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ArribaAbajoCapitolo IV

Trionfo e fine del modernismo


Scomparso Rubén Darío il modernismo si avvia gradualmente alla sua conclusione, si trasforma e cede il passo a una molteplicità di correnti poetiche al cui sviluppo, tuttavia, contribuisce in maniera determinante. Ma prima di giungere a questo punto il modernismo vede il suo periodo di maggior splendore quando intorno a Darío, o negli anni immediatamente seguenti alla sua scomparsa, la poesia americana si caratterizza per una serie di notevoli poeti che contribuiscono allo svolgimento e all'ampliamento del movimento.

Rubén Darío aveva negato la possibilità di una scuola intorno a sé77, e una scuola infatti non sorse mai. L'atmosfera modernista che egli aveva così grandemente contribuito a sviluppare conservò nei poeti che la vissero le doti individuali di originalità, arricchendosi, con il loro apporto, di tonalità più ampie e nuove.

Tra i rappresentanti più significativi di questo periodo vi sono grandi poeti e lirici minori, e intorno a essi una miriade di piccoli e piccolissimi poeti che non staremo a menzionare.

Tra i più notevoli sono da annoverare senza dubbio Guillermo Valencia, Leopoldo Lugones, Julio Herrera y Reissig, Amado Nervo e Ricardo Jaimes Freyre, mentre molto discutibile appare ancor oggi la grandezza di José Santos Chocano che godette di enorme fama in vita.

Amado Nervo (1870-1919), figura complessa di letterato e di uomo politico, fu veramente un lirico ispirato, e riscosse anche l'ammirazione di Darío. Messicano, egli appartenne al gruppo di poeti che si riunì intorno alla Revista Azul e, quando questa cessò le pubblicazioni, fondò e diresse con J. E. Valenzuela la Revista Moderna che riunì intorno a sé i modernisti di Messico.

Nervo fu un fervente ammiratore di Manuel Gutiérrez Nájera, poi di Darío, che conobbe a Parigi nel 1900 e col quale strinse un'amicizia feconda di risultati per il suo sviluppo poetico. Il contatto col poeta nicaraguense, infatti, accentuò nella lirica del messicano la musicalità, che egli applicò, secondo la sua tendenza, a un approfondimento emotivo tutto interiore.

Nervo aveva iniziato secondo i moduli usuali del modernismo, ma presto reagì alla sovrabbondanza dell'ornato per perseguire nell'espressione una semplicità che talvolta sembra scarnezza. Le caratteristiche dell'uomo, bontà, semplicità, alto senso morale, si trasfusero nella sua arte generando una poesia di grande significato spirituale. Per questo motivo, e forse per il titolo della prima raccolta di versi, Místicas (1898), e forse anche per il fatto che Nervo ricevette la prima educazione in seminario, si è parlato di misticismo nella sua lirica. Il Vian l'ha, però, negato affermando piuttosto la presenza di una vaga religiosità fatta più di dubbio e di timore della morte che di vera fede78. Eppure in Nervo esiste realmente un vago misticismo, dato da un senso di religiosità raccolta, ravvivato, dopo la morte della moglie, dall'ansia della ricerca divina. L'amore profondo che egli le portava lo spinse a questa ricerca come all'unica ancora di salvezza che gli permettesse di sperare di poterla un giorno raggiungere in una dimora di quiete eterna. In questo senso Amado Nervo non rivela alcun timore della morte. Lo si può vedere nella lirica ¡Qué bien están los muertos! di La Amada inmóvil (1912), contrapposizione alla bécqueriana ¡Qué solos se quedan los muertos! Nella lirica di Bécquer vi è amarezza, freddo e desolazione, in quella di Nervo desiderio di suprema quiete, un senso di pace assoluta. La morte apre al poeta il segreto dell'inconoscibile arcano, ne fa cessare il tormento. Nella quiete incantata della morte, dove ogni dolore finalmente tace, l'amata scomparsa gli appare immortalmente giovane, circondata dal canto degli uccelli che hanno il loro nido tra le tombe. L'elegia si trasforma, così, in canto di vita sull'onda del traboccante sentimento d'amore:



   ¡Qué bien estás, mi amor,
ya por siempre exceptuada
de la vejez odiada!

