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Luis Vélez de Guevara e l’esercizio ecdotico1

Maria Grazia Profeti





L'occasione di queste note è quanto di più episodico si possa immaginare: il mio vecchio e mai dimenticato interesse per Luis Vélez de Guevara è stato infatti rinverdito dal recente (1977) symposium che sull'autore si è tenuto a Lexington, Ky: per dovere direi d'ufficio, essendo stata invitata a tenere la relazione di chiusura, ho dovuto ripercorrere la storia delle edizioni più o meno recenti delle opere di Vélez.

Ma nonostante il carattere di occasionalità dell'indagine, credo che da essa si possano trarre conclusioni di un qualche valore generale, anche perché non mi risulta che qualcuno abbia mai dedicato una riflessione organica all'esercizio ecdotico applicato ad una serie omogenea di testi teatrali barocchi.

Come innumerevoli altri autori del secolo XVII, Luis Vélez conosce le prime riproposte alle soglie dell'ottocento, in edizioni BAE: di lui si pubblicano infatti sei commedie nel vol. XLV2, da affiancare ad altre, sparse in raccolte di vari autori3, alla edizione Ochoa di Reinar después de morir4, e a quelle del «Tomo antiguo» edite successivamente da Schaeffer con ben altro rigore5. Di queste edizioni del periodo romantico poco ci sarebbe da dire, se non costituissero ancor oggi la fonte principale di chi si accosta al teatro barocco. E allora ricordiamo come la selezione, più che capricciosa, poco rappresentativa del sistema drammatico dei vari autori, sia orientata dai parametri critici del periodo; e soprattutto sospettosi siano i criteri di edizione, sbrigativi per quanto attiene alla scelta dei testi base (si prendeva quello più a portata di mano, spesso guardandosi bene dall'indicare di quale ci si servisse; e si interveniva poi liberamente per cambiare, aggiustare, integrare, senza per altro fare motto degli interventi).

Si dovrà arrivare ovviamente all'inizio del secolo XX ed al positivismo per trovarsi di fronte a testi degni di una qualche fiducia. Sono gli anni in cui si gettano le basi della investigazione filologica e bibliografica, e si studiano, molte volte in senso diacronico, espressioni idiomatiche, sintagmi, termini che risulteranno talora preziosi per la lettura e la comprensione delle opere di Vélez e del teatro barocco in genere. Si propongono ora inediti ed autografi del nostro autore e dei suoi coevi6 e prende l'avvio la benemerita collana TAE, troppo presto interrotta, che ospita La serrana de la Vera e El rey en su imaginación7. Ma mentre si presentano questi accuratissimi testi, e certe opere «minori» di Vélez8, nelle edizioni più «popolari» si verifica la tendenza alla

ripetizione di opere già «consacrate», obbedendo alla legge di mercato secondo la quale si preferisce ripresentare il già conosciuto; oltre al Diablo Cojuelo9, ecco il ripetersi di Reinar después de morir, El diablo está en Cantillana, La luna de la sierra:

  • Reinar después de morir y La luna de la sierra, prólogo y notas de A. Valbuena Prat, Madrid, Biblioteca popular Cervantes, n. 77, [1930?].
  • Reinar después de morir y La luna de la sierra, por F. G. Sainz de Robles, in «Teatro Español», IV, Madrid 1943, pp. 321-500.
  • Reinar después de morir, por F. Induráin, Zaragoza, Clásicos Ebro, 1944 (19582).
  • Reinar después de morir y El diablo está en Cantillana, Madrid, Clásicos Castellanos, n. 132, 1948 (1952, 1959)10.
  • La luna de la sierra, por L. Revuelta, Zaragoza, Clásicos Ebro, 1950 (1969).
  • Reinar después de morir, por G. Diego, in Poetas dramáticos españoles, Barcelona 1960, vol. I, pp. 227-316.
  • Reinar después de morir, Madrid, Alfil, 1960.
  • Reinar después de morir, Intr. di G. C. Rossi, Napoli, Pironti, 196111.
  • Reinar después de morir, Madrid, Ed. Nacional, 1964.
  • La luna de la sierra, Selección de comedias del Siglo de Oro español, Ed. E. V. Ebersole, Un. of North Carolina, 1973.
  • Reinar después de morir (con El segundo Séneca de España di Jiménez de Enciso e El esclavo del demonio di Mira de Amescua), Madrid, Amigos de la Historia, 1974.

Eppure, nonostante tante riproposte, la edizione critica di Reinar después de morir è ancora da fare. Il tentativo più cospicuo in questa direzione è il testo allestito sulla soglia degli anni '50 da Muñoz Cortés per i «Clásicos Castellanos», che unisce El diablo está en Cantillana alla più celebre commedia. Per essere considerate edizioni critiche in senso stretto manca qui una recensio dei materiali che stabilisca le linee di trasmissione dei testi, ma per lo meno si tenta di rassegnare le sueltas la cui lezione sia divergente rispetto alle Comedias las más grandisosas, Lisboa 1652, che viene usata come testo base di edizione. È vero che la collezioncina lusitana, in cui la stampa si inquadra (ne è la Parte IV), è di poco affidamento12, spesso riproduzione di edizioni madrilène, e questa ipotetica princeps di Madrid non è stata individuata dal Muñoz Cortés. Ed è vero che poco sicura mi pare anche la sua edizione del Diablo está en Cantillana, condotta sulla Parte XVI delle Nuevas Escogidas, e «corretta in alcuni passaggi» su una suelta13. Credo infatti impossibile che le divergenze tra le due stampe si limitino ai pochi luoghi citati in apparato, ed alcuni di essi poi mi sembrano interessanti (come la variante del v. 66): la tradizione sarà unica o a due rami? E la suelta sarà più affidabile della edizione di collezione? Domande a cui la edizione Muñoz Cortés non risponde. Ma proprio in quanto suscitatrice di questi dubbi, in quanto seria ed accurata, essa rappresenta un salto di qualità indubbio rispetto alle tante proposte di Reinar in circolazione14.

