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Amore, morte e devozione mariana nel «Lunarejo» e nel teatro quechua


Di rilevanza come autore drammatico fu Juan de Espinosa Medrano (1629?-1688), «El Lunarejo», autore famoso per l'Apologético en favor de don Luis de Góngora475, testo che ha relegato si può dire in secondo piano la sua non numerosa opera teatrale, composta di due autos in quechua, El hijo pródigo e El rapto de Proserpina y sueño de Endimión, oltre a una tragicommedia in tre «Jornadas», Amar su propia muerte, in castigliano.

L'attività drammatica del «Lunarejo» appartiene all'età giovanile e la commedia Amar su propia muerte, dramma che qui più interessa, fu rappresentata quando era giovane dottorato del collegio-seminario gesuitico «cuzqueño» di San Antonio Abad. A conclusione della commedia lo si esplicita:


Y aquí fin tiene
esta sagrada historia
del Amar su propia muerte.
El doctor Juan de Espinosa
Medrano, aquel a quien debe
el Seminario Antoniano
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créditos que lo engrandecen,
la sacó a luz, cuando era
colegial actual, y espera
que le perdonéis las faltas
si en tal pluma caber pueden.476



Queste parole sono pronunciate da Heber Cineo, lo sposo di Jael, protagonista importante del dramma, e probabilmente costituiscono un'aggiunta voluta dal rettore del Collegio gesuitico, se parla di «créditos» che il Seminario ha verso l'autore, il quale compose la commedia quando era ancora studente, probabilmente intorno al, o prima del, 1650, come pensa il Suárez Radillo477.

In Amar su propia muerte Espinosa Medrano si ispira alla Bibbia, e precisamente al libro dei Giudici, 4. 1-21, dove si tratta di Jabin, re di Canaan, cui il Signore, per punire i figli di Israele, li dà in suo potere. Costui ha come generale Sisara, «forte di 900 carri di ferro», e da 20 anni sta opprimendo gli ebrei. Ma la profetessa Debora, in quel tempo giudice di Israele, ordina, a nome di Dio, a Barac, di riunire diecimila guerrieri, con i quali sconfiggerà il nemico. Tuttavia, la gloria dell'impresa non sarà sua, ma di una donna, Jael, moglie di Heber, la quale ucciderà Sisara. La Bibbia narra a colori foschi la drammatica storia:

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14 Allora Debora disse a Barac: «Sorgi, che questo è il giorno in cui il Signore darà Sisara in tuo potere: il Signore stesso sarà tua guida.» Discese Barac dal monte Tabor, seguito dai suoi 10 mila uomini, 15 e il Signore gettò il terrore e lo scompiglio sopra Sisara e i suoi carri e tutto il suo esercito, che, di fronte a Barac, fu passato a fil di spada. Sisara, sceso dal carro, fuggì a piedi, 16 ma Barac inseguì i carri e l'esercito fino ad Harosetgoim; tutto l'esercito di Sisara fu trafitto di spada senza che ne scampasse neppur uno. 17 Sisara dunque, fuggito a piedi, arrivò alla tenda di Jael, moglie di Heber il Kenita, poiché c'era pace fra Jabin, re di Hasor, e la casa di Heber il Kenita. 18 Uscendo Jael incontro a Sisara, gli disse: «Vieni, mio signore, vieni pure da me senza timore.» Sisara entro nella tenda, e a Jael, che lo nascondeva sotto una coperta, 19 disse: «Dammi, di grazia, un po' d'acqua da bere, che ho tanta sete.» Jael aprì un otre di latte e gli dette da bere; poi lo ricoprì. 20 Sisara le disse pure: «Sta' all'ingresso della tenda e se venisse qualcuno a domandarti: «C'è qui nessuno?» rispondi: «No.» 21 Jael, invece, moglie di Heber, preso un piolo da tenda e un martello, entrò piano piano nella tenda di Sísara e gli piantò nella tempia il piolo, che andò a conficcarsi al suolo. Così morì Sisara, che, stremato di forze, era immerso nel sonno. 22 Ed ecco giungere Barac che inseguiva Sisara: fattasi innanzi Jael gli disse: «Vieni, e ti mostrerò l'uomo che cerchi.» Entrato vide Sisara steso al suolo, morto, col piolo ficcato nella tempia. 23 In quel giorno Iddio umiliò Jabin, re di Canaan, davanti ai figli d'Israele, 24 il cui potere su Jabin andò sempre più a rafforzarsi, finché non l'ebbero sterminato del tutto.478



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Spaventoso assassinio, quello di Jael, e tradimento dell'amicizia, senza che si scorgano motivi giustificanti, se non che la donna rappresenta uno strumento nelle mani di Dio.

Da questo tragico e sconcertante episodio Juan de Espinosa Medrano trae spunto per la sua commedia, non meno tragica, ma arricchita di un molteplice conflitto d'amore, rivelando approfondita conoscenza, oltre che della Bibbia, del teatro spagnolo contemporaneo. Jael è alla fine paragonata alla Vergine che vince il demonio, rappresentato da Sísara.

Nella tragicommedia del «Doctor Sublime», così fu chiamato, vi è almeno una motivazione anche personale perché Jael compia atto così crudele: la persecuzione amorosa di cui è oggetto. Di lei Sísara è fortemente innamorato, come d'altra parte lo è il re, e il legittimo marito è insospettito, per via del ritratto della moglie che ha visto in possesso del sovrano. Si tratta, in realtà, del solito tradimento dei servi, che per danaro hanno consegnato l'immagine della donna a Jabín. Nonpertanto, nel marito ha inizio il tormento del sospetto e della gelosia, che lo porta a progetti di vendetta.

