Selecciona una palabra y presiona la tecla d para obtener su definición.
 

361

Sul concetto di «rococò» e la sua applicabilità alla storia letteraria concordiamo sostanzialmente con la posizione del Binni che tende a limitarne l'uso a una «componente del gusto», contro ogni tentativo d'estensione dello stesso a categoria o valore epocale (W. BINNI, Il rococò letterario, in Manierismo, Barocco, Rococò, concetti e termini, Roma, 1962, pp. 217-237). L'estensione del termine a tutto lo stile del Settecento ha avuto fortuna soprattutto presso certa storiografia tedesca che ha anche tentato d'applicarlo fuori dello ambito della letteratura propria, per esempio alla letteratura francese. Ma irrisolto resta il problema del contrasto fra rococò e Illuminismo, per ammissione dello stesso autore, nell'opera dello Schürr (F. SCHÜRR, Barock, Klassizismus and Rokoko in der Französischen Literatur, Leipzig-Berlin, 1928) mentre ci sembra abbia davvero ragione il Binni quando qualifica di «ambizioso ma fallito» (W. BINNI, op. cit., p. 220) il tentativo dello Hatzfeld di fissare il rococò come stile di tutto il Settecento sulla base del concetto di Abstraktismus e di metaphysisches Vakuum che caratterizzerebbero l'epoca e che il rococò appunto cercherebbe di colmare col paradosso, l'eleganza e l'erotismo (H. HATZFELD, Rokoko als literarischer Epochenstil in Frankreich in «Studies in Philology», XXXIII, 1938, pp. 532-565). Al di sotto di simile interpretazione è facile scorgere la completa incomprensione di ciò che fu l'Illuminismo: d'altra parte l'analisi stilistica che non affondi saldamente le sue radici nella realtà storica può creare pericolosi fantasmi come quello di Voltaire rokokomensch che affiora dalle pagine peraltro acute e argute dello Spitzer (L. SPITZER, L'«explication de texte» applicata a Voltaire, in Critica stilistica e storia del linguaggio, tr. it., Bari, 1954, pp. 293-325). A noi sembra del resto inaccettabile anche la tesi di uno studioso francese che, pur non partendo -come i precedenti autori tedeschi- da una preconcetta posizione negatrice dell'Illuminismo, finisce in un uso arbitrario del termine (R. LAUFER, Style rococo, style des «lumieres», Paris, 1963). Egli muove sostanzialmente da una posizione polemica nei riguardi del tradizionale concetto di un Settecento classicheggiante e accademico nello stile: «Quand nous essayons de dégager l'unite du style et de la pensée du dix-huitième siècle nous prétendons seulement résoudre le paradoxe, encore communément accepté, d'une pensée révolutionnaire exprimée dans un style académique» (pp. 35-36). Del pari egli pensa di conciliare nella unitaria definizione di rococò la contraddizione, tradizionalmente riconosciuta, fra pensiero filosofico e gusto galante-salottiero. Senonché l'analisi dei testi che dovrebbero servire alla dimostrazione è troppo limitata e parziale e non giunge a convincere di questa pretesa unità stilistica del secolo ché anzi si perde di vista la dialettica dello stesso e finisce con l'essere valorizzato proprio l'aspetto secondario del fenomeno con l'adozione di un termine quale rococò che, con tutta la migliore disposizione d'animo, non può essere sottratto a uno specifico e storico significato di gusto decorativo che resta estraneo al moto piú profondo e storicamente determinante dei lumi.

Recente è il tentativo d'applicazione, sia pur limitata e parziale, del termine rococò alla letteratura spagnola (J. ARCE FERNÁNDEZ, Rococó, neoclasicismo y prerromanticismo en la poesía española del siglo XVIII, in Simposio sobre el P. Feijóo y su tiempo, Oviedo, 1966, pp. 447-477). L'Arce muove dalle proposte del Binni di cui accetta le riserve sul concetto di rococò come stile d'epoca ma non ne condivide la limitazione a semplice «componente di gusto». Egli applica il concetto alla letteratura e in particolare alla poesia spagnola dello ultimo Settecento per definire quella corrente che precederebbe il pre-romanticismo e il neoclassicismo, manifestandosi soprattutto nell'anacreontismo, nel bucolismo e nel sensualismo. Ci sembra che la proposta dell'Arce andrebbe approfondita soprattutto attraverso una piú storicamente rigorosa indagine delle componenti ideologiche della cultura spagnola dell'ultimo Settecento: ne risulterebbe meglio caratterizzato ogni aspetto, anche quello stilistico, sulla base però di una effettiva storicità che non potrebbe non diradare lo stesso persistente equivoco del generico impiego del termine «pre-romanticismo». [Si parla ad esempio nel saggio dell'Arce (p. 472) di un Meléndez Valdés in cui «se da todo el prerromanticismo formal y temático que, iniciado en la decada del '70, producirá sus frutos más representativos en las dos décadas finales del siglo»]. (N. del A.)

 

362

Sul naturalismo di Mélendez Valdés, cfr. R. M. MACANDREW, Naturalism in Spanish Poetry, from the Origins to 1900, Aberdeen, 1931, pp. 90-110. (N. del A.)

