Miguel Ángel Asturias e Venezia
Giuseppe Bellini
Università di Milano
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In più di un'occasione mi sono occupato di Miguel Ángel Asturias, come uomo e come scrittore e in qualche caso ho utilizzato anche testi di una lunga relazione epistolare, sempre più significativa con il passare degli anni. Mi sembra il caso, ora, di evocare il personaggio utilizzando alcune lettere che mi inviava, materiale destinato altrimenti a rimanere ignorato, nell'avventurosa vicenda che coinvolge, con la nostra vita, quanto dì più intimo ci appartiene.
Tra il Maestro e chi scrive si era andata formando, nel tempo, una grande amicizia, che coinvolgeva le due famiglie. Ho ricordato spesso, in conversazioni con amici, come fosse frequente il fatto che, quando il silenzio del Maestro si protraeva più a lungo, e in famiglia lo sottolineavo, un'improvvisa telefonata recava la voce festosa di Miguel Ángel, dall'angolo meno atteso del mondo, quasi una comunicazione telepatica gli facesse cogliere che si sentiva la sua mancanza. Doña Blanca, così disposta ad accogliere voci dai confini del normale, confermava l'esistenza di questa comunicazione e l'attribuiva alla componente india del marito. La confortava in questo doña Mariquita Valle-Inclán, la quale affermava anch'essa conturbanti presenze oltre il reale, documentava percezioni inquietanti e divinatorie.
Morto ormai Asturias, un mattino in cui, a Parigi, doña Blanca aveva ospitato me e mia moglie nella sua casa e ci aveva distinto con l'assegnarci la sua camera matrimoniale - l'altarino del lato dove aveva dormito Asturias era rimasto intatto, con la sua mescolanza di presenze cattoliche e indie -, un'improvvisa telefonata della Valle-Inclán le comunicava che aveva percepito la nostra presenza in quel luogo preciso, senza che prima doña Blanca l'avesse informata. La cosa ci lasciò profondamente turbati, mentre la moglie del Maestro accoglieva la comunicazione come del tutto naturale. Ma io avevo già avuto modo di sperimentare, a Venezia, in occasione del Congresso Internazionale degli Ispanisti, organizzato da Franco Meregalli, le facoltà straordinarie di doña Mariquita.
Tornando al tema, gli inizi della mia relazione con Asturias furono occasionali. Allorché, negli anni che sempre definisco «ruggenti» della mia attività di —6→ ispanoamericanista, quelli della gioventù e del maggiore entusiasmo, quando svolgevo un'intensa attività di diffusione dei valori della letteratura ispanoamericana presso le edizioni Nuova Accademia di Milano, avevo pensato di tradurre qualche cosa della narrativa di Asturias: si trattò di Week-end en Guatemala, seguito qualche tempo dopo da un'antologia poetica, Parla il «Gran Lengua», presso la casa editrice di Ugo Guanda, un amico non dimenticato, al quale molto deve la conoscenza della poesia iberica e americana in Italia, nei decenni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale.
Vidi per la prima volta il Maestro a Santa Margherita, in occasione di un indimenticabile congresso latinoamericano organizzato da Amos Segala, personaggio che rimase sempre vicino ad Asturias, seguendolo poi a Parigi, e che dopo la sua morte curò la conservazione della sua memoria e ne difese l'opera, iniziando la pubblicazione in edizione critica delle opere, progetto confluito poi nel più ampio degli «Archives de la Littérature Latinoaméricaine et Caraïbe du XXe. siècle», posto ora sotto l'egida dell'UNESCO.
Quello con Asturias, in quell'occasione, fu un incontro per me deludente: il Maestro mi accolse con cortesia, ma senza calore. Il mattino seguente venne ad abbracciarmi e a scusarsi: non aveva individuato bene la persona e solo doña Blanca era riuscita, sapiente collezionista di notizie, a far luce sul Bellini. Da quel momento ebbe inizio un'amicizia che si rafforzò continuamente, fino a diventare Asturias una sorta di padre per la nostra famiglia e una presenza frequente nella Facoltà di Lingue e letterature straniere dell'Università Bocconi, dove allora insegnavo.
