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ArribaAbajo- III -

La problematica etico-metafisica: l'uomo e il suo destino


Di fondamentale importanza fu, nella storia del pensiero settecentesco, la fondazione di un nuovo concetto di natura che permise uno straordinario sviluppo della ricerca scientifica, una diversa impostazione degli studi nel campo delle discipline umanistiche e la formazione di una nuova etica, non piú dipendente dalla rivelazione ma aspirante a una propria autonomia259.

Abbiamo visto come in Meléndez Valdés si fosse formata un'etica essenzialmente sentimentale e umanitaria, aperta soprattutto a un riformismo di tipo pedagogico, economico e giuridico che trovava del resto la sua giustificazione storica nella particolare condizione d'arretratezza della Spagna e nella posizione, in essa, dell'élite illuministica, costretta a operare, tra mille difficoltà, contro barriere di secolari strutture conformistiche, contro radicati pregiudizi e interessi costituiti260. La poesia di Meléndez Valdés, che assume come propri temi la riforma dell'istruzione e delle leggi dello stato nonché il riscatto dell'agricoltura e in genere delle attività produttrici, costituisce il riflesso lirico, personalmente e sentimentalmente partecipe, di quelle iniziative che già Feijóo aveva invocato e furono poi promosse   —86→   soprattutto dalle Sociedades económicas de amigos del País261 e da altri organismi pubblici oppure da privati, per lo sviluppo delle scienze, dell'agricoltura, del commercio e dell'industria.

Questa particolare poesia di Meléndez Valdés, come del resto il piú significativo pensiero europeo che, attorno alla metà del secolo, la precede, pare prevalentemente ispirata da una felice condizione di euforia e di entusiasmo verso le preposte finalità sociali e umanitarie, sorretta da una viva fede nel progresso apportato dai «lumi» e nel sogno di un non lontano riscatto, una fede cioè essenzialmente sentimentale in specifici valori umani e naturali che, nel rifiuto d'ogni trascendenza o giustificazione metafisica, s'orienta verso finalità pratiche e, nella tendenza ad accostare il bene all'utile, promuove la ricerca di una felicità sostanzialmente concepita come utilità pubblica262.

Ma errerebbe chi credesse che in queste finalità d'ordine pratico s'esaurisse lo sforzo del pensiero illuministico cosí come colui che, schematizzando, riducesse l'illuminismo a una specie di quasi ingenuo atteggiamento ottimistico. In verità il dominio di un concetto di norma «naturalistica» in tutti i campi del sapere e l'acquisita coscienza di un ordine razionale implicito nella natura stessa, presupposto indispensabile della sua decifrabilità e anche della sua concreta possibilità d'utilizzazione, non si esaurí in una soddisfatta posizione   —87→   d'entusiasmo sentimentale, magari utile ai fini polemici contro le superstiti resistenze tradizionalistiche e ovviamente ai fini pratici, ma certamente incapace di quietare quelle esigenze d'ulteriore giustificazione filosofica del concetto di natura e dello stesso concetto di conoscenza. Le menti piú deste avvertirono l'insoddisfazione di soluzioni che avrebbero finito con l'essere dogmatiche e che avrebbero potuto riportare nel pensiero quel teologismo o quella metafisica contro cui faticosamente aveva costruito le proprie posizioni d'a vanguardia rivoluzionaria il pensiero illuministico. In effetti alla base dell'entusiasmo euforico (senza dubbio costruttivo) di cui s'è detto, stava il compromesso con l'idea di un Dio che dell'ordine razionale della natura era il creatore e il custode263, oppure quell'ordine stesso era semplicemente postulato, presupposto cioè e non dimostrato264, lasciando la porta aperta a soluzioni panteistiche. Chi avesse voluto sfuggire all'accennato pericolo del dogmatismo teologico, doveva necessariamente limitare le possibilità di soluzione vuoi orientandosi verso posizioni di scetticismo radicale (Hume), vuoi facendo del coordinamento dei fatti della ricerca scientifica non una realtà oggettiva ma un termine dialettico della ricerca stessa [che è la posizione di Diderot265, la piú coerente, a nostro avviso, con le premesse illuministiche]. In ogni caso la via era aperta a posizioni di sempre piú consapevole immanentismo mentre si manifestava con crescente vigore, come complementare a quell'atteggiamento che s'è definito d'entusiastica euforia [e che alimentò, fra l'altro, una viva fede nella possibilità di un indefinito progresso   —88→   dell'umanità266] un atteggiamento piú propriamente pessimistico che mostrava la sua insoddisfazione verso il concetto del tout va bien diffuso dal deismo inglese e verso il concetto di Leibniz che il nostro fosse il migliore dei mondi possibili267. S'imponeva l'indagine del problema del male che gli illuministi affrontarono268, riconoscendo coraggiosamente un limite all'umano conoscere269: l'uomo veniva in tal modo ristretto a una precisa problematica che, nulla concedendo alle illusioni270, lo obbligava a una dura e continua lotta contro l'errore e la superstizione: era il risultato di una ricerca divenuta dialettica in piena conformità con le   —89→   premesse antimetafisiche della filosofia illuministica e con l'empirismo sensistico della sua gnoseologia.

La piú recente storiografia critica271 ha compiuto un grande sforzo sulla via dell'accertamento di questa dialettica interna all'illuminismo, sí da mettere in crisi l'interpretazione tradizionale (d'eredità romantica) di un illuminismo chiuso in un ristretto ambito temporale e caratterizzato da un rigido razionalismo. Tale interpretazione scindeva il movimento in due momenti di cui solo il primo aveva una propria personalità, sia pure ne ll'interpretazione limitatrice che lo legava allo svolgimento del razionalismo cartesiano mentre il secondo trovava la sua caratterizzazione nel sentimento (Rousseau) e, sottratto al suo secolo, la sua collocazione nella storia dello spirito e della cultura come «pre-romanticismo», come anticipo cioè di un fenomeno storico posteriore ed invero assai diverso, quale il romanticismo272.

Di fronte al problema dell'unità o della scissione del movimento dell'Illuminismo, la risposta della storio grafia piú recente è dunque favorevole all'unità273 ed è risposta particolarmente significativa che obbliga a una piú attenta considerazione della complessità della   —90→   problematica interna a ogni esponente dell'Illuminismo e porta come conseguenza la necessaria revisione di inveterate (e ormai scadute) soluzioni critiche. Il che vale anche per figure, come quella di Meléndez Valdés, periferiche rispetto al centro d'irradiazione principale del movimento illuministico e che si trovarono pertanto a vivere in una diversa e piú resistente o ostile temperie culturale.