Ciò che più interessa in questa commedia, dal titolo accentuatamente funebre e barocco, dove amore e morte si contendono il protagonismo, è l'armonia della versificazione, sono le metafore di grande raffinatezza cromatica, nelle quali è chiaramente individuabile il magistero di Góngora e di Calderón, la delicatezza delle descrizioni femminili. Jael nella Bibbia non ha volto, mentre nella commedia di Espinosa Medrano illumina con la sua bellezza cinegetica l'opera, a partire dalla scena IV della prima «Jornada», allorché la vediamo scendere da un monte e, si noti, «de corto, con turbante de plumas, aljaba, arco y flechas, muy bizarra»479. Sísara la   —317→   osserva golosamente e nella scena successiva la celebra come «Palestina estrella, / si no ya argentada luna», che inonda «en golfos de luz» il «copete» del monte480. Con ardore egli intesse Iodi alla sua bellezza, che miracolosamente opera sulla natura:


No alentó el alba más flores
con su matutina lluvia
que las que animan tus plantas
y tu coturno fecundan;
pues donde la huella estampas
rosas brotan purpúreas,
y aun el yermo si le pisas
su amenidad les usurpa,
compitiendo con las selvas
donde las flores madrugan.481



Per richiamare l'uomo a una retta condotta, Jael elogia la bellezza della moglie del corteggiatore, Irene, e di fronte alle proteste d'amore del generale, che lamenta la sua delusa speranza, oppone dura ostilità, in un controcanto sul tema della rosa, che è uno dei passi più originali e liricamente ispirati del dramma. Sísara si esprime in questi termini:


¿Viste en su niñez la rosa,
cuando el pimpollo la añuda
y es túnica de esmeraldas
a su pompa rubicunda?
¿dónde el cuerpo a soplos mece
grana infante en verde cuna,
si en el capullo encogida
sus ámbares arrebuja?
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¿y al desbaratarle Apolo
toda la escarcha nocturna,
cuando con labios de luz
los aljófares le chupan,
la gala joya despliega,
el vivo nácar ilustra,
porque sólo tiene vida
si el sol flamante la alumbra?
¿Mas si sombras del ocaso
el carro fúlgido enlutan,
por darle túmulo el golfo
en sus cristalinas urnas,
o marchita se desmaya
o desmayada caduca?
Así mi esperanza en flor
cuando el sol de tu hermosura
le amaneció, tuvo vida,
mas ya la llora difunta,
pues de un desdén el ocaso
la amortigua y la deslustra.



Al che risponde la donna:


¿Viste tú esa misma rosa,
tan bizarra, tan augusta,
que en la vanidad del soto
gloria es bella y pompa suma,
cuyo solio carmesí
pardas espinas circundan,
que a su majestad fragante
sirven de alabardas brutas?
¿Viste que a la rustiquez
que se atreve por sus puntas,
o la hieren atrevidas
o desdeñosas la punzan?
Pues así es rosa mi honor,
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y espinas serán agudas,
desengaños y desdenes
contra ti, si la procuras.482



Un valido poeta certamente il giovane Espinosa Medrano; egli ha saputo dare novità al ricorrente tema barocco della rosa, piegandola al dramma dell'onore, e introdurre nella celebrazione della bellezza femminile aromi agresti e di selve, una inedita nota americana.

Per il codice dell'onore, invece, il drammaturgo accetta pienamente il concetto ispanico: «Basta presumir la ofensa»483; e ancora: «si está el honor difunto / siempre es cadáver la vida»484. Ma al tempo stesso l'offeso è combattuto tirannicamente tra la vendetta e l'amore: «¡Ay, honor, lo que me cuestas!»485. Né manca, in omaggio al diffuso antifemminismo dell'epoca, la manifestazione di un concetto negativo relativo alla donna:


¡Oh mujeres, ciego está
quien no advierte, a buena luz,
cuando la mejor es Cruz
la que es mala, qué será!486



Tra sogni premonitori e segni funesti, tra apparizioni inquietanti, terremoti e suoni funebri, il dramma si avvia alla conclusione, con la sconfitta dell'esercito cananeo nella terza «Jornada». Sísara è assalito da inquietanti presagi; nell'oscura notte si muove la terra e l'uomo si vede direttamente   —320→   minacciato: «me abre el suelo un sepulcro en cada boca»487. Egli coglie tragici avvertimenti, confermati dall'apparizione della morte. La didascalia recita:

Aparece una muerte con alas negras, un clavo en una mano y un mazo en la otra. Túrbase Sísara y sacando hasta media espada, cae, y pasa por el aire la muerte, tocando dentro una trompeta ronca.488



Richiamati i temi della fortuna, di Dio che protegge gli ebrei, ritroviamo Heber Cineo, il marito che si ritiene offeso nell'onore, preda del suo tormento. Su questo tema si intesse un canto di funebri accenti, che la musica accompagna:


Ven, muerte tan escondida
que no te sienta venir
porque el gusto de morir
no me vuelva a dar la vida.489



Il ritornello -copla resa famosa da santa Teresa, ma già nel Cancionero General di Hernando del Castillo attribuita, come ricorda Jaime Martinez, al Comendador Escrivá490- si ripete nel soliloquio di Heber Cineo, che alla fine entra in battaglia, mentre anche il cielo si accanisce contro le truppe cananee. Jael descrive la strage con efficaci accenti, che per qualche verso richiamano il romance della sconfitta del re don Rodrigo nella battaglia del Guadalete contro gli arabi: rossi di sangue i campi, cavalieri e cavalli vinti, con gli scudi e gli elmi ammaccati. Morirà per mano di Jael anche Sísara e il   —321→   re si vedrà perduto: è il trionfo del «pueblo de Dios». Una scenografia baroccamente perfetta conclude il dramma:

Sale el triunfo. Todos los soldados coronados de laureles y palmas en las manos. Detrás Jael en medio de Cineo y Barac a caballo, con plumas y laureles; tocan cajas, clarines y chirimías, mientras salen todos y puestos en el teatro cantan los músicos, que también vienen en el triunfo.491



La tragicommedia termina con il trionfo della donna giustiziera, riconciliata con il marito che ha compreso il proprio errore; Jael è elevata a simbolo del riscatto dal maligno: «Sísara fue la serpiente / y será Jael María»492.

