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«Santa», un romanzo libertino del naturalismo messicano

Giuseppe Bellini






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Nell'ambito del naturalismo ispano-americano Santa, del messicano Federico Gamboa1, è il romanzo che ha goduto di maggior prestigio. Oggi ancora, quasi non esiste storia letteraria che non citi il libro come opera di rilievo, avvicinandolo a Nana di Emile Zola, ma sempre sottolinendone le qualità originali, al disopra della scontata influenza del romanziere francese.

A distanza di tempo una rilettura del testo di Gamboa mi sembra interessante, al fine di stabilire se i giudizi positivi della critica, ripetuti ormai come cliché, permangano validi o se occorra rivederli, col risultato di ridimensionare la fama dell'opera e del suo autore.

A proposito di Santa ricorderò che già in anni passati, con atteggiamento coraggioso, più che impietoso, anche se la critica glielo ha rimproverato2, Mariano Azuela denunciava, in un lucido saggio su cent'anni di narrativa messicana3, le qualità negative del libro, senza tuttavia tener presenti, secondo Fernando Alegría4, i debiti che egli stesso come narratore aveva, proprio nei confronti di Santa, romanzo dal quale avrebbe tratto esempi che in Los de abajo la critica celebrò come originali. L'Alegría, opponendosi a Azuela, ha tracciato di Santa un'acuta difesa, sottolineando5 nel libro gli apporti al naturalismo ispano-americano, la mancanza di rettorica, la bellezza del linguaggio metafórico, il vigoroso colorismo, la forza priva di pregiudizi con cui affronta il tema della decadenza della società messicana, la funzione fondamentale che ha di stabilire un «nexo importante» nel romanzo messicano, quale punto di passaggio dal realismo neoclassico e romántico al regionalismo del secolo XX, per concludere infine che come l'opera di Gamboa non si spiega senza i precedenti che offrono Lizardi e Micrós, così il romanzo della Rivoluzione messicana apparirebbe tronco senza il naturalismo di questo scrittore, «que le sirve de introducción»6.

L'osservazione finale di Fernando Alegría mi trova d'accordo; molto meno le affermazioni specifiche relative a Santa, romanzo variamente giudicato dalla critica contemporánea, senza mai disconoscere le qualità di scrittore di Gamboa7.

Azuela si domandava, nel saggio cui mi sono riferito, apparso nel 1947, se Santa, quindi il più celebre Gamboa, avrebbe resistito all'usura del tempo: «No sé si dentro de cincuenta años Santa siga leyéndose como El Periquillo Sarniento y sea hasta entonces cuando la crítica diga su última palabra sobre la obra de Gamboa»8. Non sembra, tuttavia, che occorra lasciar passare tanti anni. Del resto è già trascorso oltre mezzo secolo dal momento della pubblicazione del romanzo, avvenuta nel 1903, e non v'è dubbio che, mentre il Periquillo del Lizardi ha visto accentuarsi il suo significato nella storia delle lettere ispano-americane, Santa non ha avuto uguale fortuna, anzi, nonostante taluni apprezzabili sforzi, tra i quali, oltre a quello dell'Alegría, va segnalato quello di Francisco Monterde, tutta Topera di Federico Gamboa sembra piuttosto dimenticata, non sollecitare a una nuova e diretta lettura.

La colpa di questo stato di cose può forse, in parte, esser fatta risalire anche alle buone intenzioni degli estimatori, che talvolta conducono il loro lavoro rivalutativo con argomentazioni scarsamente convincenti. Il Monterde, ad esempio, nell'edizione completa delle Novelas9 dello scrittore messicano, sembra voler restituire in modo definitivo il Gamboa all'alta categoría che gli spetta, ma senza rendersene conto contribuisce a rimpicciolirne la statura sul piano umano insistendo, soprattutto per Santa, sulla presenza determinante di note autobiografiche di dubbia qualità. Infatti, secondo il critico, Federico Gamboa avrebbe introdotto nel romanzo molte esperienze vissute: «No es Santa fruto de lecturas sino resultado de lo que vio el autor en aquella etapa de sus iniciaciones en el México nocturno, por los arrabales capitalinos; de las tertulias con amigas y amigos -de los que a veces, como Pedro en Apariciones, se avergonzaba íntimamente-; de los paseos y las fiestas en las cuales lo acompañaba el pianista 'ignorado' Teófilo Pomar, cuyo nombre esdrújulo recordará al bautizar al Hipólito de Santa»10.

L'impegno di Francisco Monterde -che negli anni giovanili conobbe lo scrittore ormai celebre, e lo venerò-, nel sottolineare come segno di indipendenza dai modelli la nota documentaristica d'índole autobiografica, rivela una tendenza del naturalismo, teso alla diretta osservazione della realtà, alla documentazione fedele. E quale osservazione e documentazione poteva essere più fedele della diretta partecipazione all'ambiente da parte dello scrittore, che poi la traduceva nel romanzo?

Con maggior equilibrio Mariano Azuela segnalava11, a questo proposito, che l'elemento autobiografico costituisce nell'opera di Federico Gamboa qualcosa di positivo e di negativo al tempo stesso: di positivo quando lo soccorre in romanzi come Suprema ley, Santa e Reconquista; di negativo quando tale ausilio viene a mancare, il che spiegherebbe la «inferioridad manifiesta» dei romanzi restanti, nei quali l'autore «se hunde y naufraga en la literatura». Per Azuela è molto frequente il caso di un «hombre culto» che scrive un buon romanzo con elementi della propria vita, come altrettanto frequente è il fatto che, allorché lo stesso pretende di creare personaggi diversi da sé, faccia naufragio. Quanto a Gamboa, «Lo cierto es que cuando [...] se dejó seducir por el estilo y la literatura, sus éxitos como novelista terminaron»12.