Meléndez Valdés, spirito sensibile e acuto, capace d'avvertire i problemi suscitati dall'orientamento di pensiero da lui accettato contro la routine del pensiero tradizionalistico dominante in Ispagna, ma non cosí filosoficamente dotato per svolgerlo fino alle estreme conseguenze teoretiche, ci ha dato di quel pensiero -da poeta- un'immagine riflessa essenzialmente personale e lirica. Nella sua poesia, specie in quella che affronta la tematica etico-metafisica, si ritrovano infatti i termini dialettici della problematica che il pensiero illuministico dovette affrontare e si ritrovano anche le aporie di quel pensiero, aggravate in lui da una particolare posizione ideologica e psicologica. La fede religiosa tradizionale, non foss'altro che sul piano di un obbligato costante termine di confronto, è presente in lui che ha accolto il nuovo pensiero piú sul piano delle pratiche conseguenze d'ordine morale, giuridico, politico e sociale274 ma che solo in parte l'ha svolto sul piano ontologico e gnoseologico. Aggiungasi ch'egli come gli altri illuministi operanti in Spagna (e che costi tuivano una scarna minoranza) erano guardati con sospetto e finivano con l'essere necessariamente cauti e in genere restii a travolgere istituzioni o principi radicati nel costume. Uomo sensibile come s'è detto, e osservatore umanamente partecipe delle circostanze del la vita propria e altrui, piú pratico che dottrinario, piú volto alla concreta realizzazione che all'astrazione teorica,   —91→   ma anche portato a vivere in profondità il sentimento della delusione e l'affronto del dolore, egli come avvertí la suggestione dell'apparente armonia delle cose che lo commoveva e gli apriva il cuore al canto e all'inno, pure avvertí, e direttamente e attraverso le letture illuministiche, la presenza d'elementi che a quell'armonia non potevano essere ricondotti. Non si negò alla conoscenza né dell'una né degli altri e proprio in questo suo atteggiamento d'equilibrio interiore, senza scompensi drammatici, anche se caratterizzato da una costante inquietudine e ansia di ricerca, ci sembra di poter ritrovare una conferma della sua fondamentale posizione illuministica e della sostanziale continuità e unità della sua ispirazione. In piena conformità con quanto avviene nella sua produzione precedentemente da noi esaminata e specie con quella che ci è parso opportuno definire come Arcadia illuministica, Meléndez Valdés assume nei riguardi della materia del proprio canto, un atteggiamento del tutta nuovo. Ogni atteggiamento tradizionalmente aulico, ogni nobile compostezza, ogni contenuto pudore di sé è decisamente abbandonato dal poeta che immette invece proprio sé stesso, i suoi sentimenti, i suoi dubbi, i suoi affetti, i propri abbandoni fino al pianto, le proprie vicende personali in questa problematica etico-metafisica. Si bandisce ogni astrattezza e sono i problemi dell'individuo quelli che si pongono come fondamentali, un individuo tutta via aperto a quella comunanza fraterna che è caratteristica di un'epoca che va facendosi borghese275. Non   —92→   devono dunque meravigliarci né troppo facilmente attribuirsi a difetti di carattere276 le affermazioni apparentemente contraddittorie che appaiono nelle sue poesie, specie in quelle di contenuto etico-metafisico che stiamo per esaminare. Con estrema facilità si pos sono ritrovare e isolare momenti poetici o singoli versi in cui appare una visione tragica dell'esistenza umana. Ma se Meléndez Valdés scrive ad esempio

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...y el hombre a padecer nace en la tierra,277


...y el hombre triste a padecer nacido,278


ciò è frutto di un particolare atteggiamento personale del poeta e del pensatore che sa che la vita è spesso sofferenza e male e che non vuol negarsi a questa esperienza279 anzi la proietta in un piú vasto ambito che include l'umanità intera. Il che d'altra parte non esclude la dialettica contrapposizione di affermazioni piú propriamente ottimistiche intorno alla vita: ottimismo che nasce da un diverso atteggiamento verso l'umana esistenza riconosciuta come un aspetto dell'ordine naturale, ordine in cui l'uomo è iscritto e che ora si giustifica con un rinvio metafisico. La natura, legata da precisi rapporti di causa ed effetto nei suoi molteplici aspetti, è spiegata con il riconoscimento di una Causa prima. Siamo in presenza di quella concezione deistica tanto diffusa nel pensiero del secolo e di cui Meléndez Valdés aveva avuto conoscenza anche attraverso un testo poetico, già dal 1778, a lui molto caro: l'Essay on   —94→   Man di Pope280. Questo accostamento a Pope e al deismo ha il chiaro significato di un distacco dalla fede cattolica in cui era stato educato, distacco che sostanzialmente, pur tra le molteplici cautele suggerite dalle circostanze, durerà tutta la vita.

Dio compare frequentemente nella poesia di Meléndez Valdés ma non ha mai i caratteri del dio cattolico. S'osservi che nelle sue poesie non e mai nominato Cristo281 e non c'è cenno alcuno della Madonna e dei Santi, dei miracoli e dei sacramenti della fede cattolica282. Gli attributi con cui si designa Dio sono: Primero Ser, Señor, Jehová, Padre, Ser eterno, Altísimo, Hacedor, Ser infinito, Fuerte, Omnipotente, Bienhechor, Ordenador, Numen, Bueno, Inmutable, Sabio, Poderoso, Todopoderoso, Conservador, Causa primera, Providencia. Si tratta evidentemente d'appellativi283 che s'addicono all'Ente primo dei deisti, anche se in parte ripresi dalla tradizione biblica, senza però che compaia un termine specificamente cattolico, riferibile a Cristo, come per esempio Salvatore, Redentore, ecc.

L'influsso del Pope è riscontrabile direttamente sui testi. Ad esempio l'Oda XII: Vanidad de las quejas del hombre contra su Hacedor284 deriva tutti i suoi temi etico-metafisici (primo fra tutti il concetto di una catena   —95→   che lega ogni aspetto della creazione ad un altro in una scala continua che va da Dio all'ultimo degli esseri) dall'Essay on Man, come bene ha dimostrato il Forcione285, anche se sussistono fra i due poeti differenze che lo stesso Forcione ha saputo porre in evidenza286. Dio è un ordinatore supremo che ha disposto con assoluta saggezza, legandole fra loro, tutte le cose; quindi è vano e insieme colpevole pretendere di varcare il proprio stato, tentare d'uscire dalla condizione in cui ci si trova, come fa l'uomo quando


...cuenta pide
al Hacedor divino
de esta fábrica hermosa.



Ma in Meléndez, Pope dà la mano a Rousseau: Dio è attinto non solo attraverso un'indagine della mente ma attraverso un moto di partecipazione piena del sentiment interieur alle cose: nell'Oda IV: La presencia de Dios287 egli scrive:


tu inmensidad lo llena
todo, Señor, y más; del invisible
insecto al elefante,
del átomo al cometa rutilante.



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Sono versi che ricordano le parole che Rousseau pone in bocca al Vicario savoiardo quando questi afferma di ritrovare l'essere creatore «non-seulement dans les cieux qui roulent, dans l'astre qui nous éclaire; non-seulement dans moi-même, mais dans la brebis qui paît, dans l'oiseau qui vole, dans la pierre qui tombe, dans la fouille qu'emporte le vent»288.

E in un altro passo della stessa ode il fremito religioso appare scaturire dal contatto che il poeta stabilisce con le cose: sentimento commosso di un rapporto misterioso289:


   Si entonce al bosque umbrío corro,
en su sombra estás, y allí atesoras
el frescor regalado,
blando alivio a mi espíritu cansado.
   Un religioso miedo
mi pecho turba y una voz me grita:
«En este misterioso
silencio mora; adórale humildoso».



Il poeta sente di poter amare Dio soprattutto nell'universo, sua creatura:


   Hinche el corazón mío
de un ardor celestial, que a cuanto existe
como tú se derrame
y ¡oh Dios de amor! en tu universo te ame.
   Todos tus hijos somos;
el tártaro, el lapón, el indio rudo,
el tostado africano,
es un hombre, es tu imagen y es mi hermano.290



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Inquieta si presenta la ricerca intorno al problema dell'uomo e del suo destino come in Vanidad de las quejas del hombre contra su Hacedor291: il fine ultimo delle cose sfugge e sarebbe vana superbia pretendere, sulla base delle conoscenze che abbiamo, vedere l'uomo


en el centro de todos colocado.



Ma non potrebbero esistere altre creature in altri pianeti?


   ¡Hijo del polvo, si elevarla osas,
alza la vista al cielo y ve la esfera
de estrellas tachonada,
todas a par hermosas.
¿Es sólo para ti tanta lumbrera?
Acaso cada cual será empleada
en bañar con dorada
llama, como acá el sol, otro gran suelo;
y los que el globo de Saturno moran,
tan lejos como tú miran al cielo,
y que tú habitas este punto ignoran.292



Meléndez Valdés sa che la conoscenza umana ha dei limiti e che l'universo resta in gran parte un mistero per l'uomo: per questo si nega a risolutive sicurezze dogmatiche: ci sono piuttosto aspirazioni sentimentali, impulsi fideistici, talora lampi intuitivi che lo portano a squarciare l'ombra del prevalente dubbio.

