Quevedo in America: due saggi
Giuseppe Bellini
—5→
Raccolgo in queste pagine due saggi intorno alla presenza di Quevedo nella letteratura ispano-americana. Il primo si rivolge all'epoca coloniale e studia i contatti che autori come Sor Juana Inés de la Cruz e Juan del Valle Caviedes -due spiriti così diversi, quindi due diversi modi di sentire Quevedo- presentano con il grande scrittore ispanico del secolo XVII, della cui opera furono assidui lettori.
Il secondo saggio riguarda il novecento ed è un completamento dello studio dedicato in altra epoca alla presenza di Quevedo nella poesia ispano-americana del nostro tempo1. Tornando, infatti, ad afrontare il tema, esamino ora l'ultima produzione poetica di taluni autori nei quali l'orma del poeta spagnolo ha continuato ad imprimersi, con esiti originali.
G. B.
—[6]→ —7→
L'opera satirica di Quevedo, comunque la si giudichi, ha lasciato un ammaestramento efficace, il superamento della realtà. Il disprezzo per le cose del mondo manifestato dallo scrittore del «Siglo de Oro» è stato giudicato esattamente da Ramón Gómez de la Serna2 in senso positivo per l'uomo, di cui rafforza la coscienza morale. Nell'atteggiamento di Quevedo sta il fondamento di una lezione etica di valore permanente, che ha avuto larga risonanza, nel tempo, in Spagna e fuori di Spagna; benché sia, logicamente, entro l'area della creazione ispanica che la presenza del grande satirico diviene più attivamente operante. La sua influenza, infatti, si presenta nella letteratura di lingua spagnola con una costante che giunge fino ai nostri giorni. Per quanto concerne l'America ispanica tale orma è presente fin dalla Colonia e riprende e si accentua, con risultati di particolare originalità, nella poesia e nella prosa del Novecento3.
L'influenza di Quevedo sulla letteratura coloniale appare manifesta da alcune opere che la denunciano in modo scoperto; è il caso del Periquillo Sarniento (1816) di José —8→ Fernández de Lizardi4, satira acuta della vita messicana fine Settecento, in cui è presente l'orma della Vida del Buscón, oltre che della picaresca. Lo stesso si può dire per la Portentosa vida de la Muerte (1792), del religioso messicano Joaquín Bolaños5, e per la Levadura del Sueño de Sueños, di José Mariano Acosta Enríquez, pubblicata anch'essa verso la fine del Settecento6, opera di maggiori pregi artistici della precedente, alla quale, tuttavia, l'accomuna l'influenza dei Sueños di Quevedo, che richiama vistosamente anche nel titolo, insieme a quella di Torres-Villaroel.
Entrambe le opere, oltre a dimostrare la presenza di Quevedo nella Nueva España, rivestono un interesse singolare per lo studio della preoccupazione messicana della morte che, se procede, come appare indubbio, da radici autoctone remote, le cosmogonie precolombiane, ha sentito, però, assai profonda anche l'influenza dello scrittore spagnolo7.
Altre presenze di Quevedo sono riscontrabili in vari scrittori dell'epoca coloniale, ma non starò a soffermarmi su autori che, per quanto interessanti, restano pur sempre di secondo piano. La mia attenzione va piuttosto a quegli scrittori che, a volte in modo meno scoperto, in realtà con più profonda e meditata coscienza, sentono l'influenza di Quevedo come sostanza viva della propria spiritualità e quindi come influenza anche artistica. In tal senso nel Messico della Colonia Sor Juana Inés de la Cruz (1651- —9→ 1695) è un esempio significativo; come lo è nel Perù il contemporaneo Juan del Valle y Caviedes.
La biografia della suora messicana è ormai ben nota perché torniamo a insistervi8. L'opera che essa scrive ne è lo specchio fedele e drammatico. Sor Juana ci appare, come ha scritto Pedro Salinas9, una creatura fuori del suo tempo. Di qui il dramma che la conduce alla rinuncia più dolorosa, quella di scrivere e la rende schiava dei propri fantasmi, del terrore di perdere l'anima.
Al di là del dato biografico, estremamente interessante e in taluni punti non ancora del tutto chiarito10, Sor Juana Inés de la Cruz vive nel tempo come artista. Essa si esprime in arte prevalentemente sulla scia di Góngora, di Lope e di Calderón; Góngora è il suo maestro di stile, ma per l'elaborazione di un proprio modo di esprimersi. La curiosità —10→ della suora, la sua sensibilità, si nutrono, tuttavia, di più ampie letture, tra le quali è l'opera di Quevedo, cui l'avvicina tutta una serie di motivi intimi. Nell'opera di Sor Juana è possibile infatti individuare in numerosi momenti la presenza dello scrittore sia per quanto riguarda la poesia amorosa, che per ciò che concerne quella filosofica o religiosa, la prosa e il teatro. Nella poesia d'amore la presenza di Quevedo è naturalmente più generica e sfumata, nella molteplicità degli echi di tanti autori spagnoli del «Siglo de Oro». Vi è però in essa un senso deluso delle cose e della vita che, se può essere fatto risalire a motivi generici alla moda, può anche venir ricondotto al Quevedo degli scritti morali. Valga d'esempio l'avvertimento ad Alano intorno alla vanità delle cose temporali:
|
Il
«Desengaño» è
personaggio costante dell'età barocca e ciò rende
difficile individuare nel sonetto citato qualcosa di più di
una generica atmosfera di influenze ispaniche. Esistono tuttavia
nella poesia sorjuanina elementi più nettamente definibili;
già li troviamo nella poesia di circostanza, nel trittico
funebre in morte del duca di Veraguas, don Pedro Ñuño
Colón de Portugal y Castro, vicerè della Nueva
España, morto improvvisamente pochi giorni dopo aver preso
possesso dell'alta carica, il 23 dicembre 1673. La morte improvvisa
del vicerè dovette impressionare non poco Sor Juana e
apparirle come un duro avvertimento intorno alla vanità
delle pompe e alla brevità della vita. Nel primo sonetto del
trittico il verso iniziale «¿Ves caminante? En esta triste
pira...»
