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L'ispanoamericano: da Milano a Milano

Giuseppe Bellini





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Tra una vicenda e l'altra si è ormai superato il mezzo secolo di esistenza nell'Università italiana dell'insegnamento di Letteratura ispano-americana. Insegnamento che ormai appare ben radicato, consolidato e che si è esteso ad altre discipline attinenti alla storia della civiltà iberica e americana. È appunto in questo clima che merita ripercorrere, sia pure brevemente, l'avventurosa vicenda delle origini, che a Milano ebbe il suo avvio fondatore.

Erano gli anni lontani del secondo dopoguerra e nell'Università Bocconi da poco si era inaugurato un corso che conduceva alla laurea in Lingue e letterature straniere, con specializzazione nelle quattro principali lingue occi dentali: inglese, francese, tedesco e spagnolo, come già avveniva alla Ca' Foscari di Venezia. Un corso che, più tardi divenuto Facoltà, giunse presto non solo a pareggiare, ma in qualche modo a superare, per serietà di studi, la Facoltà cafoscarina.

E qui la storia diviene personale. Io mi ero laureato in Lingua e letteratura spagnola nel febbraio del 1948 e non appena discussa la tesi il mio Maestro, Franco Meregalli, usci dall'aula e mi offrì di essere il suo assistente. Un minuto di es itazione, poiché non avevo mai pensato alla carriera universitaria, poi il sì. A distanza di anni, quando ormai ero docente a Venezia, il Maestro ricordava spesso, divertito e compiaciuto, quel minuto: «È bastato un minuto...», diceva fissa ndomi, e non completava la frase. Così era il Meregalli, personaggio non facile, ma indimenticabile.

Da assistente -che la Bocconi, sempre «commerciale», per quattro anni tenne senza compenso e per due con un compenso simbolico annuale-, il titolare dell'insegnamento di Lingua e letteratura spagnola, curioso anche di letteratura ispano-americana -ricordo il corso sul Modernismo, la preferenza per Silva, così vicino a Leopardi-, mi autorizzò a tenere corsi di ampliamento sulla letteratura dell'America già ispanica, corsi che, seguiti da numerosi studenti, convinsero le autorità ac cademiche a chiedere, qualche anno dopo, una modifica di statuto che contemplasse un complementare di Letteratura ispano-americana.

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Il primo corso ufficiale, a me affidato, prese il via nel 1959 e da allora la nuova disciplina si andò affermando, mano a mano che anch'io andavo approfondendo la materia, del tutto nuova, per la quale mancava completamente in Italia ogni ausilio bibliografico, anche solo essenziale. La Spagna, tuttavia, con qualche difficoltà non solo logistica, era raggiungibile, benché anche lì, dopo gli entusiasmi editoriali degli inizi del secolo XX, la letteratura ispanoamericana, nel regime dittatoriale imperante, fosse ormai quasi una sconosciuta, se si eccettua il solito Rubén Darío e pochi altri scrittori, non sempre di grande categoria, e poeti contemporanei.

Tuttavia, l'amicizia stretta con alcuni librai ed editori di riviste mi permise di pervenire a opere rilevanti, spesso fornitemi sottobanco, data la censura franchista: è il caso di Neruda, non solo, ma dello stesso García Lorca, della cui opera in Spagna erano proibiti la stampa e il commercio, e che solo era accessibile nei volumi editi dalla Losada di Buenos Aires, non diffondibili nella penisola. Ma la circolazione dei libri proibiti dall'autorità governativa contava in Spagna con un'affermata esperienza d'evasione, fin dai tempi dei Re Cattolici e della conquista americana.

Furono tempi pioneristici, quelli, ma ricchi anche di soddisfazioni, in particolare da parte degli studenti. Basti pensare che per ognuna delle sessioni di esami si sottoponevano alla prova almeno alcune centinaia di candidati, che poi, quando assunsi anche l'insegnamento di Lingua e letteratura spagnola divennero complessivamente oltre mille.