S'osservi l'Oda XVI: La noche de Invierno293: vi domina il motivo dell'abbandono alla fede nel Dio creatore, sia che s'esprima in interrogazioni retoriche:

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¡Señor! ¿Quién sois? ¿quién puso
Sobre un eterno quicio
Con mano omnipotente
Los orbes de zafiro?



o in esclamazioni celebrative, non senza turbamenti suggeriti dalla persistente coscienza del mistero:


      ¡oh altos designios,
qué inmensos bienes causan
por medios no sabidos!



ovvero in piú gioiose e sicure affermazioni:


Doquiera que los ojos
vuelvo, Señor, yo admiro
tu mano derramando
perennes beneficios.



Il tono di inno si ritrova nell'Oda XXI: Inmensidad de la naturaleza y bondad inefable de su Autor294 in cui osserviamo gli stessi concetti intorno al mondo concepito come «máquina inmensa» e agli esseri legati insieme in una scala che va dalla


       ...bajeza
del primer punto que en la nada empieza



fino al


      ...grado más cumplido
en tu inefable escala,



già visti nell'ode Vanidad de las quejas del hombre contra su Hacedor. La natura, contemplata nella sua perfezione e bellezza, è una meravigliosa creatura che narra la gloria di Dio anche se l'uomo può, folle, giungere a disconoscere ciò:


   Y en unión todos viven,
y gózanse y se aman;
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a tu bondad menesterosos claman,
y de ella el bien reciben.
Las tinieblas, la luz, el sol dorado,
el ancho mar, abismo de portentos,
el monte al cielo alzado,
el hondo valle, los alados vientos
en místicos concentos,
tu excelso nombre humildes glorifican,
y en himnos mil su gratitud publican.
   ¡Y el hombre, embrutecido,
o en su furor demente
osa acusarte y tu bondad no siente!



L'uomo dovrebbe invece avvertire la commozione suscitata dall'ordine di tutto il creato che s'apre ai suoi occhi, anche se costituisce un mistero


que no alcanza a sondar la mente humana.



Il turbamento dinanzi alla potenza di Dio quale appare nella grandezza violenta della natura, costituisce il tema dell'Oda XIII: La tempestad295 che, come afferma Meléndez Valdés stesso, offrendo l'ode all'amico Llaguno y Amírola, «descrive una tempestad en mi entender de un modo nuevo en nuestra poesía»296. Quivi domina una visione biblica della divinità: Dio è rappresentato nella sua terribilità e potenza:


Tu eres Señor,...
...de tu carro retumba la ronca rueda,
tu carro es de fuego. El trueno,
el trueno otra vez; se acerca
el Señor: su trono en medio
de la tempestad asienta.



Suscita terrore e i mortali smarriti lo vedono quasi come un vendicatore terribile delle loro colpe ma poi   —100→   la tempesta si scioglie in pioggia fecondatrice e allora gli uomini comprendono la provvidenza di Dio e levano inni alla sua gloria:


ya, Padre, ya nos indultas,
y el iris de paz nos muestras,
en señal de la alianza
que has jurado con la tierra.



Esclusivo tono di preghiera ha invece l'Oda XXII: El hombre imperfecto a su perfectísimo autor297, preghiera che sgorga dalla coscienza del limite umano di fronte all'infinito di Dio:


   Tú, en cuya diestra excelsa valedora
el cielo firme se sustenta, oh Fuerte,
pues sabes del ser mío
la vil flaqueza, me defiende pío.
   Tú que la inmensa creación alientas,
oh fuente de la vida indefectible,
oye mi voz rendida,
pues es muerte ante Ti mi triste vida.



Nell'Oda XV: Al Sol298, il sole è definito «lumbrera eterna», «rey eterno de la naturaleza», «rey de los cielos», e la sua esaltazione sembra basarsi su una concezione panteistica o, per lo meno, passa in seconda linea l'aspetto del sole come «creatura» di Dio. È al sole anzi che si deve l'origine della bellezza della natura:


    ...Y a ti del caos umbrío
debió el salir la tierra tan hermosa.299



La sua potenza opera per proprio conto e attraverso essa sembra manifestarsi simbolicamente il nascosto e misterioso potere di Dio. Il sole è

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...símbolo glorioso
del Excelso.



Qui si è vicini a un concetto spinoziano di «Deus sive Natura», natura cioè come immagine dello spirito divino300.

Né diverso è in Meléndez il concetto della luna (Oda XXV: A la luna),301


plácida reina de la noche umbrosa,



concepita come sorella del sole, divina nella sua bellezza e potenza consolatrice della natura e degli uomini. Aporie e posizioni ideologiche contradditorie a volte affiorano in altri temi come quello della condizione primigenia dell'uomo: residui evidenti della cristiana concezione del peccato originale si trovano ad esempio nella già citata ode Vanidad de las quejas del hombre contra su Hacedor dove si afferma che nell'uomo:


por el primer pecado
su pecho está en dos bandos dividido;
el apetito arrastra por la tierra
cual humilde réptil y el atrevido
ánimo al cielo mismo pone guerra,302



oppure nell'Oda XXXIII: La creación o la obra de los seis días303 dove Meléndez Valdés parla della creazione di Adamo e Eva, della loro colpa e della loro cacciata   —102→   dall'Eden che rese necessaria la redenzione, mentre poi altrove si trova l'idea di una originale innocenza dell'uomo non macchiata dal peccato originale ma piuttosto da una corruzione intervenuta ad opera della società, idea chiaramente derivata dal pensiero illuministico e in particolare da J. J. Rousseau304. Per esempio la descrizione ch'egli fa nell'Epístola V: A Candamo305 degli indios d'America che sono ancora «inocentes» e dove si trovano «abrigadas las virtudes» e ingenere la sua visione rousseauiana della vita primitiva di fronte ai difetti de


la sociedad, fecunda engendradora
de culpas306,



rivela che sul problema Meléndez ha avuto incertezze ed è passato attraverso diverse fasi di pensiero.

Non meravigli la nostra insistenza sulla problematica filosofica di Meléndez poiché essa ci appare utile non soltanto ai fini di una piú precisa caratterizzazione della sua personalità nell'ambito della cultura spagnola del Settecento ma ai fini stessi del riconoscimento dell'individualità di questa sua poesia che da un travaglio essenzialmente ideologico prende le mosse e si realizza per via di una situazione spirituale essenzialmente dialettica.

Questo appunto avviene per il tema della celebrazione di Dio la cui idea, come abbiamo visto, non scaturisce da una fede certa nella rivelazione ma che per Meléndez Valdés si configura in quella di un Essere la cui esistenza viene supposta attraverso l'osservazio ne e l'ammirazione dell'ordine stesso della Natura ma al quale egli non riesce a riconoscere un valore di Persona,   —103→   anche se lo cerca e l'invoca. Dio resta davvero un Essere incomprensibile (Oda VIII: Al Ser incomprensibile de Dios)307. Per il poeta questo Essere è insieme «patente y escondido», è per lui un Ente


que adoro, mas no entiendo.



Egli lo cerca con l'ansia di chi brama conoscerlo:


¿Quién eres? ¿Dónde estás? ¿No me respondes?



e tutto il creato, ammonendolo:


contempla -dice- adora, admira y ruega
y gózame escondido.



Il mistero prevale sulla certezza e la religiosità nasce dal senso stesso del mistero:


Yo, así, abismado en tanta maravilla,
con miedo reverente
ceso y humilde inclino la rodilla
y la devota frente.



La medesima situazione appare nel Discurso III: Orden del universo y cadena admirable de sus seres308 ove l'«ordenada fábrica» della «gran Naturaleza» si presenta prodotta dal «Gran Ser»: una catena meravigliosa di creature che sono l'una causa ed effetto dell'altra:


Nada hay que no sea efecto y juntamente
causa no sea;



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e i cui elementi


...el Bueno, el Inmutable,
el Poderoso, el Sabio, cuanto hiciera,
lo enlazó en nudo y orden inefable



mentre


...a cada ser ha dado
virtud con relación al su alto objeto.



Sentimenti d'umile devozione devono accompagnare la meditazione dell'uomo:


   Mientras más lo medito, más me admiro:
la mente en calcular se desvanece,
y entre horror santo ciego me retiro.