è un valido richiamo
quevedesco alla lezione di desolazione e di dolore. Come Quevedo,
Sor Juana è cosciente del fatto che l'uomo passa
drammaticamente indifferente di fronte agli esempi di morte. Nel
—11→
Sueño
del Infierno lo scrittore spagnolo riconduceva alla
considerazione della onnipresenza della morte, che intendeva misura
di tutte le cose:
«¿A qué volvéis los ojos que no os acuerde de la muerte? Vuestro vestido que se gasta, la casa que se cae, el muro que envejece, y hasta el sueño cada día os acuerda de la muerte, retratándola en sí».12 |
Sor Juana eredita
da Quevedo questa chiara coscienza del valore della morte,
più che non la assuma dalla tradizione letteraria. Nel terzo
sonetto del trittico citato un verso richiama ancora una volta gli
accenti più cupi della poesia quevedesca: «Detén el paso,
caminante, advierte...»
. Per le pause, il
tono riflessivo, l'improvvisa apostrofe al passeggero, il clima del
trittico sorjuanino appare assai vicino a quello che scaturisce dal
noto sonetto di Quevedo che inizia con i versi
|
Non si tratta di punti di contatto materiali, ma di vicinanza spirituale che conferma ancora una volta l'originalità, l'indipendenza della suora di fronte alle letture più assidue. Nel sonetto di Quevedo è presente una nota autobiografica più profonda; ma nel sonetto sorjuanino è interessante cogliere il progredire di un'atmosfera che negli ultimi versi si concreta in termini gravidi di morte. Tutto il sonetto di Sor Juana spira atmosfera tombale, un clima funebre che richiama con insistenza i più noti sonetti di Quevedo sullo stesso motivo, in particolare, per il motivo occasionale ma anche per certi punti più intimi di contatto, il —12→ famoso sonetto in morte del duca di Osuna14, proprio per la celebrazione che Sor Juana fa delle imprese eroiche, del vicerè e della sua sopravvivenza sulla morte, nel ricordo.
Il culto barocco per il tema della morte si concreta, così, nella poesia di Sor Juana, in un'atmosfera che richiama direttamente la gelida maestà dei Panteon reali, materializzazione inquietante della cupa lezione data da Valdés Leal nella sua pittura.
Nell'ambito della
poesia di circostanza esiste un «romance» della suora in
cui è facilmente individuabile un contatto con Quevedo.
È il «romance» scritto in
occasione della visita del vicerè, marchese della Laguna, al
convento15
M. Sor Juana era molto legata, è noto, alla famiglia
vicereale, per la quale provava sincero affetto; nel
«romance» cui alludo la
monaca si rammarica di non aver potuto salutare personalmente
l'amico, «que asistió
en Vísperas del Convento»
;
ciò è motivo perché essa consumi le ore libere
della notte ad esprimere il proprio rincrescimento. Nel
«romance» è da
sottolineare la perfetta riuscita nella ricreazione di una raccolta
atmosfera notturna nella quale si manifesta il trepido affetto di
Sor Juana per il capo di quella che, a ragione, è stata
definita la sua famiglia ideale16.
Nella composizione cogliamo una piana filosofia morale, che si
estrinseca nell'incitamento all'amico a condurre una vita
«discreta », nella quale
solamente sta il suo reale valore. In questi accenti è
individuabile un'eco diretta di Quevedo, precisamente quella del
passo in cui ne El
Alguacil endemoniado lo scrittore riconduce l'uomo al vero
significato del tempo e della vita. Quevedo scrive:
«¿Cuál de vosotros sabe estimar el tiempo y poner precio al día, sabiendo que todo lo que pasó lo tiene la muerte en su poder, y gobierna lo presente y aguarda todo lo por venir, como todos ellos?»17 |
Con toni meno da
oltretomba, ma del pari efficaci, Sor Juana avverte che solo
può affermare di vivere colui che sa apprezzare nel suo
reale valore la vita, la quale non consiste nel «diuturno del
tiempo»
, ma in fini più alti:
Sono note, queste, di un moralismo divenuto ragione di vita, rivelatore, nella mancanza di ombre cupe, di uno spirito che ha trovato il proprio equilibrio.
La filosofia e gli intendimenti morali di Sor Juana sono presenti un po' dappertutto nella sua opera, nella lirica e fuori di essa, ma esiste una serie di composizioni in cui il tema filosofico è trattato più scopertamente, con partecipazione immediata, riflesso nella situazione materiale e spirituale entro cui si dibatteva la suora18. Naturalmente non è possibile parlare di un sistema filosofico per Sor Juana; la sua è una filosofia che trae origine unicamente da un'esperienza diretta di vita e dalle letture in cui trova conforto, i Padri della Chiesa, i poeti spagnoli, tra essi Quevedo. Si tratta, perciò, di una filosofia morale senza pretese, dominata dal senechismo, cui la monaca aderisce non come a motivo —14→ retorico ed esterno, bensì perché lo sente vivo e operante in sé. Delusione nei confronti del mondo e amarezza sono note ricorrenti in questo settore della poesia sorjuanina; esse si manifestano talvolta in tinte assai cupe, come nel noto sonetto alla rosa:
|
Il cultismo sintattico del primo verso, cui seguono metafore di vivi cromatismi, introduce efficacemente una rappresentazione di desolazione e di morte che prende corpo già alla fine della prima quartina. Il contrasto tra la bellezza e il vigore della rosa e la realtà della vita si accentua nello stridente panorama di decadimento. L'insegnamento del fiore, nel cui essere è unita vita e morte, induce al superamento della realtà.