Si debba a questa o ad altra ragione intrinseca, vale a dire alla mancanza di ispirazione e di perizia nel mestiere, è certo che ciò che Federico Gamboa scrisse dopo Reconquista non ha un valore determinante, dal punto di vista artístico, nella sua opera. D'altra parte neppure Santa, il più celebre dei romanzi del gruppo valido, manca di grossi difetti. E allora, come mai il romanzo godette di tanto favore e Gamboa di tanta fama? Mariano Azuela parla13 di ambiente favorevole allo scrittore messicano fin dagli inizi della sua attività letteraria: «Pocos escritores han disfrutado entre nosotros de la buena suerte de don Federico Gamboa. Desde sus primeras producciones encontró un ambiente acogedor en los cenáculos literarios más selectos de la capital, relacionó con los hombres de letras de mayor renombre -que no fueron pocos en aquella etapa de alta cultura de los últimos días del porfirismo- [...]»; e aggiunge che i suoi saggi «fueron saludados calurosamente per la crítica y adquirieron desde luego la más amplia difusión». Tanto più che Gamboa «poseía el don de gentes y como gran conversador se ganaba amigos y admiradores, siendo además de maneras corteses y muy agradables»14. Come se tutto ciò bastasse per ottenere il successo a un letterato. Ciò che Azuela non afferma chiaramente, ma che certo rappresenta il suo vero pensiero, di scrittore che per affermarsi ebbe parecchie difficoltà, nonostante il valore reale della sua opera, è che al Gamboa letterato giovò la sua posizione nella diplomazia, do ve ricoprì incarichi importanti -che più tardi, al trionfo della rivoluzione, furono fonte di amare conseguenze, l'esilio e la povertà-, e il fatto di essere stato per molto tempo, per tali incarichi, lontano dal Messico, vale a dire dal fuoco delle lotte e delle beghe letterarie nazionali. Uomo politico di rilievo e scrittore residente fuori dei confini nazionali, il suo successo non doveva dare eccessiva ombra in patria. Il fatto poi che per vario tempo il Gamboa avesse rappresentato il Messico in paesi ispano-americani, soprattutto del centro America, giovò, secondo l'Azuela, alla diffusione continentale della sua opera e gli creò «el ambiente más favorable para la difusión de sus libros»15.

Il tentativo di Mariano Azuela di spiegare a se stesso, prima che al lettore, la singolarità del successo di uno scrittore a suo parere -è questa la sostanza della sua posizione- tanto criticabile, malgrado ne affermi il vigore16 e lo dichiari «figura de primer orden en la novelística mexicana»17, è scoperto. Si tratterebbe di una fama e di un successo ottenuti con facilità, col favore delle accennate circostanze. Tuttavia, su queste basi è difficile giustificare l'adesione su così larga scala del pubblico lettore. Tale adesione, sottolineata dalla critica, si manifestò in particolare per Santa, che lo stesso Azuela afferma essere «la novela mexicana más leída»18. Più verosimilmente, ciò che dovette attirare il lettore fu l'argomento piccante del romanzo, la descrizione di una società, quella messicana, «enfocada» in modo drammatico, con tutte le attrattive dei suoi aspetti «maledetti», che il naturalismo di Gamboa metteva in evidenza. Né bisogna dimenticare di quale pubblico lettore doveva trattarsi, date le condizioni culturali dell'America Latina, nella quale, nonostante gli esiti letterari, il Messico non rappresentava un'eccezione: l'elemento «illustrato», potenzialmente lettore, era costituito essenzialmente dall'alta borghesia e dalla media, dedita a professioni non commerciali. Gamboa stesso apparteneva alla borghesia di rilievo nella vita politica del paese e ciò vale a spiegare, soprattutto per Santa, a mio parere, non pochi squilibri e un punto di partenza costantemente falso nell'esame della società messicana.




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L'argomento di Santa è noto: si tratta della storia di una contadina particolarmente avvenente che, sedotta da un ufficiale e abbandonata, viene cacciata di casa dalla madre e dai fratelli e per reazione si rifugia nella capitale, dandosi alla prostituzione; in questa nuova vita la sua bellezza le procura una «carriera» strepitosa, giunge ad avere amanti assai ricchi, disposti a tutto per lei; in due occasioni, personaggi di diversa levatura e carattere, «el Jarameño», un torero spagnolo di successo, Rubio, un esponente della «buona società» borghese, offrono alla donna la possibilitá di ricostruirsi una vita, ma Santa, intimamente attratta al vizio da una natura corrotta, torna sempre alla prostituzione, finché ammalata cade in case di infimo ordine; alla fine sembra riscattarsi nell'amore di Hipólito, il pianista cieco della prima casa di malaffare in cui era entrata, ma minata ormai dal cancro Santa muore durante l'operazione chirurgica che l'avrebbe dovuta salvare.

È una storia lugubre e tragica per la quale il ricordare Nana di Zola è alquanto ardito, anche se non è ingiustificato affermare che in Santa Gamboa diede l'equivalente americano del romanzo francese citato19, non nel senso di un'imitazione e neppure di una raggiunta parità di livello artistico, bensì unicamente perché se Nana fu, su questo tema, il libro più significativo del naturalismo francese, Santa lo fu del naturalismo ispano-americano. Infatti, né Nacha Regules di Manuel Gálvez, né Beba di Carlos Reyles e neppure Juana Lucero di Augusto D'Halmar riuscirono a eclissare il significato emblematico di Santa in Ispanoamerica, la sua rappresentatività di un mondo che si dibatte tra il fango e l'aspirazione alla purezza, nel quale ancor oggi la casa di malaffare e il sesso hanno una parte così importante, se ricompaiono con insistenza anche nelle maggiori opere della narrativa attuale, come La casa verde di Vargas Llosa, Juntacadáveres di Onetti, Cien años de soledad di García Márquez, in vari libri di Miguel Ángel Asturias, per non citare che alcuni dei nomi più noti.