Anche qui appare il senso del mistero e il riverente chinare la fronte davanti ad esso:


Doquier te vuelvas, por doquier que fueres,
un orden has de hallar; pero abarcarle
jamás, jamás con la razón esperes
[. . .]
...¡qué asombroso
el universo es! oh ¡quién pudiera
lince indagar su abismo tenebroso!



E se c'è la lode per colui che tanto è penetrato nel regno della natura, il grande Buffon, c'è la piena coscienza del limite che s'oppone a ogni uomo:


¡Qué de misterios, un misterio ofrece!
¿Dónde se obra esta unión? ¿Cuándo? ¿Al formarse
el hombre? y ¿cómo con su fin fenece?



La natura è un meccanismo perfetto ma è lecito dubitare sia stato creato solo per gli uomini della terra. Il fine ultimo della creazione resta misterioso:


...todo dirigido
por una sola ley y acaso en ellos
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millones de entes... ¿dónde voy perdido?
   Mas ¿qué? ¿El gran Ser no es poderoso a hacellos?
¿Es de su saber sumo acaso indigno?
¿A qué ese cuento de luceros bellos?
   ¿Sólo a la tierra don tan peregrino,
inexausto fulgor?



L'uomo cerca disperatamente il fine ultimo delle cose ma deve cedere di fronte a ciò che è piú grande di lui: c'è una poesia [Oda XVIII: A las estrellas309] in cui Meléndez Valdés si immagina in una vera e propria situazione cosmica: unito a una cometa, egli finge di trascorrere per i cieli a scoprire al di là del nostro gli infiniti mondi della creazione, sempre in cerca del más allá e senza mai trovare l'ultimo termine:


¡Ah! siempre inmensurable
al hombre agobiará naturaleza,
abismado en su mísera bajeza.



Di fronte alla palese impossibilità, il poeta lascerà il suo vano errore e si prostrerà davanti al mistero:


...un religioso miedo
mi pecho turba y una voz me grita:
«En este misterioso
silencio mora: adórale humildoso».310



Non c'è, come sarà poi per i romantici, la voluptas del mistero ma piuttosto -frenata l'ansia della ricerca- questo atteggiamento d'umiltà e rinuncia311, questo saggio riconoscimento del proprio limite che costituisce in fondo l'aspetto piú puro e vero della religiosità del poeta. Ed è questa la non ultima ragione per cui in questa composizione Meléndez Valdés, nella sua trepida   —106→   commozione davanti al mistero, raggiunge alti accenti di poesia.

L'accettazione, con sentimentale e religiosa partecipazione, dell'idea del mistero che ci sembra costituire il punto d'arrivo della meditazione metafisica di Meléndez Valdés, è anche accettazione forte e consapevole delle contraddizioni della vita. Ne nasce un altro momento della poesia melendeziana caratterizzato da un piú raccolto e personale lirismo il quale trova occasione di spunti e suggerimenti letterari nel contatto fecondo che il poeta estremegno ebbe con il canto innovatore e al suo tempo tanto diffuso e celebrato dell'inglese Young. Già la tematica anacreontea aveva con dotto il poeta a meditare sulla morte e sulla brevità della gioi a giovanile ridotta davvero a


un instante, una sombra
que al mirar desparece,312



ma l'incontro con Young ha ben altra profondità e portata. Esso risale a poco prima del 1776 quando egli ne fece un cenno preciso a Jovellanos313; all'influsso de The Night Thougts si deve con tutta probabilità la composizione di una delle opere perdute, quel Tristemio che consisteva in «diálogos lúgubres» suggeriti dalla morte del padre314. Ma a parte questo giovanile influsso, numerosi altri esempi si possono apportare avvertendo tuttavia che l'influenza non fu diretta. Il Demerson ha dimostrato infatti315 che l'influsso avvenne attraverso la traduzione francese di Le Tourneur il   —107→   che è da tener presente perché Le Tourneur tradusse con estrema libertà il testo inglese e soprattutto mirò a sopirne il carattere religioso confessionale316. Meléndez Valdés ne raccolse soprattutto la novità del nuovo gusto patetico-notturno e l'invito alla personale solitaria meditazione su temi gravi.

Il destino certo dell'uomo è la morte: su di essa e sulla «espantable eternidad» il poeta medita quando gli viene a mancare il fratello Stefano in una elegia che rievoca anche le morti del padre e della madre317: siamo in presenza piú che altro di una esercitazione poetica in cui compare già il tema della notte, ispiratrice del suo canto di dolore é, insieme, compagna del poeta solitario. Nella II elegia dedicata allo stesso tema318 e che della prima è in gran parte un rifacimento stilisticamente piú curato, s'aggiunge una piú ampia meditazione sul dolore universale:


   ¿Hay algo estable acaso acá en la tierra,
en esta estéril tierra? La ventura,
¿do la hallarán los míseros mortales?
Todo acá abajo es llanto, todo frágil,
todo instable y caduco, y la miseria
fijo su asiento para siempre tiene,
de los cuidados y del dolor seguida.



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Anche altrove319 il tema della notte serve da sfondo al dolore solitario e alle lagrime del poeta e si svolge insieme al motivo della capacità di conforto di essa («piadosa noche»), quasi in una possibilità di partecipazione umana alle riflessioni e meditazioni tristi del poeta320.

Apertamente ispirata ai modi poetici di Young ma non senza influsso di fray Luis de León321 è l'Oda IX: La noche y la soledad322 ove il tema della solitudine contemplativa notturna (polemicamente contrapposto a quello della miseria morale del mondo) si svolge in quello della virtú che lo spirito attinge distaccandosi dal mondo:


¡Ay! la virtud divina
que del vil suelo excelso le levanta
sólo la debe a ti, soledad santa.
[. . .]
¡Oh noche! ¡oh, soledad! en vuestro seno
sólo hallo el bien y en libertad me miro.



Parimenti ne El invierno es el tiempo de la meditación323 gli influssi di Young si mescolano a quelli di Luis de León, intorno al tema della fuga del tempo e dell'approssimarsi della morte. L'uomo non è se non un essere che corre verso il sepolcro secondo una generale inesorabile legge che governa l'intero universo.   —109→   Cosí anche nella natura tutte le apparenti contraddizioni si possono spiegare in un disegno provvidenziale che sfugge alla nostra limitata comprensione: solo nell'eternità del cielo sarà possibile uscire dall'ombra dell'ignoranza e dell'infelicità:


allí, en su luz clarísima embriagado,
hallaré el bien que en el lloroso suelo
busqué, ciego, de sombras fascinado.



Un accento di piú profondo e struggente dolore personale hanno le due elegie El melancólico a Jovino e De mi vida324 dove il poeta, sommerso dal dolore, è portato ad universalizzarlo e a concepire come sfondo dell'esistenza, un «fastidio universal» che sarebbe errato confondere con il dolore cosmico dei romantici perché esso è soprattutto attribuito agli errori degli uomini che non si sanno governare con la retta ragione e cedono alla violenza di contrastanti passioni:


así el hombre infelice devanea,
sin que jamás el justo medio acierte;
y el mal de todos lados le rodea,
hasta que da por término en la muerte.



Eppure il saper contemplare il male tanto grande della vita umana è già un sollievo: di delusione in delusione, d'amarezza in amarezza il poeta ha conquistato una visione piú chiara della realtà della vita: gli inganni della gioventú sono ormai lontani e la verità ancor che triste ha una sua forza:


el daño universal mi propia pena
me hizo, luna, olvidar: miro a mi hermano,
al hombre miro en infeliz cadena,
y aunque grave mi mal, ya me es liviano.



Che resta all'uomo? Solo la ricerca delle virtú che può aprirgli la speranza di una nuova vita, tutta spirituale,   —110→   staccata dal mondo (De mis combates)325. È questo un motivo che s'accentuerà sempre piú nella produzione di Meléndez Valdés per raggiungere l'apice nell'ultima sua produzione, quando il valore morale personalmente attinto costituirà l'unica ricerca del poeta. Ma in genere sussiste un atteggiamento dialettico: il contrappunto fra una concezione deistica e ottimistica dell'esistenza legata al concetto di un ordine e di un'armonia, come abbiamo visto, voluti dall'Essere creatore del tutto e una concezione pessimistica derivata dall'osservazione dei nostri limiti, del male generale, delle circostanze stesse della vita del poeta.