 

363

È consiletudine invalsa nella storiografia, anche la piú recente (cfr. G. DEMERSON, op. cit., p. 34 ss.; J. ARCE FERNÁNDEZ, Jovellanos y la sensibilidad prerromántica cit., pp. 155-156) attribuire a uno specifico intervento di Jovellanos (l'epistola Jovino a sus amigos de Salamanca del 1776) il mutamento di direzione che sarebbe intervenuto nella cosiddetta «scuola di Salamanca» e in particolare in Meléndez Valdés, caratterizzato dal passaggio dalla poesia d'amore a quella impegnata in temi piú gravi. Jovellanos fu senza dubbio consigliere di Meléndez Valdés nelle scelte culturali oltre che, in certi momenti, fraterna guida morale (G. DEMERSON, op. cit., p. 33) come risulta dalle lettere che ci sono rimaste e si può aggiungere anche che Meléndez Valdés riconobbe la condizione, per cosí dire, di «maestro» di Jovellanos, dapprima con un rispettoso atteggiamento di devozione (dovuto anche alla minore età) e poi con una piú aperta confidenza amicale. Tuttavia ci sembra che la personalità di Meléndez Valdés si sia svolta senza brusche cesure e che quello di Jovellanos non sia stato che uno dei tanti influssi culturali nella formazione di Meléndez Valdés. Si può anche osservare che gli influssi furono scambievoli: ad esempio Meléndez Valdés fu prodigo di consigli sulla traduzione che Jovellanos aveva intrapreso del Paradise Lost di Milton (cfr. le Cartas a Jovellanos rispettivamente del 18 de octubre de 1777, de Salamanca e del 14 de agosto de 1778, de Segovia, in Poesías, pp. 78 e 82). (N. del A.)

 

364

B. von WIESE, La cultura de la Ilustración, tr. sp. e prologo di E. TIERNO GALVÁN, Madrid, 1954, pp. 22-25. (N. del A.)

 

365

Che la natura poetica di Meléndez Valdés fosse essenzialmente lirica trova conferma nella scarsa convinzione con cui intraprese alcuni tentativi nel campo della poesia epica e nel sostanziale fallimento estetico degli stessi. Aveva iniziato la composizione di un poema su Pelayo ma poi il tentativo fu abbandonato ed egli stesso cantò la propria impossibilità di realizzare l'impresa nell'Epístola al doctor D. Plácido Ugena sobre no atreverme a escribir el poema épico de Pelayo (in Poesías, pp. 210-212). Altri tentativi non passarono il limite d'esercitazioni stilistiche; tali infatti si debbono considerare la traduzione parziale dell'Eneide (cfr. G. DEMERSON, op. cit., p. 457) e la stessa Caída de Luzbel (J. MELÉNDEZ VALDÉS, Poesías, Madrid, 1820, IV, pp. 213-242), ridata dal I canto del Paradise Lost di Milton e dalla traduzione che ne aveva fatto Jovellanos (cfr. W. E. COLFORD, op. cit., pp. 200-201, e -sulla traduzione di Jovellanos- J. B. A. BUYLLA, La traducción de Jovellanos del libro I del Paraíso perdido de Milton in «Filología moderna», 10, 1963, pp. 147). Tale è pure El paso del Mar Rojo (in Poesías, p. 236) ispirato dalla Vulgata, mentre di evidente maggiore impegno è un'altra opera derivata dalla Bibbia: La creación o la obra de los seis días (in Poesías, p. 245-248) svolta però in forma epico-lirica. Affini a questi tentativi epici sono i due componimenti tirtaici non eccelsi ma non del tutto privi di una loro dignità e un loro vigore, specie il secondo che Meléndez Valdés scrisse, l'uno poco prima del 2 maggio 1808 (Alarma española, in Poesías, p. 158; cfr. G. DEMERSON, Don Juan Meléndez Valdés etc. cit., pp. 257-259) e l'altro nel settembre del 1808, dopo la vittoria di Bailén, per esortare le truppe a incalzare i francesi ritiratisi sull'Ebro (Alarma segunda, in Poesías, pp. 158-159). Tuttavia, nel tema politico, ci sembra che Meléndez Valdés sia meglio riuscito nelle due odi dedicate al Re Giuseppe, specie nella prima [Oda al Rey nuestro señor (in G. DEMERSON, op. cit., pp. 317-318)] piú vicina al tono sentimentale e umanitario della sua formazione culturale. Appare piú retorica e fredda, «neoclassica», la seconda: Oda a José (Ibid., p. 323 ss.). (N. del A.)

 

366

Cfr. M. J. QUINTANA, Noticia histórica y literaria de Meléndez cit., p. 113; W. E. COLFORD, op. cit., p. 20. (N. del A.)

 

367

N. ÁLVAREZ CIENFUEGOS, A Don Juan Meléndez Valdés, El recuerdo de mi adolescencia, in Poetas líricos del siglo XVIII, III, in B.A.E., LXVII, pp. 21-22. (N. del A.)

 

368

«Los principios de su filosofía eran la humanidad, la beneficencia, la tolerancia; él pertenecía a esa clase de hombres respetables que esperan del adelantamiento de la razón la mejora de la especie humana y no desconfían de que llegue una época en que la civilización o, lo que es lo mismo, el imperio del entendimiento extendido por la tierra, dé a los hombres aquel grado de perfección y felicidad que es compatible con sus facultades y con la limitación de la existencia de cada individuo. Pensaba en este punto como Turgot, como Jovellanos, como Condorcet y como tantos otros que no han desesperado jamás del género humano. Sus versos filosóficos lo manifiestan y con sus talentos y trabajos procuró ayudar por su parte cuanto pudo a esta grande obra» (M. J. QUINTANA, op. cit., p. 120). (N. del A.)

 

369

J. SEMPERE y GUARINOS, Ensayo de una biblioteca de los mejores escritores españoles del reynado de Carlos III, Madrid, 1785-1789, 6 voll., IV, pp. 53-64. (N. del A.)

 

370

G. M. JOVELLANOS, Poesías, ed. J. CASO GONZÁLEZ, Oviedo, 1961. (N. del A.)