Nelle quartine
successive stanno i segni premonitori di tragedia, propri della
natura del fiore e della vita umana. La fine del sonetto precipita
verso il «desengaño»
. Le
contrapposizioni parallele, «docta muerte»
-
«necia
vida»
, «viviendo
engañas»
- «muriendo
enseñas»
, rafforzano il clima
«escarmentador»
del
sonetto. Mi sembra opportuno insistere sull'ultimo verso della
seconda quartina, «la
cuna alegre y triste sepultura»
, per il
significato che —15→
assume quale momento culminante di un'atmosfera di
riflessione e per i suggestivi richiami letterari che esercita sul
lettore; richiami che rimandano soprattutto a Quevedo, non fosse
che per superficiali reminiscenze -si ricordi La cuna y la sepultura:
«Son la cuna y la
sepultura el principio de la vida, el fin
della»
19
-; ma anche e soprattutto per quel dualismo costante che colora
l'opera dello scrittore spagnolo, sospesa tra l'apparente valore
delle cose temporali e la realtà di esse.
Ancor più
significativo del sonetto citato è quello, non meno famoso,
dedicato dalla suora a smentire le false apparenze della propria
gioventù in un ritratto20.
Il Carilla propone, a proposito di questa composizione, due fonti
possibili, il sonetto di Quevedo intitolato «Desengaño de la exterior apariencia con
el examen interior y verdadero», e un verso del
XIII sonetto di Góngora21.
Naturalmente non è possibile affermare alcunché di
veramente probante, ma in questo settore della sua opera, vale a
dire in questo genere di argomenti, Sor Juana era assai più
vicina spiritualmente a Quevedo che a Góngora. Ciò
detto è doveroso affermare l'originalità
dell'ispirazione sorjuanina: di fronte al ritratto in cui l'artista
l'ha dipinta «con falsos
silogismos de colores»
la suora coglie la
realtà della sua situazione, vale a dire di quella
vecchiezza alla quale in altro sonetto aveva affermato, molto
femminilmente, di preferire la morte22.
L'iperbato con cui
il sonetto inizia richiama con violenza l'attenzione del lettore
verso l'«engaño
colorido»
; nei versi successivi Sor Juana
ribadisce il concetto dell'inganno —16→
rappresentato dal quadro, introducendo elementi negativi,
quali la vecchiaia, l'oblio, i rigori del tempo, gli orrori degli
anni:
|
Attraverso un succedersi di esemplificazioni concrete la suora intende denunciare la vanità della menzogna, che si rivolge bassamente ai sensi. L'ultimo verso del sonetto conclude il processo di definizione dell'insostanzialità su cui si regge la vita umana. Tutto, infatti, è distrutto dal passo inesorabile e affrettato del tempo; la materia di cui l'uomo è costituito lo riduce cadavere, quindi polvere, ombra, infine nulla.
Nel verso alluso,
così teso ed efficace per la rapida successione di immagini
che si vanno svuotando di consistenza, il richiamo a
Góngora, al sonetto «Mientras por competir con tu
cabello»
23,
anche se può apparire evidente il Dauster lo ha
sottolineato24-,
è soverchiato dalla presenza di Quevedo, ossia dei versi nei
quali il poeta denuncia la brevità della vita:
|
Il clima del
sonetto sorjuanino è assai distante da quello del sonetto
citato di Góngora, mentre è vicinissimo nella
sostanza al sonetto in cui Quevedo denuncia «la propia brevedad de la
vida»
.
È noto che
una delle opere di maggior significato di Sor Juana, e una delle
più rappresentative del barocco coloniale, è il
Primero
Sueño, scritto denunciando apertamente il modello, le
Soledades di
Góngora, dalle quali, peraltro, differisce sostanzialmente.
La lunga «silva»
, di 975 versi,
composta probabilmente dalla suora verso il 1690, è stata
considerata per molto tempo, nel lungo ripudio del barocco,
documento di perversione letteraria, di cattivo gusto26
ed è stata rivalutata solo in epoca ancora relativamente
recente27.
Il Méndez Planearte, ad esempio, è giunto ad
avvicinare il Sueño non solo a Muerte sin fin di José
Gorostiza, ma al Cimetière marin di Paul
Valéry28.
Non insisterò, qui, sul valore dell'opera, della quale
già ho trattato in altra sede29,
né mi soffermerò sulla sua originalità nei
confronti delle Soledades; ritengo invece importante sottolineare
come Sor Juana, seguace dichiarata di Góngora per quanto
riguarda la lingua, la sintassi -ma con originalità, anche
per quanto attiene al vocabolario-, dia al suo poema il titolo di
Sueño,
che riconduce direttamente a Quevedo. Nel poema sorjuanino, in
effetti, confluiscono due influenze, che si fondono
—18→
perfettamente dando vita a un'opera pienamente originale:
l'influenza formale gongorina e la presenza di una filosofia che
risale chiaramente all'atteggiamento di Quevedo di fronte alle
possibilità dell'intelletto umano di attingere la
conoscenza. Il Primero Sueño conclude, infatti, con la
sconfitta e la solitudine, una sconfitta e una solitudine che sono
quelle stesse di Sor Juana. Il senso di frustrazione che domina la
suora, la persecuzione di cui è fatta oggetto per la sua
sete di conoscenza, fano sì che essa si ritiri e si annulli,
mentre intorno si afferma un'unica realtà, una misura
inesorabile, la morte, e attraverso la morte l'unica
possibilità di superamento del limite, ma senza una
soluzione del problema: Ci si rende conto, perciò, come con
questa coscienza dell'incapacità umana di pervenire alla
conoscenza, intesa come una sorta di ingiustificata condanna, anche
il canto a Dio si trasformi per la monaca in motivo di
preoccupazione, di segreto «cuidado»
30,
che l'avvicina certo a Lope de Vega, ma anche a Quevedo per
l'imperante complesso di indegnità, quale si manifesta in
numerose composizioni del poeta spagnolo, ma in particolare nei
«salmos»
II, III, IV e
VII dell'Heráclito cristiano31.