La consapevolezza che la vita umana non è necessariamente che una mescolanza di sofferenza e di gioia costituisce il tema dell'Oda L: La penas y los gustos forman, mezclados, la tela de la vida326, mentre nell'Oda III: El sufrimiento hace los males llevaderos327, esso sembra confermato da una idea di fato che non ammette repliche da parte dell'uomo se non quella di stringersi alla propria sofferenza:


...en orden inmutable
los casos ruedan de la vida humana,
y el hado inexorable
ya tiene decidida
tu fausto vuelo o tu infeliz caída.
Del más rudo tormento
remedio es celestial el sufrimiento.



Il cadere delle foglie in autunno è contemplato come


símbolo fugitivo
del mundanal contento



nell'Oda XXVI: Del caer de las hojas328 e presagio di quella che sarà la triste vecchiaia del poeta, priva oramai   —111→   di piaceri e sospirante, come rimedio ai propri mali, il silenzio della tomba. E la caduta di un albero è descritta con affettuosa partecipazione al dramma della natura ma è assunta come immagine di quella che è la vita umana:


¡qué es la vida
si los árboles acaban!329



Nell'Oda LV: A Anfriso330 il poeta ricorda


del hado y de los hombres
los criminales tiros,



mentre nel Romance XXVII: El otoño de la vida331 l'età matura è guardata come l'unica epoca di pace nella vita umana, allorché -sopite le passioni- la ragione s'alza sopra i desengaños anche se breve e veloce è il corso dell'esistenza:


que el tiempo vuela, la vida
es un vapor insensible



e dopo il fugace autunno


...la muerte y la tumba
serán nuestro eterno eclipse.



Il senso della vanità delle cose terrene è pure espresso nella Silva XI: Mi vuelta al campo332:


Se abisman nuestros breves días
en la noche del tiempo; así la gloria,
el alto poderío,
la ominosa riqueza
y lumbre de belleza
do ciego corre juventud liviana,
pasan cual sombra vana,
sólo dolor dejando en la memoria.



  —112→  

Aggiungansi, nell'esperienza diretta del poeta, le delusioni che gli causarono la sua carriera di magistrato e di uomo politico [Mis desengaños333, El náufrago334] e si comprenderà come il poeta è pervenuto alla convinzione che alle ferite sentimentali e al dolore che è condanna comune per tutti gli uomini c'è un'unica via d'uscita: la forza di resistere moralmente al proprio destino. Nel Prólogo de Nimes, poco prima di morire, Meléndez Valdés scriveva: «Mis libros, mis reflexiones y trabajos me han enseñado a llevar mis desgracias con un ánimo igual, sin abatirme, ni desmayar en ellas»335. E quasi tutti gli ultimi canti composti in esilio s'ispirano a questo tema. Così l'Oda IX: A la fortuna336 scritta nel Sud della Francia in uno dei primi luoghi di soggiorno del profugo337, esalta la propria giustizia contro la fortuna:


El justo, firme en su opinión, seguro
de su conciencia, reirá a la suerte.
Miedo, amenaza, inútiles asaltan
su ánimo fuerte.



In un'altra composizione dove pure c'è chiaro un cenno al «crudo destierro», l'Oda LVII: De mi suerte338, la fierezza che nasce dalla virtú praticata s'innalza sull'infelicità ed è di conforto nell'attes a della morte.

Una rassegna della propria vita è il Romance XLI: Mis desengaños339: vi si vanificano in sogno e illusio ne tutte le esperienze; resta solo quella della virtú:


La virtud adoro y corro
tras su celestial hechizo.
   Mi ilusión es su consuelo,
—113→
el desengaño un martirio;
más quiero soñar virtudes
que ver y llorar delitos.
   Ni busco ni huyo los hombres,
pero mi trato es conmigo
[. . .]
Trabajo en hacerme bueno,
busco con ánimo sencillo
la verdad y para hallarla
Naturaleza es mi libro.



Riflessioni sulla propria vita, sui vizi morali dell'umanità, sui guai provocati dallo scatenarsi delle passioni, prime fra tutte quelle che conducono i popoli alle guerre, costituiscono i temi della già accennata Elegía IV: De las miserias humanas340 ove cosí si sintetizza la condizione dell'uomo:


    Y el mortal ciego, cuya excelsa mente
sublimarse debiera en raudo vuelo
sobre el trono del sol resplandeciente,
   y allí fijar en el confín del cielo
su mansión inmortal, siempre en llorosa
pena, en mísero afán gime en el suelo,



mentre un invito alla saggezza è nell'Oda XXIX: Que es locura engolfarse en proyectos y empresas desmedidas, siendo la vida tan breve y tan incierta341: saggezza che si misura nel saper vivere disprezzando tutto quanto non possiamo eternare ma anzi dovremo la sciare con la morte:


   todo, cuando ominoso
te hunde en la tumba inexorable el hado,
lo dejarás lloroso,
sólo ¡ay desventurado!
de un lienzo vil tu cuerpo rodeado,



  —114→  

accettando di vivere con prudenza il presente, limitando le nostre speranze. In effetti la felicità sta in noi, nel nostro saper godere delle piccole cose che la natura ci offre [Oda XXXII: Que la felicidad está en nosotros mismos342], persino delle lagrime, quando esse ci sono di sfogo. Il male sta in noi,


que nosotros labramos, no las cosas,
si bien lo estimas, nuestros crudos males343.



La pace che tutti gli uomini vanno cercando, errando il cammino, si può ottenere [Oda VII: De la verdadera paz344]


...sólo en la pura
conciencia, de esperanzas y temores
altamente segura,
que ni bienes mayores
anhela, ni del aula los favores;
mas consigo contenta
en grata y no envidiada medianía,
a su deber atenta
sólo en el Señor fía,
y veces mil le ensalza cada día345.



  —115→  

La composizione che ci appare, intorno a questa tematica etico-metafisica, piú complessa e completa è il lungo Discurso II: El hombre fue criado por la virtud y sólo halla su felicidad en practicarla346. Qui abbiamo la tradizionale cristiana distinzione fra anima e corpo accettata del resto dallo stesso Rousseau: gli istinti e le passioni possono trascinare l'anima a un vivere solo irrazionale, dietro «la aparencia vana del placer». Anzi la mente può essere soggiogata da queste passioni che finiscono con l'asservirla e dominarla completamente: cosí Meléndez Valdés spiega l'ansia degli uomini verso la ricchezza, la gloria oppure una tranquillità che è solo torpido ozio, o verso gli studi vuoi della scienza, vuoi della storia, in una ansiosa ricerca che ha smarrito il vero senso delle cose e finisce pertanto nel nulla:


¿Qué es tanto afán al cabo? Amigo, nada.



La vera vita è quella che si trascorre nell'esercizio della virtú, non riducendosi a passioni terrene, nelle quali gli uomini s'immergono invece, riuscendo inferiori alle stesse bestie che almeno sono governate dall'istinto. Ed è questa ricerca della virtú l'unica che può vincere la nostra ansia ed inquietudine e può avvicinarci alle sorgenti del nostro essere, il supremo Hacedor.


De no meditar
nace nuestro mísero estado:



soltanto uno sforzo verso noi stessi può farci infrangere le infinite barriere del vizio che ci sono state in culcate dal mondo, cioè dai genitori, dai cosiddetti educatori, dalla cosiddetta stessa tradizionale «cultura», insomma da

  —116→  

la sociedad, fecunda engendradora
de culpas,



la quale ci fa brillare dinanzi il vizio sotto parvenze allettanti. Vano è per l'uomo incolpare della sua sorte infelice la fortuna o le stelle fingendo che ne racchiu dano il destino: soltanto sua è la colpa poiché non vuole prestare ascolto


de la razón al grito repetido



e non vuole affidarsi all'aiuto del divino Autore.


