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Rufino Blanco Fombona rivisitato

Giuseppe Bellini





1- Rufino Blanco Fombona (1874-1944), l'«enfant terrible» del modernismo, autore di testi fondamentali per la sua storia1, e di romanzi di non insignificante valore nella narrativa ispano-americana del primo Novecento2, ardenti non di rado di acceso spirito patriottico e di odio verso il tiranno, si presenta, tuttavia, alla sensibilità del lettore moderno, come rappresentante di un momento storico archiviato delle lettere americane, più che come autore ancora vivo e parlante. Ma la sostanza vitale di Blanco Fombona esiste, ed è consegnata al suo Diario, pubblicato da lui stesso in tre momenti: Diario de mi vida. La novela de dos años (1929), Camino de imperfección (1933), Dos años y medio de inquietud (1942). Testi, questi, ampiamente dimenticati, di solito passati sotto silenzio dalle storie letterarie, attente solo alla cosiddetta «opera creativa» dei diversi autori nel suo svilupparsi. E' invece necessario rileggere le pagine del Diario dello scrittore venezolano, per averlo di nuovo, e più che mai, vivo davanti agli occhi; in tali pagine si coglie quanto di più permanente egli ha lasciato alla letteratura del suo paese, non solo, ma a quella di tutta l'America.

Finora la rilettura della sua poesia, quella di Pequeña Ópera lírica (1904) in particolare3, nella quale Rufino Blanco Fombona riponeva apertamente la sua speranza di permanenza nel tempo, e ancor più dell'opera narrativa, salvo qualificati momenti, rappresentava piuttosto un impegno per il critico, per lo studioso di un determinato momento del trionfo modernista. Con le pagine del Diario risuscita un uomo vero e un vigoroso scrittore. Ha ragione Ángel Rama quando afferma4 che nelle annotazioni lo scrittore ci ha lasciato il meglio della sua opera letteraria. In esse il lettore scopre un uomo contradittorio, polemico, impulsivo, generoso e crudele al tempo stesso, preoccupato del monumento che, senza nasconderlo minimamente, intende erigere alla propria persona; un uomo impegnato con tutto se stesso nella lotta politica, soprattutto contro Gómez, tiranno del Venezuela e suo persecutore. Con tutta una serie di luci e di ombre che prendono rilievo davanti al lettore spassionato, a distanza di tempo, da una prospettiva purificata dalla geografia e dal trascorrere degli anni. Un uomo ammirevole, ma anche meschino, talvolta; un abile artista, che sa servirsi della sua perizia di scrittore per un fine che non è solamente personale, ma anche di stigmatizzazione di un'epoca e di un mondo.

Il Diario, è noto, e lo ricorda anche il Rama5, risponde a un proposito essenzialmente di esaltazione della propria personalità. Quando Rufino Blanco Fombona scrive, in data 7 aprile 1913, che ciò che lo interessa in un libro è l'autore, l'anima dell'autore, e dichiara la sua preferenza per il Diario o per le Memoriesobre todo si no son políticas ni de algún militar: los soldados resultan prolijos y carecen de alma como las bestias»6-, poi per le biografie di uomini illustri -a Bolívar dedicherà, infatti, gran parte della sua attività di scrittore nel lungo esilio franco-ispanico-, quindi per le biografie di uomini «corrientes, es decir, las novelas modernas»7, poi per gli studi critici, infine per le opere di psicologia, di psichiatria, di psicoanalisi, asserendo anche di leggere con «agrado» la storia, quella di un Momsen, di un Taine, concludendo che non lo interessa quella «aparatosa, mentirosa, teatral, la que pinta a las almas de etiqueta, de parada y no en la intimidad de todos los días, en la realidad, en los altibajos cotidianos de todo el mundo. Tampoco la elocuente y partipristista. Almas quiero y no literatura»8, ci spalanca la porta di se stesso. La via all'interpretazione del perchè del suo scrivere, e per tanti anni, e con tanta costanza, nonostante le denunciate disavventure dei suoi testi nel periodo del «gomecismo», quando, vero o mania di persecuzione, egli vedeva ladri prezzolati da ogni parte, che gli sottraevano i manoscritti e i dattiloscritti, sobornando la servitù e costringendolo negli ultimi anni madrileni a un affannoso ritmo di traslochi, è pienamente aperta. Il Diario, per Rufino Blanco Fombona, era precisamente l'uomo a nudo, l'anima e non la letteratura. O meglio, questo egli avrebbe voluto che fosse: una via, forse la sola, che immettesse nella vera personalità dell'individuo, nella sua parte più intima. Ma, incosciente o cosciente, nel momento stesso in cui il Blanco Fombona scriveva per mostrare questa intimità, quest'anima, in qualche modo operava già una falsificazione. I moti dell'animo venivano infatti filtrati, selezionati nella redazione, ripensati, rivissuti, per ciò stesso modificati. Senonchè, per noi, il valore del Diario dello scrittore venezolano sta proprio in questo: nel mostrare al lettore -non all'autore che rilegge e nuovamente riflette su quanto ha scritto, come spesso denuncia don Rufino-, e soprattutto al lettore non contemporaneo dell'autore, una realtà che si fa largo attraverso l'affermata «eraltà» dell'estensore delle note diaristiche. E' per questo che il Diario conserva la sua validità, a dispetto di quanto volle affermare, e non affermò, il suo autore. Di qui la permanente vitalità di queste pagine.

2- Ciò che si fa largo nei diari di Rufino Blanco Fombona, in accordo con le sue intenzioni, è la dirittura del suo comportamento politico, anche se il lettore è colpito in qualche occasione da strane adesioni, cui seguono acerrime ripulse. E' il caso di Cipriano Castro, dichiarato «metal humano bueno», ma «instrumento tosco»9, denunciato nella sua «ballomanía», ma in sostanza accettato, incitato a rimanere al potere, sia pure per timore del peggio, nella scoperta commedia di un prospettato ritorno a vita privata. Sotto Castro, Rufino Blanco Fombona fu rappresentante diplomatico in Olanda, «Secretario de Gobierno» per il Zulia, a Maracaibo, Governatore, nel 1905, del Territorio Amazonas. Per contro, la sua iniziale avversione a Gómez, Vicepresidente con Castro, si trasforma in seguito, nel perdurare della dittatura, in incitamento all'azione, quando Castro si reca in Europa per cure mediche.