Presenze di Quevedo, non certo numerose, ma significative, si trovano anche nel teatro e nell'opera di Sor Juana. Nella commedia Amor es más laberinto, ad esempio, allorché Teseo afferma, davanti a Minosse, il concetto dell'uomo figlio delle proprie opere, quindi nobile solo quando lo sarà stato nella vita32, il richiamo al Sueño del Infierno è immediato; in esso, infatti, Quevedo sottolineava il concetto di una nobilita intesa come virtuosa condotta morale; affermano i demoni:
«el que en el mundo es virtuoso, ése es el hidalgo; y la virtud es la ejecutori que acá respetamos, pues aunque —19→ uno descienda de hombres viles y bajos, como él con divinas costumbres se haga digno de imitación, se hace noble a sí y hace linaje para otros»33. |
Nel Neptuno alegórico,
composto per l'ingresso nella città di Mesico del
vicerè don Tomás Antonio de la Cerda, conte di
Paredes, avvenuto il 30 novembre 1680, vi è tutta una serie
di citazioni di testi e di autori della mitologia e
dell'emblematica in voga nel Cinque e Seicento nell'Europa
occidentale, che richiama il lungo elenco di testi e di nomi di
negromanti, superstiziosi ed eretici inserito da Quevedo ne
Las Zahurdas de
Plutón. Nella prosa citata, inoltre, Sor Juana
ritorna a sottolineare il suo personale concetto della
nobiltà dell'uomo, che si fonda sulla bontà delle
opere, concludendo con San Gerolamo: «Nobilitas est clarum esse virtutibus: unde ille apud Deus
maior est, qui iustior, non contra»
34.
In sostanza, è il fondamento filosofico-morale degli scritti di Quevedo che trova rispondenza nello spirito sorjuanino. Certo, come osserva il Carilla35, non è Quevedo l'autore spagnolo che più influisce sulla suora, ed è esatta l'affermazione che le reminiscenze dirette dello scrittore nell'opera sorjuanina sono scarse, soprattutto se le si confronta con quelle di Góngora; ma non per questo le orme che si possono rinvenire sono prive di significato, anzi tali mi sembrano da poter affermare che la spiritualità di Sor Juana affonda radici profonde anche nell'opera del grande moralista ispanico del secolo XVII.
Nel Perù della Colonia Juan del Valle y Caviedes (1652?-1697?) è l'esempio più significativo e cospicuo —20→ dell'influenza di Quevedo. In epoca passata la critica ha contribuito in misura notevole alla diffusione di un cliché istrionico del poeta peruviano, che lo avvicina all'altro, oggi in gran parte sfatato, e non meno fantastico, di Quevedo. Ciò valse, tuttavia, anche in epoche scarsamente favorevoli al barocco, a salvarne il ricordo nel tempo; circostanza che ha diretto riscontro nella vicenda del poeta spagnolo, benché Quevedo, per il carattere più profondo della sua opera letteraria e il suo messaggio etico, non abbia praticamente conosciuto momenti di oblio.
La diffusione di immagini stravaganti di Caviedes fu favorita dalla scarsità di notizie che, fino ad epoca ancora piuttosto recente, si avevano intorno a lui. La leggenda, assai diffusa tra le classi popolari, non meno che nell'ambiente letterario, si è andata ridimensionando in seguito, attraverso successivi apporti investigativi, dovuti soprattutto al Lohmann Villena36, e studi critici seri, che hanno condotto a un'esatta valutazione, lontana dal pittoresco, di un'opera altamente originale37.
L'antico giudizio
del Menéndez Pelayo38,
piuttosto —21→
equanime per l'epoca in cui veniva formulato, malgrado la
dichiarata avversione al barocco, è uno dei primi
apprezzamenti positivi del poeta limegno, «travieso
ingenio»
, che il critico vedeva, unico tra
i poeti coloniali del secolo XVII, liberarsi dal gongorismo, per
cadere tuttavia nel concettismo, o meglio nell'«equivoquismo rastrero y
juegos de palabras»
. Il Menéndez
Pelayo sottolineava in tal modo le disposizioni naturali del poeta,
ma ne interpretava in modo sostanzialmente errato il significato
dell'opera, affondandola nel cattivo gusto, nota che, come nel caso
di Sor Juana, anche se con maggiore frequenza, è saltuaria
in Caviedes.
La linea
interpretativa del Menéndez Pelayo trova riscontro in quella
seguita da Juan María Gutiérrez, il quale insiste sul
carattere composito della «curiosa y olvidada»
collezione dell'opera caviedesca, documento di un'anima in cui
lottano gli impulsi più contrastanti, sottolineati dal
critico con fantasia compiaciuta39.
Questo modo di interpretare Caviedes esercita ancora oggi la sua
suggestione su non pochi critici. Nella persistenza degli elementi
fantastici si può, forse, ravvisare una inconsapevole
influenza del ritratto corrente, non meno fantastico, di Quevedo.
Certo Caviedes ebbe vita agitata e non sempre onesta; la sua opera
è ricca di spunti satirici, anzi è quasi tutta
satirica, ma ciò non giustifica la sua interpretazione come
autore che scrivesse unicamente preoccupato di divertire e di
divertirsi, benché la sua lingua fosse particolarmente
tagliente.
La critica si
è compiaciuta, inoltre, frequentemente, di fantasticare
intorno alla condotta morale del poeta, presentandolo come un
donnaiolo impenitente e disonesto; da qui, secondo il
Sánchez, gli sarebbero venute malattie che i medici non
avrebbero saputo curargli, col conseguente odio acerrimo di
Caviedes per gli uni e le altre40.
Si tratta di —22→
congetture già formulate dal
Gutiérrez41,
che il Sánchez fa proprie. Comunque, la linea del
Sánchez viene ricalcata anche da altri critici, come
l'Echagüe42
e l'Anderson Imbert43,
il quale ultimo, tuttavia, superando la nota di colore, pone
esattamente l'accento sull'originalità del satirico
nell'ambito del barocco spagnolo, sottolineandone l'indipendenza
intellettuale, l'originalità dell'ispirazione, lo stile
«conciso y
chacotón»
44.