A partire dagli anni '50 si verifica un certo rinverdito interesse per il nostro autore, che dà come risultato una serie di edizioni di opere in parte «nuove» di Luis Vélez:

  • El embuste acreditado, ed. A. G, Reichenberger, Granada 195615.
  • La niña de Gómez Arias, ed. R. Rozzell, Granada 195616.
  • El asombro de Turquía y valiente toledano, El ollero de Ocaña (insieme al Diablo cojuelo), ed. J. Sánchez Pérez, Madrid, Aguilar, 1956.
  • Virtudes vencen señales, ed. M. G. Profeti, Pisa 196517.
  • La serrana de la Vera, ed. E. Rodríguez Cepeda, Madrid, Aula Magna, 196718.
  • El conde don Sancho Niño, ed. R. Bininger-R. L. Linker, Vigo 197019.
  • Los hijos de la Barbuda, ed. M. G. Profeti, Pisa 197020.
  • La creación del mundo, ed. H. Ziomek-R. W. Linker, University of Georgia Press, 197421.
  • La Niña de Gómez Arias (unita alla commedia di Calderón), ed. C. Iranzo, Estudios de Hispanófila, Valencia 1974.
  • El verdugo de Málaga, ed. M. G. Profeti, Clásicos Ebro, Zaragoza 1975.
  • El amor en vizcaíno y El 'ríncipe viñador, ed. H. Zyomek, Clásicos Ebro, Zaragoza 1975.
  • Más pesa el rey que la sangre, Ed. H. Zyomek, Clásicos Ebro, Zaragoza 1975.
  • La montañesa de Asturias, ed. M. G. Profeti, Verona 1975.
  • El amor en vizcaíno, ed. M. G. Profeti, Pisa 197822.

Già dal secco elenco di queste presenze23 risultano alcune caratteristiche dell'esercizio ecdotico sul teatro del Siglo de Oro: spesso gli sforzi editoriali sono determinati da forme di monomania, perché non altrimenti saprei definire l'ostinazione che mi ha spinto a presentare ben cinque commedie di Vélez su un peculio di 16; ed una passione analoga avrà portato Ziomek a darci quattro testi. Ma, a parte ciò, nessun intervento sistematico: la scelta delle opere appare capricciosa quando non dettata da mere operazioni commerciali. E non penso tanto alla lodevole riproposta della Serrana de la Vera effettuata da Cepeda -dal momento che supplisce la rarità del testo TAE e che rivela poi la profonda passione verso quest'opera che anima il suo editore24-, quanto a proposte incredibili per i nostri giorni come quella di Carmen Iranzo e la sua Niña de Gómez Arias. Sembra qui di essere ritornati ai testi BAE: a p. 11 si consegna la spudorata ammissione che si tratta di una riproduzione del testo di Rozzell (per Calderón si copia invece dal testo Valbuena Briones), ma è poi sparito l'apparato, non una nota esplicativa è presente, si omette anche la indispensabile numerazione dei versi. Né la curatrice si è presa la briga di leggere la poco tollerante ma competente recensione che Ashcom dedicò alla edizione da lei riprodotta, dove venivano segnalati alcuni refusi25, qui non corretti se non per puro caso; e cosi restano al v. 383 puedan per puedas, al v. 473 vien per hien (!), al v. 1988 espereza per aspereza. Ci sarebbe poi tutta una serie di errori della fonte che Ashcom suggeriva di sanare, cosa che la Iranzo si guarda bene dal fare se non casualmente. Restano infatti: al v. 88 es per en, al v. 1649 al valor per el valor, al v. 1740 Gozólo per Gozóla, al v. 2552 suspensad per suspended. E cosi il v. 2027, da attribuire a Gómez e non a Laureano; e i vv. 2164-65, invertiti per errore e che cosi restano. E poi altre errate disposizioni di versi, come il v. 475: se ne deduce che la Iranzo ignora la esistenza della recensione Ashcom, e forse non si è presa nemmeno la pena di rileggere il testo Rozzell prima di passarlo in tipografia.

L'esaminare con minuzia edizioni di questo genere può parere -più che ingeneroso- inelegante, data la modestia di taglio che risulta nella introduzione e la sfrontatezza dell'operazione di copia, non corretta nemmeno da una doverosa informazione critica. Ma mi ci son voluta dedicare, con tutta l'impazienza del caso, dal momento che si tratta di un episodio tutt'altro che isolato. Si può dire che tutto il teatro del Siglo de Oro è funestato da proposte di questo genere, e l'intera collezione degli «Estudios de Hispanófila/Colección Siglo de Oro» si situa a questi livelli francamente infimi. Mi rifiuto di pensare che «divulgazione» debba essere sinonimo di «sprecisione», o peggio di «cialtroneria»: la elegante «Clásicos Castalia» è lí a dimostrare il contrario. Peccato che di Vélez qui appaia solo un entremés, quello di Antonia y Perales, raccolto e commentato da par sua da Hannah Bergman, in Ramilletes de Entremeses y Bailes26.

Ora recentemente nei Clásicos Ebro, una collezione eminentemente divulgativa, sono comparse tre commedie di Vélez a cura di Ziomek, che purtroppo rientrano nella categoria delle presentazioni dove il pressappochismo e spesso l'arbitrio sono la regola. Non starò a rilevare la pochezza delle nozioni di letteratura e di metodologia possedute dallo Ziomek, o la banalità dei suoi giudizi, già segnalate da altri recensori27: buon campionario di luoghi comuni, non solo il senso critico, ma lo stesso buon senso è assente da queste introduzioni. Ma atteniamoci ai testi: ogni loro pagina è lardellata da errori di trascrizione e di interpretazione, da note cervellotiche o ridicolmente errate, con peccati vistosi per quanto attiene alla conoscenza dei latinucci sfoggiati da Vélez o delle nozioni mitologiche28. E se si trattasse di errori meccanici la cosa potrebbe apparire più o meno grave, ma inclinerebbe al perdono: sventatezza o distrazione potranno essere condannate nell'editore, ma talora risultano quasi inevitabili. Però qui l'errore di trascrizione rivela troppo spesso la mancanza di comprensione del testo per essere passato sotto silenzio. Che vorrà dire, ad esempio, il v. 630 del Príncipe viñador «del cielo, la tierra cifra»? Ma si scopre poi che la lezione consegnata dalle Nuevas Escogidas è «del cielo y la tierra cifra», il che fila benissimo: «condensato (cifra) di cielo e terra» risulta essere la bellezza di Flérida. E come potrà essersi cambiato «Principe de Aragón» di NE in «Príncipe de traición» (v. 888)? Si aggiunga l'interpunzione assurda (e sono da due a dieci luoghi inesatti per pagina): tra errori di trascrizione e interpunzione approssimativa il senso di interi passaggi va a farsi benedire. Qualche campione, quasi ad apertura di pagina: i vv. 55-74 sono un soliloquio di Eduardo; addormentato egli racconta del suo amore per Blanca attraverso un brano che finge un dialogo con la principessa, a domande e risposte; artificio, questo, spesso messo in atto da Vélez (si veda El conde don Pero Vélez, ad esempio): e lo Ziomek non capisce quali siano le prime e quali le seconde, facendo del passaggio un seguito di interrogative29. O si confrontino questi luoghi (sottolineo le trascrizioni errate):