Raquel Chang-Rodríguez ha condotto un esame approfondito delle implicazioni «americane» della commedia, in una prospettiva che mira a sottolineare in essa la diversa percezione della realtà coloniale, la messa in discussione del potere e dell'ordine dominanti, l'accentuazione delle contraddizioni della società locale, i legami strettissimi con la mentalità e la cultura indigene, la sovversione dei simboli del Barocco della Controriforma dalla periferia, e proprio da parte di un poligrafo, scrive, «cuyo más caro anhelo fue, paradójicamente, integrarse a ese mundo a través del saber tan brillantemente desplegado en sus escritos»493.

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Resta da chiedersi se in così giovane età, e nell'ambiente gesuitico in cui viveva, si rendeva possibile tanta diversità di percezioni e di atteggiamenti, che l'autore avrebbe introdotto surrettiziamente nell'opera drammatica. Ma ciò che qui interessa è la validità artistica della commedia, ed è fuor di dubbio che sia un'opera riuscita. Ad essa ci si accosta con qualche iniziale diffidenza, tanto si è abituati a non considerare l'Espinosa Medrano drammaturgo, attratti più dalla prosa eloquente dei suoi scritti maggiori; ma non appena si affronta il testo drammatico e si leggono i martellanti versi iniziali con i quali è rappresentato il tumulto della soldatesca avanzante, lo sventolio dei «bélicos damascos», il «furibundo grito» delle truppe, l'interesse si accentua, poiché il clima richiama non solo l'impetuosità di taluni drammi di Calderón, ma la radicata lezione del Romancero, qui del ciclo del re don Rodrigo e della perdita della Spagna, non certo ignoti al pubblico giovanile del Seminario, poiché i romances erano ben diffusi anche nel Perù dai tempi della Conquista494.

Quanto all'auto sacramental del Hijo pródigo, scritto in quechua, premesso naturalmente che bisognerebbe conoscere questa lingua per darne un giudizio adeguato, esso presenta una notevole semplicità, un certo candore nell'interpretazione della parabola evangelica presentata da Luca (15.11-32), quasi che l'autore si fosse calato -e probabilmente questa era la sua intenzione- nell'elementarità culturale degli indigeni cui si rivolgeva per fare opera edificante. Ma proprio questa semplicità dà al testo -composto secondo il Meneses verso il 1643, quando Espinosa Medrano poteva avere quindici anni495-,   —323→   che ora leggiamo in traduzione496, una sua poesia, nella battaglia tra il corpo e la voce di Dio, che conduce a retto cammino ogni peccatore pentito. Le delusioni del mondo, le sofferenze, riconducono il fìgliol prodigo alla casa paterna, assistito dall'angelo custode, ed è accolto, come sappiamo, da un padre che tutto perdona, e da un fratello dapprima ostile, ma presto anche lui felice per questo ritorno.

Nell'auto sono presenti modelli spagnoli, una simbologia appresa da Calderón, soprattutto, anche se piegata alle esigenze del mondo indigeno al quale il drammaturgo si rivolge.

Quanto al secondo auto sacramental, pure in quechua, Rapto de Proserpina y Sueño de Endimión, ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, né l'Arrom e neppure il Suárez Radillo ne hanno trattato. Scrive, infatti, quest'ultimo, che a Espinosa Medrano «se le atribuye otro auto, que nadie confiesa haber leído, aunque quienes se refieren a él discrepan en cuanto al idioma en que lo habría escrito»497, benché Luis Alberto Sánchez lo dica «estrenado con buen éxito» a Madrid e alla corte di Napoli nel 1677, e ciò confermino anche José Cid e Dolores Marti, seguendo tutti, evidentemente, Clorinda Matto de Turner498.

Il Meneses, tuttavia, include il testo drammatico nel suo Teatro quechua, con argomenti convincenti. Anzitutto Don Agustin Cortez de la Cruz, discepolo e biografo di Espinosa   —324→   Medrano, pubblicando nel 1695, morto l'autore, La novena maravilla, dichiarava compositore del dramma il «Doctor Sublime». Il testo quechua, poi, fu reperito nel 1939: si tratta del codice Navarro, una copia ottocentesca, mentre il codice olografo è tutt'ora ignoto499. Il Meneses avanza anche una data per la composizione dell'opera, creazione di gioventù, quando l'autore era seminarista, così che, afferma, «pudo haber sido compuesta hacia el año de 1644»500.

Ciò che sorprende nell'auto, almeno stando alla efficace traduzione di Teodoro L. Meneses, è la maturità del testo, di grande rilievo se confrontato con El hijo pródigo. Sembra di leggere un'opera di ben altra categoria artistica e di singolare dominio dei mezzi tecnici, di conoscenza di validi modelli ispanici, soprattutto calderoniani, bene assimilati, che conducono alla creazione di un'atmosfera intensamente drammatica, -ma carica anche di delicata poesia, che richiama il clima, in un certo senso, di Ollantay.

La battaglia tra Plutone (l'Angelo ribelle) e Ceres (la Chiesa), per strappare, o condurre, a Endimione (Cristo), Proserpina (l'Anima), conclude con l'immancabile vittoria del bene contro le forze del male, poiché la Grazia e l'Eucaristia intervengono a mondare dei peccati l'anima sempre oscillante, alla fine pentita e riscattata. Vi sono nel testo espressioni di grande finezza, che evocano un mondo naturale americano idealizzato, dando ragione della sensibilità dell'autore, certamente ispirato in questa avvincente opera sacra.

Anche il testo drammatico noto con il titolo di Usca Paucar, -di cui sono vari i codici giunti a noi, tra i quali il più valido è quello di Justo Apu Sahuaraura Inca, della Biblioteca   —325→   Nazionale del Perù501- è stato da alcuni attribuito al «Lunarejo», benché esperti come Juan Antonio Casanova neghino tale paternità e propendano per un autore ignoto. Il Meneses, da parte sua, avanza il nome di un sacerdote, il Dr. don Vasco de Contreras Valverde, e pone la data di composizione dell'opera sulla metà del secolo XVII, tra il 1644 e il 1645502.