Tra Santa e Nana, è giusto riconoscerlo súbito, corre un'enorme distanza, sia per il significato che per l'efficacia dello stile e la struttura del romanzo. Zola interpreta e prospetta una società prossima allo sfacelo, quella della fine dell'impero di Napoleone III; egli ne penetra in profondità la corruzione, che è soprattutto corruzione delle classi alte, le quali nascondono i propri vizi sotto un'apparenza ipocrita di rispettabilità e di moralità che non inganna certo chi, come la bella «mangeuse d'hommes», Nana, ha una profonda conoscenza d'uomini, di quei medesimi che, in una occasione, ella contempla alle corse, e che sembrano rappresentare la crema della società:

«[...] Alors, elle continua, en montrant les tribunes d'un geste dédaigneux: -Puis, vous savez, ees gens ne m'épatent plus, moi!... Je les connais trop. Faut voir ça en déballage!... Plus de respect! Fini le respect! Saleté en bas, saleté en haut, c'es toujours saleté et compagnie... Voila pourquoi je ne veux pas qu'on m'embête.

Et son geste s'élargissait, montrant des palefreniers qui amenaient les chevaux sur la piste, jusqu'à la souveraine causant avec Charles, un prince, mais un salaud de même»20.



L'esame della società francese è condotto da Zola con abile distacco che lo salva dal cadere nella stucchevolezza del tono moraleggiante e gli permette di raggiungere, cosi, più facilmente e in modo più efficace lo scopo che si prefigge, la denuncia delle responsabilità delle classi privilegiate, alle quali incomberebbe, con la guida del paese, un esempio di moralità. Dopo tante pagine di abbrutimento nei sensi, si fa più tragico il contrasto, sullo sfondo miserevole della morte della protagonista -in una camera d'albergo, per vaiolo, al ritorno da ulteriori e fantastiche quanto imprecisate avventure erotiche in Russia-, tra il marasma spirituale in cui si consuma la nazione e il grido euforico e incosciente delle reclute che inneggiano a una guerra che dovrebbe concludersi con la presa di Berlino. Con singolare incoscienza la Francia si accingeva alla guerra contro la Prussia, nella quale avrebbe trovato la sua fine il mondo napoleonico, la società corrotta e godereccia del secondo impero.

Nana è il pretesto, o il mezzo, attraente nella sua bellezza erotica e nella sua complessità spirituale, per un atto d'accusa durissimo di Zola alla società del suo paese. La fanciulla stupenda, che soggioga con lo splendore della sua carne -«[...] et Nana, en face de ce publie pâmé, de ees quinze cents de personnes entassées, noyées dans l'affaisement et le détraquement nerveux d'une fin de spectacle, restait victorieuse avec sa chair de marbre, son sexe assez fort pour détruire tout ce monde et n'en être pas entamé»21- è un giocattolo che il narratore maneggia con consumata abilità d'artista. Sullo sfondo sfavillante e gaio, malgrado tutto, di una vita di pseudo-artista, che altro non ha da offrire all'arte e al pubblico che la bellezza apparentemente disarmata della sua nudità, Nana si rivela nella sua condizione di femmina amante del piacere, attratta dal peccato per ataviche presenze e al tempo stesso intimamente nauseata dell'uomo schiavo dei sensi; una donna alla ricerca del successo, del danaro per soddisfare la propria leggerezza; crudele e teñera, ma di una tenerezza sentimentale, «sensiblera», indulgente a perversioni incomprensibili, o ad amori sinceri che non possono che avere come oggetto creature bestiali o grossolane; un misto di bontà popolare e di malvagità crudele, nel godimento con cui distrugge gli uomini schiavi del suo corpo. Alla base di questo essere complicato sta un'origine infima, di miseria e di peccato, incestuoso o venale, a infimo prezzo. A tale situazione il romanziere allude fuggevolmente, ma con più efficacia che se vi insistesse caricando le tinte. Ciò dovrebbe spiegare come la donna sia divenuta «une force de la nature, un ferment de destruction, sans le vouloir elle même, corrompant ed désorganisant»22. Non certo, però, nel senso voluto da Fauchery, un giornalista dell'«entourage», che considera Nana il prodotto inevitabile di una condizione infima e vede in essa «la pourriture qu'on laissait fermenter dans le peuple» e che «remontait et pourrissait l'aristocratie»23. Per Zola, infatti, l'aristocrazia francese non aveva bisogno di essere contaminata dal popólo, anche se non mancano nel romanzo personaggi di bassa estrazione che con le loro tare rappresentano le deformazioni spaventose della società. In Nana tutto è posto in discussione, a partire dal vértice dello stato, ma il popolo è presentato piuttosto come la vittima della corruzione delle classi alte e non è il responsabile della condizione nazionale.

Non così Gamboa in Santa. La sua posizione nel romanzo appare, infatti, singolare. Quale appartenente alla borghesia «decente», tanto più con responsabilità di governo, si direbbe che egli ne difenda la rispettabilità, anche se non può esimersi, in alcune occasioni, dal denunciare i «maridos modelos y papás de crecida prole que no pueden prescindir del agrio sabor de una fruta que aprenden a morder y a gustar cuando pequeños»24, o dall'accomunare tutti gli uomini in un «atajo de marranos y de infelices, que por más que rabien y griten, no pueden pasársela sin sus indecencias»25. Gamboa sembra convinto, e voler convincere il lettore, che il peccato è connaturato alle classi umili e alla donna. La sua mancanza di simpatia, di comprensione per i diseredati dalla vita e per gli strati inferiori della società è trasparente. La caduta di Santa è la «historia vulgar de las muchachas pobres que nacen en el campo y en el campo se crían al aire libre, entre brisas y flores, ignorantes, castas y fuertes»26; il suo disprezzo per la contadina «ignorante» supera ogni altra considerazione e spesso il termine «campesina» è usato con inoccultabile ripugnanza: «hasta las palideces por el no dormir y las hondas ojeras por el tanto pecar, íbanle de perlas a la campesina»27, scrive riferendosi a Santa ormai datasi alla vita. Le donne di malaffare, poste dai loro amanti davanti a cibi inconsueti, durante una festa al «Café de París», non li sanno gustare, per le loro origini volgari e la natura grossolana; esse hanno, secondo Gamboa, «paladares poco educados de hembras ordinarias y en el fondo zafias»28. La lotta intima di Santa che, alla notizia della morte della madre, scossa profondamente, si sente attratta dalla chiesa, è descritta come «una lucha corta, de gente vulgar que no ahonda ideologías sino que se deja conducir por su instinto»29; e per un momento essa torna alle sue pratiche di «campesina católica»30. Di fronte a Rubio, l'amante che le offre un «amancebamiento», lo scrittore vede in Santa operarsi, anche se la donna non se ne rende conto, «el naturalísimo deslumbramiento que ejercen en ánimo de plebeyo origen el calcularse igual al antiguo señor respetado y quimérico que, a la larga, desgastado por los años y por los vicios, baja en sus pósteros al nivel de antiguo vasallo»31. A parte l'oscurità del brano citato, che si prolunga per tutto un altro paragrafo, la mancanza di simpatía del romanziere per il mondo infimo di cui tratta non ha bisogno di ulteriori documentazioni. Neppure il mondo del lavoro, nell'incipiente industrializzazione della capitale, rappresenta una presa di coscienza positiva da parte di Gamboa, appunto per la distinzione ostentata tra operai «serios» e operai «viciosos» che, nientemeno, dirigono i loro passi, usciti dalla fabbrica al termine del lavoro, a un'osteria, dove berranno un bicchiere di birra32.