Testo ZiomekNuevas escogidas
con interpunzione corretta
   Flérida partamos,   Flérida, partamos,
que importe el ir a León que importa el ir a León
esta noche, que esperamos esta noche, que esperamos
al Príncipe de Aragón, al Príncipe de Aragón,
según me escriben, tan presto, según me escriben, tan presto
que llegue esta noche, albricias que llega esta noche. Albricias
merezo Flérida desto, merezco, Flérida, desto,
si tal esposo codicias; si tal esposo codicias.
melancólica te has puesto, Melancólica te has puesto:
cuando con más alegrías, cuando con más alegrías
que jamás nuevas tan raras que jamás nuevas tan raras
pagar Flérida debías; pagar, Flérida, debías,
ciñe tus dos luces claras, ¿ciñes tus dos luces claras
de obscuras melancolías; de obscuras melancolías?
a tus soles o a tus cielos, A tus soles o a tus cielos
dos nubes sirven de velos... dos nubes sirven de velos... (vv. 241-56)
  
   éstas que a los pies reales   éstas, que a los pies reales
vuestros echamos ahora, vuestros echamos ahora,
tributos son naturalestributos son naturales
que les debe abril y floraque les debe abril y Flora
como vasallos leales;como vasallos leales,
que también vasallos sonque también vasallos son
vuestros, flora y el abril,vuestros, Flora y el abril.
al Príncipe de Aragón,Al Príncipe de Aragón
gocéis Flérida años mil,gocéis, Flérida, años mil,
y vos Ordoño a León;y vos, Ordoño, a León;
y nazcan tantos infantes,y nazcan tantos infantes,
de los dos vuestros retratos,de los dos vuestros retratos,
en todo a vos semejantes,en todo a vos semejantes,
que hagáis para los zapatos,que hagáis para los zapatos
trajes y para los guantes;trojes y para los guantes; (vv. 383-97)
  
   Quérrale bien   Querrále bien
por fuerza, pues en efeto por fuerza, pues en efeto
su marido ha de ser, ya su marido ha de ser ya,
que tiene buen talle, y da que tiene buen talle, y da
señales de ser discreto señales de ser discreto
y tener mucho valor. y tener mucho valor.
Si él no sé qué la ha faltado Si el no sé qué le ha faltado,
el vivirá mal casado él vivirá mal casado,
que no hay paces sin amor. que no hay paces sin amor. (vv. 1209-17)
  
Iba a casarse a CastillaIba a casarse a Castilla
con doña Blanca su Infanta,con doña Blanca, su Infanta,
y vendióle beldad tanta.y vencióle beldad tanta. (vv. 1966-68)
  
Sucesos son de la fortuna, Flérida,Sucesos son de la fortuna, Flérida,
que no es razón que tanta dicha junta que no es razón que tanta dicha junta
gozase sin pensión, no tengas miedo gozase sin pensión. No tengas miedo
en tanto que viniere don Duardo; en tanto que viviere don Duardo; (vv. 1990-93)30

Né avrò bisogno di ricordare quanto una errata accentuazione coinvolga il senso. Ne dò un campione31.

 Accentuazione ZiomekAccentuazione esatta
461llegarállegara
730llevallevá (= llevad)
795Másmas
827mi
902Másmas
1146Éstame (?)Estáme
1724halléhalle
2149, 2375tu

Ma non direi che la lettura di queste «edizioni» sia del tutto inutile: tante sono le incongruenze che il divertimento è assicurato. Per esempio: alcuni hortelanos fanno una serenata ed adornano di fiori i balconi di Flérida; insieme a un Lauro e ad un Tirreno è in scena un agreste e topico «Salicio», abbreviato da Nuevas Escogidas con Sal., ed il cui arrivo è annunciato al v. 1197 («Ya Gaseno y Salicio / la música han ordenado...»). Ebbene,, con involontario umorismo e con indubbia fantasia, Ziomek svolge l'abbreviazione con «Salteadores»; e cosi troviamo ripetutamente coinvolti in una scena villereccia questi poveri e spaesati banditi (vv. 1359, 1384, 1418-19, 1437-40, 1447, 1484, 1498-99, 1514-15).

Ed ecco come Edoardo commenta l'arrivo della sua bella dama: in luogo di un esultante: «¡Hay más venturoso amante!», il principe si lamenta «¡Ay, más venturoso amante!» (v. 1485). Né meno divertente il v. 1947: Don Jaime minaccia di bruciare come Troia le muraglie di Navarra, e che «presto su Principe ingrato, / Paris de la gloría mía, / verá de su muerte el día». Ma da Paride a Parigi in spagnolo ci corre purtroppo solo un accento. E se errare è umano, perseverare è diabolico: ecco al v. 2430, con ripetute allusioni a Troia ed Elena, insinuarsi un altro «Parigi».