   Del verdugo dolor...
inmortalmente joven,
dejando que te troven

   su trova cotidiana
los pájaros poetas
que moran en las quietas

   tumbas, y en la mañana
donde la Muerte anida
saludan a la vida.



L'amore è uno dei temi più costanti nella poesia di Amado Nervo. La concezione che egli rivela della donna, attraverso l'amore che lo legò alla moglie, è lontana dalla sensualità modernista, e rappresenta una ulteriore conquista verso il ristabilimento di quella compostezza di linee in cui l'amore terreno trova i suoi legami con l'eterno. Scompare la donna del piacere e ritorna imperiosa l'esigenza di un amore che appaghi lo spirito più che i sensi. La morte della sposa acuisce il desiderio di questo amore. Noteremo che la moglie era francese e potè, forse, rappresentare in qualche modo per Nervo l'amore esotico secondo la tendenza modernista. Alcuni versi di Gratia plena sembrano confermarlo:


Todo en ella encantaba, todo en ella atraía;
su mirada, su gesto, su sonrisa, su andar...
El ingenio de Francia de su boca fluía.
Era llena de gracia como el Avemaría;
¡quien la vio, no la pudo ya jamás olvidar!



Ma questi versi rivelano anche una maggiore serietà di sentimento. In La Amada inmóvil, raccolta di liriche che risale al 1912, anche se fu pubblicata postuma, nel 1920, la presenza della donna amata si trasforma quasi in ossessione. Il suo ricordo permane anche nella produzione successiva e genera una poesia sempre più depurata, desiosa di mistico conforto divino. Cristo diventa, allora, fonte di pace e per Lui il poeta vede il suo sentimento amoroso in una decantazione altamente emotiva, come in «¡Si Tú me dices ven!», di Elevación (1917). Una profonda serenità si fa largo nella sua anima: egli vi perviene attraverso il sempre più intimo contatto con la filosofia che da Platone si estende a quella dell'Oriente, alla quale l'accostò la sete, tutta modernista, di atmosfere esotiche e l'intima esigenza di mistici mondi79. La sua anima, «vaso que se llena con eternidad»80, tende sempre più a un'atmosfera rarefatta in cui l'umano cede al divino, dominata dall'eterna, insaziabile sete di penetrare la mistica rosa celeste: «¡Señor, cuándo veremos la rosa abierta!»81.

E' questo desiderio d'infinito che rende più viva e palpitante la poesia di Amado Nervo, che porta nell'atmosfera modernista una nuova serietà e l'istanza di profondi problemi spirituali.

Federico de Onís ha notato che l'opera di questo poeta è contraddittoria e disuguale, ma sempre gentile, nobile e sincera e, nei suoi momenti migliori, piena di profondo e semplice senso umano82. E veramente da essa si sprigiona un umile senso di pietà verso un mondo del quale il poeta sembra presentire immanente la catastrofe. Egli coglie il dramma dell'uomo nel suo vano rincorrere l'inarrestabile fuga del tempo. Ma lungi dal ribellarsi finisce per accettare totalmente il volere divino, risolvendo in questo modo, senza accenti disperati, il suo radicale pessimismo83.

In questo senso anche Ricardo Jaimes Freyre (1868-1933) appare vicino a Nervo. Non fu un poeta della sua grandezza, ma ebbe ugualmente notevole importanza nella diffusione del modernismo. Amico di Darío e dell'argentino Leopoldo Lugones, fu uno dei fondatori della Revista de América la cui importanza fu straordinaria nella diffusione del nuovo credo poetico.