L'avversione per le protagoniste del romanzo, le prostitute, dai «pobres cuerpos de alquiler» e dagli «atrofiados cerebros de apestadas sociales»33, esclude in Gamboa ogni possibilità di sentimenti umani. Santa, simbolo eminente della donna-peccato, una peccatrice non certo raffinata come Nana e per quanto bella «rurale», è il bersaglio sul quale Gamboa scarica la sua «pruderie», facendo sfoggio di luoghi comuni, manifestando convinzioni assurde intorno alla natura femminile, pensando forse di dar forza alle parole del «maestro de Auteuil» premesse alla sua Fille Elisa, che lo scrittore messicano riproduce, nel prologo a Santa, a propria difesa:

«Ce livre, j'ai la conscience de l'avoir fait austère et chaste, sans que jamais la page echappé á la nature délicate et brillante de mon sujet, apporte autre chose á l'esprit de mon lecteur qu'une meditation triste»34.



Sull'austerità e sulla castità del romanzo di Gamboa torneremo tra poco. Ciò che ora interessa è porre in rilievo la superficialità delle convinzioni del romanziere, la smaccata «moraleja» di più che dubbia consistenza, l'ipocrita sostanza dell'aggettivazione riprovatrice che accompagna la natura «maledetta» delle molte allusioni al peccato e al corpo femminile, l'intervento stucchevole e costante del narratore, che toglie eficacia agli esempi dai quali dovrebbe venire una lezione feconda di moralità, la serie di paragoni assurdi e insostanziali, note che danno spesso a Santa il sapore appiccicoso di un «novelón» d'appendice.

Benché nel prologo citato, diretto allo scultore Jesús F. Contreras, l'autore faccia proporre da Santa il proprio esempio, di peccatrice condannata e redenta, in termini edificanti, dichiarandosi una «desgraciada»35, ma con un cuore che «palpitó y dolió»36 per le ingiustizie di cui fu vittima, tra esse la «concupiscencia bestial de toda una metrópoli viciosa»37, sicura, però, che alla fine Dio le ha perdonato, e con una storia personale che «de sólo oírla» il lettore dovrà piangere con lei38, l'atteggiamento di Gamboa è tutto l'opposto di quanto il prologo vorrebbe far credere.

Le origini idilliache di Santa descritte nel secondo capitolo l'unico che arretri nel tempo -sembrano un fatto accidentale, non avere al tra funzione che quella di costituire un centro emotivo, un richiamo sempre breve e superficiale lungo la sua vita di peccato. Ciò che il narratore sottolinea è la natura malvagia della donna, bacata intimamente, ma senza proporre pro ve convincenti. Posta nella vita di peccato, Gamboa sottolinea in Santa il rapido acclimatamento ad essa, «con lo que a las claras se prueba que la chica no era nacida para lo honrado y derecho, a menos que alguien la hubiese encaminado por ahí, acompañándola y levantándola, caso que flaqueara [...]»39. Nella sua vita peccaminosa la donna non solo esperimenta la lascivia della «ciudad vorágine»40, nella quale Gamboa vede confluire quella di tutte le generazioni, indigene ed europee, fino ai peccati «complicados y enfermizos del amor moderno...»41, ma sollecita essa stessa al vizio, e non solo a quello normale, ma anche al «vicio antiguo, el vicio ancestral y teratológico que de preferencia crece en el prostíbulo»42, il vizio saffico. In realtà da questo vizio Santa rifugge, ma Gamboa, sicuro dell'effetto «cosquilloso» sul lettore, non esita a prospettare un possibile cedimento, sia pure passeggero: se la donna lo ignorava ancora e «quizás no lo practicara nunca», avrebbe anche potuto accostarvisi, «contentándose, si acaso, con probarlo, escupir y enjuagarse», come, esempio convincente, «escupimos, nos enjuagamos cuando por curiosidad inexplicable y poderosa probamos un manjar que nos repugna»43.

Per la sua natura malvagia e corrotta Santa è portata al tradimento, perciò tradisce entrambi gli uomini che hanno tentato di darle una «posizione». Col «Jarameño», amante ardente e impetuoso, vediamo che la donna si annoia; Gamboa ce ne spiega l'intimo motivo:

«Era verdad. Aquel ensayo de vida honesta la aburría, probablemente porque su perdición ya no tendría cura porque se había maleado hasta sus raíces, no negaba la probabilidad, pues en los dos meses que la broma duraba, tiempo sobraba para aclimatarse»44.