Il Blanco Fombona è uno degli spiriti più accesi nelle manifestazioni dei giorni 13 e 14 dicembre 1908 contro Castro. Il 19 il «golpe» è fatto; scrive il venezolano: «¡Qué gran día de emociones y de alegría! Terminó Castro [...]»10. E con grande ingenuità, dopo aver riferito che Gómez sta ricevendo felicitazioni da molta gente «madrugadora», per la maggior parte fino a ieri amici del deposto dittatore, commenta:

«De hoy más, en la historia de Venezuela, Castro será un nombre, un paréntesis de barbarie, el recuerdo de una pesadilla de sangre y de lágrimas. Cae empujado por sus íntimos. ¡Qué lección para los soberbios!»11.



L'avversione di Gómez ricomincia quando questo pretende di allontanare lo scrittore dal paese, nominandolo Ministro in Europa. Rufino Blanco Fombona si rifiuta; intanto è eletto Segretario della Camera dei Deputati; il 4 settembre 1909 già cospira contro Gómez. Scrive:

«Hay que hacer un esfuerzo para redimirnos de la barbarie, representada hoy por Gómez, sus consejeros, sus camarillas y sus secuaces. [...] Nos hemos reunido con el propósito de echar las bases de un nuevo partido político, radical, civilista, civilizador, sano, honrado, que luche con la barbarie soldadesca, instaure una severa moral política, reforme la economía nacional, plantee una nueva justicia social, despierte en el país la confianza en sí, en sus fuerzas, en su porvenir, se oponga a la farsa de los viejos liberales y al estancamiento del pétreo conservantismo anacrónico; y sea dique, sobre todo, a la barbarie militar y militarista de Gómez y compañía»12.



Poco dopo Blanco Fombona è arrestato e chiuso per un anno nella «Rotonda», come egli informa in un «Intermezzo necesario», datato da San Cugat del Vallés, agosto 1932 -«horripilante prisión»- successivamente imbarcato a La Guayra sul vapore spagnolo «Antonio López» per l'esilio. Da questo momento l'odio per il tiranno va assumendo toni sempre più duri; lo scrittore cospira contro Gómez attivamente; è tra coloro che nel 1929 sono ancora pronti a partire per il Venezuela, dopo il fallimento dell'impresa del generale Delgado Chalbaud, ma intanto non ha perduto occasione per attaccare, e assai duramente, il tiranno, che chiama «patán», «Juan Bisonte», «la Bestia», il «barbarócrata», il «monstruo máximo de Venezuela»13... e contro il quale pubblica nel 1912, a Parigi, il feroce Judas Capitolino, in risposta alle calunnie non meno feroci di un libello gomecista, Leprosería moral, edito a New York nel 1911 e diffuso dalle rappresentanze diplomatiche venezolane per danneggiare lo scrittore. Nell'«Intermezzo necesario» citato, Rufino Blanco Fombona scrive con rassegnata amarezza:

«El expoliador y asesino de Venezuela, el siniestro Juan Bisonte, cuya monstruosa tiranía dura aún, ha cambiado el curso de mi destino. No me quejo, tampoco me resigno. [...]

Mi vida no iba a ser lo que ha sido. En un país de libre expresión, de respeto al Derecho -en un país de libertad- hubiera podido ser útil a la sociedad en medio de la cual nací y a la que me atan fuertes y centenarias tradiciones de familia, de historia y de afecto hereditario.

Se dice fácilmente «he vivido, hasta ahora, más de veintidós años en el destierro». Pero esto es cosa muy seria, sobre todo para quien ha consumido sus pocos haberes en la misma brega por la redención del país nativo y no gusta de arrastrarse ni mendigar. ¡He aprendido cuan dura es la escalera ajena! Esto equivale no sólo a desviar el curso de la vida de uno, sino a imprimir a esta vida un sello de tragedia callada, minúscula y cotidiana. ¿Se irá a prolongar la tragedia en mis propios hijos? Aunque distante no he olvidado al tiranuelo, ni el asqueroso e iletrado patán me ha olvidado a mí. Ni un momento ha cesado mi modesta y honrada pluma de pincharle las posaderas. En medio de sus regocijos y sus orgías, en medio de sus esclavos, sus barraganas y sus millones, siempre hubo un cénife constante que amargara las dulzuras del monstruo. El monstruo también ha sido fiel a su odio. No me ha dejado de perseguir ni un solo día. [...]»14.



Ricordando la prigionia, il Blanco Fombona giudica non meno crudamente il regime «gomecista»:

«También se dice fácil y rápidamente: estuve un año en La Rotunda, bajo la autocracia soez del soez y analfabeto patán Juan Vicente Gómez. Hay que saber lo que ello significa. En 1909 y 1910, las cárceles de Gómez no eran lo que han llegado a ser después: el paraíso de los torcionarios y una larga antesala de la muerte. Sin embargo ya se torturaba. A mi calabozo llegaban de noche los lamentos de Gáfaro, Jara Colmenares y Nel Espina, torturados por el indio Marcial Padrón y asesinados luego en el Castillo de San Carlos, por Eustoquio Gómez, miembro de la familia vesánica, cuyo representante más conocido es Juan Bisonte.

De aquel año de prisión pasé varios meses incomunicado; y algunos de esos meses incomunicado y con un par de grillos en las piernas. No podía moverme, no podía dormir. [...] Me robaron dinero, ropas y prendas. Me despojaron del Diario que, a hurtadillas, escribía en la prisión; y de versos, cuentos y una novelita que allí produje, en las largas horas de forzada holganza. Me espiaban por medio de los ordenanzas. No me dejaron recibir visitas, ni correspondencia, ni medicinas. Me impidieron leer y, desde luego, escribir, aunque escribir escribí siempre subrepticiamente, en papeles inverosímiles, con cachos de lápiz y a veces con un fragmento de grafito, atado a un mondadientes»15.



Nulla di più toccante, per il lettore moderno, di questa denuncia. Sappiamo che in questo caso Rufino Blanco Fombona non inventava, anche se attendeva sempre a costruire un degno monumento alla propria persona, in vista del futuro, si, ma anche del presente, i contemporanei, per i quali dava alle stampe i suoi libri, mettendo a nudo la propria intimità, quell'anima, cioè, che egli voleva si vedesse e che, certo sinceramente, riteneva fosse la sua più vera.