Dopo aver dato una scorsa a edizioni del genere si giunge a ridare tutta la stima possibile alle vecchie sueltas e alle vulgate Nuevas Escogidas, che almeno non avevano la pretesa di dirsi «edizioni critiche» e dove gli errori erano spesso sanabili. E già che siamo a parlare di errori sanabili: qui non sarà certo il caso di aspettarsi interventi ragionevoli. Cosi non si nota che manca un v. tra il 693 ed il 694 (io propongo «Pero ahora quiero aprisa»), e che tutta una serie di luoghi vanno emendati. A mo' di esempio:

 Lezione Nuevas Escogidas-ZiomekEmendamento proposto
974Duardo a la corteDon Duardo a la corte
(per la regolarità metrica)
2130ir a Navarra, a volver / atrásir a Navarra o volver / atrás
(per il senso)
2143que eres espejo en que verque eres espejo en que veo
(rima con «deseo»)
2360pues que no vino sin tipues que no vivo sin ti
(per il senso)

E, dulcis in fundo, Ziomek omette la trascrizione di due intere pagine, la 292 e la 293. Si capisce che l'editore si è basato su una fotocopia o microfilm che ha saltato una posa: incidente tanto esplicabile quanto frequente. Ma come lo Ziomek non ha avvertito la lacuna di ben 131 versi? O più semplicemente non ha notato che appunto mancavano due pagine alla sua fonte controllando la numerazione? Neanche a farlo apposta sono due pagine dense di movimenti: escono di scena i due protagonisti travestiti da contadini e sopraggiunge il re di Navarra; e dal momento che proprio qui Flérida e Don Duardo dichiarano di aver assunto le mentite spoglie di Pascual e Dominga, come avrà fatto lo Ziomek a raccapezzarsi? Buon esempio, credo, di come si possa fare una edizione senza capire il senso di quanto si viene trascrivendo.

I criteri di scelta dei testi base sono all'altezza del resto: per El amor en vizcaíno si scelgono le Nuevas Escogidas «al no existir manuscrito alguno» (p. 29), anche se invece un manoscritto esiste, e ben conosciuto dal momento che è recensito dal Paz y Meliá32; va poi da sé che l'esistenza di un manoscritto non esime certo da una collazione con gli altri testimoni. Per El príncipe viñador sono ancora le Nuevas Escogidas a prestarsi alla trascrizione. Ma per Más pesa el rey que la sangre l'operazione di scelta è ancora più scriteriata: si riproduce una suelta del 1774 di J. y T. de Orga, Valencia e non saprei proprio dire su che base. Perché, per esempio, non le più antiche s. l., s. a.? O le stampe di Sanz, Madrid, 1745?

Sembrerebbe chiaro che effettuare una edizione, o stabilire un testo non significa prendere a caso un manoscritto o una stampa seicentesca, magari quella più facile da reperire, sia una delle sempre benemerite «Nuevas Escogidas», o una suelta purchessia quando non proprio la più tarda; ma tentare nel limite del possibile di raccogliere tutti i manoscritti e le stampe precedenti, effettuare una recensio che permetta attraverso errori separativi di stabilire la trasmissione dei materiali e risalire cosi al testo -o ai testi- che possa godere di maggiore autorevolezza; e non solo e non sempre esso sarà il più antico. Alla rilettura, il periodo che ho appena stilato mi appare intollerabilmente goffo e pretenzioso: come infatti avere la ingenuità di riassumere cosi sbrigativamente quanto e con tanta dottrina è stato accortamente investigato ed esplicato più volte?33

Pare infatti davvero incredibile che a queste cosi evidenti e recepite regolette non si adegui nemmeno una edizione che al suo apparire fu salutata come un capolavoro di precisione e di acume filologico: la edizione di El embuste acreditado curata dal Reichenberger. Ecco un campionario degli entusiasmi destati:

«Constituye la edición del señor Reichenberger un autentico cursillo práctico sobre el método y la sistematización que ha de regir una edición crítica, según los más científicos métodos modernos, qué puede servir de ejemplo a tantas ediciones de clásicos como se hacen en España. El orden más riguroso, y el más riguroso, también, rigor científico, presiden esta edición»34.


«La presente edición constituye un adecuado y digno homenaje a la memoria del profesor Claude A. Aníbal, quien dirigió la primera redacción del trabajo de Reichenberger como tesis doctoral... Y es, al mismo tiempo, una prueba convincente de la erudición del editor y de su exquisita atención a los detalles»35.


«L'Université de Grenade a publié dans cette collection de précieuses études de R. Menéndez Pidal, Blecua, Claveria, etc. Cette édition... ne dépare certes pas la collection. Elle est même un modèle pour tous ceux qu'attire la publication de quelque perle enfouie dans l'immense trésor du théâtre espagnol»36.


Come si presenta dunque la edizione Reichenberger? Una buona raccolta dei materiali mette in luce la presenza di una serie di testimoni nel secolo XVII e nel successivo; secondo lo studioso i fondamentali -sui quali basa il suo esame- sono:

  • Quinta parte de comedias nuevas escogidas de los mejores ingenios de España, Madrid, Pablo de Val, 1653. Qui la commedia viene attribuita a Luis Vélez de Guevara con il titolo El embuste acreditado y el disparate creído; l'editore chiama il testo V1653.
  • Parte treinta y quatro de comedias nuevas escritas por los mejores ingenios de España, Madrid, J. de Buendía, 1670. Qui la commedia viene ascritta a J. de Zabaleta sotto il titolo di El disparate creído; Reichenberger la indica come Z.
  • Ms. della Biblioteca Palatina di Parma, CC*IV 28033, vol. XXXVIII, intitolato La comedia de otro demonio tenemos, attribuito a «tres ingenios». Reichenberger chiama il testo P.

Molteplicità di attribuzioni e differenza nei titoli, come ben si sa, che non costituiscono un caso eccezionale nel complesso panorama del teatro barocco. Purtroppo Reichenberger non fornisce prove documentali a favore dell'una o dell'altra ascrizione, fissando cosi la filiazione dei testimoni:

«Los textos se agrupan claramente en dos clases: la clase V, a la cual pertenecen las siete ediciones en que la comedia se atribuye a Luis Vélez de Guevara, y la clase Z que consiste de Z y P. V1653 es el texto más antiguo y -creo- más auténtico de la comedia... Z ofrece gran número de versos que faltan en V y omite otros recogidos en V. P, en cambio, sigue en general, aunque, con muchas variantes propias, a Z; pero se encuentra en este manuscrito un largo trozo de versos que se halla solamente en V.»37.