Il tradimento ai danni del «Jarameño» avviene con un suo beneficato, Ripoll, che cede «Enardecido por la tentadora» e, in un «arranque de desgraciado», consuma un delitto che dà modo al narratore di uscire in una tirata contro il socialismo:

Enardecido por la tentadora, Ripoll cedió en un arranque de desgraciado, consintiendo que sus levadoras de socialista destruyeran, por destruir, siquiera fuese una ventura, la propiedad de alguien, la dicha de un dichoso y acreedor a su gratitud...45



Il ricorso rettorico ai punti sospensivi -così frequente in Santa, insieme all'esclamazione-, mentre dovrebbe approfondire la portata delle considerazioni, ne sottolinea, al contrario, la superficialità.

Con Rubio la vita di Santa è più difficile che col «Jarameño»: l'uomo, infedele alla moglie ricca e dispotica, dalla quale finanziariamente dipende, non riesce ad apprezzare l'amante che di giorno in giorno, dopo il primo ardore, diviene sempre più, per lui, la prostituta, la donna peccatrice senza possibilità di redenzione. Le viete convinzioni di Gamboa intorno alla donna si manifestano in forma violenta attraverso le parole dell'uomo all'amante:

«Las meretrices no arriban a las tierras de promisión; ¡no faltaría más! las almas de las mujeres podridas no vuelan porque no poseen alas, son almas ápteras...»46.



«- ... entre las mujeres no existen categorías morales, no existen sino categorías sociales. ¡Todas son mujeres!...»47.



Di fronte al singolare atteggiamento di Rubio, lo scrittore trova una spiegazione che gli sembra convincente e sulla quale, perciò, insiste con compiacimento:

«[...] La voluptuosidad confina con el cansancio y el hastío, y el acto carnal con el crimen -aunque la mayoría, por fortuna, no perpetre este último-; pero, sin excepción, no hay hombre, por enamorado que esté, que no sufra de instantes de repugnancia hacia el espíritu que venera y la carne que adora»48.



Non venerata, solo odiata, anche se desiderata carnalmente, Santa si dà all'alcool -ottima occasione perché lo scrittore ne illustri gli effetti perniciosi49- e di nuovo al vizio e all'inganno, con una frenesia che appare grottesca, ma che Gamboa denuncia con molto impegno:

«[...] por alcohólica, por enferma y por desgraciada engañó a Rubio con frenesí positivo, sin parar, donde se podía, en la calle, en el baño, en los carruajes de punto, en la mismísima vivienda»50 .



La decadenza di Santa è precipitosa, il suo «descenso» è «rápido, devastador, tremendo»51. L'unico momento felice è rappresentato dall'avventura in extremis con uno studente sedicenne52, forse introdotta qui ad imitazione di quella di Nana, ma con ben altra goffaggine e pesantezza. Poi è la fine, la frequentazione di case di malaffare sempre più infime e sordide, il cui prezzo Gamboa precisa con singolare serietà, «de a cincuenta centavos»53. A questo punto, tuttavia, nella vita della donna perduta interviene Hipólito, il pianista cieco da tempo innamorato di lei e che persino aveva tentato, in una scena dovvero lubrica e grottesca, di avere rapporti con Santa, ai tempi della prima casa chiusa. Hipólito raccoglie la sventurata, la porta nella sua misera dimora, che la presenza della donna ha il potere di trasformare. Ma Santa è ormai malata di cancro e benché il cieco la induca a farsi operare sostenendo personalmente le spese, essa muore sotto i ferri: l'operazione, «magistralmente ejecutada»54 -Gamboa dedica varie pagine alla descrizione del primo ospedale moderno della capitale-, la conduce a passare «el postrimero Dintel augusto»55.

Dopo tanta sofferenza si direbbe che la peccatrice si riscatti. Un gruppo idilliaco e casto ci è offerto dallo scrittore poco prima della fine di Santa, scomodando persino l'«Ángel de la Guarda», che il colombo ammaestrato dal «Lazarillo» del cieco, svolazzando per la casa, sembra evocare. «¡Por el amor volvían a Dios!», afferma Gamboa56; i loro pensieri si facevano casti, sicuri ormai del perdono. Ma la scena che il narratore ci presenta diviene presto grottesca, proprio per l'insistenza sull'Angelo, rappresentato in concreto dal piccione «El Tiburón»:

«[...] Y se oyó entonces que «El Tiburón» aleteaba, pero ellos creyeron, no que fuese una paloma, sino el cariñoso Ángel de la Guarda de su infancia, que con ellos se reconciliaba viniendo de muy lejos enviado; que satisfecho de verlos, plegaba las inmaculadas alas y a falta de madre, de salud, de riqueza y de dicha ¡dolido de ellos! les velaba el solo sueño que debe velar, el sueño casto, en que al fin cayeron la pobre prostituta y el pobre ciego...»57.



Gamboa sembra non rendersi conto del ridicolo in cui cade, della leziosità della scena su cui insiste. Ma nei confronti di Santa le sue riserve permangono intatte, anche se effettisticamente non può non concludere con un finale di lacrimoso convenzionalismo intorno alla peccatrice riscattata. Infatti egli sembra declinare ostentatamente ogni responsabilità, quando afferma che «[...] El sufrimiento, el amor y la muerte habían purificado a Santa [...]», se aggiunge «Conforme al criterio del ciego»58.




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Lo spirito del libro si accorda poco, quindi, con le enunciazioni del «Prólogo». È proprio nella presentazione del carattere di Santa che il narratore mostra maggiormente i suoi limiti, le falsature della sua visione della donna e del peccato. Nel secondo capitolo della prima parte l'innocenza di Santa, sullo sfondo di un paesaggio agreste di puri valori spirituali, è ben lungi dal far prevedere la sua vita successiva di peccato. Il personaggio ha scarsa dimensione, è poco studiato umanamente nella sua complessità, ma la forzatura maggiore è di averlo voluto cattivo ad ogni costo, anche se l'ultimo capitolo della seconda parte ci presenta una creatura martoriata, ben lungi dalla malvagità e dall'impurità che lo scrittore ha voluto connaturate in Santa, in ossequio a presunte leggi di ereditarietà, le cui radici nella protagonista, tuttavia, non vengono minimamente scoperte.