Ma Venezia era pure entrata nel cuore dello scrittore guatemalteco. La sua frequentazione della città era iniziata per merito di Franco Meregalli, allora ordinario di letteratura spagnola nella prestigiosa Ca' Foscari, sempre aperto alla diffusione della letteratura latinoamericana, fin dagli anni in cui, io allievo, insegnava all'Università Bocconi. Anzi, proprio al suo incitamento devo se ho dedicato la mia attività di docente e di studioso alle lettere dell'America di lingua spagnola e se poi, in anni successivi, potei trasferire la docenza di questa disciplina presso l'Università cafoscarina.
Con il mio arrivo a Venezia, chiusa la Facoltà di Lingue e letterature straniere dell'Università Bocconi- una vera e propria «serrata», alla quale cercò invano di opporsi Asturias, ormai Premio Nobel - la frequentazione della città lagunare da parte del Maestro si fece più frequente, fino al momento in cui Meregalli, allora Preside della Facoltà, prese l'iniziativa di concedergli la laurea «Honoris causa».
Una ricca
corrispondenza personale precede questo momento. Asturias era uomo
di spirito festoso, stava volentieri in compagnia, si compiaceva di
una cucina ricca e saporita, rideva volentieri e non gli
dispiacevano le forme spiritose, anche se non era infrequente che
d'improvviso trascinasse in qualche conversazione
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seria. Spesso mi prendeva sotto braccio e con quel «ahora vamos a
conversar»
suo caratteristico, aveva
inizio, con un lungo passeggiare su e giù per le calli
veneziane, una comunicazione profonda.
In quell'epoca noi, discepoli e no, di varia età, di Meregalli - ricordo Carlos Romero, Beppe Tavani, Giulia Lanciani, Giovanni Battista De Cesare, Bruna Cinti, Donatella Ferro, Silvana Serafín, Elide Pittarello, Camilla Bianchini -, avevamo finito per soprannominare il professore «Divino Maestro»; era uno scherzo, ma aveva una base seria di origine, in quanto noi consideravamo Meregalli la nostra guida, il punto naturale di riferimento e a lui andavano la nostra stima e il nostro affetto. Anche se il Professore non si concedeva molto, anzi manteneva una sorta di controllo costante, sotto il quale, tuttavia, si poteva cogliere ugualmente la corrispondenza affettiva.
Il soprannome era piaciuto ad Asturias, che in privato lo aveva adottato e in qualche occasione epistolare pure lo usava, per riferirsi al personaggio, verso il quale aveva stima grande e simpatia.
Il Nobel guatemalteco aveva fatto una lunga e gratificante esperienza a Milano. Nelle sue lettere egli menziona spesso «los Pescaditos», un ristorante dove eravamo soliti mangiare del buon pesce. In un breve biglietto di auguri per il 1971, si comprende come il Maestro manifesti umoristiche preoccupazioni per il mio passaggio quale docente da Milano a Venezia. Il biglietto reca la figura di un vecchietto con la nipotina e Asturias scrive, alludendo alla mia seconda figlia, Elena, dì poco più di un anno, e con lei alla mia prima, Michela:
L'allusione finale
al gelato ha una lunga storia nella relazione di Asturias con la
mia famiglia e ad essa ho alluso recentemente, rendendo pubblico
anche un sonetto, «Problema
helado», che, dopo un pranzo a base tutto di
gelato, egli dedicò a mia moglie proclamandola «Marquesa del helado a la
suprema / menta, turrón y gotas de
ambrosía»
. Era la primavera del
1965.
Gli anni dal '50 alla metà del '60 furono anni difficili per Asturias, anche dal punto di vista economico, almeno fino al 1967, quando ricevette il Premio Nobel. E furono anni di grande dignità, nei quali le difficoltà economiche vennero sopportate con grande decoro, mentre l'amicizia diveniva elemento determinante per reagire alle ristrettezze della vita e, non ultimo, all'avanzare dell'età. Di qui che Asturias si legasse sempre più affettivamente agli amici italiani e divenisse —8→ assiduo nelte Università dove tali amici svolgevano la loro opera docente. Milano e Venezia divennero, quindi, in Italia, i luoghi preferiti.