Alla morte di Gómez, Blanco Fombona tornò in patria, ricevendo giusto riconoscimento per la sua acerrima avversione al despota. Egli non raggiunse mai l'apogeo delle sue aspirazioni, quelle che sembra possibile individuare nel diario del 2 giugno 1904, dove, commentando l'introduzione di Rubén Darío a Pequeña Ópera lírica, là dove il nicaraguense dice di non aver saputo più nulla dell'autore e di aver udito, tra le varie voci intorno alla sua vita, che «se había hecho coronar Rey», Rufino scrive:

«¿Estará de veras en esas líneas la clave de mi destino futuro? El país lejano es Venezuela, de seguro, en las imaginaciones del poeta; el reino de conquista, la presidencia de la República. Pero lo otro... la muerte, ¿por qué me habla de eso Darío? ¿Por qué no me dijo simplemente: "Yo soy el Hada: tú serás Rey?"»16.



Attraverso tutto il Diario vi è, d'altra parte, nel venezolano, una orgogliosa coscienza di casta, che si fonda sulle imprese della famiglia, dalla Conquista all'Indipendenza. Non v'è dubbio che lo scrittore aveva alte ambizioni d'ordine politico, che pensava avrebbero potuto essere coronate in un regime democratico, nel quale l'élite delle origini familiari, oltre la decisione e l'onorabilità delle condotta, insieme all'altezza intellettuale, non potevano non essere riconosciute. Mancanza di senso politico, s'intende, tanto più in tempi di dura violenza militare, con immediate conseguenze sulla vita dello scrittore.

3- Colpisce nel Diario, vicino alla serietà delle argomentazioni e al documento di una vita di ardita opposizione alla tirannia, una presenza erotica spesso petulante e superficiale. Ángel Rama interpreta in senso positivo questa presenza, per la decisione e la franchezza con cui lo scrittore affronta le sue esperienze amatorie, la libertà con cui accetta questo livello delle relazioni umane e la precisione narrativa, «que lo liberó de las convenciones estilísticas del modernismo epigonal y le permitió acceder a una nueva escritura que comenzaba a abrirse paso en la primera década del siglo preanunciando a los regionalistas»17. Naturalmente al critico non sfugge ciò che rientra nel decadentismo -come l'episodio della monaca che Rufino Blanco Fombona asserisce di aver sedotto sulla nave-, ma afferma che la maggior parte degli episodi erotici appartiene già a una visione nuova «y por ende a una nueva consignación escrituraria»18.

E' fuor di dubbio che nel Diario il modo di rappresentare i fatti, in questo settore, sia totalmente nuovo, per l'epoca e per il mondo letterario ispano-americano, immerso nella complicata atmosfera decadente, franco-orientaleggiante, diffusa de Rubén Darío e dalla prosa di Vargas Vila, soprattutto. Ma il Blanco Fombona era lettore di Paul Bourget e qualcosa doveva avere appreso, dato l'entusiasmo che dimostra rileggendo Cruelle énigme, come consegna nel Diario, in data 18 febbraio 190419. E tuttavia, la nota erotica risponde essenzialmente, ritengo, al medesimo fine di «distinguere» la propria personalità, da un lato con la nota dell'«amateur» ricco di successi, com'era distintivo del Modernismo, dall'altro, soprattutto in epoca più tarda, quella in cui anzitempo lo scrittore sente chiudersi il ciclo della propria esistenza, con l'affermazione del persistere di una vitalità che intende dimostrare essenzialmente attraverso sognate, più che concrete, possibilità amatorie.

E' questo uno degli elementi meno costruttivi del Diano; lo affermo non per malintesa «pruderie», ma perchè reca una nota realmente stonata al concerto di elementi «eroici», e anche umani -le sofferenze, le difficoltà materiali, le incomprensioni-, per mezzo dei quali Rufino Blanco Fombona attende alla costruzione della propria «immagine» per l'immortalità.

E tuttavia, vi è anche una nota patetica, in questo settore, soprattutto negli ultimi anni cui il Diario si riferisce. Infatti, se le notazioni del 18 febbraio 1904, relative a Cruelle énigme di Paul Bourget, risuscitano palesemente gli entusiasmi «maledetti» dello scrittore, trasparenti nella compiaciuta menzione delle «vírgenes, semi-vírgenes y pecadoras de sociedad»20, l'incontro improvviso col vecchio amore, o meglio, con una delle donne del passato, lo induce a constatare che esiste solo malinconia, «amistad romántica», ormai, nostalgia e nient'altro21. Ciò dopo una ennesima e insperata avventura in treno con una diciottenne, sorvegliata dalla madre, approfittando dell'oscurità e del sonno. Tutto diviene, qui, umanamente patetico. Amore e perdizione sembrano presiedere, nella relazione di don Rufino, all'episodio, di per sé squallido:

«[...] La vieja lanzó un ronquido. La niña estiró, confiada, una pierna. Yo, con mucha suavidad, le pasé un dedo, más ingrávido que una libélula, por el pie. Cuando me convencí de que fingía dormir y no rechazaba la caricia avancé con mucho cuidado la mano. ¡Después lo de siempre! ¡Qué formas! ¡Qué carnes! ¡Qué noche! [...]»22.



La novità del raccontare non è in discussione; ciò che stona è l'ostentato entusiasmo erotico, sono le dichiarazioni superficialmente peccaminose:

«Yo, en amor, prefiero las parisienses a todas las mujeres del mundo. El mismo hecho de que nos traicionan con facilidad es un aliciente: sabemos que nos van a engañar y vivimos en la fiebre de la inquietud. Después, nos curamos del amor que nos roban con otro amor que, en cualquier parte, nos aguarda. Naturalmente, no hablamos de matrimonio. ¡Zape!»23.



Il «viveur» si mostra consumato nell'arte. Nel Diario, dove Blanco Fombona continuamente si protesta uomo d'onore e ribadisce a ogni pie sospinto la propria dirittura morale, è un cimitero di donne sedotte, amate e abbandonate. Neppure si chiarisce se i figli avuti da Margot e per i quali, nel crepuscolo della sua esistenza, lo scrittore si intenerisce, siano legittimi, ossia che l'unione con la donna fosse stata in qualche modo legalizzata. Rufino Blanco Fombona è soprattutto attento allo spettacolo della sua vita e anche quando, ammalato, si sente, con evidente disperazione, vicino alla morte, non dimentica di far spettacolo, insistendo su un tono triste (9 agosto 1930), lacrimoso, prospettando idee di suicidio gettandosi in un pozzo, ma trattenuto dalla preoccupazione di apparire poi «podrido y repugnante», per l'ultima volta, davanti a Margherita e ai figli.