Allo stesso fine, vale a dire di dimostrare l'originalità
del Caviedes, sono volti gli studi più recenti del
Kolb45
e del Reedy46.
Ma il Kolb insiste ancora una volta47
sulle finalità umoristiche del poeta peruviano nella sua
opera.
Esiste, tuttavia, anche un'altra versione di Caviedes, diffusa da alcuni critici, tra essi di nuovo il Sánchez, il quale, dopo aver fatto del poeta un peccatore impenitente, lo presenta in una nuova luce come creatura dolente, sinceramente preoccupato del peccato, avvicinandolo alla figura, anch'essa idealizzata, di Villon, uomo dei contrasti, come il Quevedo della leggenda; proprio da questo suo carattere sarebbe derivato all'opera del peruviano il tono che la distingue così nettamente nell'America del Seicento, e naturalmente di qui viene il tenace proposito di equipararlo al grande satirico spagnolo48.
È questo, infatti, l'accostamento ricorrente in ogni testo letterario in cui si citi il nome di Caviedes, senza che —23→ nessun critico adduca quasi mai prove concrete, mentre si insiste sui termini generici di «Quevedo limegno», o di «Quevedo peruviano».
Il Sánchez
scrive49
che, mentre i contemporanei del poeta di Lima seguivano le orme
gongorine, egli si mantenne in quelle di Quevedo. Si tratta di una
realtà trasparente; Caviedes fu per tutta l'attività
letteraria un concettista, e in Quevedo trovò il suo maggior
modello, soprattutto per quanto riguarda gli scritti satirici, per
congenialità di carattere. L'orma del satirico spagnolo, in
Caviedes, è però frutto di un'assimilazione originale
di letture, che viene a potenziare le naturali disposizioni
creative. Il Lohmann Villena ha sottolineato la somiglianza che
esiste tra gli epiteti applicati dal Caviedes ai dottori nel
Diente del
Parnaso, e quelli usati da Quevedo sullo stesso tema, e ha
rilevato una serie di argomenti collimanti50,
come nel caso del sonetto quevedesco che inizia col verso «Que tiene ojo de culo es
evidente»
51
e il «romance» di Caviedes dal
titolo «Defensa de un
pedo»52;
e ancora tra il notissimo sonetto del satirico spagnolo,
«A una nariz»53,
e il lungo «romance» del peruviano
intitolato «A un narigón
disforme»54.
Per quest'ultimo tema, tuttavia, mi sembrano assai più
vicini al modello, anche per la forma metrica, due sonetti, l'uno
dedicato «A un
abogado narigón», l'altro «A otro
narigón»55,
soprattutto quest'ultimo, efficace nella descrizione
—24→
della «atroz
grandeza» del naso, ridicolizzato con il
caratteristico procedimento iperbolico del sonetto di Quevedo, ma
già con tina originalità di accenti, tanto nei
sonetti come nel «romance» citati, che
afferma l'autonomia del Caviedes entro il medesimo tema.
Il Lohmann Villena, fondandosi su altri passaggi che adduce nel suo studio, giunge a una conclusione che anche noi, col Kolb56, riteniamo eccessiva, in quanto afferma che, a un'attenta lettura del Diente del Parnaso, traspare con evidenza l'abbondante parafrasi del Libro de todas las cosas di Quevedo, e del Sueño de la Muerte, oltre che de La hora de todos.
Con maggior misura ed esattezza il Carilla studia l'argomento delle relazioni tra Quevedo e Caviedes, avvertendo che, pur imitando in diversi momenti la poesia del satirico spagnolo, il poeta peruviano non esagera mai nei suoi prestiti, anzi li elabora in modo originale, con agile penna, così che tra i due poeti esistono, più che altro, punti di contatto57. Tra Quevedo e Caviedes appare chiara, intanto, una sostanziale affinità quanto a causticità di ingegno e a impegno morale. Nel poeta limegno ne è testimonianza la maggior parte dell'opera satirica, nella quale affiorano spesso gli stessi temi che troviamo nella satira più impegnata di Quevedo. Il che, per il caso di Caviedes, non significa imitazione, bensì osservazione attenta di una società, quella coloniale, in cui perduravano, e talvolta accentuate, le condizioni morali che già Quevedo aveva condannato per la Spagna del suo tempo.
È naturale che il favore di cui il satirico spagnolo godette presso il Caviedes abbia lasciato orme materiali nella sua creazione letteraria. Il nome di Quevedo ricorre alcune volte direttamente nell'opera del poeta di Lima; è il caso dei «Romance a saltos»58, diretto, come la maggior parte della —25→ poesia di Caviedes, contro i medici, di cui riprende a forti tinte l'avarizia:
|
Il passo citato
richiama chiaramente il romance satirico quevedesco che inizia con
i versi «Pues me hacéis
casamentero, / Angela de
Mondragón...»
59,
precisamente là dove dice che il medico
|
Quevedo è
menzionato direttamente anche nel titolo di una delle molte satire
scritte dal poeta peruviano contro il dottor Bermejo, «Los efectos del
protomedicato de Bermejo escripto por el alma de
Quevedo»
60.
In diverse occasioni il Caviedes prende da Quevedo prestiti
ingegnosi; è il caso del «romance» dedicato «a la bella
Arnarda»
61
ricalcato, in parte, sul «romance» del poeta
spagnolo che ha per titolo «Cura una moza en Antón Martínez
la tela que mantuvo»
62;
verso la fine -già lo ha sottolineato il
Carilla63-,
Caviedes si allontana dal modello, per introdurre allusioni al suo
tempo e alla sua geografia, scagliandosi contro i medici.