Intanto l'iniziativa della laurea «Honoris causa» procedeva con l'inevitabile lentezza burocratica. Asturias era davvero entusiasta della cosa. Riprodurrò, in parte, una lunga lettera da Parigi, del 13 maggio 1971, piena di affetto e di humor:
Pure interessante
è una lettera, sempre da Parigi, del 21 giungo 1971. In
essa, dopo aver ringraziato per il numero degli Studi di
Letteratura Ispano-americana dedicatogli e per certe
«gestiones» con gli
editori, intese a far sì che pagassero quanto dovutogli,
riferisce, sempre con il caratteristico buonumore, di essersi
«recetado» due mesi di
vacanze a Mallorca per terminare il romanzo Dos veces bastardo, che
intendeva pubblicare nel 1972 - non riuscirà, invece,
neppure a terminarlo prima della sua morte -, e di aver parlato di
me con Neruda: «Aquí
hemos hablado, malas ausencias, se entiende, con Pablo, del
Prof. Bellini. No hay elogio que no
haga de usted, Neruda, y yo lo corroboro»
.
Cito, naturalmente, per legittima vanagloria.
Nella stessa lettera Asturias chiede notizie di Meregalli e fa una dichiarazione di straordinaria adesione a Venezia:
¿Cómo está el Prof. Meregalli? Nuestros abrazos muy cordiales. Venecia, hecha una góndola de ensueños, nos circula en la sangre, no sabemos si como glóbulo blanco o glóbulo rojo. |
Finalmente, il
giorno della laurea si avvicina: il 16 maggio 1972 ha luogo la
cerimonia e lo scrittore pronuncia il suo discorso svolgendo il
tema «Paisaje y lenguaje
en la novela hispanoamericana»
, non senza
aver prima sottolineato il significato profondo, per lui,
dell'avvenimento. Nel settecentesco salone, ricco di stucchi, di
ori e di specchi, la sua voce risuona commossa:
Dopo la cerimonia, un banchetto riuniva intorno al nuovo laureato professori e studenti. Fu in quell'occasione che gli consegnammo solennemente, solennità burlesca, le insegne dell'Ordine del «Cochinillo de Oro», un Ordine fasullo, —10→ del quale già avevamo insignito alcuni personaggi amici. Asturias lo accettò con grande entusiasmo e quale non fu la mia sorpresa, anni dopo, ormai scomparso il Maestro, di trovare nel suo appartamento di Parigi questo collare applicato ad un suo busto realizzato dallo scultore Messina. Doña Blanca mi assicurò che il marito ne era stato molto orgoglioso, lo aveva avuto molto caro, anche perché gli ricordava costantemente gli amici lasciati a Milano e a Venezia.
Una città, quest'ultima, che aveva sempre colpito Asturias e che ha parte rilevante nella sua opera poetica. Infatti, già nel 1963-64, durante un soggiorno nella Serenissima, quando lo scrittore era esule in Italia, aveva composto alcuni sonetti, ispiratigli dalla città lagunare. Nel 1965 io li pubblicavo a Milano, quale omaggio al Maestro, con il titolo di Sonetos de Italia, avvertendo che sarebbe stato più logico chiamarli Sonetos venecianos per il tema.