Entra, pues, entra en ti: con detenida
observación estúdiate a la lumbre
de la augusta verdad,



dice il poeta all'uomo, invitandolo a saper riconoscere il proprio luogo e a non chiedere di più di quanto gli è stato assegnato, obbediente alla volontà di quel Dio ch'egli deve saper scoprire e adorare dovunque:


¿no le ves en el lumbroso
ardiente sol sentado,
de la nube en el rayo arrebatado,
de la noche en el velo misterioso?



Per coloro che seguono la «ardua senda de la virtud» anche se umili,


de mísera fortuna ultraje triste,



si prepara la consolazione di quella gioia che soltanto dalla pratica della virtú stessa può derivare347.

La virtú è essenzialmente un valore che si attinge nella nostra coscienza e il richiamo a Dio è il richiamo all'Ente che di quel valore etico è il depositario: cosí   —117→   ne La virtud, en la temprana y dolorosa muerte de un hombre de bien348, subito, nei primi due versi, si pone come assioma:


   Virtud, alma virtud, don inefable
que Dios al hombre en su bondad envía,



e, poco dopo, al concetto di virtú s'unisce quello d'immortalità:


por ti soy libre y trapasar me es dado
muy más presto que el águila las cimas
del claro empíreo, hasta llegar felice
a la altísima corte del Eterno349,



  —118→  

riconfermato poco più innanzi:


Ella (la virtud) que el sabio a la región sublima
de quietud eternal;



virtú tuttavia che in Meléndez Valdés non è mai soltanto intellettualistica conquista ma si carica di un respiro profondamente umano perché virtú significa essenzialmente esercizio dell'amore, incontro fraterno con tutte le cose:


...a cuanto existe
se derrama solícito, inflamado
de esta llama de amor que eterna arde
por la infinita creación, dichosa
cadena que al gran Ser la nada enlaza.



Il tema si ritrova anche come centrale nell'Oda XXX: A la Musa350:


Ve en cada criatura
un hijo de tu Autor, goza un hermano,



cosí come trovianio quello dell'immortalità dell'anima:


allí la sed ardiente
del bien apagarás que ora te apura,
cabe la misma fuente
do el raudal brota de eternal ventura.351



Ed ancora gli stessi motivi appaiono nella Elegía V: Mis combates352:


...tu destino
es la virtud aquí y en las mansiones
de gloria el premio a tus victorias digno
[. . .]
La virtud, la virtud: éste el primero
—119→
de tus conatos sea, de tu mente
estudio, de tu pecho afán sincero,
de tu felicidad perenne fuente.



All'idea di virtú s'aggiunge quella della fine del mondo e del giudizio universale oltre il quale l'anima virtuosa conquisterà l'immortalità:


   Tiempo vendrá que al seno de la nada,
la cadena del ser por Dios rompida,
caiga naturaleza despeñada.
   Fenecerán los astros, desunida
su masa de cristal; en el medroso
caos la tierra vagará perdida;
   y el luminar del día del reposo
saldrá de tantos siglos, impelido
del brazo de un arcángel glorioso,
   más tu ser inmortal, al alarido
y universal ruina preservado,
brillará a par del querubín lucido.



Cenni a motivi della tradizione cristiana simili a quelli dell'esempio testé citato si ritrovano anche in altri passi della produzione di Meléndez e costituiscono una specie di substrato fideistico, senza però particolare impegno confessionale da parte del poeta che sembra piuttosto assumere questi motivi (ad esempio gli angeli e l'idea del paradiso) piú che altro come tradizionali figurazioni poetiche. Né si dimentichi la delicata situazione in cui si trovava il poeta nella Spagna del suo tempo. Sappiamo che l'Inquisizione avrebbe voluto ostacolare l'edizione delle sue poesie del 1797353 e che il poeta fu implicato in un processo davanti alla stessa Inquisizione nel 1800-1801354. Per quanta prudenza   —120→   egli usasse e per quanto rispettoso fosse delle istituzioni religiose e della stessa pratica del culto355, era guardato con sospetto: non poteva certo agli occhi dei suoi avversari sfuggire il suo vero atteggiamento di coscienza che non sfuggí a Blanco White quando gli fece amichevole visita a Salamanca nel 1806 e lo trovò «an amable man, with much information and great taste. He was the only Spaniard I ever knew who disbelieving Catholicism, had not embraced Atheism. He was a devout Deist... Meléndez appears to me to have been naturally religious»356.

Cosí poté essere amico di ecclesiastici che tuttavia scelse fra quelli che appartenevano al gruppo dei riformatori che nel linguaggio della Spagna di quel tempo venivano definiti giansenisti. In verità costoro non erano affatto giansenisti nel senso teologico del termine, ma lo erano piuttosto sul piano del rigorismo morale e di certe dottrine essenzialmente politiche.   —121→   «Giansenista» in effetti fu un epiteto usato soprattutto dai gesuiti contro coloro che sostenevano la libertà delle singole chiese nazionali rispetto a Roma e l'autorità del Concilio contro quella del Papa, epiteto esteso poi polemicamente e genericamente a quanti si proponevano una riforma interiore della Chiesa357. Tra i religiosi, amici di Meléndez Valdés, si possono ricordare fray Diego González, Salvador de Mena, González de Candamo, Plácido Ugena e soprattutto quell'Antonio Tavira, vescovo di Osma e predicatore del Re che doveva essere considerato come il corifeo del gruppo giansenista358. Di condividere le particolari idee dei giansenisti spagnoli Meléndez Valdés diede soprattutto prova nei suoi sforzi ripetuti per togliere al popolo spagnolo il grave fardello di una tradizione di superstizione e di fanatismo, cercando di interiorizzare la religione e di stabilire con chiarezza i confinidella legislazione civile con quella ecclesiastica359.

La religione di Meléndez Valdés fu essenzialmente religione naturale, la religione cioè dei «philosophes»: tuttavia egli non combatté una battaglia scoperta contro la fede e il culto cattolici, anche perché era persuaso del valore morale ed educativo che la religione poteva esercitare sul popolo: volle insomma ricondurla a una misura razionale. Ed anche in ciò mostrò la   —122→   sua adesione al pensiero illuministico e in particolare alla dottrina di Rousseau360, confermando il suo impegno verso il riscatto, insieme etico e pratico, del suo popolo, sul piano di un umanitarismo integrale.



  —123→  

Arriba- IV -

Significato storico e artistico della poesia di Meléndez Valdés


L'analisi fin qui condotta intorno alla tematica della poesia di Meléndez Valdés ha messo in luce la varietà e complessità del mondo interio re del poeta estremegno e il suo costante impegno verso la realizzazione di una poesia mai intesa come semplice evasione edonistica o esclusiva ricerca formale, ma volta piuttosto a una funzione eminentemente colloquiale, sul piano di una comunicazione ad un «altro» sempre presente: cioè il lettore come espressione dell'umanità: in effetti esiste una funzione etica che mai si separa dall'ispirazione e finalità estetica, persino nel genere piú leggero, quello erotico-anacreontico che, come s'è visto, ha nella storia della poesia melendeziana e in quella piú vasta della poesia spagnola del Settecento, un suo preciso significato di rottura con un passato giudicato sterile e di apertura verso espressioni nuove, come manifestazione di un orientamento piú aperto verso la vita umana e i suoi problemi. L'avere Meléndez Valdés coltivato temi tradizionali, non deve trarci in inganno e s'è visto ad esempio quale significato originale acquisti in Meléndez Valdés il genere idillico-pastorale legato com'è a un gusto e a un concetto della natura che unisce la tradizione cinquecentesca al naturalismo del pensiero settecentesco europeo. Se mai occorrerà di stinguere fra una tonalità prevalentemente aggraziata, con predominio degli elementi figurativi e musicali e in genere dei motivi decorativi, una tonalità che potremmo   —124→   definire rococò361, in cui il poeta accoglie il particolare gusto proprio delle arti figurative (e specialmente delle arti minori) del suo tempo e se ne serve come strumento per manifestare la propria sensibile adesione alle cose, ed una tonalità invece piú   —125→   grave in cui predominano gli elementi riflessivi e morali e che è propriamente illuministica. Siamo tuttavia, nell'uno e nell'altro caso, in presenza di un atteggiamento naturalistico362 differenziato nei modi e nelle finalità, non contraddittorio però, se mai definibile secondo una unitaria linea di sviluppo.