La credibilità di un atteggiamento sincero è, certo, messa a dura prova da questi elementi. Com'è possibile, ad esempio, che per tanto tempo, proprio nel momento cruciale della congiura contro Cipriano Castro, il congiurato Rufino si attardi a notare, in note superficiali, la sua indecisione tra due fanciulle, che chiama rispettivamente «C (primera)» e «C (segunda)»? E se l'amore è fonte di buonumore, di gioia assai comprensibile, nella nota del 17 marzo 1904, tanto da riscattare nel «radiante sol», anticipo de «primavera» che «flotaba» su Parigi anche il macabro gusto -particolare indubbiamente forzato- della visita raccapricciante con la bella fanciulla -evidentemente con tendenze necrofile- alla Morgue24, di una superficiale e trasparente invenzione è frutto il racconto, volutamente dissacrante e perverso, della conquista dell'inesperta monaca sul vapore «Città di Milano», che lo porta verso Caracas, a partire dal 10 luglio 1908; con le trite sorprese dell'amore occulto, di malinconia e di lacrime, quindi di furore amoroso, squallidamente manifestato25.

Modo nuovo, certo, di raccontare le «cose d'amore», più deciso e realistico, ma pur sempre trasparentemente retorico, frutto di un mito corrente, quello dell'artista essere privilegiato, re tra gli uomini, cui, come tutto il resto, l'amore, quasi sempre peccaminoso, rende inevitabile tributo.

Nel già accennato crepuscolo dell'uomo, la notazione del 27 novembre 1908 torna, tuttavia, a introdurre qualcosa di patetico, almeno per il lettore, e con ciò a incrinare ancor più il monumento che l'«amatore» di successo vorrebbe costruirsi. Rufino Blanco Fombona, infatti, si propone di vedere se ancora conserva «un don especial que he tenido toda la vida»26, e che altro non è che il seguente:

«[...] pongo la habitación en penumbra, casi casi a obscuras, me siento cómodamente in un sillón, entrecierro los ojos y un momento después en el silencio y la obscuridad, puedo ver -no digo imaginar sino ver materialmente- cuanto deseo. ¿Caras de viejo, por ejemplo? Pues miro desfilar, en desfile interminable, las caras más varias y más pintorescas de ancianos. ¿Quiero ver caras bonitas o lindos cuerpos de mujer? Al deseo comparecen millones de divinos rostros femeninos y de divinos cuerpos, uno a uno, cada uno transformándose en otro al yo querer el cambio y como si tocase un botón eléctrico [...]»27.



Immagine inquietante dell'uomo Rufino Blanco Fombona, sospeso tra la paranoia e il rimbambimento.

4 - Ben diverso è il clima che traspare dal racconto del Viaje al alto Orinoco, quando Blanco Fombona vi si reca per assumere il governatorato del Territorio Amazonas, al quale la vigilia di Carnevale del 1905 Cipriano Castro lo aveva nominato. La relazione precede il diario dell'anno 1905, nel volume La novela de dos años, e lo scrittore avverte in apertura, alla data 22 novembre 1907, da Amsterdam, che ritiene indispensabili queste pagine di esposizione, per rendere più comprensibile ciò che avvenne nell'anno 190528. Sono trentaquattro pagine di racconto, nell'edizione curata da Ángel Rama, divise in quindici capitoletti: I. «Ciudad Bolívar», II. «Orinoco arriba», III. «Una curiara en la noche», IV. «Tempestad», V. «Francisco Mirabal», VI. «Hambre y aguardiente», VII. «A caballo por los desiertos de Guayana», VIII. «Cacería», IX. «Nuestro Señor el tigre», X. «La lucha de los titanes: el monte y el río», XI, «Continúa el viaje», XII. «El Atabapo», XIII. «Gobernador», XIV. «El territorio y sus habitantes», XV. «Tres miserables».

In questi capitoli è compresa tutta la storia avventurosa di un viaggio singolare alle origini del mondo e la continuazione del Diario prende le mosse dal 15 luglio 1905, dal «Cuartel de Policía» di Ciudad Bolívar, dove lo scrittore-governatore è rinchiuso per non essersi prestato alle manovre oscure e ai poco scrupolosi mercanteggiamenti del governatore dello Stato Bolívar e della sua cricca di criminali. Solo le pressioni di ardite e onorate persone riescono a evitare che egli sia assassinato. Trasferito, dopo mesi, per ordine espresso di Cipriano Castro, a Caracas con una nave da guerra, il vapore nazionale «Restaurador» scrive in data 28 dicembre 1905 da bordo: «Sentado en la cubierta, conversando con independencia y franqueza -cosa a que me estaba desacostumbrando- ante el gran Orinoco, en medio de esta joven oficialidad del Restaurador, leída, correcta, galante, caballeresca, me hago la ilusión de estar libre. [...] ¡Cuánta diferencia entre estos hombres cultos, finos, blancos, inteligentes, con aquellos salvajes de verdugos! [...]», dovrà attendere ancora fino al primo maggio 1906 per essere posto in libertà, da una prigionia che, peraltro, ora era divenuta solo simbolica, per la piena libertà che aveva di muoversi e di ricevere, grazie all'«Alcaide» Gutiérrez Méndez, al quale consacra una nota di gratitudine in data 27 aprile 190829.

E' fuor di dubbio che l'impresa dell'Orinoco -cosi possiamo chiamarla- costituì per Rufino Blanco Fombona un'avventura esaltante, il concretarsi, sia pure illusorio, di quell'aspirazione a grandi cose da cui fu sempre dominato. Con rammarico, ripiegando in se stesso, il 18 aprile 1908, scrive con senso di dolorosa frustrazione:

«¿Por qué no me ha tocado en suerte llevar a término una empresa de aquellas que obligan a alzar ojos y mente cuando se habla de ciertos hombres? Esta aspiración de imperio y de gloria, ¿por qué no se realiza? La lucha entre el deseo y la impotencia humilla y desespera. He debido nacer en una patria más grande y en una edad más heroica. Mi aspiración o mi locura no se contenta con menos de cumplir uno de aquellos dramas de cuantía que inmortalizan a sus autores. Hernán Cortés supo hacer cosas. Pizarro supo. ¿Será tan difícil realizar algo resonante?»30.