Il successivo confronto effettuato dal Reichenberger si basa esclusivamente sulle lacune che interessano i vari testi, ed il risultato è il seguente stemma dei materiali:

Stemma 1

Ora, e operando proprio sullo stemma proposto dal Reichenberger, P e Z non appaiono «descritti» da V, anzi rappresentano l'altro ramo della tradizione. A questo punto sarebbe stato necessario un esame tendente a stabilire -al di là delle lacune- e attraverso le varianti significative, quale dei due rami potesse essere considerato «migliore»; e qui dovevano intervenire i soliti e ben conosciuti meccanismi dell'usus scribendi, della lectio difficilior, ecc. Invece dobbiamo starcene agli incisi (-creo-) e alle dichiarazioni apodittiche del Reichenberger, che per stabilire il testo base di edizione ricorre unicamente al ben conosciuto e mai troppo condannato principio della anteriorità38. Per di più la preferenza accordata a V è paradossalmente sostenuta dalla presenza in esso delia ascrizione a Vélez, ma senza dimostrare minimamente che l'opera sia in effetti sua:

«V es publicado diecisiete años antes que Z y por tanto está más cercano a la época del autor, lo cual disminuye las posibilidades de error, y segundo, V atribuye nuestra comedia a Luis Vélez de Guevara»39.


Ebbene, nessuno si è reso conto, né i molteplici recensori della ed. Reichenberger, e nemmeno io fino a poco tempo fa, che la Parte XXXIV de Comedias Nuevas Escogidas fu «approvata» dallo stesso Juan de Zabaleta; il quale dichiara nei ff. preliminari del volume:

«Por mandado de V. A. he visto un libro de Doze Comedias de Diferentes Autores, que a petición de Manuel Melendez, Mercader de libros, trata de imprimirse, y auiendolas visto representadas en esta Corte, con aprobación de sus censores, y leidolas de nueuo con toda atención, y cuydado, no hallo a mi corto juizio inconueniente para que no se imprima. Salvo mejor parecer, Madrid, y Iunio a 1. de 1669 años. Don Iuan de Zaualeta»40.


Come poteva Zabaleta lasciare stampare sotto il suo nome, per di più «approvandola», una commedia che non fosse sua? Anzi la stessa inclusione nel volume costituisce con ogni probabilità una giusta rivendicazione dell'autore, che cosi tornava ad impossessarsi di un prodotto a lui tolto quindici anni prima, con la presentazione dell'opera sotto una falsa paternità nella Parte V della stessa collezione. E che questa paternità nel secolo XVII non risultasse tanto sicura lo prova la presenza nel Ms. di Parma della attribuzione a tre autori. Si ricordi poi che nel 1653, anno in cui la commedia si pubblica per la prima volta -Vélez era morto da quasi dieci anni41- si rileva una vivace produzione di Zabaleta (tra il 1652 e il 1654 appaiono ben quattro pubblicazioni sue42) : egli aveva allora circa trenta anni e collaborava con famosi drammaturghi come Matos e Moreto43; tanto basta per sottolineare che l'opera poteva ben essere sua.

Ci troviamo cosi di fronte ad una commedia che sicuramente non è di Vélez, e la cui edizione si dovrebbe rifare, giacché quella di Reichenberger si basa su un testo poco degno di fede, mentre il più sicuro risulta quello che è, si, più tardo, ma che si immagina rivisto dallo stesso autore -Zabaleta- al momento di stilare la approvazione per l'intera collezione in cui apparve (leídolas de nuevo).

Prendiamo ora in esame una edizione più recente e indubbiamente seria, edita nei prestigiosi Anejos de la RAE: la Comedia famosa del Rey Don Sebastián curata da Herzog. Eppure, al di là della diligenza che traspare dalla trascrizione, che conserva la grafìa seicentesca, e dall'interesse suscitato dal recupero di una seconda fonte (il ms. 15291 della Biblioteca Nacional di Madrid) rispetto alla stampa usata da Schaeffer, alcuni errori fondamentali inficiano i risultati. Innanzi tutto una scarsa conoscenza di certi fenomeni ed episodi paleografici. Herzog sottolinea come il ms. sia di due mani: alla prima si deve il 1.º ed. il 3.° atto, alla seconda il 2°; appaiono poi una serie di correzioni, a proposito delle quali l'editore afferma:

«Las correcciones y la añadidura de ocho versos al final pueden ser de una tercera mano o del copista del segundo acto, quien además mostró su deseo de exactitud con una letra muy clara y con la corrección de los rasgos típicos de la jerga rústica. Pero con todo, este copista no fue Rojas, como lo quería ver Julián Paz. Escribe el bibliógrafo que todas las manos que colaboraron en el ms. 15291 "son del siglo XVII" y que hay "algunas notas autógrafas de D. Francisco de Rojas"... Nada en realidad permite suponer la colaboración de Rojas en este manuscrito»44.


Però la mano che intervenne non era quella di Francisco Rojas Zorilla, nativo di Toledo, ma quella del licenciado Francisco Rojas di Madrid, che molte volte è stato confuso con il più famoso omonimo: si tratta di un sacerdote appassionato di teatro ed autore egli stesso di alcuni autos e commedie senza molti meriti poetici, ma espressione di una fede viva, e che copiò, emendò e corresse molti autografi teatrali, oggi alla Biblioteca Nazionale di Madrid oppure alla Palatina di Parma: la sua grafia chiara ed accurata è inconfondibile ed a lui si devono, in effetto, le correzioni del ms. del Rey don Sebastián45 e la aggiunta alla fine di otto versi, dopo aver spiegato: «por no hallar lo que falta se adereçó desta manera».

Questo episodio, che potrebbe apparire marginale, serve invece a chiarire le vicende ed il carattere del ms., che risulta essere di copia, effettuato presso la libreria di Matías Martínez secondo quanto si dichiara sulla prima pagina46.

