Selecciona una palabra y presiona la tecla d para obtener su definición.
Indice
Abajo

Antonio de Guevara, manierista?1

Rinaldo Froldi





  —27→  

Su tre punti essenzialmente mi soffermerò nel mio breve intervento:

  1. Situazione attuale della critica attorno alla figura e all'opera del Guevara.
  2. Spunti per sviluppare un'indagine nuova.
  3. Il concetto di 'manierismo' come un'ipotesi di lavoro per la riconsiderazione dell'opera guevariana.

1.

Dall'esame della critica relativa al Guevara, si ricava una evidente constatazione: essa, fissandosi prevalentemente ora sulla figura umana del Guevara, ora sul suo stile, è arrivata a conclusioni contrastanti che vanno dal giudizio assolutamente negativo a quello decisamente positivo.

Sviluppando il concetto dell'esasperata artificiosità già messo in evidenza dal Menéndez Pelayo, gli studi d'impronta positivistica del Morel Fatio o di René Costes sottolinearono particolarmente la scarsa attendibilità del Guevara nei riguardi della storia, la sua tecnica della falsificazione, il carattere spregiudicato quando non buffonesco nel trattare temi seri.2 Giudizio   —28→   negativo confermato dall'analisi testuale di María Rosa Lida che vide in Antonio de Guevara l'ultima manifestazione di una lunga tradizione retorica ispanica risalente al Medio Evo e per altra via ribadito nella sostanza anche da Américo Castro che spiegò lo stile gesticolante del frate francescano con motivazioni d'ordine psicologico: prodotto cioè di un insistito suo impegno volto ad acquistare un prestigio che lo consolasse della sua inferiorità sociale, «un darse importancia como compensación de no sentirse importante», tesi fondamentalmente accolta dal Marichal, pur con una maggiore disponibilità ad accettare del Guevara i valori stilistico/letterari perché in lui riconosce una continua, controllata «voluntad de estilo».3

Il filone critico che s'è invece impegnato in una interpretazione positiva della figura del Guevara ha puntato essenzialmente sul suo valore come pensatore politico e morale. Così Menéndez Pidal l'ha giudicato una figura di spicco alla Corte di Carlo V, suo predicatore e consigliere, persona alla quale l'Imperatore affidava missioni delicate o dalla quale si faceva addirittura scrivere i discorsi ufficiali, e José Antonio Maravall ne analizzava alcuni aspetti del pensiero politico, nel quale tuttavia scorgeva più che profondità ed originalità, la presenza di un complesso affiorare di idee ed aspirazioni che mescolavano realismo ed utopismo. Il processo di riabilitazione culminava nell'imponente opera del Redondo che è soprattutto una documentatissima biografia ma vuol anche essere un tentativo di sintesi critica intorno all'uomo ed alla sua opera, vista soprattutto sul piano politico/morale.4 Nelle ottocento e più pagine   —29→   del lavoro s'avverte una vera e propria entusiastica ammirazione del Redondo per l'oggetto della sua ricerca; per lui il Guevara avrebbe saputo mediare certe sue esistenziali contraddizioni e nella dottrina e nella pratica.

A partire dalla pubblicazione del lavoro del Redondo s'è avuta una intensificazione degli studi sul Guevara i cui risultati più apprezzabili sono il volume di Asunción Rallo che -collocando il Guevara in un ambito decisamente rinascimentale- vuol cogliere la modernità delle sue nuove conformazioni ideologiche e formali, studiate nel genere del trattato, della biografia, dell'epistola e del racconto, ed il volume di Pilar Concejo che evidenzia nelle Epístolas familiares il formarsi del «genere» ispanico dell'ensayo, il che sarebbe frutto dell'atteggiamento «critico», caratteristico del Rinascimento.5

In ambito rinascimentale, pur sottolineandone le deviazioni dalla misura linguistica e letteraria umanistica, è collocata la prosa del Guevara dal Prieto che mette ripetutamente in luce quella che nel Guevara sarebbe una costante: la coscienza cioè della superiorità dei moderni sopra gli antichi6 mentre il Márquez Villanueva, anche e soprattutto in polemica con il Redondo, non è disposto a concedere molta importanza all'uomo politico e al pensatore; piuttosto la concede al letterato, preoccupato della sua arte più d'ogni altra cosa, proteso all'acquisto di una sua vasta cerchia di lettori che consegue grazie alla modernità delle sue nuove forme di scrittura che portano verso la novela e l'ensayo.7