Nel Viaje al alto Orinoco Rufino Blanco Fombona rivive, nell'avventura per inospite e accattivanti regioni, trasparentemente, le imprese dei Conquistadores. A essi allude infatti più volte, li dichiara «profesores de energía» e denuncia che con essi la storia è stata «mezquina en justicia»31, cita il Romancero32 e afferma che quegli uomini avevano «por descanso el pelear». E con riflesso apertamente personale, nell'esaltazione di fronte al grande spettacolo naturale, del fiume immenso e tumultuoso, che lo spinge a leggere pagine di Castelar, «cuyo verbo caudaloso no hacía mal papel junto al Orinoco»33, e a recitare liriche, accompagnato dal ricordo del Libertador che sulle stesse onde, «en barquichuelo no más grande que el nuestro, quizá»34 -paragone significativo- scrisse il messaggio «sublime» del 1819, rievoca le gesta dei Conquistadores, sentendosi uno di essi:

«Cuántas ideas de ambición y de grandeza pueden despertar ante semejantes recuerdos y ante aquellas selvas de Guayana y aquel famoso río, cruzan por mí; y cuánto de lirismo revuelve en alma cantora el amor nuevo e incógnito que se despierta por aquella naturaleza ruda y maravillosa, me hicieron prorrumpir en detestables versos:


Yo tengo el alma antigua de los conquistadores».35



«Detestables», certo questi versi, ma pur sempre indicatori di un'aspirazione ad eccezionali imprese da cui è dominata tutta la vita di Rufino Blanco Fombona.

Il Viaje al alto Orinoco non è, tuttavia, solo documento di questa aspirazione; lo è anche dell'atteggiamento incantato ed entusiasta dello scrittore di fronte alla geografia del suo paese, che sente come geografia dell'America. Ed è, al pari, documento di una capacità narrativa e descrittiva che fa di queste pagine forse il meglio di quanto Rufino Fombona ha scritto. Di gran lunga egli precede, e con una potenza di sintesi straordinaria, non solo le descrizioni paesaggistiche di Rómulo Gallegos -pensiamo a Doña Bárbara, a Canaima, a Cantaclaro...- ma addirittura quelle di Eustasio Rivera ne La vorágine (1924). Nell'ambito modernista Blanco Fombona rivoluziona chiaramente lo stile delle relazioni di viaggio, depurandole del «regusto» decadente, ed esotico, dando alla pagina una freschezza di vita che non solo precorre le migliori pagine dei narratori citati e quelle di quel grande interprete del paesaggio che sarà Miguel Ángel Asturias, ma risuscita l'incanto delle cronache della Conquista, là dove esse descrivono il mondo naturale americano, fonte prima del «meraviglioso»; di quel «real maravilloso» cui si rifa in parte lo stesso Alejo Carpentier, i cui Pasos perdidos ben possono ricollegarsi al Viaje dello scrittore venezolano. Miguel Ángel Asturias non si stancava di ripetere che il «realismo mágico» ha le sue origini proprio nella cronaca americana.

Sarà sufficiente, nelle pagine di Rufino Blanco Fombona, leggere la relazione della navigazione sull'Oricono, per cogliere la sua capacità eccezionale di descrittore, che si avvale di una tavolozza del tutto nuova:

«Poco más de mediodía, a cosa de la una, atracó la piragua en sitio favorable. Los indígenas prepararon nuestro almuerzo, que devoramos a la sombra de copudos árboles. No bien se almorzó, partimos. La tarde fue magnífica. El viento soplaba firme. La piragua volaba. Navegábamos cerca de una orilla e íbamos como es de suponerse, viendo tierra de un lado. Por la opuesta ribera se extendía el Orinoco, inmenso, reverberando al sol, como un río de plata y de oro, hasta perderse de vista en el horizonte.

De la vecina selva partían de vez en cuando con un pesado vuelo, bandas de garzas róseas, de un rosa pálido, y albicantes garzas de nieve. Otras veces mirábamos de pie, sola, meditabunda, sobre alguna peña en medio del agua, una garza impoluta, cristalización de espumas clarísimas.

En ocasiones, no blancas y róseas garzas, sino verdes vuelos estridentes partían de la selva: vuelos de pericos, de loros. Cuando menos lo pensábamos, una bandera caprichosa, azul, rosada, verde, roja y amarilla abigarraba el cielo con sus detonantes colores. Era que nuestro barco asustaba las guacamayas»36.



La sinfonía di colori è pienamente originale e nulla ha a che vedere con il gusto modernista per le trasparenze. Ma lo scrittore venezolano sa anche toccare abilmente la corda drammatica. La sventagliata di luce introdotta da «Con el alba partimos»37 fa efficace contrasto, nella stessa pagina, con i colori cupi della forza scatenata della natura:

«Enfrente de nosotros, más allá del río, se extendían la pampas del Guárico, los dilatados llanos del Sur de Venezuela. Y los llanos y el río y el cielo y la selva, todo comenzó a iluminarse a la luz de los relámpagos, no de fugaces relámpagos, sino de relámpagos lentos, vastos, magníficos. Espectáculo nunca visto por nuestros ojos, y que nos sobrecogía de espanto y nos llenaba, al propio tiempo, de encanto.

El cielo se abría, al Este, cada medio minuto, y de aquella apertura salía no un zigzag de oro, no una raya de fuego, no un chorro de luz, sino una pálida y luenga llamarada que se espaciaba, iluminando toda la pampa y reverberando en el solemne Río, cuyas aguas, de turbias, corrían trocándose en aguas de topacio. El espectáculo duró como una hora. Luego rompió a llover. Las gotas de lluvia, gruesas, pesadas, repicaban sobre las tendidas cobijas.

El Orinoco rugía como el mar. La naturaleza nos hacía la revelación de toda su fuerza y magnificencia»38.



E subito dopo la rappresentazione dello sbigottimento dell'uomo di fronte alla natura, un moto tutto modernista di superbia, immediatamente umiliato e di nuovo riscattato nell'esaltazione del privilegio dell'uomo colto:

«Era imposible no pensar en la infinita pequeñez del hombre ante aquella potencia de los elementos. Y, sin embargo, el átomo, el infusorio humano había descubierto secretos de la naturaleza, se había defendido contra ella y en parte era triunfador. ¿Pero qué? ¿No es el hombre también, no es la inteligencia otra manifestación, otra fuerza de la Natura? Cállate, gusano; doblega la frente y calla, ya que tienes la dicha de ser capaz de admiración»39.