Linea di sviluppo che si continua con passaggio logico e coerente363 nel naturalismo descrittivistico e   —126→   poi nell'introduzione della problematica sociale per giungere quindi a un tentativo d'interpretazione piú profonda della realtà umana sul piano etico e metafisico. In ognuno di questi momenti la realtà è vista e giudicata sulla base dei concetti di natura e ragione che costituiscono le idee su cui si regge tutto l'edificio del pensiero riformatore illuministico364.

In questo senso si può legittimamente parlare di sostanziale unità della poesia di Meléndez Valdés: unità nell'ordine del pensiero del suo tempo, illuministico appunto, in cui trovano posto i movimenti del sentimento e le esigenze ordinatrici della mente, in una adesione costante alla realtà umana, complessa e dialettica, ma riscoperta nell'ordine della libertà e di una autonoma possibilità di fondazione. In questo processo l'individuo si afferma nella sua personalità, psicologica, intellettuale e morale: il poeta è al centro dell'opera d'arte come protagonista che tuttavia non si isola ma che anzi vuol partecipare a quanto lo circonda365.

  —127→  

Intendere cosí Meléndez Valdés è del resto interderlo come i suoi contemporanei che decretarono un successo veramente trionfale alle diverse edizioni delle sue opere366; lo considerarono il rinnovatore della poesia spagnola e lo stimarono come un caposcuola. Si legga l'epistola di Álvarez de Cienfuegos a Meléndez Valdés367 cosí piena dei ricordi della giovinezza salmantina, evocata come momento felice in cui, nel contatto amicale con Batilo, egli aveva appreso gli ideali   —128→   di virtú e di verità che animeranno tutta la sua vita e la sua arte e si osservi la Vita di Meléndez Valdés scritta dal Quintana, ove il poeta estremegno viene apertamente collocato nell'ambito del pensiero illuministico368. Il Sempere y Guarinos collocò la figura di Meléndez Valdés fra le maggiori che illustrarono l'epoca di rinnovamento del regno di Carlo III369 mentre Jovellanos fu vicino, nelle sue stesse poesie, al gusto che in Meléndez Valdés aveva trovato la migliore espressione370. Lodi, questa volta piú propriamente attinenti ai valori formali e stilistici, tributarono a Meléndez il Munárriz371, Nicasio Gallego372 e il Mor de Fuentes373 i quali tutti riconoscevano in lui il capo di una nuova scuola poetica, quella che l'Hermosilla definí (con termini che per lui erano dispettivi ma che   —129→   per noi valgono come indice di un esatto riferimento storico) «escuela anglo-galo-filosófico-sentimental» 374. Ma, penetrando nell'Ottocento, s'era verificato un mutamento nella cultura spagnola che, allontanandosi dall'impegno illuministico, s'era andata orientando verso atteggiamenti d'evasione e chiudendo in ricerche essenzialmente formali. L'esempio piú clamoroso nel campo della critica è proprio quello dell'Hermosilla in cui s'assiste a un processo d'involuzione culturale verso quello che ci pare giusto definire «neoclassicismo» e di cui l'Hermosilla stesso e il Tideo375 sono le espressioni limite configurate in un piccino esclusivismo retorico mentre Leandro Fernández de Moratín ne è l'espressione migliore376. In tutti però si manifestava una certa intransigenza dottrinaria, vestita di purismo nazionalistico che finiva col dare la mano a taluni moti reazionari, fra i meno vivi e storicamente validi del Romanticismo377.

In ogni caso ci si trovava di fronte a qualcosa di profondamente diverso dalla situazione culturale dell'Illuminismo il quale aveva ritenuto i problemi di stile e forma qualcosa di subordinato ai problemi piú propriamente ideologici e umani. Non c'è in verità alcun rigorismo formale in Meléndez Valdés, come nel corso del nostro esame dei suoi testi poetici c'è già occorso d'osservare e come metteremo in rilievo piú avanti.

  —130→  

Tuttavia il Romanticismo ebbe la tendenza a confondere Meléndez Valdés col neoclassicismo [giunse persino a farne la caricatura378] e mirò a selezionare all'interno della sua produzione ciò che poteva in qual che modo essere accettato perché ritenuto piú vicino o conseguente con la tradizione ispanica379, mentre veniva decisamente rifiutato quanto sapeva di afrancesado380. In tal modo il bucolismo e l'anacreontismo, riferibili alla poesia del Cinquecento spagnolo, erano nettamente preferiti alla poesia filosofico-morale381.

  —131→  

Quest'ultima poi poteva essere, piú avanti nel tempo, in parte rivalutata (principalmente attraverso una scelta di gusto) ma soltanto in base alla premessa che l'influsso straniero fosse stato superficiale e alla convinzione che Meléndez Valdés, a parte certe giovanili aberrazioni culturali, fosse rimasto sostanzialmente fedele a una tradizione ideologica e formale ispanica. È la tesi del Menéndez Pelayo382 sorta nel momento del trionfante clima del tradizionalismo e che rimase, tranne qualche timido tentativo di modifica383, viva per tutta la storiografia del primo Novecento, allineata con quell'altra tesi, propria della storiografia spagnola ma anche inglese, che pensa a una costante metastorica «romantica» della cultura spagnola.

Mentre cosí si perpetuava l'equivoco di un Settecento identificato sic et simpliciter con il neoclassicismo384, si tentava di salvare nel corso di quel secolo,   —132→   giudicato estraneo alla vera linea di svolgimento del ser hispánico, ciò che poteva apparire come anticipo del romanticismo, ovverossia ciò che in qualche modo sembrava rientrare nel suddetto processo «castizo» di sviluppo culturale. È il caso della clamorosa boutade di un Azorín che proclama: «Cadalso, Meléndez, Jovellanos: románticos, descabellados románticos, desapoderados románticos; románticos antes, mucho antes del estreno de Hernani en París»385 oppure del piú accademico ma metodologicamente discutibile sistema di ricerca di un Díaz-Plaja386 e, soprattutto, di quello dell'inglese Peers387.

Era cosí aperta la via a una considerazione di Meléndez Valdés nell'ambito della categoria storiografica   —133→   del preromanticismo388 cui egli veniva fatto rientrare in forza del riconoscimento della sua anima «sensibile» in una a volte curiosa mescolanza di psicologismo e di estetismo frammentaristico che ha dato il meglio di sé nel Salinas389. Non lontano da simili equivoche posizioni critiche è stato del resto lo stesso Colford, diligente nella sua analisi accademica della vita e della produzione del poeta estremegno ma incapace d'andare al di là dell'incerta ed elusiva sua definizione di Meléndez Valdés quale poeta di «transizione»390. Risultato di questi ultimi atteggiamenti critici fu l'immagine di un Meléndez Valdés, debole poeta di grazia settecentesca, apparentato con i minuetti e la pittura galante dell'epoca, fallito cantore di problemi filosofico-morali ed anticipatore, sul filo del sentimento, della poesia romantica.

La nostra indagine ci ha formato di Meléndez Valdés un'immagine ben diversa: per noi egli non è la figura sfocata, il «carácter apagado y débil, sin empuje vital»391 di cui ci parlano in genere i manuali, ma un consapevole uomo di cultura che ha una sua vasta e solida formazione filosofica, una specifica e profonda formazione giuridica e di conseguenza anche una propria ideologia politica: del resto il suo afrancesamiento -come ci sembra abbia ben accertato il Demerson392- avvenne proprio nel momento in cui Meléndez Valdés vide tradotte in leggi specifiche quelle riforme ch'egli aveva sognato e per cui aveva combattuto invano per anni393.