Altri punti materiali di contatto con Quevedo li possiamo trovare in diversi passaggi della poesia di Caviedes, ad —26→ esempio nei versi che riportiamo della poesia giocosa intitolata «Agudas»64:
|
È evidente,
qui, il contatto diretto col prologo di Quevedo rivolto «Al lector, como Dios me
lo depare, cándido o purpúreo, pío o cruel,
benigno o sin sarna»
, nel
«Sueño de el mundo por de
dentro», là dove, nel paragrafo
iniziale, afferma:
«Es cosa averiguada (así lo siente Metrodoro Chío y otros muchos), que no se sabe nada y que todos son ignorantes; aun esto no se sabe de cierto: que a saberse, ya se supiera algo; sospéchase»65. |
Reminiscenze di
Quevedo troviamo nel sonetto che Caviedes dedica «A un hijo de un sastre
metido a médico»
66,
in particolare nel bisticcio sastre-desastre, tipico nello scrittore spagnolo,
anche se divenuto luogo comune nella letteratura e nella parlata
corrente del tempo. Nello stesso sonetto appare di chiara
intonazione quevedesca il verso in cui il poeta allude alle
tragiche conseguenze dei recipes del dottore per la vita
dell'infermo:
|
Accenti
tipicamente quevedeschi presentano i morti nel «Parecer que da de esta
obra la Anatomía del Hospital de —27→
San Andrés»
, all'inizio del
Diente del
Parnaso67.
Nel «romance» di Polifemo y
Galatea68
alcuni versi richiamano pure modi espressivi di Quevedo, anche se
applicati a personaggi diversi; parlando di Galatea, una vecchia
«alcahueta» usa la medesima
espressione che Quevedo pone in bocca ai dottori rimasti, nel
Sueño del
Juicio final, con l'incarico di dar conto dei morti: essi
dicono «Ante mí
pasó a tantos del tal mes, etc.»
69,
e l'«alcahueta» di Caviedes:
«Razón tiene que
le sobra / por encima del tejado, / ... porque pasó, como
dicen, / ante mí, doy fe del caso, / como latamente consta /
de mi oficio de recaudos»
70.
L'allusione alla formula usata dai medici per attestare la morte
del paziente è evidente nel passo citato.
La satira contro i dottori accomuna in modo singolare Caviedes e Quevedo, entrambi nemici dichiarati e crudi fustigatori della categoria. Nell'infinito numero di composizioni del poeta peruviano contro i medici merita di essere ricordata quella dedicata ai «Médicos idiotas», nei Remedios para ser lo que quisieres71, in cui si manifesta un atteggiamento identico a quello di Quevedo sul tema dell'ignoranza, dei falsi attributi esteriori di serietà che i medici presentano, con i quali fa tragico contrasto l'assenza di ogni cognizione scientifica. Ricollegandosi ai consigli dati in una precedente composizione del medesimo gruppo, «Doctos de Chafalonia»72 i versi iniziali di «Médicos idiotas» insistono sull'attributo esteriore della professione, la barba:
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
Nella Visita de los Chistes, o
Sueño de la
Muerte, Quevedo aveva già presentato efficacemente i
medici, «las bocas
emboscadas en barbas, que apenas se las hallara un
brazo»
73;
e più oltre, nello stesso Sueños, aveva scritto:
«Luego ensartan nombres de simples, que parecen invocaciones de los demonios: Buphthalmus, opopanax, leontopéltdon, tragoriganum, potamogeton senos pugillos, dicacathalicon, petroselinum, scilla y rapa. Y sabido que quiere decir tan espantosa baraúnda de voces tan rellenas de letrones, son zanahoria, rábanos y perejil y otras suciedades. Y cómo han oído decir que quien no te conoce te compre, disfrazan las legumbres porque no sean conocidas y las compren los enfermos. Elingatis dicen lo que es lamer, catapotia las píldoras, clyster la melecina, glans o glanus la cala, y errhinae el moquear. Y son tales los nombres de sus recetas y tales sus medicinas, que las más veces, de asco de sus porquerías y hediondeces con que persiguen a los enfermos, se huyen las enfermedades»74.
Da parte sua Caviedes, in un altro passo di «Médicos idiotas», esprime gli stessi concetti; nei consigli a chi vuol sembrare medico scrive:
—29→
|
Nel passaggio di Quevedo i termini a effetto appartenevano alla botanica; Caviedes ricorre, invece, all'anatomia, per insinuare meglio che i medici neppure quella conoscevano. La stessa cosa fa, sostanzialmente, in alcuni passi del già citato «Parecer que da de esta obra la Anatomía del Hospital de San Andrés», nel Diente del Parnaso75:
con palabras golpeaditas, | |||
severo y ponderativo; | |||
decir dos o tres latines | |||
y términos esquisitos, | |||
como expultris, concóctrix, | |||
constipado, cacoquimio... | |||
Los ignorantes vulgares | |||
que sólo tienen oído, | |||
se quedan atarantados | |||
amando al doctor-peligro. |
—30→
Nella stessa
composizione il Caviedes pone sull'avviso gli uomini contro la
perniciosità dei medici, «...dañinos, /
contrarios a la salud / y de la vida
enemigos»
. Da parte sua Quevedo scrive ne
El mundo por de
dentro:
«Mira aquel que fuera de la cuerda viste a la brida en mula tartamuda de paso, con ropilla y ferreruelo y guantes y receta, dando jarabes, cual anda aquí a la brida en un basilisco, con peto y espaldar y con manoplas, repartiendo puñaladas de tabardillos, y conquistando las vidas, que allí parecía que curaba».76 |
Nel
«Casamiento de Pico de Oro con una panadera
vieja, viuda y rica»77,
un altro particolare richiama a Quevedo. Il satirico spagnolo ne
La visita de los
chistes, o Sueño de la Muerte, presentava i medici
«la vista asquerosa de
puro pasear los ojos por orinales y
servicios»
78;
e più oltre, in un passo ancor più significativo:
«Cuando vi a éste y a los dotores, entendí cuan mal se dice para notar diferencia aquel asqueroso refrán: "Mucho va del c... al pulso"; que antes no va nada, y sólo van los médicos, pues inmediatamente desde él van al servicio y al orinal a preguntar a los meados lo que no saben, porque Galeno los remitió a la cámara y a la orina, Y como si el orinal les hablase al oído, se le llegan a la oreja, avahándose los barbones en su niebla»79. |
Nel «Casamiento de Pico de Oro» anche Caviedes scrive del protagonista:
|
Punti di contatto con l'opera sia in prosa che in verso di Quevedo presenta la composizione di Caviedes dal titolo «Privilegio del Pobre»80, come ha già posto in rilievo il Carilla81.