Citerò infine uno studioso italiano, Davide Bigalli, che in   —30→   un recente ed intelligente saggio s'occupa del progetto politico del Guevara.8

Quanto rapidamente sintetizzato credo abbia sufficientemente posto in evidenza come complesso -e, diciamo pure, spesso contraddittorio- sia stato il cammino della critica in questi ultimi settanta anni di fronte ad una personalità indubbiamente sconcertante e difficile da inquadrare negli schemi storiografici o stilistici abitualmente utilizzati. La conseguenza che se ne può facilmente trarre è che il problema critico relativo al Guevara è tuttora apertissimo.

S'aggiunga un'altra constatazione: al di là di pochi specialisti, Guevara non viene letto né l'editoria aiuta a leggerlo. In questi ultimi anni sono usciti l'edizione di Una décade de Césares (1966), il Menosprecio de corte y alabanza de aldea, unitamente all'Arte de marear in un volume della collezione Letras Hispánicas dell'Editoria Cátedra (1984) ma per l'Oratorio de religiosos bisogna risalire a una edizione del 1948 e per le Epístolas familiares a una del 1952.9 Per le altre opere bisogna ricorrere alle edizioni antiche. Mancano persino le edizioni critiche del Libro áureo e del Relox. Del Libro Aureo de Marco Aurelio c'è solo la trascrizione del ms. dell'Escorial, pubblicata nel 1929 da Foulché-Delbosc.10 Questa la reale situazione attuale. Quale salto dalla situazione cinquecentesca quando i libri del Guevara, in Europa, non solo in Spagna, erano quello che oggi prenderebbero la denominazione di «best-seller»! Studiando il problema bibliografico delle edizioni dell'opera considerata maggiore del Guevara in un mio saggio del 1971, ho reperito del Marco Aurelio ben 37 edizioni spagnole fra il 1528 e il 1596 ed una mia allieva, Livia Brunori, ha individuato in un   —31→   altro saggio (1979) fra il 1542 e il 1596 ben 76 traduzioni in italiano delle due opere del Guevara pubblicate presso di noi sotto vari titoli: Vita di Marco Aurelio, Vita, gesti, costumi, discorsi, lettere di Marco Aurelio, Instituzione del Principe Christiano, Orologio dei Principi.11 Anche questo contrasto fra il successo presso i contemporanei e l'attuale dimenticanza deve essere oggetto di riflessione.




2.

Nella bibliografia critica su Guevara precedentemente accennata, non risulta difficile constatare la presenza di una serie di rilievi, intuizioni, osservazioni che si propongono come pienamente accettabili ma che senz'ombra di dubbio appaiono in contrasto con i giudizi conclusivi che i singoli autori propongono: ulteriore manifestazione questa ultima delle incertezze che permangono nell'interpretazione di fondo.

Ad esempio, nel quadro della recente generale proposta interpretativa di un Guevara che si colloca nel Rinascimento (e contro la tesi che era stata soprattutto della Lida della sua riduzione a tardivo, estremo esempio della cultura medievale), appare significativo l'affiorare di annotazioni, sia pur fatte sempre di sfuggita, in vari studiosi, che finiscono con il collocare il Guevara in una dimensione culturale che non è più quella del Rinascimento.

Già Américo Castro aveva accennato a un Guevara che, nel rapporto con il pubblico dei suoi lettori, si faceva interprete di un comune senso d'insicurezza in uno dei momenti più dubbi della storia europea12 ed ora il Bigalli assume le tensioni esistenziali del Guevara come «sintomo delle dilacerazioni e delle torsioni di un mondo in trasformazione».13 D'altra parte assai efficacemente il Prieto sottolinea l'allontanarsi dell'uomo che   —32→   visse alla corte di Carlo V, dagli ideali cortigiani rinascimentali per muovere invece verso un concetto di corte che sorge da un vero e proprio «desengaño del ideal de Castiglione»,14 mentre il Márquez Villanueva parla di una sensibilità del Guevara che lo porta, sia pur disordinatamente, a giudizi lucidi sulla tormentata realtà del suo tempo.15

Sul piano più propriamente letterario, Castro aveva attribuito al Guevara autentica energia espressiva16 ed il Marichal aveva accennato a un puro gusto dello scrivere17 ed ora la Concejo riconosce che la sua scrittura muove da un afán individual, da uno spiccato senso di libertà ed autonomia che lo distinguono dai contemporanei18 ed il Márquez Villanueva parla di un'arte inseguita solo per sé stessa.19