È vero che la massa studentesca bocconiana era ormai molto numerosa, che io ero generoso valorizzatore di meriti, e non segnavo le eventuali bocciature, con grave nocumento del «monte» finanziario nazionale, che ridistribuiva allora parte della tassa di ripetizione d'esame tra i professori ordinari di tutta Italia, non numerosi, ma in realtà era la disciplina in sé a interessare, era il mondo misterioso dell'America, che poco a poco si apriva alla conoscenza dei giovani. Di qui che anche il docente, animato da entusiasmo, avesse ormai scordato quella che era stata in qualche modo l'emarginazione dei quattro gatti che ai tempi avevano scelto la specializzazione in spagnolo, guardati con sufficienza dagli specializzandi in lingue e letterature ritenute più prestigiose, soprattutto dai francesisti, di connaturata superbia, tollerati dai vincitori anglisti, e del tutto ignorati dagli altri quattro gatti germanisti, chiusi in teutonico isolamento.

La nuova disciplina, insomma, forse per la disponibilità del giovane professore, ma certo anche per la presenza continua nelle sue aule di scrittori ispanoamericani, Neruda, Asturias, Paz, tra i molti, convocava alunni in numero crescente, a maggior gloria di tutto un mondo culturale.

Questa la storia delle origini, fino a che, per effetto della contestazione studentesca, la Facoltà bocconiana fu sospesa, dando luogo all'apertura di una nuova facoltà di Lingue e letterature straniere a Bergamo, dove, naturalmente, la letteratura ispanoamericana non figurò tra le discipline. Solo da pochi anni vi è stata, infatti, attivata.

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Conseguenza della «sospensione» bocconiana fu, nel 1969, il mio trasferimento a Venezia, proprio in quella Facoltà dove avevo sostenuto, in tempi di guerra, i primi tre esami, prima che si fondasse il corso di laurea della Bocco ni. Il mio Maestro vi era presente dal 1958 come ordinario di Lingua e letteratura spagnola e in quel momento era Preside della Facoltà. Fu lui a chiamarmi, con la promessa formale che la prima disciplina da mettere a concorso sarebbe stata la mia, come del resto fu, dopo che cessò il blocco ministeriale motivato da una riforma che non venne mai fatta. Intanto esercitai a Venezia la docenza come incaricato, fino al 1975, quando vinsi il predetto concorso.

Meregalli aveva già attivato, prima del mio trasferimento, un corso di Letteratura ispanoamericana, che al mio arrivo mi affidò. Ebbe inizio così la mia stagione veneziana, che durò fino all'anno accademico 1980, quando mi trasferii alla Facoltà di Lettere dell'Università Statale di Milano, dove mi si offriva la possibilità di ricoprire indifferentemente l'una o l'altra cattedra iberistica. Naturalmente preferii rimanere nella mia specializzazione e di conseguenza a Milano, sia pure in altra Università, tornava a essere attivo, dopo poco più di un decennio, l'insegnamento dell'ispanoamericano; insegnamento che si sarebbe via via consolidato negli anni e che, alla mia uscita di ruolo, avrebbe poi visto occupare la cattedra un mio carissimo e valido discepolo bocconiano, Aldo Albònico, e dopo la sua prematura scomparsa, un'altra eccellente e cara allieva, Emilia Perassi, entrambi come professori ordinari.

A Milano, quando io mi trasferii alla Statale, l'insegnamento di Letteratura ispanoamericana diveniva presente anche nella Facoltà di Magistero dell'Università Cattolica, dove lo impartii fino al 1994, sostituito poi da Dante Liano, già mio prezioso collaboratore, prima come professore associato, poi come ordinario.

A Venezia, intanto, in seguito al mio trasferimento a Milano l'insegnamento della disciplina veniva assunto come Professore Associato da un'altra mia cara e straordinaria allieva cafoscarina, Silvana Serafin, alla quale, passata in seguito all'Università di Udine in quanto vincitrice del concorso a professore ordinario di Letteratura ispanoamericana, successe prima, come professore associato, Martha Canfield, e dopo il suo passaggio come ordinario a Firenze, un'altra mia valida allieva veneziana, l'attivissima e impareggiabile Susanna Regazzoni, al momento professore associato. La Regazzoni esercitò la docenza anche presso l'Università IULM, di Feltre.

Questa la storia di un'avventura, in sostanza in gran parte personale, iniziata senza intenzioni universitarie previe e svoltasi invece tutta nell'Università, esplicata non solo nell'insegnamento, ma nella promozione più ampia degli studi iberistici, prima in seguito all'elezione al Consiglio Superiore Nazionale dell'Università, poi al Consiglio Nazionale delle Ricerche e alla Presidenza del Comitato per le Scienze storiche, filosofiche e filologiche.