La nostra ricerca di punti di contatto tra i due poeti nell'ordine tematico e con dati concreti ci ofire nuovi risultati. È il caso della tendenza all'autobiografia, visibile in particolare per Caviedes nella «Carta que escribió el autor e la Monja de México»82, e per Quevedo nel noto «romance» in cui «Refiere su nacimiento y las propiedades que le comunicó»83. Nel poeta spagnolo vi è senza dubbio maggiore amarezza, maggiore orgoglio per il proprio ingegno nel poeta limegno. Un altro tema accomuna ancora i due poeti, la satira contro la donna, di cui entrambi bollano la disonestà, spesso con trasparente compiacimento erotico. Si veda di Caviedes il «romances» dedicato «A la bella Arnarda»84 e di Quevedo la composizione dedicata «A una dama que bailando cayó»85. Nel settore della satira antifemminista sia Caviedes che Quevedo pongono in rilievo la leggerezza del carattere della donna, le sue debolezze, e quanto inutilmente l'uomo sprechi il suo tempo per ottenerla. Nel «romance» intitolato «Aviendo escrito el Excmo. Sr. Conde de la Monclova un romance, los Ingenios de Lima lo aplauden en mucho y el poeta en éste»86, Caviedes scrive a proposito dell'inutilità di corteggiare la donna:
—32→
|
Nel Sueño de El mundo por de dentro Quevedo aveva fatto dire al «Desengaño», sempre a proposito della falsa realtà della donna:
«Si la besas te embarras los labios; si la abrazas aprietas tablillas o abollas cartones; si la acuestas contigo, la mitad dejas debajo de la cama en los chapines; si la pretendes te cansas; si la alcanzas, te embaraza; si la sustentas, te empobreces; si la dejas, te persigue; si la quieres te deja»87. |
La sostanza è diversa nei particolari, ma nei versi di Caviedes vi è un richiamo evidente anche nello stile al passo citato di Quevedo.
Un richiamo ancor più diretto al brano riportato del satirico spagnolo si coglie nel sonetto dal titolo «Remedio contra pensamientos lascivos»88, dove l'atteggiamento di Caviedes nel ripudio della donna è identico a quello di Quevedo. Scrive, infatti, il poeta peruviano:
|
Un richiamo a
Quevedo è possibile cogliere anche nel sonetto dedicato
«A una dama sumamente
pedilona»89,
dove il poeta peruviano si scaglia contro il forsennato
«pedir» della donna. In
Quevedo il tema è remoto, risale alle Cartas del caballero de la
tenaza, intese a porre in ridicolo le «damas
pedigüeñas», fors'anche con un
sottinteso politico, riferito alla corte spagnola, indebitata e
corrotta, e anch'essa grande «pedigüeña».
Diversi motivi delle Cartas tornano più volte nell'opera di
Quevedo, nella corrispondenza privata come nell'Entremés del Caballero de la
tenaza, e nella poesia; per questa ultima si veda la
«letrilla» che prende il
tema da due versi dell'esercizio quotidiano delle Cartas stesse: «Solamente un dar me
agrada / que es el dar en no dar
nada»
90.
Ma occorre ricordare ancora a questo proposito il
«romance» in cui esprime le
sue «Quejas del abuso de dar
a las mujeres»91.
Punti di contatto
tra Caviedes e Quevedo esistono anche nelle satire che il poeta di
Lima dedica alle donne vecchie, brutte e ricche. Si veda la
già citata satira dal titolo «A un
mozo pobre que casó con una mujer vieja, fea y
rica»92.
Il particolare della mancanza di denti nella donna è uno dei
motivi satirici più efficaci nei due poeti, che mirano a
porre in ridicolo la vana pretesa femminile di farsi credere
giovane a dispetto della realtà. Nell'epigramma dedicato
«A una dama —34→
que se sacó una muela por dar a entender que las
tenía»
93,
Caviedes scrive:
|
Questo passo iniziale è un'evidente variazione, che si fa sempre più personale nel resto della composizione, dei versi con cui prende l'avvio il sonetto di Quevedo intitolato «Mañoso artificio de vieja desdentada»:
|
Ugualmente vicino a Quevedo è il Caviedes per la concezione negativa che ha del danaro, per il senso dell'onestà della vita e il concetto dell'intrinseco valore dell'uomo. Ricercare ulteriori contatti materiali tra i due scrittori mi sembra inutile; le citazioni fatte mostrano a sufficienza -anche se altre ne potrebbero seguire-, quanto il poeta peruviano debba a Quevedo; ma nello stesso tempo dimostrano anche la sua autonomia. Il catalogo che potremmo compilare non condurrebbe ad aggiungere nulla di sostanziale a quanto detto. Il nostro esame si è fin qui limitato a osservare piuttosto la superficie dell'opera di Caviedes. La nostra ricerca intende, tuttavia, andare oltre gli accostamenti materiali, per sottolineare la sostanza di un'influenza che, come nel caso di Sor Juana, potenzia realmente le disposizioni artistiche del poeta limegno, lettore assiduo ed entusiasta di Quevedo. L'affinità maggiore di Caviedes con Quevedo sta soprattutto nell'intima amarezza con cui entrambi contemplano l'avaria del loro mondo, più cupa e —35→ desolata in Quevedo, talvolta più apparentemente divertita in Caviedes, ma nella sostanza non meno sofferta. Per tal modo, se Quevedo è il grande satirico e moralista della Spagna del secolo XVII, Caviedes lo è, con una punta meno di moralista e con un accento più critico nei confronti della religione e delle autorità costituite, per la Lima del suo tempo. Spirito fondamentalmente ribelle, la satira è sfogo della sua natura, lontana, in realtà, tanto dal mascherone lubrico con cui alcuni critici hanno voluto presentare il poeta95, quanto dal tono mistico difeso dal Kolb, il quale valorizza per questo la poesia di argomento religioso del poeta limegno96. In realtà Caviedes in questo settore della sua opera si mostra assai poco ispirato, benché ciò non escluda in lui un atteggiamento sincero quanto a religiosità, nonostante che della religione e della fede, al contrario di Quevedo, egli non appaia mai troppo preoccupato.