Il dramma sacro si svolge in tre «Jornadas» e tratta una leggenda mariana, secondo la quale la Vergine interviene a salvare il principe inca Usca Paucar che, per mutare la sua condizione di povero, era finito schiavo del demonio, con il quale aveva firmato un patto di sangue. Dramma erudito, lo si è definito503, ma anche di profonda umanità, specchio di una situazione di emarginazione e di decadenza in cui era piombato il mondo indigeno con la conquista spagnola. Gli inevitabili difetti di un testo pervenutoci con interpolazioni e tagli diversi nei vari codici non cancellano il valore di questo documento della disperazione, il quale permette allo spettatore, e al lettore, di cogliere, per quanto deboli e imperfetti i personaggi, nella vecchia favola faustica la miseria della condizione umana, l'angoscia di un popolo vinto, o comunque, come afferma l'Arrom, di affacciarsi «a las entrañas palpitantes del hombre»504.

Più che i difetti nella caratterizzazione dei personaggi e nel loro collegamento sulla scena, si impone nel dramma mariano la religiosità, ormai penetrata profondamente, sembra, nel mondo indigeno, la fede nell'ausilio della Vergine, il ripudio del demonio, che compare sotto le note vesti inquietanti   —326→   di «macho cabrío», abile nelle trasformazioni, sottile nell'inganno. La diffusione della figura del maligno nel Nuovo Mondo fu, come sappiamo, immediata e coinvolse con il «diverso» le divinità pagane. Nella sua lettera a Carlo V, in difesa di Hernán Cortés contro il padre Las Casas, fra Toribio de Benavente, scriveva che prima dell'arrivo del conquistatore «el demonio nuestro adversario era muy servido con las mavores idolatrías y homecidios más crueles que jamás fueron»505. In seguito, attraverso l'opera di evangelizzazione, la presenza del personaggio demoniaco fu accentuata in senso naturalmente negativo e anche il teatro peninsulare vi contribuì. Nel dramma Usca Paucar il demonio mostra, nonostante le sue arti, debolezza assoluta di fronte a Maria, che gli ordina di restituire il documento del patto al principe ricorso al suo aiuto. Un auto edificante, ma ricco, se non di azione drammatica, di poesia, nel quale la musica e il canto sono parte rilevante. Notevole è la finezza delle immagini nella celebrazione della natura e dell'amore. Sullo sfondo la nota umoristica del servo con ruolo di gracioso.

Una singolare fioritura di drammi in lingua quechua arricchisce l'età di mezzo del secolo XVII, ma certo il testo drammatico più valido artisticamente è l'Apu Ollantay, considerato per molto tempo di autore ignoto, ma negli anni Ottanta del secolo XX ipotizzato dal Meneses nello stesso vescovo Dr. Vasco de Contreras Valverde, cui si deve l'Usca Paucar506;   —327→   egli dovette rifondere, secondo lo studioso, in una data che individua nell'anno 1647, un anteriore dramma del padre Blas Valera507.

L'opera è in versi brevi e irregolari, suddivisa in tre «Jornadas», e tratta la vicenda dell'amore contrastato tra il giovane e valoroso guerriero Ollanta e la figlia dell'Inca Pachacuti, Qoyllur. La differenza di condizione sociale è all'origine del contrasto e quando la principessa rimane incinta, il padre la fa rinchiudere nella casa delle Vergini del Sole, mentre il cosiddetto frutto della colpa, una femmina, viene fatta crescere in un convento. Intanto Ollanta si è sollevato in armi contro il sovrano; quando è catturato, tuttavia, il nuovo Inca, Tupac Yupanki, successo al padre, magnanimamente perdona e, mosso dalla piccola nipote, riunisce la coppia. Nell'impero si inaugurano così tempi nuovi, e proprio per questo si riaffacciano i sospetti che il dramma abbia le sue origini nell'epoca precolombiana, poiché non si scorge ragione perché in piena età coloniale neppure un indigeno, e l'autore proposto non lo era, avesse motivo, o il coraggio, di celebrare in modo così evidente il buon governo passato. Tuttavia il Middendorf sostiene nel dramma uno stadio d'evoluzione ben posteriore alla caduta dell'impero incaico e la presenza di taluni termini che attestano una contaminazione occidentale508, mentre l'Arrom sottolinea «numerosos anacronismos que confirman también la datación colonial»509, per cui la questione rimane dubbia, tanto più se si tiene conto del fatto che il dramma fu rappresentato nel 1780   —328→   a Tinta, di fronte a Tùpac Amarti II, discendente di sangue reale, sollevatosi contro gli spagnoli, poi vinto e giustiziato con tutta la sua famiglia.

Ad ogni modo l'Apu Ollantay è un dramma non di stampo occidentale, ricco di sensibilità delicata e di una simbologia che non ha nulla a che vedere con i cliché del teatro spagnolo. L'esaltazione della magnanimità imperiale incaica appare al servizio di un'immagine politica positiva del potere, esercitato paternalisticamente dal «Figlio del Sole». Ma ciò che maggiormente si impone nel dramma è la tenerezza del sentimento, la delicatezza delle immagini, la musica e il canto.

Non meno raffinato è il dramma, in tre atti, pure in quechua, El pobre más rico, risalente con una certa probabilità alla metà del secolo XVII. Anche per questo dramma mariano l'autore è più che dubbio. Il Meneses, dopo aver accennato alla possibile paternità del Dr. Gabriel Centeno de Osma, come indica il codice dell'Universidad Mayor de San Marcos di Lima510, propende alla fine per Juan de Espinosa Medrano, per la solida architettura dell'opera, «hecha a base de similitud de personajes y acciones que suponen inmediatamente un perfecto conocimiento de la técnica calderoniana del teatro», e la riuscita drammatica, che ritiene paragonabile a quella delle commedie spagnole del Siglo de Oro, così che l'autore «por atribución más justa y acertada sería el Lunarejo, sin dubitaciones»511.