Sarà poi opportuno esaminare la nota apposta alla fine della seconda giornata, sulla quale si basa Herzog nell'asserire che il ms. sarebbe precedente al 1607:

«Sebastián el lusitano, rei de Portugal, el más fuerte rei de todos los que se an conocido en el reino de Portugal, murió en el reino de Fez y Marruecos y Taludante, de donde era rei el Maluco, y esto escribe el licenciado Juan Pardo de Getudes en dos días del mes de março del año mil y seis cientos y siete años. Escribido en el aposento de Juan Molero de Alarcón, mayordomo de mi señora doña María de Aiala, muger que fue del señor don Antonio de Bargas, señor del Vado y de Latore y de estas dos billas es eredero el señor don Diego de Bargas, mi señor».


Innanzi tutto la grafia di questa nota, che successivamente è stata semicancellata con grandi barre vergate trasversalmente, è diversa dalle altre tre che compaiono (anche se inopinatamente Herzog, p. 9, afferma: «Si esta nota proviene del copista de los actos primero y tercero o del más escrupuloso de la segunda jornada, no podemos distinguirlo con seguridad absoluta»). E poi essa è stata mal interpretata: infatti chi la scrive è secondo me Juan Molero de Alarcón o un suo scrivano, che cita Juan Pardo de Getudes come fonte delle sue informazioni su Don Sebastián; ed è appunto questo Juan Pardo che aveva stilato le riferite notizie nel 1607, cioè circa trent'anni dopo i fatti storici, il 2 marzo (e non in due giorni di marzo, come pare credere l'Herzog). Non c'è quindi da meravigliarsi se mal interpretando una nota tanto decisiva, non riconoscendo la grafia del licenciado Rojas di Madrid e nulla sapendo delle abitudini circa lo smercio delle commedie (non erano certo i «librai» che le copiavano personalmente, ma degli amanuensi da loro assoldati), Herzog sbaglia rotondamente le sue conclusioni:

«La primera y la última jomada son el trabajo del librero Matías Martínez, quien tal vez copiara del manuscrito autógrafo... Intercaló la segunda jornada perdida y terminó la comedia un segundo copista (Juan Pardo de Getudes), corrigiendo varios lugares y añadiendo que hizo el trabajo "en dos días del mes de março del año mil y siescientos y siete años"»47.


Da un corretto esame paleografico si desume invece che si tratta di una copia analoga a quelle di varie mani, «che tra la fine del secolo XVII e il principio del XVIII si eseguivano in gran numero per riparare alla rarità, che cominciava allora a sentirsi, delle vecchie edizioni; mal supplite dalle difettose sueltas dei Sanz e dei Leefdael... Nessun dubbio che queste copie fossero smerciate nelle librerie ed eseguite per conto dei librai stessi»4846. Un manoscritto di questo tipo ebbi modo di esaminare nella mia edizione degli Hijos de la Barbuda, e si rivelò appunto derivato da una delle varie edizioni della Tercera parte de las comedias de Lope de Vega y otros autores, e precisamente dalla Madrid 161349. Con ogni probabilità anche il ms. del Rey donSebastián è stato tratto da una stampa; fu poi corretto ed integrato dal licenciado Francisco Rojas di Madrid.

Siamo dunque di fronte a una tradizione a due testimoni: il testo a stampa, che costituì l'unica fonte di Schaeffer e che Herzog chiama F, ed il ms. ora a Madrid, che egli indica come D (appartenne infatti a Durán). A giudicare dalle omissioni -diverse nei due testi- essi sono indipendenti l'uno dall'altro. È ora necessario chiarire quale dei due presenti una maggiore affidabilità, per privilegiarlo nei casi di varianti indifferenti: infatti questo tipo di tradizione bicorne è forse quello più difficile su cui esercitare un corretto iudicium.

Ho parlato prima di «testo che possa godere di maggiore autorevolezza», e ho ripetuto ora «quale dei due rami della tradizione presenti una maggiore affidabilità», ben consapevole di muovermi su un terreno minato, vaso di argilla schiacciato tra le grandi ombre del Lachmann e del Bédier, mentre odo il Pasquali tuonare contro chi si affida ad un unico testo o costellazione di testi: «La verità non concede se stessa agli stupidi»50. Però sono anche consapevole di applicare il mio esercizio ecdotico ad un corpus particolare, i testi teatrali spagnoli del secolo XVII, giunti a noi spesso in tarde stampe, o in ms. talora derivanti da quelle, oppure passati per varie mani, usati come copioni teatrali, tagliati per le ragioni più diverse, interpolati e rimaneggiati51. Spesso il testo è arrivato alla stampa dopo tali svariatissime manipolazioni, tanto cambiato che non lo avrebbe riconosciuto il padre che lo generò, se vogliamo starcene alle dichiarazioni di Lope. E le lamentele degli autori si ripetono con costanza e intensità per tutto il secolo.

Ci si trova cosi davanti a varianti infinitesimali, a sinonimi, sintagmi equivalenti, che spesso non alterano il senso, e per le quali non può soccorrere la più acuta acribia critica; né nulla può dirci l'uso dell'autore, che magari le comprende entrambi. La loro origine resta pertanto misteriosa: dovute all'autore, a un capocomico (e riflettiamo che autor si chiamava appunto costui nella lingua teatrale del tempo), a un copista, allo stampatore? Su queste sabbie mobili l'unico punto meno infido che vedo è appunto un criterio che stabilisca -sulla base di un esame serio e ponderato- il testo o la costellazione di testi che appaiono più «sicuri» o «affidabili» (quelli che più evidenti e costanti tracce serbino dell'usus scribendi dell'autore, o che meno appaiano toccati da tagli dovuti alla messa in scena) per privilegiarli nei casi di varianti indifferenti; pronti invece ad accettare la correzione di altri rami della tradizione quando questi offrano lezioni che possano sanare il senso, che colmino lacune probabilmente meccaniche, o nelle quali si indovini la mano dell'autore.

