corneille, si dovesse trovare la genesi attraverso una panoramica ben più vasta di quella che poteva fornire un rigido, e pertanto semplicistico, determinismo storico.

Ed è altrettanto logico che, come questo storicismo piuttosto gretto non riesce a dare una spiegazione soddisfacente del classicismo francese, non riesca ugualmente a dimostrare la conclamata congenialità del teatro secentesco con l'anima spagnola. Durán invoca, a sostegno del suo asserto, l'unificazione, che in detto teatro si sarebbe operata, delle varie componenti dello spirito e della cultura ispanica: tesi suggestiva, che Durán riprenderà (invero con modificazioni e maggior rigore d'indagine) nel saggio su Lope de Vega, ma che comporta l'accettazione preliminare dei vari postulati (l'arabismo, l'influsso dei Visigoti   —76→   ecc.) e che peraltro ignora o sottovaluta fattori determinanti, quali la personalità degli autori, la presenza di una vigorosa problematica filosofica e molte delle premesse culturali che condussero al teatro lopesco.

Tuttavia, poiché quest'aspetto, sul quale mai nessuno aveva osato avanzare dubbi in senso assoluto (nel Settecento s'era pensato che il teatro barocco non rispondesse più alle nuove esigenze, ma non si disse che non avesse saputo interpretare lo spirito del secolo precedente) era ormai radicato come un luogo comune nella coscienza critica spagnola, non rivelò ai contemporanei le sue debolezze; anzi, per quell'esaltazione dell'anima spagnola che esso comportava, venne accettato con entusiasmo e costituì senza dubbio una delle ragioni, forse la più decisiva, della benevola accoglienza che fu riservata al Discurso. Al suo successo dovette giovare moltissimo il fatto che, per questa via, la colorazione politica che il romanticismo aveva assunto -abbiamo visto entro quali limiti- nella sua vicenda barcellonese, venisse, se non proprio annullata, assorbita in una superiore idealità nazionale.

Infatti, il programma del conservatorismo liberale, programma di compromesso, anche sul piano politico, trasferendosi col Discurso sul terreno letterario, smussava gli eventuali spigoli e si trasformava in un più generico nazionalismo; i suoi appelli a certi valori indiscussi, a certi istituti inviolabili, la sua patriottica rivendicazione del casticismo, il suo sdegno verso ogni forma d'immoralità nell'arte non dovevano solo trovare consenzienti le élites sociali e culturali, ma potevano facilmente accomunare in un unico ideale moderati ed esaltati di quasi ogni tendenza. Il sottofondo politico che animava il saggio, grazie soprattutto alla moderazione di cui seppe far uso Durán (moderazione che era peraltro intrinseca allo stesso partito) diveniva elemento tanto secondario da andare praticamente disperso. Questo spoliticizzarsi del movimento, se da un lato poté appunto favorirne il successo, dall'altro approfondì quel solco fra letteratura e vita che già s'era aperto con l'Europeo, per cui da esso rimane esclusa quella stimolante inquietudine che in   —77→   altri paesi gli seppe imprimere un dinamismo rimasto sconosciuto alla Spagna.

D'ora innanzi la critica spagnola, anche nelle sue punte più polemiche, si diffonderà -fatte poche eccezioni- su di un terreno esclusivamente letterario o, tutt'al più, nazionalistico-letterario. Non c'è dunque da stupire se, date queste premesse, la letteratura che si suole definire romantica non lascia scorgere (neppure nel clima di maggior libertà che s'instaurò dopo la morte di Ferdinando VII) particolare interesse per i problemi del vivere sociale, nonostante che molti scrittori svolgessero funzioni politiche, talvolta, come Rivas e Martínez de la Rosa, anche ad alto livello.



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