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La questione dell'autore rimane tuttavia insoluta. Perché, ad esempio, se si rifiuta l'indicazione del codice sanmarchino, non si potrebbe pensare allo stesso Contreras, valido autore dell' Usca Paucar, cui El pobre más rico molto si avvicina? L'opera, poi, nonostante l'entusiasmo del Meneses, non appare così perfetta, almeno stando all'impressione che ne dà la traduzione spagnola, piagata anche di errori tipografici. Non v'è dubbio che l'autore doveva conoscere bene il teatro di Calderón, in particolare La vida es sueño, opera della quale profonda è la risonanza soprattutto nella prima «Jornada», là dove, nel contrasto tra il ricco e il povero, tra il principe Inquii, che sposa la bella principessa Umina, e il principe Yauri Tito caduto in miseria -assistito da un gracioso legato alla realtà più terrena, quella dei bisogni corporali, della sussitenza-, si colgono echi evidenti del soliloquio di Segismundo prigioniero. Ma in questo dramma -che si svolge in un clima di pieno barocco, con le sottigliezze concettose dell'eloquio e della cerimonia propri del mondo indigeno, pervaso di una singolare raffinatezza che potremmo definire «rinascimentale», volta alle bellezze della natura e all'espressione dei sentimenti-, la disperazione del protagonista calderoniano, privato della libertà, si trasforma in lamentazione dolente per la miseria sopravvenuta allo splendore passato. Giorno di cattiva stella quello in cui l'Inca Yuri Tito nacque, «para ser servidor del llanto», destinato a non conoscere gioia:


¡Oh flores, aprended en mí,
la inconstancia de la felicidad;
ayer botón, hoy marchito,
hasta mi sombra es inconocible.512



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La situazione del mondo vinto si riflette nella condizione dell'Inca in miseria, per il quale il desiderio di ricchezza rappresenta una necessità di sopravvivenza. Perciò cadrà preda del diavolo, con il quale firmerà un patto e sarà da lui condotto per mano verso l'amore, proprio della principessa Umifia, rimasta prematuramente vedova: brevità della vita umana, come breve è la felicità, fuggevole la ricchezza, fugace tutto513. Sull'onda degli interventi di musica e di canto si compie la trasformazione del principe arricchito; non trovando la felicità neppure nella mutata condizione e nell'amore, egli pensa alla morte, ma anche la sposa, che sente indifferente il marito, finisce per desiderarla, purché non torni a darle la vita:


Ven muerte bien escondida,
no te anunciaré que vienes,
no vaya a ser que el placer de morir
nuevamente me vuelva a dar la vida.514



Voci misteriose, tuttavia, predicono all'uno e all'altra il reincontro e con esso la felicità, precisamente nella pampa di Belén, dove esiste una chiesa della Vergine; pampa che cambia misteriosamente la pena dei cuori. Alla fine l'incontro si verifica; invocando l'aiuto di Maria il diavolo viene sconfitto con l'ausilio dell'arcangelo Gabriele. La coppia principesca torna ad amarsi e anche i servi si sposano. Finisce così


la vida de este Inca,
que de pobre llegando a ser rico,
fue súbdito del Demonio;
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y ahora siendo pobre,
más rico se hará.
Solamente el servir a la Virgen María
es lo correcto en este mundo.515



Edificazione e religiosità sincera si fondono nell'auto mariano, dando un'immagine singolarissima del culto alla Vergine nel mondo indigeno, immagine che contrasta con la vita reale dei nuclei urbani dove, a quanto è dato supporre, e Caviedes lo conferma autorevolmente, la vita si svolgeva con costumi non proprio edificanti. E importante poi rilevare, attraverso la produzione drammatica illustrata, il corso che ancora aveva oltre la metà del secolo XVII la lingua indigena nel vicereame.



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Arriba- 6 -

Satira e celebrazione nel teatro di Caviedes e di Llamosas


Gli ultimi decenni del Seicento sembrano dare in Perù, almeno da quanto fino ad ora ci è pervenuto, scarsi frutti per quanto riguarda la produzione drammatica. Sulla fine del secolo, tuttavia, due autori ancora, per diverso merito, sono da ricordare: Juan del Valle y Caviedes (1645-1697, o 1699) e Lorenzo de las Llamosas (circa 1665-dopo il 1705). Il primo, valido poeta satirico, famoso per il Diente del Parnaso516,   —334→   è colui che impietosamente denuncia la corruzione della società limegna di un'epoca ormai critica per la Colonia, e per tutto il mondo iberico, sotto l'ultimo re della casa d'Austria.

Acerrimo nemico delle donne e dei medici, Caviedes lo è soprattutto, da autodidatta quale era, dell'ignoranza, come si coglie dalla sua produzione poetica, ora che la sua figura è stata definitivamente liberata dalle fantasie di «poeta maledetto» con cui l'aveva presentata Ricardo Palma in una delle sue Tradiciones peruanas517. Luis Alberto Sànchez lo definiva, forse più giustificatamente, un «Villon criollo»518; era comunque un vivace ingegno, un uomo preoccupato dell'avarìa del mondo, in un'epoca funesta per Lima, afflitta da terremoti, dalla corruzione e da una diffusa miseria, dalla quale non si salvavano poeti e attori, i quali ultimi, se stiamo al Lohmann Villena519, dovevano ricorrere alla carità del pubblico se volevano andar vestiti.

La vena satirica di Caviedes lo porta, naturalmente, a preferire tra i suoi autori Quevedo, ed è agevole stabilire i punti di contatto tra i due520, ma l'originalità del peruviano sta nella sofferta istanza morale, che si impone sull'ibrido della satira e la violenza del linguaggio521.

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Quanto al teatro, se cosí possiamo chiamarlo, poiché di brevi composizioni si tratta, bailes cantati, ridotti nell'azione, si limita a tre opere di argomento satirico sul tema dell'amore: Entremés del Amor alcalde, Baile cantado del Amor médico, Baile del Amor tahúr. Non una produzione di particolare livello, s'intende, significativa più per la fama del poeta che per eccelsi meriti artistici -anche se il Cisneros sottolinea, giustamente, l'abile uso dell'allegoria e la buona assimilazione dell'arte drammatica dell'epoca522-, pur sempre interessante, anche perché in sintonia con il resto della produzione dell'autore, cantore disincantato dell'amore nelle sue negatività, poste in rilievo anche nelle brevi opere citate.