E la scelta tra i corni della tradizione va fatta in maniera quanto più oggettiva possibile -oggettività chimerica, me ne rendo conto, ma almeno perseguita fin quanto è possibile52. Invece Herzog sposa D forse sulla base di segreti meccanismi psicologici: giocherà qui il maggior fascino che esercita un manoscritto (la sua natura infida per altro gli sfugge) rispetto a un testo a stampa? o il senso di scoperta inerente la proposta di una nuova fonte rispetto a quella già conosciuta ed edita? Non riesco a rintracciare ragioni più valide a questa preferenza, dal momento che il criterio di scelta delle meliores mi pare assolutamente discrezionale: negli elenchi consegnati nella introduzione a pp. 16-21 si ha l'impressione che si privilegi ora l'una ora l'altra variante in maniera capricciosa e spesso del tutto dissennata. Dei 125 luoghi che Herzog elenca sotto il cartellino «Preferencia dada a la variante D» (data da chi? e in base a che? E perché non «Lectiones meliores di D»? La divergenza non è meramente vertale, ma implica una diversa posizione, un desiderio -almeno- di analisi scientifica del testo esaminato) la quasi totalità sono assolutamente non significative; ed appaiono oggettivamente meliores di D solo le varianti dei vv. 598, 1990, 2005, 2107, 2632, 2636, 2810, 2821, e forse quelle dei vv. 1309, 1839, 1986 (la conclusione da trarre è ovviamente la maggiore corruzione di F nella terza jornada).

Per esempio mi sfugge la ragione per cui Herzog reputi la lezione di D al v. 276 «es premio corto el mundo / a vuestro merecimiento» migliore rispetto a «vuestros merecimientos» di F. O perché «echos a males y bienes» del v. 93 sia migliore di «echos a males y a bienes», e via di questo passo.

Ma si esamini il v. 392, dove Herzog «preferisce» espero di D a entiendo di F. Gli sfugge però che il verbo si inserisce in una redondilla e che per la rima è necessario leggere proprio entiendo:


[...] algunos, porque pretendo
poner de aquesta manera
la proa de la galera
donde allar remedio entiendo.


(vv. 389-92)                


È giusto la espunta lezione di F ad essere l'unica accettabile. Ancora: al v. 500 si preferisce la lezione di D sauer a quella di F valor. Ora, non solo per l'usus di Vélez è preferibile quest'ultima, ma anche qui soccorre la rima:

XARIFE.
¿De dónde eres tú?
ESPAÑOL.
Señor,
español y castellano.
XARIFE.
Tú tienes un rey cristiano
de gran prudencia y balor.

(vv. 497-500)                


Quindi, non solo le varianti di D «preferite» sono spesso assolutamente non significative, ma in molti casi chiaramente errate; e cosi reputo migliori di F le varianti dei vv. 412, 562, 671, 779, 853, 854, 914, 959, 1006, 1028, 1082, 1147, 1185, 1343,1380, 1487, 1788, 1889, 1890, 1911, 2371, 2521, 2628, 2657, 2660; la dimostrazione puntuale risulterebbe troppo lunga, travalicando i limiti e gli intenti di questa riflessione, ma le ragioni della mia scelta risiedono sempre nell'usus di Vélez o nel senso dei passaggi (si pensi ad esempio al v. 1006, dove Herzog suppone con D che il Re conceda alla vedova addirittura quattro ducati di rendita «cada dia», dove F ha con ben maggiore credibilità «cada mes»).

Di contro ecco alcune meliores di D, non recensite, come quella al v. 492: F legge «gran dicha», D correttamente «grandeza», in rima con cabeza; va però anche notato che il luogo è sanabile per congettura, ed infatti Schaeffer emendò correttamente.

Ma anche nella «Preferencia dada a la variante F» le cose non vanno molto meglio, dal momento che continuano ad abbondare le varianti non significative (vv. 91, 117, 184, 384, 593, 818, 826, 1093, 1363, 1497, 1650, 1805, 1983, 2058, 2190, 2194, 2235, 2402, 2411, 2482, 2791, 2792, 2822) o addirittura meliores di D (1314, 2182, 2625); tuttavia i rimanenti casi depongono indubbiamente a favore della stampa. Ne risulta che priva di ogni attendibilità è la stima percentualistica proposta da Herzog: «La proporción de las variantes rechazadas es cerca de tres a uno a favor del manuscrito "D"»53. E poi non si tratta tanto di effettuare un computo statistico, quanto di esaminare la qualità dei luoghi divergenti: D infatti presenta spesso lezioni che derivano per corruzione da quelle di F, come al v. 19 sagrado per salado, o al v. 780 se trata per se traça: quindi F leggeva abitualmente meglio nella fonte comune, e la mia fiducia nella stampa è tutt'altro che scossa, ma se mai rafforzata, dall'esame del ms.54

Herzog dovrà dunque «ripensare» la sua edizione, magari in occasione di una ristampa, che sani anche i molti refusi (per es. vedi i vv. 971, dove manca la indicazione REY; o v. 1008, manca la parentesi; v. 1227: habernos per hablemos; 2520: tes per tres, ecc.); ma qui chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ricordo anche le interpunzioni scorrette (cfr. il v. 2513, dove andrà letto el «España y Santiago»; o il v. 3003: «aquesto, fin»), e soprattutto le lezioni riportate negli elenchi iniziali e che non corrispondono in apparato (vedi apparato p. 76, v. 497); a volte invece, certe scelte dichiarate nella introduzione vengono contraddette nel testo (cfr. vv. 1343, 1640, 1791, 2515). Ancora più spiacevoli risultano certe congetture inutili (come al v. 556, dove si inserisce los, mentre la regolarità metrica potrebbe essere assicurata da uno iato le / ablan, abbastanza corrente5552; o peggio dannose, come una difficilior espunta al v. 1286:


No sé dónde estoy, que solo
toda mi gente e dejado
atrás como en otro polo
boy nueba tierra allanando
y es el gran Tajo el Pactolo.