Rufino Blanco Fombona si rivela entusiasta di questo mondo, nel quale riscopre se stesso; egli ripudia perfino, come artificiose di fronte allo spettacolo ineguagliabile della natura americana, le pur suggestive, soprattutto per lui modernista, città europee. Scrive, in un reincontro esaltante dell'uomo allo stato di natura, ma avvantaggiato, è evidente, da tutto un capitale di cultura e di sensibilità qual'era il suo, e anche con certa compiaciuta esaltazione dell'eroico:

«El caño de Agua-amena que debíamos salvar en aquel momento era un glauco raudal, color de ajenjo, ancho, según ya dije, como la mitad del Sena. Lo pasamos, desnudos de la cintura abajo, a lomo de caballo y no sin temorcillo de los caimanes. Debajo del agua turbia a la que nos adentrábamos, pululan los saurios. Para mí todo aquello era nuevo. Pero aquella naturaleza bravía, no me inspiraba horror, sino encanto y me parecía haber nacido para vivir semejante vida y no otra. París, Berlín, Roma, Londres, Varsovia, Bruselas, Madrid, Amsterdam, ciudades en las que viví o por las que pasé, me parecían una cosa de artificio, incompatible con lo íntimo de mi ser y que la verdad que se compaginaba con la verdad de mi ser era aquella naturaleza virgínea, maravillosa»40.



E' il ripudio della «civiltà» per la «barbarie»? No, certo; solo la riscoperta di se stesso, come accadeva al guerriero-cronista ai tempi della Conquista, come avverrà anni più tardi al protagonista de Los pasos perdidos, di Carpentier. Ed è proprio il bagaglio culturale e di esperienze europee che fa sentire a don Rufino di essere davanti a un paradiso perduto, ora pienamente riconquistato. Nè v'è motivo di dubitare della sincerità del suo atteggiamento, soprattutto se pensiamo alla lontananza dalla quale scrive, Amsterdam, anche se non si tratta ancora di esilio.

Le pagine del Viaje, diario nel Diario, o meglio, narrazione autobiografica nel corpo di un programma di confessioni intime -cosi almeno lo intende l'autore- è un contributo di primo piano, forse non del tutto cosciente, alla figura di uomo e di artista che don Rufino sta costruendo per i posteri.

5- Attraverso le pagine del Diario, nel quale le allusioni alla propria opera letteraria da parte dello scrittore non vanno mai oltre un accenno, più insistite quando si tratta di sottolineare di essa l'apporto polemico o la portata come contributo alla patria venezolana, traspare la profondità di una formazione culturale che fa il Blanco Fombona attento non solamente a ciò che il Modernismo significa e produce, ma alla cultura contemporanea con la quale egli viene a contatto, in particolire con le nuove espressioni della letteratura spagnola. Se tema ricorrerie è l'esaltazione della grandezza di Bolívar, per il quale lo scrittori continuamente professa la propria ammirazione, sincera e profonda, tutta una serie di dati culturali del suo tempo e di riflessioni d'ordini filosofico e religioso sono presenti nelle note. A dimostrare la genuinità degli interessi e le inquietudini che animavano la vita di don Rufino. Tra esse mi sembra non ingiustificato inserire l'acuto osservare la vita politica della Spagna, denunciando il gioco della monarchia ai tempi di Alfonso XIII e di Primo de Rivera, la superficiale baldanza del ditutore, nel quale, esattamente, individua un burattino nelle mani dei Borboni, pronto a essere deposto e gettato nell'immondezzaio quando più non serve. Il Blanco Fombona prevede e auspica l'avvento della repubblica, plaude ai caldi discorsi antimonarchici del socialista Indalicio Prieto (il 25 aprile 1930) e di Miguel de Unamuno (il 2 maggio della stesso anno), all'Ateneo di Madrid, di cui quest'ultimo era appena stato nominato vicepresidente per la sezione iberoamericana, retta da Rafael Altamira, come plaude con calore agli interventi antimonarchici di Sánchez Guerra e di Alcalá Zamora, che propendono per l'abbattimento della monarchia e l'incriminazione del sovrano.

Nell'ambito più strettamente culturale Rufino Blanco Fombona si mostra attento ai movimenti artistici e letterari. Il 14 maggio 1904, ad esempio, consegna nel Diario il suo entusiasmo per Claude Monet41, interpretandone con competenza i risultati di colore e la dimensione spirituale, ma concludendo col preferire Carrière, più vitale, più profondo, a suo giudizio.

A distanza di pochi giorni, il 22 maggio, a Madrid, Blanco Fombona è colpito dal giovane Juan Ramón Jiménez; nonostante non dimostri eccessiva simpatia per il poeta ne coglie già l'originalità e il valore:

«Dicen que pertenece a una familia con bienes de fortuna; pero el mayor bien de esa familia es contar un poeta de veras. Los versos de Juan Ramón Jiménez me parecen llenos de silencio, como forrados de algodón. Nada de charangas: suavidad de un instrumento sutil, que vibra tenue, lejano, apenas perceptible, bajo la blanca luna, en la melancolía de la media noche. Nada de ruiseñor de los conventos: un celeste hilo de estrella en los dormidos campos. Y también muy urbano y afeitado y hasta afectado. Cuanto a factura: nada nuevo: romance octosílabo, manejado con soltura, eso sí; y lleno de frescura juvenil. En suma, un verdadero exquisito, un verdadero poeta»42.



Più tardi, nel 1929, da Madrid, consegnerà nel Diario, il 25 gennaio, altre felici intuizioni circa la poesia spagnola. Più che di Alberti egli è entusiasta di Lorca; scrive: «Entre los poetas españoles jóvenes que prefiero colocaría primero a García Lorca»43. Di Alberti afferma che «podría hacer algo bueno. Cuando imite menos a Góngora»44. In Jorge Guillén trova «materia prima y adquirida»45, mentre Salinas non gli piace, per la petulanza e la sufficienza, e preconizza, erratamente, che poeta «es lo que no será nunca»46. E ancora distingue Juan Ramón Jiménez: «Hasta ahora ninguno de los nuevos poetas de España puede parangonarse con Juan Ramón Jiménez, ni menos aún con Rubén Darío. Cuando produzcan una obra podremos juzgarlos. Ahora tenemos que contentarnos con juzgar sólo sus ensayos y sus errores»47. Ma più avanti corregge il tiro e afferma di voler dire, dopo aver detto il male che pensa, anche il bene.