Nell'Entremés del Amor alcalde523 Cupido giudica cinque prigionieri della passione amorosa, gente che non ha giudizio, e avverte che nel suo carcere il fatto che non vi siano donne si deve a che esse sono già prigioniere dell'interesse. Come si vede, la polemica è immediata e pungente. Gli innamorati in genere sono degli sciocchi, meno colui che è diviso tra il ripudio e l'attrazione per una «fea discreta», espulso subito dal giudizio perchè Cupido considera che non è cieco chi ama «con luces / de amor discreto»524. Condannabili sono invece: colui che soffre per una «tonta y hermosa», attratto dalla vista, deluso dalla parola, e l'innamorato di una donna «tonta y fea»: se il primo è condannato a che, «en un grillo», i mali «del uno al otro» possano servire di consolazione, poiché «uno pena lo tonto / y otro, lo feo», il secondo lo è per essere caduto nelle «trabas / del Cupido de jumentos», che   —336→   ha fatto causa d'amore due motivi propri per non dar luogo a tale sentimento.

Che dire poi di uno che s'innamora di una «interesada» e che per lei s'impoverisce? La satira contro le donne «pedigüeñas» era corrente nella poesia del secolo, maestro Quevedo. La sentenza di Cupido sancisce la condanna del «pobre y mentecato» all'amore di vecchie che, dice il giudice, «son / mis azotes y mis remos». Invano il disperato interpone appello: la condanna è ribadita: «Quered viejas, pobrete, / que pagan feudo».

Finalmente, l'ultimo prigioniero, che protesta per essere stato burlato nei suoi desideri dopo aver soddisfatto in danaro «una petición amante», viene condannato in quanto «necio», poiché si è comportato con leggerezza, dando prima di aver avuto, in quanto «El favor no lo alcanza / quien da primero». Anche questo prigioniero si appella, ma la risposta di Cupido è che come giudice supremo non ammette proteste.

Di maggior interesse è il Baile cantado del Amor médico, il quale viene a curare mali d'amore, poiché ricco di esperienze negative lui stesso, rimedi per i ciechi, cure che accentuano la malattia amorosa. Il primo ammalato soffre per un rigoroso e gelido «desdén» che accresce la sua passione. Il rimedio del medico è di raffreddare con il gelo della donna i suoi bollenti spiriti. Il secondo infermo soffre invece di gelosia, vede tradimenti dappertutto. Morirà, dice l'Amore medico, perché si tratta di due «quereres» al contempo, della donna e di se stesso. Il terzo ammalato soffre godendo di soffrire. Si tratta di complicazioni d'amore, dice il medico, che bisogna curare alla rovescia: «póngase el mal por remedio, / y estará con él sin él», perché «si del bien sana mal, / sane mal del bien». Quanto al quarto sofferente egli è «cieco d'amore» e vede più quando non guarda, mentre è cieco quando vede. Il rimedio è «que al objeto de la vista / mire mal y verá bien».

  —337→  

Di grande efficacia è la rappresentazione di colui che è ammalato di un qualcosa che non riesce a definire. Il suo discorso cantato diviene surreale:



   Yo tengo un como-se-llama
después que vi un no sé qué,
y me dio un tal como dicen
que me comosellamé.
 

 Estribillo: 


   Y sí, mi señor,
    ¿entiéndeme usted?
    en fin, como digo,
   ¿déjome entender?



Risponde l'Amore medico:



   Ese mal, ¿cómo se nombra?
se ha de llamar, llámase,
en el pico de la lengua
lo tenía y se me fue.
 

 Estribillo: 


   ¿Está usted conmigo?
   ¿parécele a usted?
    Pues eso, y esotro,
    digo algo, ¿eh?



Insiste l'infermo:



   Yo estoy comosellamado
desde que a verle llegué
con un aquél que me hace
salir fuera de mi aquél.
—338→
 

 Estribillo: 


   Y sí, mi señor, etc.



Cantando l'Amore risponde:



   Póngase usted unos aquéllos
con que a otro enfermo curé,
que adoleció, no sé cómo,
de haber visto a no sé quién.
 

 Estribillo: 


   ¿Está usted conmigo? etc.



Riprende il dolente:



   Perdóneme que le atajo,
mi como le llaman es,
como digo de mi cuento,
¿en qué iba, que me olvidé?
 

 Estribillo: 


   Y sí, mi señor, etc.



Discorso tra sordi, dove l'Amore si prende gioco di un innamorato fuori di testa, rimbambito dal sentimento che non sa definire, perché, come canta il medico:


   Al amor nadie lo entiende
porque su cautela es
no ser de nadie entendido
para dar más que entender.



Il risultato è che tutti e cinque gli ammalati d'amore rifuggono da questo «como-se-llama» indefinibile, che è miele,   —339→   «almíbar», fiele, qualche cosa che addolcisce e amareggia al tempo stesso.

Il terzo atto unico, Baile del Amor tahúr si fonda sul gioco. Gli innamorati sono, infatti, «Jugadores de Venus», un gioco per il quale occorre danaro, e l'Amore è un inganno della vista, una lotteria, un rischio. Nella sostanza, presa di mira è la donna per le sue arti seduttrici, l'abilità nell'uso dell'artificio per rendersi attraente, presta ad accettare chi le offre danaro. E la satira sviluppata in tanta parte della poesia dell'età barocca, anche da Caviedes nel Diente del Parnaso, centrata sul luogo comune della corruzione femminile, che rimanda a quel Poderoso caballero es don Dinero di Quevedo.

I tre Bailes non presentano, come si vede, sostanziali differenze tematiche, e tuttavia hanno una loro grazia e una indiscutibile vivacità. L'Arrom, influenzato probabilmente dagli elementi maledetti del passato e dalle notizie circa la reale indigenza dell'autore, ha visto anche qualche cosa di più sotto la «travesura ingeniosa»: «la desazón espiritual de la época, exacerbada en Caviedes por sus padecimientos físicos y sus reveses económicos»525.