  —134→  

D'impronta illuministica fu pure il pensiero estetico di Meléndez Valdés che si caratterizza nel cercato equilibrio fra le istanze sensistiche che conducono alla realizzazione di una espressione libera e soggettiva, capace di commuovere e di giungere direttamente al lettore, senza preconcetti artifici, e d'altra parte le esigenze di un certo oggettivismo che vuol trascenderé la natura per acquistare un ordine superiore che la ragione possa ritrovare. Siamo anche qui in presenza di quell'incontro dialettico fra natura e ragione perseguito da tutto l'Illuminismo: atteggiamento in cui trovava posto il gusto dell'imitazione degli antichi o dei classici rinascimentali, visti come concrete immagini esemplari di un equilibrio felicemente raggiunto, capaci di stimolare, attraverso l'imitazione, le capacità dell'artista394. Il che costituisce un atteggiamento ben diverso da quello di chi pretende fissare regole o canoni come Luzán o come i «neoclassici» dell'Ottocento.

In Meléndez Valdés non si trova alcun rigorismo nei riguardi dei generi e delle forme metriche: anzi   —135→   -come già abbiamo avuto occasione di constatare- c'è l'avvicinarsi, quasi lo scambio, delle forme fra di loro: cosí l'anacreontica può dal suo contenuto leggero volgersi a temi piú gravi e il romance piegarsi a ogni contenuto con una libertà prima sconosciuta. Questa libertà nasceva dal fatto che la forma era per l'illuminista piú uno strumento che un fine. Artista consumato, Meléndez Valdés non disprezzò mai la forma: anzi tormentò le sue composizioni da edizione a edizione con varianti e aggiunte in una ricerca continua di perfezione, ma ebbe della poesia un ideale sempre e profondamente morale e umano: per questa importanza ch'egli attribuì al «contenuto» e alla comunicabilità dello stesso395, arrivò a forme espressive decisamente lontane dal concetto tradizionale di lirica, come ad esempio, nell'impiego di differenti metri (ottonario, silva, terzine) nei tre lunghi Discursos396 dal tono e movimento decisamente colloquiale, volutamente piano ma mai prosastico.

Alla libertà compositiva corrispose la libertà linguistica: Meléndez Valdés fu difensore della buona tradizione linguistica castigliana ma senza eccessi puristici: per questo poté accostare arcaismi e neologismi, convinto della loro necessità397 e finí con lo   —136→   scandalizzare proprio i puristi398 anche se in fondo fa sua era una posizione di difensore del patrimonio piú autentico della tradizione castigliana399.

Del resto questo particolare atteggiamento retorico che contaminava nel discorso poetico [con il quale il poeta mirava soprattutto a farsi comprendere e ad essere chiaro400] forme antiche e nuove, intendeva sottrarre la dizione alla monotonia e al prosaicismo, in corrispondenza con una precisa intenzione: quella di muovere, l'emozione del lettore, di renderlo cioè pateticamente partecipe401. Di qui quel «discurso entrecortado y anheloso» di cui parla il Salinas402 come di un vizio psicologico e che invece non è altro che un personale modo espressivo, diverso sia rispetto alla tradizione classicheggiante piú o meno legata ai canoni   —137→   di Luzán, ma anche al patetico dei romantici che sarà piuttosto abbandono incontrollato e esclusivo al sentimento403. Il patetico melendeziano s'appoggia alla natura, non la contrasta, è governato dalla ragione: assume anzi il carattere di strumento atto a perfezionare la conoscenza. Quindi resta sempre legato a urgenze di partecipazione sociale e umanitaria, differente pertanto dal sentimento romantico che è cosmico, irrazionalistico e individualistico fino agli atteggiamenti ex-lege. Proprio per queste ragioni il sentimento di Meléndez Valdés finiva -illuministicamente- col respingere quegli aspetti del passato che la mente condannava ed accettava invece gli elementi di quella tradizione piú positiva che lo stesso pensiero era andato costruendosi nel passato nella ricerca delle proprie, ascendenze ideologiche e che trovava, nella cultura del secolo XVI, la possibilità di una identificazione e di un modello.

In questo senso avevano ragione i contemporanei a chiamare Meléndez Valdés restaurador de la poesía española404, ché egli lo fu nel significato piú pieno del termine, non sul piano soltanto formale o astrattamente stilistico405, realizzando il suo ideale di letteratura   —138→   come strumento d'incontro fraterno delle coscienze umane406. Cosí l'intesero i contemporanei ed è se mai limite della critica l'essersi staccata da questa linea interpretativa. Tuttavia, con la recente ripresa de gli studi attorno al Settecento spagnolo il cui merito iniziale va attribuito soprattutto al grande storico francese J. Sarrailh, si sono create le premesse per una interpretazione piú aderente alla realtà storica. Il Demerson, il cui libro su Meléndez Valdés è stato tanto di frequente da noi citato, ha composto un'opera fondamentale per quel che riguarda la biografia del poeta e lo studio della sua formazione culturale e dell'ambiente in cui egli si muoveva. C'è tuttavia un limite nel lavoro del Demerson che tocca peraltro un aspetto solo marginale rispetto alle intenzioni essenzialmente storico-biografiche dell'autore: certi suoi giudizi sul piano letterario restano legati a concetti storiografici tradizionali, quali quello di «classicismo» come stile d'epoca del Settecento e di «preromanticismo»407 come   —139→   espressione di un nuovo indirizzo verso la fine del secolo. Ne deriva un certo impaccio che impedisce al Demerson di trarre le debite conseguenze, sul piano letterario, delle premesse culturali illuministiche ch'egli cosí bene individua e definisce in Meléndez Valdés.

Il poeta estremegno rientra in pieno nella cultura che caratterizza il secolo cui appartenne, che, come non fu un secolo senza poesia in terra di Francia408 da cui quella cultura stessa fu diffusa all'Europa, del pari non lo fu in Ispagna. Meléndez Valdés costituisce uno degli esempi piú alti della presenza dell'Illuminismo europeo nella cultura spagnola, presenza chiara che non può assolutamente essere confusa con la locale tradizione anche se questa non fu certo né ignorata né, nei suoi aspetti positivi e utili, disprezzata dai componenti di quella «élite» di cui parla il Sarrailh. Per questo non siamo d'accordo con il tentativo di certa storiografia spagnola che ritiene di poter spiegare il fenomeno del rinnovamento culturale della seconda metà del Settecento in Ispagna come un processo autonomo d'innovazione della locale tradizione cattolica e che sostiene, sviluppando un cenno dell'Hazard409,   —140→   potersi parlare di una Ilustración cristiana, estranea al contributo ideologico dell'Illuminismo europeo410.

Noi, con il Sarrailh, il Demerson, l'Herr e altri storici411, pensiamo che questo contributo ci fu e che anzi fu fondamentale: se mai in Ispagna avvenne quello che del resto era già avvenuto nel Cinquecento nei confronti del Rinascimento italiano, cioè lo sforzo di adattamento del nuovo, importato, alle circostanze spagnole412. Non riconoscere ciò, anzi pretendere di spiegare i risultati di questa operazione d'adattamento e rielaborazione, come germinazione spontanea, castiza, avvenuta cioè nel solco della tradizione locale, ci sembra un tentativo vero e proprio di mistificazione storica.

La realtà storica della Spagna è piú aperta e complessa di quanto talora ci viene prospettata da una storiografia frenata da troppe remore o mossa da preoccupazioni estranee alla obbiettività della ricerca stessa: questa realtà storica della Spagna include l'Illuminismo413 e in esso, come figura preminente, Meléndez Valdés, uomo con una consapevole posizione ideologica e poeta autentico.

Egli fu illuminista soprattutto per la sua chiara volontà di riscattare il mondo attraverso un processo di uso libero ed immanente delle ragione. La valorizzazio ne da lui fatta della natura e con essa della sensibilità e del sentimento, la predicazione costante della necessità della cultura contro l'ignoranza e la superstizione, lo stesso suo concetto di virtú intesa come armonia interiore e accordo umanitario con il bene degli altri, sono manifestazioni di quell'uso della ragione che vuol dare autenticità agli atti della vita, nello sforzo di ritrovare una felicità quanto piú estesa possibile fra gli uomini. Di queste salde convinzioni e sofferte aspirazioni, le sue poesie sono espressione coerente e compiuta.