Gamboa segue il naturalismo, ma è assai lontano dal rappresentare nelle sue opere quella problemática e quel fermento positivista che troviamo in Zola, riflesso di un momento insostituibile della cultura e della spiritualità francesi, fermento sinceramente umanitario che sfocia in un atteggiamento protestatario, al disopra dei preconcetti sull'ereditarietà e le tare sociali. Il Messico dell'epoca di Federico Gamboa era assai lontano da questo spirito; l'eco del naturalismo vi giungeva privo del travaglio spirituale che lo legittimava, né lo scrittore poteva non riflettere nel proprio atteggiamento l'esteriorità del punto di partenza e in esso lo spirito arretrato di una società chiusa, sottosviluppata, per forza di cose, anche culturalmente, legata ad atavici luoghi comuni, a viete credenze, succube di tabù vuoti, duramente tiranneggiata dai miti del sesso, antifemminista per reazione erotica, dominata da pregiudizi radicati, come la «poderosa facultad de fingir» della donna59, l'«eterno odio que, en el fondo, separa a los sexos»60.

Ma v'è di più. Nel suo studio su Gamboa, oltre alle «moralejas» appiccicaticce, Mariano Azuela denuncia la «delectación morbosa»; che si manifesta in Santa e afferma che ciò che provoca nausea non è l'immoralità che può esistere nei passaggi scabrosi, ma «lo antiestético de la mescolanza»61. Per quanto franco, Azuela contiene, a mio parere, il suo giudizio negativo, memore, senza dubbio, di essere egli stesso un romanziere passibile di giudizio, ma soprattutto di scrivere in Messico, contro un «idolo» messicano, oltre che di aver dichiarato, forse proprio in ossequio alla messicanità di Gamboa, qualche riga prima, che in Santa egli è «Narrador ameno e interesante, buen observador, con capacidad para reflejar fielmente lo que ha visto [...]»62. Vi sono, però, passaggi nello studio di Azuela che dicono moho di più di quanto egli enunci, come il paragone che propone tra Gamboa e Zola63 plenamente giustificato, anche se l'Alegría glielo ha rimproverato64 nella descrizione della bellezza femminile eroticamente intesa: lo squilibrio tra i due autori è tale da daré alla pagina di Santa un sapore malsano, una nota infima e assurda. Nel libro di Gamboa la «delectación morbosa» diviene scoperto prurito erotico, mezzo di cattivo gusto per accattivare l'interesse del lettore, non di rado con richiami all'ibrido, che ritiene di coprire sul piano morale mediante il ricorso ad aggettivi negativi e a terminologie riprovatrici, scopertamente false. La tattica, in questo senso, è troppo scoperta per convincere, e l'insistenza su taluni particolari del corpo femminile, su determinati atteggiamenti, ha unicamente finalità di richiamo erotico, anche se allo scrittore manca il coraggio zoliano, o la capacità, di affrontare una descrizione d'insieme della nudità femminile, che del resto è facile supporre naufragherebbe nella pornografia. Il romanzo di Gamboa acquista, perciò, un sapore «piccante» e «maledetto», che Nana è ben lungi dall'avere, e che può dar ragione del successo riscosso tra un pubblico lettore presumibilmente solo maschile, che in gran parte vedeva rispecchiarsi in Santa complessità e istinti propri, o almeno i propri sogni erotici, qualcosa di perverso, o comunque di tentatore, non estraneo alla società messicana, come hanno dimostrato Rodolfo Usigli nel dramma Jano es una muchaha -spunto efficace per il film di Bañuel, Bella di giorno- e Octavio Paz ne El laberinto de la soledad. L'attrazione e la ripulsa rappresentate dalla donna sono state esattamente sottolineate proprio dal Paz nel libro citato:

«La mujer [...] es figura enigmática -egli scrive-. Mejor dicho, es el Enigma. A semejanza del hombre de raza o nacionalidad extraña, incita y repele. Es la imagen de la fecundidad, pero asimismo de la muerte. En casi todas las culturas las diosas de la creación son también deidades de destrucción. Cifra evidente de la extrañeza del universo y de su radical heterogeneidad, la mujer ¿esconde la muerte o la vida?, ¿en qué piensa?, ¿piensa acaso?, ¿siente de veras?, ¿es igual a nosotros? El sadismo se inicia como venganza ante el hermetismo femenino o como tentativa desesperada para obtener una respuesta de un cuerpo que tememos insensible65.



In questo senso, forse senza rendersene conto, Federico Gamboa in Santa rappresenta in modo aderente lo spirito della società della quale è parte. La ripulsa costante della donna, l'accanimento con cui il narratore la tratta, sia attraverso i personaggi che con il suo diretto intervento, va di pari passo con l'attrazione intensamente erotica. Si spiega, perciò, come nel romanzo domini con presenza attrattiva e perversa il «burdel», e con esso il letto e l'accoppiamento. L'umanità di Gamboa, in Santa, sembra dominata esclusivamente dal sesso; lo scrittore accentua di proposito tale nota. Fin dalle prime pagine del romanzo il suo erotismo di dubbio gusto si manifesta nell'insistenza con cui allude alla molteplicità dei modi del piacere66. La vestizione di Santa, allorché entra a far parte della casa chiusa, è già densa di elementi erotici nella menzione delle «rápidas y fragmentarias desnudeces» della donna, accuratamente scelte e presentate con aggettivazione suadente: «un hombro, una modulación del seno, un pedazo de muslo; todo mórbido, color de rosa, apenas sombreado por finísima pelusa obscura»67; né mancano i primi elementi «perversi» e a sicuro effetto:

«Cuando la bata se deslizó y que para recobrarla moviose violentamente, una de sus axilas puso al descubierto, por un segundo, una mancha de vello negro, negro...»68.