E se ancora il Márquez Villanueva insiste (e con lui la Rallo e la Concejo) sulla sua «modernità», termine -se vogliamo- alquanto generico, ma che, evidentemente, colloca il Guevara al di là della cultura strettamente umanistico/rinascimentale, non dimentichiamoci che proprio quando più ferveva la polemica sulla collocazione del Guevara nell'ambito della cultura medievale o piuttosto in quella rinascimentale, lo Spitzer (1950) l'aveva giudicato addirittura un autore che nel dualismo del suo stile anticipava una visione «barocca» del mondo.20

Anche solo gli accennati rilievi (che naturalmente vanno chiariti e criticamente approfonditi) portano a suggerire la possibilità di studiare l'opera guevariana al di fuori dell'abituale concetto di Rinascimento e di collocarla piuttosto nell'ambito del cosiddetto Manierismo. A dire il vero, il termine «manierismo» è già stato usato per il Guevara ma sempre come fuggevole accenno o timido suggerimento. Ricorderò che il Valbuena Prat,   —33→   nel 1968, giudicava il Marco Aurelio «obra pre-barroca, manierista» non solo per il suo stile ma anche «por lo desmesurado de determinadas figuras y motivos» e che in un altro punto della sua opera storiografica accennava al «primer manierismo» del Guevara21 mentre lo Hatzfeld, (per il quale tuttavia il termine «manierista» si riduce all'accezione negativa di «manierato») riteneva manierista Guevara per lo stile «hinchado» che avrebbe costituito il modello cui s'ispirò Malón de Chaide.22 Il Camprubí in un saggio del 1968, pur riconoscendo nello stile del Guevara l'eredità della tradizione, lo considera un sistema originale per la struttura retorica che è cemento di tutti i diversi materiali impiegati e volge l'opera a prospettive puramente ornamentali, manierista appunto nell'acquisizione di una forma che non è più rinascimentale e non ancora barocca.23

Il Márquez Villanueva, non proprio esplicitamente vede il Guevara come autore manierista anche se i suoi saggi contengono innumerevoli accenni che fanno pensare a tale qualificazione mentre, esplicitamente, ancorché fuggevolmente, Luisa López Grigera in un pregevole saggio che nel 1975 dedicò allo stile del Guevara, pone soprattutto in evidenza la trasformazione che si realizza negli anni 1527-28 (passaggio dal Marco Aurelio al Relox) e si continua nelle opere successive, cambio «a nivel de estructuras profundas... El principio estructurador ya no es el contenido, sino la forma» che porta a una «estructura acumulada» diversa dall'uso precedente di una «estructura generada». Questo nuovo «principio ordenador» è dalla López Grigera definito «manieristico».24

Personalmente sono dell'opinione che collocare Guevara nell'ambito del Manierismo, non possa ridursi all'uso estemporaneo   —34→   di un attributo vagamente suggerente, come finora è stato. S'impone il passaggio da quella che può essere anche una felice intuizione a una consapevolezza critica che può nascere soltanto da una profonda conoscenza dei testi guevariani e di tutta la problematica suscitata da quanti si sono occupati, secondo diverse e persino contraddittorie prospettive, del concetto di manierismo ed in particolare della sua applicazione al campo letterario.

Di fronte al manifesto imbarazzo che gli studiosi hanno finora mostrato nell'interpretare la figura dell'uomo e del letterato Guevara, l'adozione del concetto di manierismo per studiarlo secondo una diversa prospettiva, penso sia un'ipotesi di lavoro che può risultare utile come quella che promuove accostamenti inediti, angolazioni visuali disusate, riflessioni inconsuete.