Rufino Blanco Fombona associa, nel salutare il sorgere di una poesia nuova e di un gruppo promettente di poeti, alla Spagna anche l'America, sicuro che da tale gruppo uscirà «el poeta o los dos o tres poetas de veras, más o menos grandes que, en toda literatura, deja cada generación»48. E in una nota aggiunta a pie di pagina nel 1942 scrive, retrospettivamente, che il poeta si produsse in Spagna con García Lorca; nulla si verificò di simile in America: «La gran generación modernista nos agotó. Sin embargo, a Neruda hay que tormarlo en cuenta»49. Felice intuizione. Un altro degli scrittori spagnoli ammirato da Blanco Fombona fu Miguel de Unamuno.

Sono questi i punti terminali dell'esperienza culturale ispanica dello scrittore venezolano, che il 4 giugno 1904 si scaglia contro l'«adocenamiento» della letteratura contemporanea spagnola ed esalta la propria naturalezza e originalità. Il giorno seguente celebra con entusiasmo la pittura del catalano Santiago Rusiñol, «artista con la pluma, artista con el pincel, artista a todas horas, tan delicado, tan sutil, tan poeta»50 che gli apre un mondo nuovo, la cultura catalana. Da Schveningen, il 20 luglio, parla delle sue letture: Goethe, «mi amado Heine», Ulhand, altri poeti del Romanticismo tedesco; e ogni notte musica di Beethoven, Mozart, Liszt, Wagner; letture di Schopenhauer e di Nietzsche51. Quindi contatti epistolari con Giovanni Verga, Max Nordau, François Coppee52. Nella prigione di Ciudad Bolívar riesce a leggere Gumplowicz, il Tasso, Prévost, Oscar Wilde, Sienkiewicz; di Wilde celebra il De Profundis, «obra de sinceridad y de martirio; el alma del poeta al desnudo; el yo pecador de un artista contrito, no de haber ofendido a Dios, sino a la Naturaleza, y, ¡quién iba a creerlo!, a la sociedad. Coloquio de su alma de belleza consigo misma en las tinieblas y la soledad de la prisión»53. Rufino Blanco Fombona preferisce la concezione cristiana di Wilde al «cristianismo batallador» del Tasso54. Quanto a Marcel Prévost egli manifesta preferenza per le Cartas de mujeres, le prime, mentre tutto il resto della sua opera lo lascia indifferente55.

Il 2 ottobre, a seguito di una lettera di Gómez Carrillo, manifesta per lui un apprezzamento pieno, fino a vedere nelle sue pagine di impressioni qualcosa che può rivaleggiare con le migliori «giapponeserie» di Pierre Loti56. E il 25 dicembre una dichiarazione che allontana il Blanco Fombona dalla tonica modernista: con la confessione che nel pur pieno godimento per la bella espressione letteraria, propria o altrui, sempre meno gli va piacendo la bellezza puramente esteriore e che la bellezza del pensiero, dell'idea, va poco a poco occupando il posto che occupava prima la «envoltura formal»57.

In una nota del 17 novembre 1907, da Amsterdam, Rufino Blanco Fombona manifesta il proprio entusiasmo per la rappresentazione della Salomé di Strauss, in particolare per la musica, del tutto nuova, e si intrattiene a discorrere intorno al potere che essa ha sull'animo umano:

«La música tiene sobre las otras artes, una particularidad: las otras artes sólo nos dicen aquello que el autor de la escultura, del cuadro o del libro quisieron expresar; y a veces menos, ya que la mayoría no es capaz de comprender cuanto el autor enseña por medio de la línea, el color o la frase. La música no. La música sugiere vaguedades, quimeras, ilusiones, cosas de poesía; a menudo despierta en el auditor, por asociación de impresiones, lo que este auditor lleva dentro de sí, elementos de hermosura y de sueño»58.



Ma per lo scrittore venezolano la poesia resta al disopra della musica, perchè essa parla non solo all'immaginazione, ma all'intelligenza59.

Il 4 dicembre dello stesso anno Rufino Blanco Fombona consegna nel Diario alcune riflessioni intorno a Gesù, che definisce un Dio falso e un uomo ancor più falso, perchè l'uomo non è buono ed egli lo fu, quindi non fu «un hombre verdadero»60. A Gesù rimprovera di essere venuto a sopprimere l'orgoglio, «viril y noble sentimiento»61, di aver tenuto prediche immorali «en su empeño de formular una teoría de constante deposición»62, nociva in quanto esalta i mediocri, offre ai poveri di spirito il regno dei cieli e «daña el desarrollo de los mejores, que vale como apagar en el espacio las estrellas y borrar las encaminadoras columnas de fuego»63. Infine definisce Gesù un «Dios perverso»64, poiché essendo Dio non volle trionfare sugli avversari e si lasciò crocifiggere per legare a un popolo tutto l'odio del mondo. Nella condanna lo scrittore accomuna anche Socrate, perchè «enseñó a dudar a los hombres y a confiar demasiado en "las luces de la razón", predicador de moral como todos los corrompidos»65. E tutte queste dichiarazioni per pentirsene quasi subito, come dal Diario del 6 dicembre, colpevole il fegato:

«¡Cómo he podido hablar sin respeto de Sócrates y de Jesús! Me paso la vida ensalzando a los grandes hombres, acaso por desprecio a los pequeños, y cuando me encuentro con un emancipador del espíritu humano, como Sócrates, y un hombre divino como Jesús, los denigro. ¡Aberraciones! Culpa del hígado en que la inteligencia no ha tomado parte. Estupidez hepática»66.



Lo stesso gli accadrà con Keyserling, per le tre conferenze tenute al Teatro de la Princesa ai primi di maggio del 1830 su «El reino espiritual de España», di cui scrive negativamente nel Diario, in data 11 maggio, per manifestare poi, in data 14, il rimpianto di non aver saputo captare l'essenza della conferenza e deprecare una decadenza fisica e intellettuale che è nota sinceramente dolente e colpisce in un acceso estroverso come il Blanco Fombona, sempre sicuro di sé: «Soy la caricatura de mí mismo», conclude67.