L'insistenza sul colore del «vello» nel brano citato e i punti sospensivi, sono significativi; doveva essere, certo, un elemento particolarmente eccitante, se in altra occasione Gamboa torna ad alludere, come a particolare «maledetto», alla posizione di Santa, che lasciava «al descubierto [...] las manchas negras de sus axilas»69.

Nel romanzo compare tutto un campionario erotico che conferma l'atteggiamento compiaciuto e libertino dello scrittore. A parte il cattivo gusto di certe insistenze nella descrizione, come è il caso dei «manoseos» che avvengono nella sala postribolare70 e fuori di essa, le pagine di Santa sono tutte un lampeggiare, un ammiccare, direi, di «hombros carnosos»71, di corpi «soberbios» di «prostituta joven»72, di «sonrosados brazos macizos»73 -il termine «macizo» ricorre con particolare frequenza nell'apprezzamento della carne femminile-, di «cutis sedeño»74, di «labios frescos y carnosos», sia puré di «hembra mancillada»75, di «batas» che si aprono «desvergonzadamente» mettendo in mostra le gambe76; di «camisones» che scivolano dalle spalle femminili, lasciando allo scoperto frammenti di «cuerpo trigueño»77, di seni «de seda y mármol»78 o, in versione più audace, «erectos y macizos»79, di splendidi corpi80, di «carne de deleite y de pecado»81, di baci perversi. Valga a questo proposito l'insistenza con cui Gamboa sottolinea le riflessioni intime di Santa sfuggita al coltello del «Jarameño», brano compiuto di «delectación morbosa»:

«[...] ¿Si la navaja no se hubiese enterrado en las maderas de la cómoda?... pues se habría enterrado en sus carnes de ella, en las turgencias de su seno de seda y mármol donde los hombres libaban delirantes el deleite que manaba de sus pecíolos sonrosados; o en otro punto cualquiera de sus formas triunfales, en cualquiera curva, en cualquier hoyuelo de los mil y mil que constelaban su piel trigueña y mórbida, como escondrijos de amorcillos, como lugares de descanso para los labios enloquecidos, que de recorrer los urentes desiertos de su cuerpo joven besando y besando, sentenciados a siempre besar tanta belleza y tentación tanta, habían menester de reposos instantáneos para seguir la dulce tarea de besarla íntegra, ¡toda, toda!»82.



Se in questo brano non siamo di fronte alla pornografia vera e propria, tuttavia è chiara l'intenzione libertina dello scrittore. È vero che la purezza delle sue intenzioni dovrebbe essere assicurata -almeno Gamboa sembra crederlo- da tutta una terminologia negativa che accompagna i riferimenti al vizio, dalla denuncia della «orgía vulgar»83, del «pesado sueño orgiástico»84, dei «lúbricos deseos»85, del «programa brutal y nauseabundo de los acoplamientos sin cariño»86, dell'«oficio infame»87 delle prostitute, dall'atteggiamento costante di condanna per le «compradas caricias», il «placer venal»88 e le «llamas de lascivia»8989, eccetera. Ma si tratta scopertamente di sotterfugi: di fronte all'insistenza con cui Gamboa descrive Pinnumerevole succedersi degli accoppiamenti peccaminosi -«erótica lid»90-, le forme delle donne del peccato e i loro atteggiamenti, i pensieri e i sogni erotici di uomini e donne, prende sempre più rilievo una posizione assai lontana dalla morale dichiarata, per nulla coperta dalle proteste ipocrite di riprovazione per il peccato.

Non sarà fuor di luogo ricordare, per un giudizio sul Gamboa in questo campo, che egli partecipa nella sua giovinezza, sia pure di riflesso, del clima modernista. Manuel Gutiérrez Nájera, prestigioso iniziatore messicano del modernismo, è uno dei primi estimatori del giovane scrittore e certo Gamboa doveva aver letto le poesie del maestro, tra esse quelle più scopertamente erotiche, come «La duquesa Job», «París, 14 de julio», «La soñadora de dulce mirar», nelle quali si manifesta la preferenza del poeta per un tipo di donna in cui confluiscono ingenuità e sensualità, peccato cosciente e stordimento. Un momento di segno tipicamente modernista -anche se va molto al di là degli accenti di Gutiérrez Nájera- lo cogliamo, in Santa, nella descrizione degli amori felici della protagonista con il «Jarameño». La terminologia impiegata da Gamboa riecheggia forme proprie del modernismo nell'ordine erótico, come il definire l'incontro amoroso tra il torero e la donna «imponente y triunfal himno de la Carne»91, affermando, con espressioni tipiche del decorativismo religioso in voga tra i modernisti, che essi «Oficiaban en el silencio y en la sombra [...]»92.

Queste espressioni non valgono né a nascondere né a nobilitare la volgarità delle scene alluse; Gamboa conduce sempre con pesan tezza sovrabbondante di tinte il gioco erotico. Già ho affermato che egli non ha, però, il coraggio di pervenire a una descrizione d'insieme della nudità femminile e quando tenta di superare il dettaglio isolato, lo fa in modo goffo, tanto che il lettore difficilmente riesce a formarsi un'idea della realtà della donna. Da tutta la complessa serie di allusioni la figura di Santa esce sottolineata nelle forme opulente, non costruita nel suo corpo. Quando Gamboa intraprende una descrizione più impegnata, che dovrebbe rendere l'insieme della bella prostituta, il naufragio è totale. La donna ci è presentata «echada sobre las almohadas» e ciò che si nota del suo corpo è «su anca soberbia señalándose a modo de montaña principal», la testa con neri capelli che ricadono sulle spalle, «un hombro, redondo, como montaña menos alta», quindi di nuovo «el anca, enhiesta y convexa», che forma «grutas enanas» con le pieghe della coperta sollevata dall'interno93. Si tratta ora di pervenire alla descrizione delle parti più segrete e attraenti di Santa e lo scrittore vi si cimenta con difficoltà, in un gioco di accostamenti che finisce per confondere definitivamente le idee:

«[...] después, la ondulación decreciente de los muslos que se adivinaban, de las rodillas en leve combadura; por final, la cordillera humana y deliciosa, perdiéndose allá, en los pies que se hundían, de perfil, en los colchones blandos [...]»94.