D'altra parte intorno al concetto di manierismo, soprattutto negli ultimi cinquant'anni, s'è accumulato molto materiale,25 diseguale in verità e talora persino disorientante ma -a mio parere- tale da poter offrire lo spunto ad una rimeditazione e migliore comprensione di tanta letteratura spagnola degli anni centrali del secolo XVI. Invece l'utilizzazione di tale materiale è stata scarsa e talora impropria come appare   —35→   evidente dal magro bilancio che si desume dall'unico saggio finora pubblicato sull'argomento, per l'area ispanica: quello del Carilla.26 Probabilmente ha nociuto il fatto che il dibattito sul manierismo s'è sviluppato nella sua forma più acuta nella cultura soprattutto europea fra gli anni 1930 e 1970, cioè proprio quando in Spagna era in corso il processo di revisione e rivalutazione critica del barocco: divenne così particolarmente difficile introdurre un'ulteriore matización storiografica e stilistica fra Rinascimento e Barocco. Del resto il problema, anche se forse in forma meno intensa, si presentò anche per le altre culture nazionali del Cinquecento europeo, difficilmente riconducibile a unità. In un saggio di un po' d'anni fa, Ezio Raimondi, facendo un consuntivo sull'uso del concetto di manierismo in campo letterario, invocava la necessità di analisi specifiche delle singole tradizioni nazionali ed auspicava la descrizione, sulla base di rigorosi e precisi fondamenti storici, della varietà del fenomeno, in vista di una interpretazione globale dello stesso.27 Appunto ciò non è stato fatto se non in minima parte per la Spagna.




3.

Penso siano parecchi gli elementi che possono portare all'interpretazione del Guevara come iniziale rappresentante di quel manierismo che a mio modo di vedere caratterizza tanta cultura spagnola degli anni centrali del secolo XVI (e che non è riducibile semplicemente all'intensificazione di determinati stilemi d'ascendenza più o meno petrarchesca).

Guevara non crede né al filologismo dell'Umanesimo né agli ideali rinascimentali della misura e dell'armonia naturalistica, anzi vive la crisi di questi valori che non sa accordare con quelli della tradizione cristiana. Pertanto la sua arte invece di trovare le ragioni del suo manifestarsi nelle verità esterne alla coscienza   —36→   individuale, la ricerca nel suo interno per poi proiettarle verso un pubblico che vive la stessa condizione di crisi e ricerca nella lettura una risposta non tradizionale alle sue incertezze o una diversione che non sia di carattere meramente edificante o fantasiosa. La scrittura de Guevara conduceva all'osservazione psicologica ed all'invenzione realistica, elementi che caratterizzeranno il nascere ormai prossimo del romanzo. Corrispondeva cioè a un preciso orizzonte d'attesa (e in ciò è pensabile consistesse la ragione del suo successo).

Che il Guevara sia stato uomo del suo tempo, come s'è affermato, e protagonista del suo tempo (anche se come uomo pubblico -a mio avviso- meno importante di quanto pensi il Redondo) non può significare ch'egli non abbia sentito disagio di fronte alla realtà storica contemporanea: quel che appare certo è ch'egli non diede a questo disagio una precisa risposta ideologica. Credo sia un errore pensare, come spesso si è fatto, a Guevara come a un filosofo morale. La sua risposta fu sempre eminentemente di natura artistica. Si pensi -ad esempio- al tema del disprezzo del mondo, ricorrente nella sua opera e culminante nella tesa, retoricissima invettiva con cui si chiude il Menosprecio: in essa il dramma ha trovato il suo riscatto per via soggettiva in un'operazione di trasfigurazione verbale in cui l'ansia iniziale si placa nella soddisfazione di un raggiunto equilibrio formale. Ed ancora: in un altro motivo in lui ricorrente, quello che si può sintetizzare nella formula del «no hay cosa en esta vida más cierta que ser todas las cosas inciertas», il tema perde la sua potenziale carica d'angoscia e diviene pretesto per una serie di virtuose letterarie variazioni.

Questa primaria importanza data all'elemento creativo, artistico, è l'elemento che accomuna Guevara ai manieristi, soprattutto pittori e scultori, suoi contemporanei, così come il suo rifiuto delle norme e dei canoni codificati: in altri termini -per restare nel campo letterario- il suo costante impegno nella rielaborazione dei «generi» tradizionali.

Sotto le parvenze, consacrate dalla dottrina rinascimentale, della biografia storica, del trattato morale, del dialogo epistolare, del breviario religioso, in forza di una personale rielaborazione e trasfigurazione dei generi, appare nei testi del Guevara sempre qualcosa d'inaspettato e sorprendente, ricercatamente   —37→   nuovo, che la presenza dominatrice dell'autore sa ricondurre a una propria originale unità, cosicché la storia si fa finzione romanzesca, il trattato pedagogia episodica spesso divagante verso i modi della letteratura d'intrattenimento, l'epistola è monologo ricco di psicologismo, trascritto per un vasto pubblico più curioso che profondo e le opere apparentemente religiose cercano il consenso del lettore attraverso i medesimi espedienti delle opere profane e finiscono con l'essere non tanto edificanti quanto dilettevoli perché accarezzano il gusto del pubblico con le osservazioni psicologiche, le annotazioni realistiche, le sortite umoristiche o maliziose quando non lo sollecitino con il pittoresco e persino con l'orrido.