Autore abbondante fu Lorenzo de las Llamosas. Ingegno precoce e sorprendente, capace di dettare a più scrivani opere diverse contemporaneamente. Cortigiano, benvisto dal viceré, conte della Monclova, protetto dal suo predeccessore, il duca della Palata, con il quale, alla fine del suo governo, intraprese il viaggio di ritorno in Spagna; ma il 13 aprile 1691 il duca moriva a Portobelo526, quindi, giunto a Madrid,   —340→   il Llamosas fu costretto a cercare un nuovo protettore, che trovò a Corte nel marchese di Jódar.

La vita dello scrittore è rimasta in parte avvolta dal mistero: egli fu soldato in Catalogna contro i francesi, poi si recò in Italia; tornato a Madrid fece parte, nel 1700, della commissione reale per la pubblicazione della Fama Póstuma di suor Juana Inés de la Cruz; nel 1704, non si sa per quali motivi, è in carcere, dove scrive le Reflexiones Políticas y Morales sobre la Historia de Asuero Artaxerxes Longimano, Rey de Persia, poi se ne perdono le tracce527.

Nell'ambito drammatico il Llamosas scrive tre commedie-zarzuelas, delle quali la più rilevante è ritenuta quella composta nel 1689, per la nascita di un figlio del viceré conte della Monclova, dal titolo También se vengan los Dioses, fornita di loa e di entremés; El astrólogo fingido. Al 1692 risale la composizione di un'altra commedia dello stesso tipo, Amor, industria y poder, che venne rappresentata più tardi a corte, il 6 novembre 1695, nell'ambito dei festeggiamenti per la ricorrenza della nascita del re Carlo II. Del 1698 è l'altra opera drammatica Destinos vencen finezas. Un teatro che si fonda prevalentemente sulla messa in scena, sull'apparatosità di essa, sulla musica e sul canto, su un eloquio poetico abbondante, dove non mancano anche momenti validi. La società di corte era certamente ben diversa da quella popolare, non prestava grande attenzione alla trama, presa com'era dai propri conversari, attratta solo dalla spettacolarità delle scene, che si succedevano a ritmo accelerato e sempre sorprendenti anche per la loro macchinosità: uno spettacolo soprattutto per gli occhi.

  —341→  

Nella sostanza, non un gran teatro quello di Lorenzo de las Llamosas, già espressione delfinsostanzialità del primo Settecento. Coloro che ne hanno trattato non esitano a dare giudizi limitativi o addirittura del tutto negativi. Il Lohmann Villena, che pure s'inorgoglisce di questo drammaturgo peruviano sul finire del secolo XVII, mentre definisce «excelente» il poema eroico Demofonte y Filis sulla guerra di Troia, giudica l'opera drammatica più consistente del Llamosas, También se vengan los Dioses, «una zarzuela desprovista en absoluto de todo color local», che vale più per le sue canzoni, coplas e balli, per «un hermosísimo y delicado parlamento de Isico», nella seconda «Jornada», in cui il personaggio descrive le proprie sofferenze per i «desdenes» della sua dama, e conclude: «Sólo este rasgo puede salvar a dicha zarzuela del total olvido»528.

Neppure entusiasta si mostra il Vargas Ugarte, coraggioso e unico antologo fino ad ora delle opere del Llamosas, se scrive, a proposito della commedia citata, che se dovessimo giudicarla con i criteri d'oggi circa l'arte drammatica, «la habríamos de calificar de mala», ma «juzgándola más benignamente y en relación con la época y el gusto literario de entonces la consideramos pasable»529. Negativo è pure il giudizio dell'Arrom, per il quale También se vengan los Dioses ha un interesse non in quanto opera letteraria, ma piuttosto come documento per la storia del gusto teatrale, poiché riflette l'importanza che all'epoca avevano assunto nel teatro la musica, il ballo, il canto, il vestiario e la complessità dell'elemento scenografico530.

  —342→  

Severo è anche il giudizio del Suárez Radillo sul complesso della commedia, includendo loa ed entremés; due documenti questi, a suo giudizio, pienamente condivisibile, della «genuflexión» dell'autore davanti ai potenti, mentre il tutto «tipifica al teatro barroco palaciego con sus personajes alegóricos y mitológicos, su lenguaje retórico y alambicado y su complicadísimo aparato escénico»531.

Non si può non essere d'accordo con le critiche esposte, ma pure qualche cosa dell'opera drammatica di Lorenzo de las Llamosas va salvata. Non solo il suo significato documentale di un tipo di teatro e di un'epoca, ma, al disopra di ogni macchinosità e della fantasia superficiale, della carenza di segni della «peruanità» o dell'«americanità», la riuscita di alcuni passi lirici, la fine sensibilità quando l'autore si trova in stato di grazia, dimostrazione che il Llamosas non era sprovvisto di doti, più evidenti nell'ambito poetico che in quello drammatico.

También se vengan los Dioses presenta spesso una versificazione fluida, non di rado ricca di armonia. Stucchevoli sono invece gli intrighi, o meglio gli equivoci d'amore che reggono tutta l'impalcatura della commedia. Un lavoro teatrale che bisognerebbe considerare nella sua spettacolarità visuale e nell'apporto di canto e di musica per darne un giudizio adeguato. Così le altre commedie, in particolare Amor, industria y poder, opera in due «Jornadas», preceduta da una loa dove compare una scenografia ricca di fiori, di cornucopie, di selve e di rivi, il sole, un orologio governato da un «Joven galán» rappresentante il tempo, che «iba moviendo la muestra de las horas al paso del Sol, estando orlado el Relox de   —343→   las tres Ninfas, que son las tres Edades, la cuales se iban moviendo alrededor del Círculo», mentre Tempo e Ninfe cantano accompagnate dalla musica532.