Una permanenza più che decennale in quest'ultimo organismo valse a potenziare gli studi delle lingue e letterature straniere e in esse anche del settore iberistico, a stringere collaborazioni internazionali, a favorire l'avvio degli   —12→   Archives de la littérature latinoaméricaine du XXème siècle, che dal C. N. R. S. di Parigi strutturò, diresse e ancora dirige Amos Segala, un tempo collaboratore prezioso del Premio Nobel Miguel Ángel Asturias.

Dall'attività promotrice della ricerca ha tratto vantaggio anche la nostra Università, sia con la fondazione da parte del C. N. R. del Centro per lo studio delle letterature e delle culture delle Aree emergenti, poi divenuto Istituto per la stori a dell'Europa mediterranea, di cui parleranno rispettivamente le mie preziose collaboratrici, Dott.sse Clara Camplani e Patrizia Spinato Bruschi, ricercatrici del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sia con il Progetto strategico Italia-America Latina, celebrativo del V.º Centenario della Scoperta colombiana, sia infine con la serie di collane scientifiche qui sviluppate e diffuse, quali «Letterature e Culture dell'America Latina», «Quaderni della Ricerca», «Studi Colombiani» e le riviste «Studi di letteratura ispano-americana», «Rassegna Iberistica» e anche «Quaderni Ibero-Americani», tutte sotto l'egida del C. N. R., senza peraltro dimenticare un'altra inziativa intrapresa in collaborazione con Maria Teresa Cattaneo e Alfonso D'Agostino: la rivista «Quaderni di Letterature Iberiche e Ibero-americane», per vari anni attiva.

Tutto ciò configura, attraverso la produzione scientifica e le numerose collaborazioni con Università europee e americane, del Nord e soprattutto del Centro e del Sud, un vero e proprio centro di eccellenza dedicato all'America Latina, che com e tale ha avuto ed ha continui riconoscimenti scientifici all'estero, segnatamente in Spagna, Francia e Germania, e naturalmente nei paesi ispanoamericani.

Ancora qualche cosa va aggiunto a quanto detto e riguarda l'area attuale dei nostri studi. Chi si avventura in essi ritiene pacifico che l'area cui attendono sia quella che gli si presenta. Tuttavia, non è stato così alle origini. Nell'immediato dopoguerra, in Europa, per letteratura ispanoamericana si intendeva generalmente quella sviluppatasi dopo l'indipendenza dei paesi americani. Tanto era così che ancora nel 1953 René Bazin nella sua Histoire de la Littérature Américaine de langue espagnole, edita a Parigi da Hachette, iniziava la sua trattazione da quella che definiva la «Generazione» 1830-1870, partendo da Andrés Bello.

In Spagna la tendenza, accentuatasi durante il franchismo, era di conglobare tutto nella letteratura spagnola, concedendo qualche spazio, scarsamente indipendente, soprattutto alla poesia -valgano le importati antologie edite dall'Instituto de Cultura Hispánica-, quando nei primi decenni del Novecento vari scrittori avevano avuto spazio nell'editoria spagnola, tra essi il romanziere venezuelano Rómulo Gallegos. Ma di una vera coscienza delle letteratura ispanoamericana non si trattava e tanto era così che tutta la cronachistica delle Indie veniva considerata parte della letteratura spagnola, non solo, ma nella sua storia letteraria il Valbuena Prat non si faceva scrupolo di comprendere anche Sor Juana Inés de la Cruz, in quanto prodotto della colonia.

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Bisognava arrivare alla Historia de la literatura hispanoamericana di Enrique Anderson Imbert, pubblicata nel 1954 a Città del Messico dal Fondo de Cultura Económica, perché la letteratura della Colonia avesse adeguata tratta zione, anche se già nel 1945 Arturo Torres Ríoseco vi aveva dedicato una quarantina di pagine nella sua Nueva historia de la literatura iberoamericana, edita a Buenos Aires da Emecé.

Che ciò avvenisse in America era più che logico. In Europa la situazione era diversa, e anche in Spagna, dove solo nel 1967 Ángel Valbuena Briones, docente in università nordamericana, aggiungeva ai tre volumi di letteratura spagnola del padre, editi dalla barcellonese Editorial Gil, un quarto volume dedicato alla letteratura ispanoamericana, che faceva iniziare dalla Verdadera historia de la conquista de México, di Bernal Díaz del Castillo.