(vv. 1282-86)                


Naturalmente già per il senso, la citazione del fiume mitico è perfettamente plausibile: il familiare Tajo si cambia, agli occhi del Re sperduto, in un fiume misterioso ed irreale. Se poi si volesse ricordare l'usus di Vélez, conosco almeno un'altra citazione del fiume della Frigia, questa volta per sottolineare la preziosità delle sue sabbie, nella Montañesa de Asturias (ed. Profeti, vv. 2082-83: «La arenas que cernió el Pactolo / de oro»). E per finire, la rima con solo e polo è determinante: nonostante tutto ciò Herzog emenda «es el gran Tajo espantoso». Ma, come si è visto, sembra davvero che delle ragioni metriche e di senso Herzog non abbia tenuto gran conto.

Si sa che il lavoro di interpretazione -e la conseguente eventuale emendatio- è particolarmente delicato quando la tradizione sia a testimone unico: è il caso del Conde don Sancho Niño, che Bininger e Landeira dichiarano conservata «solamente en una suelta rara, sin lugar ni fecha. Existe una copia en la Bibliothèque Nationale de Paris y otra en la Biblioteca Palatina de Parma»56. A me per la verità risulta una suelta anche alla Biblioteca dell'Arsenal di Parigi (collocazione 4.º BL 4113, 8.º Pièce, in una raccolta fittizia di commedie di Calderón, dal momento che questa è la paternità dichiarata nella stampa). Bisognerebbe allora stabilire se la suelta dell'Arsemi sia altra copia di quella di Parma e della Nazionale parisiense, o se si tratti di una edizione diversa, ed in questo ipotetico caso che relazione si possa stabilire tra i due testimoni. Comunque teniamo per ora presente solo la fonte segnalata.

La edizione di Bininger-Landeira apparve con notevole ritardo rispetto alla data di stesura: Bininger aveva infatti presentato alla Ohio State University la sua tesi dottorale nel 1955, e da allora purtroppo il lavoro non risulta aggiornato. Ma nei 15 anni che corrono dal 1955 al 1970, data della stampa grazie ad un contributo della Arizona State University, molto è stato fatto e detto nei riguardi di Vélez, e la sistematica ignoranza degli interventi rende estremamente gracile la riproposta. Manca soprattutto quasi completamente il riferimento al sistema drammatico di Vélez, mancanza tanto più grave dal momento che sulla commedia pesa il problema di paternità; ed anche se la menzione di «Lauro» nei versi finali risolve quasi completamente il dubbio, sarebbe stata ben accetta ogni dimostrazione che sottolineasse come la commedia si riconnette perfettamente al corpus delle opere dell'autore, e che fugasse i residui eventuali dubbi.

Per esempio i vv. 10-19 e 39-44, dove si descrivono gli effetti dell'amore, ne ricordano altri molto simili nella Montañesa de Asturias (vv. 45-55), o la apostrofe agli occhi, ritenuti responsabili dalla protagonista del proprio innamoramento (vv. 1818-27) richiamano i vv. 780-85 della stessa Montañesa. Si veda poi la descrizione raffinatamente stilizzata della battaglia contro i mori (vv. 593-709), parallela alla relazione di Fernán González (La montañesa, vv. 390-524), con la raffigurazione stereotipa del destriero, delle vesti del cavaliere arabo -di un controllato esotismo-, delle esortazioni ai nobili cristiani, ecc.57. Anche con El amor en vizcaíno noto molte analogie: citerò per tutte le lagnanze della sorella che accusa il re di prevaricare il suo libero arbitrio (vv. 1159-1164; El amor en vizcaíno, vv. 939-52), con forme tanto simili da sfiorare la parafrasi; la descrizione della caccia al cinghiale, luogo preferito da Vélez (vv. 489-530; Amor en vizcaíno, vv. 1280-1306); o la imitazione del romance de la jura de Santa Gadea (vv. 1359-68; Amor en vizcaíno, vv. 17911810), che ritorna anche più diffusamente nel Diablo está en Cantillana, ed. BAE, p. 167b. E un'altra commedia che conosco bene, Virtudes vencen señales, mi rimanda echi sensibili: le lodi spropositate del gracioso per il dono rituale di una catena da parte dell'Infanta (vv. 2139-57; Virtudes, ed. Profeti, vv. 2534-56; vedi anche la nota relativa, con cit. della Corte del Demonio); la descrizione della gelosia e dei suoi effetti (vv. 85-96; Virtudes, vv. 810-13; e nota relativa); o dichiarazioni sui limiti del potere regale come quelle dei vv. 1147-49, che si ripetono quasi puntualmente in Virtudes (vv. 2311-15)58. Ancora: le ironie nei riguardi di Cupido e della mitologia, che appaiono ai vv. 2122-35, si rintracciano negli Hijos de la Barbuda, ed. Profeti, vv. 1004-17 (vedi anche la nota relativa); nella Montañesa de Asturias, ,vv. 988-1001; e nell'Amor en vizcaíno, vv. 1193-206; e poi allusioni alla classicità ed ai suoi eroi, citazioni di uno dei topici prediletti, Narciso, ecc.59.

Ora si può obbiettare che il lettore può supplire da sé queste assenze, se la mancanza di riferimenti al sistema drammatico di Vélez non si riflettesse con decisione sugli interventi editoriali; ed infatti si sa bene che l'edizione di qualsiasi opera implica uno studo approfondito sull'intero corpus di scritti di un autore. Ad esempio i due editori sembrano ignorare la tendenza in Vélez alla vacillazione delle vocali pro toniche, dal momento che regolarizzano al v. 809 dizis della suelta in decís (eppure annotano al v. 1265 la presenza in Vélez di forme come disignio); mentre una migliore conoscenza delle abitudini metriche di Vélez, con la presenza di taluni iato, avrebbe indotto a conservare versi come il 741 «de la noche escaparon» (che viene corretto in «de la noche se escaparon»); o la rilevazione dell'uso della dieresi avrebbe spinto al rispetto del v. 1018 «no podéis ignorarla»: gli editori decidono che qui «Falta una sílaba» ed aggiungono un ya all'inizio del verso. Ugualmente in Vélez, e in tutto il teatro barocco, si verifica spesso la omissione della marca dell'accusativo di persona, per cui sono correnti lezioni come «el conde» (v. 835)60 che viceversa gli editori regolarizzano.

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