Caviedes era soprattutto uno spirito libero, trovatosi a vivere in un mondo bigotto, superstizioso, immerso nell'ignoranza. Egli sente più di Quevedo, direi, il peso di questa sua situazione, e in tal senso presenta un diretto contatto con Sor Juana Inés de la Cruz. La sete di verità che anima la suora, la sua curiosità scientifica, malgrado la dura mortificazione che essa stessa si inflisse alla fine della vita, trovano riscontro in Caviedes in una fede ardita nella verità della scienza, nel disprezzo assoluto per ogni ciarlataneria, per ogni forma di presunzione e d'ignoranza. Lo attesta il sonetto che dedica al terremoto di Lima del 20 ottobre 1687; già il titolo della composizione scopre la posizione ardita dell'autore, allorché afferma «Que los temblores no son castigos de Dios»:
|
Anche Quevedo si era burlato delle credenze volgari. Si veda il sonetto in cui «Desacredita la presunción vana de los cometas»98, e quello in cui «Búrlase de la astrología de los eclipses»99. Ma Caviedes lo fa in modo più scoperto e deciso, con coraggio notevole per il suo mondo, dove il terremoto era manifestazione concreta e ricorrente, e per il suo tempo, professandosi arditamente seguace della verità scientifica. L'attrazione esercitata dalla scienza su Caviedes è attestata da numerosi passi della sua opera; in essa egli vedeva il rimedio concreto contro i mali della sua società. Lo stesso accanimento con cui si scaglia contro i medici non viene tanto dall'influenza di Quevedo, e neppure dalle tanto discusse esperienze personali, quanto dalla preoccupazione scientifica che lo domina e che si spiega facilmente anche tenendo conto della sua condizione di autodidatta -altra nota che lo distingue dal poeta spagnolo-, di cui Caviedes si manifesta orgoglioso.
Il «romance» indirizzato a Sor Juana Inés de la Cruz, in risposta a una supposta lettera della suora, con la quale essa avrebbe chiesto al poeta limegno l'invio dei suoi versi, fa luce su questo punto. Dopo aver protestato di fronte alla «Fénix» messicana la propria ignoranza, al momento di informarla della propria nascita e povera condizione, Caviedes afferma con palese fierezza di essersi costruito unicamente con le proprie forze, avendo davanti a sé un libro immenso, il mondo, su cui esercitare la propria intelligenza; egli è cosciente che proprio da questa sua formazione di autodidatta viene la nota più fresca della sua poesia, quei «frutos silvestres» cui allude nel «romance».
Nel concetto che Caviedes ha della scienza e dell'uomo sta il suo contatto più intimo con Quevedo. La sua opera satirica ha la sua ragione prima nella preoccupazione sincera —37→ per il mondo che lo circonda, del quale va rilevando, non per far ridere, né con atteggiamento dottorale, come talvolta accade a Quevedo, soprattutto nei Sueños, ma con profonda amarezza, i difetti. Naturalmente l'accostamento di Caviedes a Quevedo mostra il limite del poeta peruviano; ma dalla sua poesia emana sempre una nota di vibrante passione che rivela come il satirico abbia sempre davanti uno spettacolo di decadenza che soffre intimamente e che riflette con immediatezza nella sua opera, incidendo profondamente nella sensibilità del lettore.
Di fronte alla realtà peruviana Caviedes si sente scrittore profondamente impegnato, come del resto lo è Quevedo di fronte a quella spagnola. Come Quevedo anche Caviedes vede sgretolarsi irrimediabilmente il suo mondo, insidiato dal danaro -gran tema quevedesco- dalla corruzione delle donne, dalla malafede e dall'ignoranza di medici, preti, ciarlatani, che egli ritrae in quadri ancor vivi oggi. Quello che il Perù offriva a Caviedes era un panorama inquietante dal punto di vista morale, ed egli lo osserva con intima amarezza. Nell'inevitabile scoraggiamento gli rimane unico scampo la coscienza del valore dell'intelletto; che questa fosse per Caviedes un'ancora efficace lo dimostra il sonetto in cui afferma «Que no hay más felicidad en esta vida que el entendimiento»:
|
In questi versi sono compendiati tutti i motivi della satira morale di Caviedes, gli stessi di Quevedo, mentre si afferma la sua alta concezione del valore dell'intelletto.
Come Quevedo, Caviedes non è poeta monocorde; la sua ispirazione si estende ad altri temi, ad esempio all'amore, dove mostra una grazia rude, apparentemente non preoccupata dell'arte, ma precisamente per questo di maggior freschezza e immediatezza, come si può constatare dal «romance» dedicato a Catalina101 e da numerosi altri passaggi. Per quanto riguarda il nostro tema, sia Caviedes che Sor Juana -cui si possono aggiungere altre figure minori dell'epoca coloniale-, attestano la diffusione e la penetrazione di Quevedo in America, rivelando le due direttrici fondamentali di tale influenza: più intimamente assimilata nella sua sostanza riflessiva e filosofico-morale, quella esercitatasi sulla suora messicana; più varia e prevalentemente di carattere satirico e giocoso, ma non meno sostanzialmente preoccupata, quella che si manifesta nel poeta peruviano.