E' questo il momento che precede il desiderio di morte, sul senso di totale fallimento della vita da parte dello scrittore. Il 2 giugno 1930 egli scriverà, infatti: «Estoy tan filosófica y sinceramente dispuesto a morir que la idea de la muerte, más o menos próxima, me parece naturalísima: es el pago de la deuda que nadie puede eludir; [...]»68. In questo momento Rufino Blanco Fombona ha cinquantasei anni; la vecchiaia, quindi, secondo la sua ripartizione della vita umana -scrive nella «Nota final» a Camino de imperfección: «La vida de un hombre se compone de cuatro etapas desemejantes de 18 años cada una: infancia y mocedad, hasta 18 años, juventud propiamente dicha hasta 36, madurez hasta 54 y vejez hasta 72. Lo demás se llama sobrevivencia»69-, è ormai iniziata; perciò il senso di fallimento, non dimentico, tuttavia, lo scrittore, di un valore per quanto compiuto, proprio nel sottolineare quanto avrebbe potuto far meglio:

«He vivido largo tiempo; pero no he sabido aprovechar la vida; la he derrochado, no he hecho nada. Lo poco que hice no es sino un índice de lo que pude hacer. No lo digo por darme importancia, haciéndome pasar por superior a mí mismo; tampoco por espíritu de humildad. Lo digo porque me parece exacto. No he sido sino un aficionado de todo: arte, letras, mujeres, política. He vivido una vida de espera, una vida provisional, aguardando lo que no iba a llegar nunca. Ya está ahí la que siempre llega, la ineludible... Y ahora es cuando veo que el libro de mi vida queda en blanco; o borroso y gris, lleno de cosas superficiales que a nadie interesan»70.



L'autore carica la mano con amaro compiacimento sul senso del suo fallimento, per ottenere una reazione contraria nel lettore, per il quale -non lo dimentichiamo- scrive: una reazione che porti a una favorevole rivalutazione della sua vita e della sua azione. Rufino Blanco Fombona è sempre abile orchestratore e mai dimentica per sé il futuro.

5- Nelle pagine del Diario lo scrittore venezolano consegna il suo genio, la personalità egolátrica, le virtù e le contraddizioni, quella sostanza contradittoria del suo essere che denuncia nella nota dell'11 marzo 1912, insieme al temperamento accesamente romantico, dopo tutto, «que se traduce en antinomias personales»71, in Camino de imperfección, e insieme la dimensione della sua cultura, l'amore disperato per la patria. A mano a mano che il lettore si addentra in questa selva di notazioni si va abituando a certe stonature, a quanto gli si presenta esterno, artificioso; lo riscatta sempre il vigore del racconto, la sostanza di un carattere che si afferma prepotentemente, al disopra di ogni riserva di chi legge. Il progresso dell'avventura sprirituale e umana cui si riferiscono le pagine di Rufino Blanco Fombona, finisce per relegare in sottordine le riserve rispetto a una sostanza che si va caratterizzando, una vita che si presenta con chiaroscuri decisi, ma anche con efficaci sfumature.

Il 2 aprile 1906 lo scrittore venezolano manifestava i termini in cui gli sarebbe piaciuto, morendo, ispirare una «pequeña necrología», testimonianza ancora, se ve ne fosse bisogno, di quanto scrivendo di sé egli pensasse ai posteri. La piccola nota necrologica avrebbe desiderato che fosse cosi composta:

«Este hombre, como amado de los dioses, murió joven. Supo querer y odiar con todo su corazón. Amó campos, ríos, fuentes; amó el buen vino, el mármol, el acero, el oro; amó las núbiles mujeres y los bellos versos. Despreció a los timoratos, a los presuntuosos y a los mediocres. Odió a los pérfidos, a los hipócritas, a los calumniadores, a los venales, a los eunucos y a los serviles. Se contentó con jamás leer a los fabricantes de literatura tonta. En medio de su injusticia, era justo. Prodigó aplausos a quien creyó que los merecía; admiraba a cuantos reconoció por superiores a él, y tuvo en estima a sus pares. Aunque a menudo celebró el triunfo de la garra y el ímpetu del ala, tuvo piedad del infortunio hasta en los tigres. No atacó sino a los fuertes. Tuvo ideales y luchó y se sacrificó por ellos. Llevó el desinterés hasta el ridículo. Sólo una cosa nunca dio: consejos. Ni en sus horas más tétricas le faltaron de cerca o de lejos la voz amiga y el corazón de alguna mujer. No se sabe si fue moral o inmoral o amoral. Pero él se tuvo por moralista, a su modo. Puso la verdad y la belleza -su belleza y su verdad- por encima de todo. Gozó y sufrió mucho espiritual y físicamente. Conoció el mundo todo y deseaba que todo el mundo lo conociera a él. Ni imperatorista ni acrático, pensaba que la inteligencia y la tolerancia debían gobernar los pueblos; y que debía ejercerse un maximum de justicia social, sin privilegio de clase ni de personas. Cuanto al arte, creyó siempre que se podía y debía ser original, sin olvidarse de nihil novum sub sole. Su vivir fue ilógico. Su pensar fue contradictorio. Lo único perenne que tuvo parece ser la sinceridad, ya en la emoción, ya en el juicio. Jamás la mentira mancilló ni sus labios ni su pluma. No le temió nunca a la verdad, ni a las consecuencias que acarrea. Por eso afrontó puñales homicidas; por eso sufrió cárceles largas y larguísimos destierros. Predicó la libertad con el ejemplo: fue libre. Era un alma del siglo XVI y un hombre del siglo XX.

Descanse en paz, por la primera vez. La tierra, que amó, le sea propicia»72.



Se prescindiamo dal fatto che Rufino Blanco Fombona mori a settant'anni, con un po' più di egolatria e un po' meno di sincerità e di deteriore paccottiglia romantico-modernista, è questo precisamente il ritratto di se stesso che lo scrittore venezolano ha tramandato ai posteri attraverso le pagine del Diario: la testimonianza di un uomo vivo, con tutte le sue manchevolezze, ma anche con moltissimi pregi, trasparenti, sotto l'inevitabile «pose». Ed è per ciò che il Diario è quanto di più permanente nell'arco di tutta la sua creazione letteraria.





 
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