La stessa individualistica indipendenza che Guevara mostra nei riguardi dei generi letterari (e certamente delle tradizioni stilistiche) affiora anche verso le idee politico-morali. Già s'è accennato ai suoi limiti in questo campo: le sue idee politiche non s'alzano in verità al di sopra di quelle incerte e persino contraddittorie che circolavano fra i cortigiani di Carlo V, con acritica mescolanza di realismo ed utopismo, ma è pur vero che su problemi vitali della sua epoca appaiono talora giudizi liberamente e razionalisticamente espressi. È certo ch'egli non perviene -come da altri già è stato osservato- alla libertà d'esame né a una concezione naturalistica del mondo, ma s'avverte ch'egli si muove in questa direzione. Le sue sono felici intuizioni d'artista, più curioso che profondo; non sono il prodotto di un pensiero organizzato e sistematico; sono frutto di una inquietudine sincera che più che trovare risoluzione nella certezza di una convinzione diventa stimolo per una originale trasfigurazione letteraria ch'egli propone suggestivamente al suo pubblico (esempio chiarissimo è il tante volte citato episodio de El villano del Danubio in cui s'adombrano le perplessità morali del Guevara sui modi della conquista e del governo dell'America ma che si può leggere come una piacevole novella e gustare nei suoi squarci d'elegante oratoria).

Costantemente emerge perentoria dai testi del Guevara l'aspirazione all'autosufficienza del valore estetico, attinto attraverso il dominio di una scaltrita tecnica retorica che sa valorizzare una straordinaria capacità creativa, linguistica ed espressiva.   —38→  

Ho voluto solo accennare, nei limiti di tempo consentitimi, ad alcuni aspetti che mi sembrano giustificare la possibilità dell'interpretazione dell'opera del Guevara attraverso la nozione di manierismo, inteso quest'ultimo non come mero e astratto fatto formale.

Mi sia consentito aggiungere un'ultima considerazione: annotare una circostanza storica che ritengo particolarmente significativa: in quella Valladolid a lui tanto cara dove era stato per molti anni frate francescano e dove conservava -in una casa di sua proprietà- i suoi libri e dove ritornava frequentemente (addirittura -nell'ultima parte della sua vita- soggiornandovi interi mesi in alternativa con la sede episcopale di Mondoñedo) s'era verificato un fatto decisivo per la storia dell'arte spagnola: vi aveva operato, negli anni successivi al 1520, Alonso Berruguete il maggiore di quelli che in un non dimenticato saggio Roberto Longhi definì i «comprimari spagnoli della maniera italiana».28 Ricorderò in particolare quel Retablo de San Benito che oggi si conserva ancorché smembrato, nel Museo di Valladolid, opera di significato rivoluzionario per la scultura spagnola cinquecentesca che sorprese e commosse tutti i vallisoletani e certamente -fra questi- l'inquieto e curioso Antonio de Guevara.29

Concludendo, esprimo l'opinione che di primaria importanza è, per migliorare lo stato degli studi sull'opera del Guevara, avviare un lavoro filologico che porti innanzitutto alla realizzazione di quelle edizioni critiche del Marco Aurelio e del Relox che mancano e quindi alla pubblicazione di tutte le altre opere che non hanno lettori probabilmente anche per la circostanza di non essere comodamente reperibili.

  —39→  

Questo lavoro filologico è evidentemente premessa indispensabile per un'analisi rinnovata di tutte le opere del Guevara, condotta sui testi ma non astrattamente isolata dal contesto: per tale operazione sono del parere che la nozione di manierismo, finora solo parzialmente e non sempre coerentemente utilizzata per la letteratura spagnola, possa proficuamente essere impiegata per il Guevara.

Questa mia sintetica relazione ha voluto essere un richiamo a un «caso» critico irrisolto e vuol soprattutto aprirsi a un invito alla riconsiderazione delle opere del Guevara, opere che -torno a sottolineare- costituirono non senza motivo uno dei maggiori successi editoriali dell'Europa della metà del Cinquecento.







 
Indice