Con il che non sappiamo più se si tratti di una donna o piuttosto veramente di una montagna.

Dove Gamboa eccelle, se così si può dire, è, invece, nelle allusioni più cariche di erotismo, che rievocano il momento del possesso, inteso ora come «ignorado océano de incomparable deleite, inmenso, único»95, ora presentato ostentatamente come segno di depravazione totale. Al servizio di un risultato di partecipazione erotica da parte del lettore stanno infiniti elementi: la descrizione insistita della libidine maschile, le allusioni alla «desnudez magnífica» della donna, sulla quale «galopan desbocados todos los apetitos, enfurecidas y dementes todas las concupiscencias»96. Apparentemente lo scrittore sembra condannare tali concupiscenze, ma si veda come egli insiste, al contrario, su accenti morbosi, ad esempio nella descrizione del sole che per la strettissima apertura del «camisón» -tale che, a detta di Gamboa, non avrebbe permesso il passo a un dito- entra a baciare «quedamente, con sus labios incorpóreos y astrales, el botón sonrosado de los senos de Santa, que apenas asomaban su forma de copa de Jonia, de copa sólo fabricada para gustar en ella los néctares, las esencias y las mieles»97.

Precisamente per tale insistenza compiaciuta, non di rado la pagina di Gamboa naufraga nel grottesto, soprattutto per l'assurdità delle immagini. È il caso della descrizione del seno di Santa fatta al cieco Hipólito, ardente di passione, dal suo «Lazarillo»:

«[...] es su seno que le abulta lo mismo que si tuviese un par de palomas echadas y tratando con sus piquitos de agujerear el género del vestido de su dueña, pa salir volando... allí están, en su pecho, y nunca se le vuelan, se le quedan en él asustadas, según veo yo que le tiemblan cada vez que las manos de los hombres como que las lastiman de tanto hacerles cariños...»98.



Il grido del cieco di fronte a questa descrizione, anche se spiegabile, non fa che accentuare la nota grottesca: «¡Ya! -rugió Hipólito enderezándose-, ya no me digas más, porque te pego...»99,.

Segnalerò ancora la volgarità della terminologia impiegata dal Gamboa allorché descrive l'avventura di Santa col giovane studente, che l'ha raccolta ubriaca e l'ha condotta in un alberghetto infimo, approfittando di lei; al risveglio, Santa, mentre apprende dal giovane quanto è accaduto, ci appare in una posa consueta, «al descubierto un hombro y el nacimiento de uno de los senos»100, ma ofre una reazione divertita e di fronte all'inaspettata occasione, «Lo mismo que ogro hambreado, pagóse Santa un festín con aquella juventud [...]»101. Con molto entusiasmo lo scrittore insiste sull'immagine, che evidentemente trova felice, affermando che il ragazzo, a sua volta, «mostraba afilados colmillos y un apetito insaciable»102. E con il solito compiacimento prosegue:

«Cómo mordía ¡canijo! ¡cómo mordía y cómo devoraba, sin refinamientos, depravaciones ni indecencias, sino a lo natural, con glotonería de dieciséis años, deliciosamente!...»103.



La gamma della perversione di Santa è completa; per Gamboa essa è la donna che «con sólo consentir que la desnudasen y bañasen con champagne en un gabinete reservado de la 'Maison Dorée, era divenuta una «cortesana a la moda a la que todos los masculinos que disponían del importe de la tarifa, anhelaban probar»104 . Una donna condannata fin dall'inizio, ma della quale anche sul narratore sembra esercitarsi soprattutto l'attrazione sensuale, quella stessa che egli descrive con compiacimento negli esponenti della sua società:

«Más que sensual apetito, parecía un ansia de estrujar, destruir y enfermar esa carne sabrosa y picante que no rehusaba ni defendía; carne de extravío y de infamia, cuya dueña, y juzgando piadosamente, pararía en el infierno; carne mansa y obediente, a la que con impunidad podía hacerle cada cual lo que mejor le cuadrase»105.



Anche qui l'insistenza sulla «carne» non ha bisogno di commento, così come non l'ha, poche righe dopo, il sottolineare il «furioso galopar» di uomini «tras la muchacha recién caída», che «encendidos en bestial lascivia» non le danno neppure il tempo «de cambiar de postura. ¡Caída! ¡caída la codiciaban! ¡caída soñábanla! ¡caída brindábanle la verdadera poma, supremamente deliciosa!...»106.

Santa è, in definitiva, un pretesto per un'esercitazione libertina da parte di Federico Gamboa. Il successo di pubblico non doveva mancare a un libro come questo, tenuto conto dell'ambiente e del tipo di lettori. Delle facoltà artistiche del narratore ben poco traspare nel romanzo, difettoso come struttura, superficiale quanto a ideologia, francamente sconfinante in atteggiamenti che mi limiterò a chiamare libertini. L'avvio del primo capitolo lugubre nella descrizione del paesaggio che circonda la casa chiusa nella quale si reca Santa, efficace nella pittura dell'ambiente sordido e dei tipi che lo popolano, veri relitti umani, la bellezza dell'ambiente rustico in cui Santa è nata, descritto nel secondo capitolo, facevano sperare molto di più di quanto il libro offra nel suo sviluppo. Anche se esistono descrizioni valide della società borghese della capitale, della delirante festa nazionale -patria e perdizione-, dei locali tipici, come il «Tívoli», della Messico del tempo, ciò non basta a riscattare all'arte il romanzo.

A distanza di decenni il nostro giudizio su Santa, l'opera più famosa e più letta del naturalismo ispano-americano, la migliore di Federico Gamboa, non può essere più negativo. Più che un testo del naturalismo il libro ci appare oggi un esempio del più vieto genere d'appendice.





 
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