Nel 1976 Luis Saínz de Medrano, il vero fondatore dell'ispanoamericanismo spagnolo, iniziava la sua Historia de la literatura hispanoamericana, edita a Madrid da Guadiana, con una trattazione vasta, in più capitoli, della produzione letterari a coloniale, dalla conquista all'Illuminismo.

La mia personale concezione della letteratura ispanoamericana, tenuta salda la relazione di fondo con la letteratura spagnola, prendeva corpo sin dall'inizio nei vari tentativi di storia letteraria da me intrapresi, in pubblicazioni universitarie precarie, di sostegno ai corsi, e si concretava alla fine nel volume La letteratura ispano-americana dalle letterature precolombiane ai nostri giorni, edito da Sansoni-Accademia (Firenze-Milano) nel 1970.

In questa storia letteraria rivendicavo il valore della produzione dell'America coloniale, partendo dalle prime presenze della cultura ispanica medievale e rinascimentale, vale a dire dalla diffusione dei romances agli apporti della cronachistica della scoperta e della conquista, fino alle manifestazioni del barocco, non solo, ma rilevavo anche gli apporti della cultura italiana e della nostra letteratura, apporti che sarebbero poi stati più approfonditamente illustrati nel volume Storia delle relazioni letterarie tra l'Italia e l'America di lingua spagnola, edito nel 1977 a Milano, presso il Cisalpino, poi ampliato nell'edizione C. N. R. del 1982. Naturalmente non venivano trascurate le presenze di altre letterature, a seconda dei secoli, da quella francese, a quella tedesca, a quella inglese e nordamericana, ecc., ecc.

Il fatto più rilevante, credo, fu comunque l'estensione della storia letteraria ispanoamericana alle culture del mondo precolombiano. Se Colombo, con il suo Diario, era affermato da me come il vero iniziatore della nuova letteratura, non sembra va possibile trascurare quanto l'America aveva dato in epoca anteriore alla conquista nei grandi centri culturali -Messico, Centroamerica e Perù-, la cui rilevanza mano a mano gli americanisti del secolo XX andavano sottolineando, sia in ambito archeologico che in quello letterario. Non si potevano comprendere bene vari autori ispanoamericani, soprattutto contemporanei, se non si aveva almeno qualche conoscenza del passato indigeno. Me ne aveva dato coscienza la trattazione di poeti del Novecento, quali   —14→   Neruda, Asturias, Octavio Paz, ma anche di autori più remoti, tra essi l'Inca Garcilaso de la Vega e Sor Juana Inés de la Cruz, all'opera dei quali mi ero dedicato a partire dai mei primi corsi bocconiani e che tutt'ora costituiscono motivo di molti miei interventi.

La mia storia letteraria fu la prima, quindi, nel 1970, ad estendere all'epoca precolombiana l'area della nostra disciplina. Nessuna, infatti, delle storie fino ad allora correnti vi aveva fatto riferimento, anche se esistevano studi, spesso di grande rilevanza, dedicati a tali culture, come quelli del Padre Garibay e di León Portilla in Messico, di Alcina Frank in Spagna, ecc. Non solo, ma se consideriamo la storiografia letteraria spagnola, ancora nel 1982, quando, presso la madrilena Editorial Cátedra, Íñigo Madrigal coordinava una Historia de la literatura hispanoamericana, faceva iniziare dai suoi collaboratori il primo volume con l'epoca coloniale.

Vero è che nel 1978 Agustín Del Saz aveva dedicato due pagine circa a un «Preámbulo indoamericano» nella sua Letteratura Iberoamericana, edita a Barcelona presso la Editorial Juventud, ma occorreva arrivare al 1985 per tro vare in Spagna una Historia de la literatura hispanoamericana che contemplasse le espressioni culturali del mondo precolombiano, e fu, tradotta e riveduta, quella che io avevo pubblicato in Italia, edita ora a Madrid da Castalia, più volte ristampata, anche nell'edizio ne ampliata del 1997, testo corrente non solo nella penisola iberica.

Solo nel 1995 Teodosio Fernández, Selena Millares e Eduardo Becerra, pubblicavano, presso la Editorial Universitaria di Madrid, una nuova storia letteraria ispanoamericana, dedicando una decina di pagine alle «Culturas prehispánicas». Nel medesimo anno appariva presso la madrilena Alianza Editorial, anche il primo volume della Historia de la literatura hispanoamericana di José Miguel Oviedo, dove una sessantina di pagine contemplava le letterature americane anteriori a Colombo. La presenza del mondo precolombiano nella storia letteraria di cui trattiamo si poteva dire, così, definitivamente affermata, ma si noti, tuttavia, che l'autore è un peruviano, non uno spagnolo.