Canto e musica dominano in Amor, industria y poder, per svolgere il tema mitologico di Diana, acerrima nemica dell'amore, e per contrasto del potere di Cupido, che facilita a Giove la conquista di Europa, rapita alla fine su un toro bianco. Scene spettacolari costituiscono l'attrattiva principale della commedia-zarzuela: fiori, giardini e fonti, selve e rocce, Giove in alto su nubi, Cupido su di un pallone, o entrambi su una nave... La prima giornata, infruttuosa per l'amore, si chiude con un'improvvisa tempesta:

Al armar los arcos Diana, y las Ninfas se va extendiendo la nube, sobre que están Júpiter y Cupido, y disparará una tempestad bien imitada, que ocupe todo el Teatro, el cual se irá obscureciendo como se fuere dilatando la nube, con la cual se encubrirán las dos Deidades al fin de la jornada.533



La «Jornada» seconda è quella del trionfo dell'amore, dell'«industria» di Cupido in aiuto di Giove. Diana è vinta, trionfa Venere. Anche qui abbondanza di fiori, selve, fonti, templi, Venere «en un Solio, sobre una estrella», e un palazzo meraviglioso, quello del Destino, «orlado de varias empresas de dichas y desgracias», alla cui scomparsa i due «bastidores» che lo nascondono mostrano le pitture di quattro favole: «Júpiter convertido en cisne por Leda, Endimión en los brazos   —344→   de Diana, Flora y Zéfiro enlazados de la mano con una ghirnalda y Anaxarte, convertida en mármol534».

Il tentativo di Giove di rapire Europa trasformato in aquila non ha successo, ma lo spettacolo doveva essere straordinariamente movimentato. Infatti la didascalia dispone che Europa, «al entrarse huyendo, pondrá el pie sobre una Águila, que la arrebatará, elevándola en el aire, subiéndose Júpiter otra vez sobre su tramoya». In seguito Europa scende di nuovo sul palcoscenico e «vuela el Águila, quedando solos Júpiter y Cupido en sus tramoyas», sullo sfondo la. marina. Su questo sfondo apparirà alla fine la rapita, «nadando sobre un Toro blanco, con una guirnalda en la testa, y atravesando el Teatro». È il trionfo dell'Amore, attraverso il potere e l'industria. Conclusione felice: Cupido umilia ai piedi dei sovrani l'«amoroso desvelo» di attori e autore, e tutti cantano l'Amore, l'Industria e il Potere. L'insostanzialità dell'argomento è chiaramente annullata dallo spettacolo.

Lo stesso discorso, nella sostanza, è da fare per la commedia Destinos vencen finezas, che fu rappresentata a palazzo reale «en celebración de los felices años de Su Majestad», il 6 novembre 1698, presente la regina, doña Mariana de Baviera, alla quale il Llamosas la dedica. Il drammaturgo fece parte, in quell'occasione, per disposizione regia, della «Comisión de festejos» diretta dal marchese di Laconi, alto personaggio di corte. La musica la scrisse don Juan de Navas, «dulcísimo Orfeo de este Siglo»535. Vi intervennero due compagnie teatrali della capitale, con i loro attori più famosi.

  —345→  

L'instancabile genuflesso -ma la vita di corte lo richiedeva a un artista, se voleva sopravvivere- premette alla sua edizione un elaborato elogio, in prosa, della nobile schiatta di don Juan Francisco de Castelvi, sesto marchese di Laconi, decimo visconte di S. Luri, ecc., ecc., gentilomo di Camera del re, maggiordomo più antico, governatore della sua Real Casa, membro del suo Consejo, «en el Supremo de Aragón», concludendo con un «&c»536. Non contento, il Llamosas dedica una pagina alla regina, sotto la cui protezione pone la sua commedia: lei saprà difendere i suoi errori e farà tacere «las necias sentencias de la malignidad ignorante», gli darà il trionfo sui maldicenti, «para que luzca con menos imperfecciones este cuidado, y sea el silencio de aquellos, otro milagro del sagrado respeto con que veneramos a V. Mag. humíldemente todos»537.

Evidentemente il Llamosas doveva aver visto momenti diffìcili come drammaturgo, e giustificatamente538. Le sue commedie presuppongono oggi un notevole impegno di conoscenza, prese come puro testo scritto539. I tre atti di Destinos vencen finezas, d'altra parte, sembrano rivelare una considerevole fretta e certamente sono meno interessanti, anche per l'aspetto scenografico, di Amor, industria y poder. L'autore ebbe poco tempo a disposizione540 e l'argomento prescelto, quello   —346→   della relazione tra Enea e Didone a Cartagine, per la conclusione tragica, che più l'avrebbe ispirato, poco conveniva alla celebrazione cui era destinato, così che il drammaturgo pensò di cambiarlo, dando luogo a un finale melenso.

Dopo la loa propiziatoria di rito, il primo atto si presenta ricco di fantasia e colore, ma l'argomento diviene presto insostanziale: amori e gelosie sospesi sino alla fine. Per terminare con una soluzione corrente nelle commedie di «enredo»: se l'uomo desiderato se ne va, la donna è presta a sposare il rivale prima messo da parte. Enea s'imbarca, infatti, di nascosto, spinto dalla dea Venere verso altri destini positivi ed è così che Destinos vencen finezas. Per una volta non è l'amore a trionfare, ma il disegno degli dei.

L'insieme del festeggiamento doveva essere ad ogni modo vario. Non si riproduce nell'edizione della commedia l'entremés rappresentato tra il primo e il secondo atto, «por no ser del Autor»; tra il secondo atto e il terzo è riprodotto invece un bayle del bureo, i cui protagonisti sono il «Cuidado», il «Rigor» e il «Respeto». Conclude la commedia un Fin de fiesta che ugualmente non si stampa «por no ser del autor».

Si chiude così il secolo XVII del teatro peruviano. Un'altra figura lo verrà ad illustrare, Pedro de Peralta y Barnuevo (1664-1743), più volte rettore dell'Università di San Marcos   —347→   e membro illustre dell'Academia Palatina, fondata a Lima nel 1709 dal viceré, marchese di Castell-dos-Rius541, ma la sua attività creativa nell'ambito drammatico va situata nel nuovo secolo.







 
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