In occasione della laurea «Honoris causa» al Maestro si pensò di ripubblicare con nuovo titolo tali composizioni, presso la preziosa stamperia di Alberto Tallone, in Alpignano, per la traduzione di Letizia Falzone, amica intima dei Meregalli. Il poeta volle aggiungere allora ai primi quattro sonetti altri tre: «Venecia iluminada», «Venecianas islas», «Esta rosa amarilla»: li aveva composti tutti nei giorni veneziani che precedettero la cerimonia della laurea, ma i testi me li inviò il 7 giugno 1972, accompagnati da una lettera che vale la pena di rendere pubblica, soprattutto per l'affettuosità della stessa e perché esprime il suo giudizio su un suo romanzo appena pubblicato, Viernes de dolores:
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Il trascorrere del tempo non diminuisce, anzi accresce l'attaccamento di Asturias agli amici. Trascrivo, a questo proposito, una simpatica lettera del 17 luglio 1972, sempre da Parigi:
L'interesse di
Asturias per la pubblicazione dei Sonetti Veneziani, quale
fu, in definitiva, il titolo del libro edito da Tallone, è
grande. In varie lettere torna sull'argomento. «No fuimos a los
nuevayorkes - scrive in data 2 ottobre 1972-
porque resultaba muy fatigoso, y por eso hasta
el 12 del presente saldremos directamente a México, y
pensamos estar allá hasta la primera semana de Noviembre en
que volveremos a París
». E in
lettera del 6 dicembre dello stesso anno informa, entusiasta, della
sua esperienza messicana, riprendendo anche il tema dei
Sonetti:
Una nuova lettera
del 3 gennaio 1973 mescola «asuntos» vari, tra essi la
sua rappresentanza legale in Italia, l'edizione dei Sonetti
Veneziani, denuncia politica e tratti di umorismo: «¡Qué desear
a los Bellini, en este umbral de 1973: Todo, salud, alegría,
trabajo constructivo, helados-de-amor y pesetas, digo liras, digo
dólares!»
, scrive; poi passa al
libro in via di edizione:
Quindi una nota
umoristica: «Y esto es
todo por hoy, caro Profesor, Mandamás de la Orden de los
Cochinillos Perfectos y Pluscuamperfectos
».
Infine, in un poscritto: «Usted conoció Managua, de la que no
queda nada, parece, aunque ha dado de sí el
picarísimo de Somoza, fusilando gente, creando campos de
concentración, y robando las dádivas de los
países»
. Il riferimento è al
terremoto che distrusse la capitale del Nicaragua nel 1972 e al
latrocinio del dittatore, che si impossessò di tutto quanto
gli aiuti internazionali inviarono al paese centroamericano.
In una lettera del
24 aprile 1973, tra i molti argomenti, tra i quali soprattutto la
situazione di salute dell'amico Segala, compare una nota relativa a
Franco Meregalli, che si era recato negli Stati Uniti: «Recibimos carta del
Divino Maestro, quien se muestra esta vez más
complacido de estar en yaquilandia
bárbara»
.
Ma poco tempo dopo il tono di Asturias si fa serio; in una lettera del 28 giugno del medesimo anno 1973, sempre da Parigi, la soddisfazione per la pubblicazione talloniana dei Sonetti Veneziani appare amareggiata da preoccupazioni personali di salute, anche se qualche barlume di umorismo permane:
—13→Una breve lettera
del 13 settembre 1973 mi informava che l'operazione aveva avuto
successo: «Afortunadamente ya
voy saliendo del post-operatorio, que es siempre largo y
fastidioso»
. Pochi mesi dopo ci ritrovavamo
a Dakar, in un congresso che Asturias presiedeva e al quale un
giorno si presentò con solennità lo stesso Senghor,
allora Presidente del Senegal. Furono giorni felici ancora una
volta, dei quali già ho fatto menzione in altro scritto. Ma
era solo una pausa nel male che doveva in breve averla vinta sulle
illusioni dell'uomo. Anche in quell'occasione furono molti i
riferimenti a Venezia, unica tra le città del mondo, come
l'aveva sempre sentita il Maestro, «Anclada apenas en la
tierra»
, sempre sul punto di salpare, ricca
di paesaggi che solo il Carpaccio, a suo parere, aveva saputo
interpretare, fatta di teneri verdi, di tenui azzurri e luci d'oro,
preziosa nei «cobaltos de
la tarde, en el agua cristalina»
, luogo
incantato dove anche i fiori, la rosa gialla di Rosella Meregalli,
appariva «encendida en
fulgor de eternidades»
.
Con affetto ho evocato la figura di Miguel Ángel Asturias nelle sue relazioni con il mondo veneziano, ma soprattutto ho voluto sottolineare, attraverso la sua corrispondenza, la dedizione del Maestro all'amicizia. Mi si perdonino le citazioni che toccano la mia persona o la mia famiglia: le ho fatte per sottolineare di Asturias le grandi qualità umane. I censori ne tengano conto.