Un impegno simile a quello relativo alla definizione dell'area letteraria ispanoamericana ho ritenuto di esplicare in merito alla definizione di una traiettoria di continuità dell'interesse italiano verso il mondo americano di matrice ispanica. Poteva il nostro ispanoamericanismo limitare i suoi inizi al secondo dopoguerra? No. La storia dell'interesse italiano per l'America era molto più sostanziosa, non si limitava alle quattro opere tradotte prima del conflitto mondiale e nell'immediato dopo guerra da volonterosi diffusori della letteratura soprattutto del Río de la Plata, dove risiedevano. Scarsa di risultati commerciali, se consideriamo che nel 1940 l'editore Guanda, per attirare lettori, proponeva due premi di lire mille tra chi avesse espresso i migliori giudizi su due romanzi, uno dei quali era il Don Segundo Sombra, di Güiraldes, che ne costava 10 di lire, presto salite a 15.

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Varrà la pena, qui, di sottolineare il concreto apporto, nel tempo, dell'editore parmense Ugo Guanda alla diffusione della poesia internazionale contemporanea, attraverso la famosa collana «La Fenice», in tempi successivi continuata dalle mila nesi Edizioni Accademia in «Dal mondo intero», diretta all'inzio da Carlo Bo, poi da me. Fu Guanda a pubblicare per primo García Lorca, nelle traduzioni di Bo e di Macrì, a far conoscere, attraverso l'Antologia del Macrì, la poesia spagnola contemporanea, e in essa il ruolo innovatore di Rubén Darío, a diffondere sia pure parzialmente, il Canto general di Neruda, nella traduzione di Dario Puccini.

Guanda fu un carissimo amico; lo conobbi nei miei anni di docenza all'Università parmense e per le sue edizioni curai le antologie poetiche di Paz, di Asturias e della Poesia barocca. Varrà la pena, un giorno, di celebrare que sti, ed altri, benemeriti della diffusione dei valori ispanici e americani. Io lo faccio da tempo, anche per Enrico Cicogna, iniziatore intelligente del boom latinoamericano in Italia, con la sua traduzione per Feltrinelli dei Cien años de soledad, di García Márquez.

Sono un po' uscito di carreggiata, forse, poiché intendevo trattare delle radici del nostro ispanoamericanismo, che, come ho illustrato in L'America in Italia, non va limitato al secondo Novecento. Ho atteso, perciò, alla ricostru zione della sua traiettoria, tanto più che, anche a non essere nazionalisti, Colombo appartiene alla geografia italiana ed è stato lui, si voglia o non si voglia, a introdurre nell'Occidente il mondo americano.

Proprio con la scoperta colombiana, l'esplorazione dell'America e la conquista inizia il nostro ispanoamericanismo. Ne sono testimonianza le numerose traduzioni diffuse dalle stamperie italiane, di Milano, Roma e soprattutto Venezia, di cui in varie occasioni abbiamo trattato, non solo io, ma amici nostri e validi collaboratori: da Silvana Serafin a Donatella Ferro, ad Angela Caracciolo Aricò, a Giovanni Battista De Cesare, al nostro sempre presente Aldo Albònico.

Valga per tutte la monumentale opera del Ramusio, Delle navigationi et viaggi, pubblicata appena dopo la prima metà del Cinquecento. Ma non si arresta li l'interesse italiano per l'Ispanoamerica, raggiunge personaggi come il Parini e il Leopardi, poeti e artisti, ma anche narratori dei secoli successivi, fino a che, superato il secondo conflitto mondiale, sorge un vero e proprio ispanoamericanismo come scienza, quello del quale tutti noi facciamo parte.

Un ultimo punto va dedicato alle relazioni intercorse e che ancora intercorrono con l'ispanoamericanismo spagnolo: davvero si possono dire fraterne, ricche di apporti scientifici e di testimonianze cordiali e generose. Ma di questo parlerà il prof. Jaime Martínez che, per oltre un decennio, è stato valido docente in questa Università degli Studi, oltre che alla Cattolica, e mio prezioso e sempre rimpianto collaboratore.





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