Boliviano, il Freyre passò, però, la maggior parte della sua esistenza in Argentina dove fu docente e uomo politico. La sua fama di poeta si fonda essenzialmente su due raccolte di versi. Castalia bárbara (1897) e Los sueños son vida (1917), che ci presentano due aspetti diversi del suo modernismo. Nella prima raccolta, il cui modello furono i Poèmes barbares di Leconte de Lisle, Freyre ci dà la parte migliore della sua poesia, ricca di sensibilità, di raffinatezza e di armonia. Staccandosi dalla realtà contingente il poeta costruisce la sua lirica spaziando nelle libere atmosfere della fantasia, in un sogno lento al quale prestano materia i mondi della mitologia nordica.

Alla ricerca di una sempre più raffinata espressione Jaimes Freyre introduce una notevole varietà di combinazioni metriche, nelle quali trova rispondenza l'onda del suo sentimento e l'intimo bisogno di suscitare atmosfere profondamente drammatiche, sintesi di tenebroso, di esotico, di remoto.

Dalla raccolta Los sueños son vida la mitologia germanica scompare, e la lirica rivela un ampliarsi di sensibilità, sulle soglie dell'ultima stagione. Vi si sente il gocciolare di una costante malinconia e più che mai vivo il senso del tempo che fugge, della vanità delle cose, sentita con profonda nostalgia, ma non con rimpianto, E' in questo momento che il cuore del poeta sembra palpitare anche per più alti ideali sociali. La sua lirica acquista, così, un tono pensoso, al quale la musicalità del verso e lo sfondo di un umido paesaggio, tra la realtà e il sogno, prestano il loro incanto.

La malinconia di Freyre è molto vicina a quella di Amado Nervo nella contemplazione del mondo, così come lo è la sua rassegnazione.

Uno dei maggiori poeti del modernismo fu Guillermo Valencia (1873-1943). Egli ebbe un concetto così alto dell'arte che influì in senso limitativo sulla sua creazione, conseguenza dell'intima convinzione che la bellezza si può realizzare solo attraverso l'astrazione e che solamente il silenzio può attingere l'arte vera. Di Valencia ci restano, perciò, poche liriche, quelle che salvò da una severissima revisione e che riunì in Ritos (1898), libro che ampliò nell'edizione del 1914. In questa raccolta sta tutta la sua grandezza.

Guillermo Valencia collaborò alla Revista gris e ancor giovanissimo si impose negli ambienti colti della capitale colombiana divenendo ben presto l'animatore di quei cenacoli letterari. Non si negò, tuttavia, all'azione, e partecipò alla vita politica del paese presentandosi due volte candidato alla Presidenza della Repubblica, sempre in difesa delle sue convinzioni di una pacifica coesistenza tra gli stati americani. In questa sua attività parve risuscitare, in epoca modernista, la figura dell'uomo di azione del romanticismo.

Sulla formazione di Valencia influirono decisamente gli anni trascorsi nel Seminario di Popayàn, sua città natale, e ia conoscenza profonda delle letterature straniere. Hugo, Verlaine, Wilde, D'Annunzio, Pascoli, Ada Negri, Stefan George, Heine sono i nomi dei poeti che con maggior frequenza ricorrono nelle sue traduzioni in versi e nei rifacimenti, assieme ai nomi dei poeti cinesi tradotti in Catay (1928), opera questa che rivela non tanto una curiosità esotica quanto una sempre più raffinata esigenza spirituale. Il suo classicismo, fecondato da tutti questi elementi, genera una poesia dignitosa, ispirata, colta e raffinata84.

In Ritos Valencia appare poeta di un modernismo che, più dell'influenza di Darío, che conobbe personalmente, mostra la influenza della spiritualità di José Asunción Silva. A lui dedicò, infatti, la prima lirica del volume, Leyendo a Silva, acuta nella penetrazione dell'intimità del poeta scomparso.

La critica ha accennato più di una volta a questi contatti tra i due poeti, fino a mostrarci in Valencia un discepolo di Silva. Non mi sembra, però, il caso di parlare di relazioni così profonde di dipendenza. Indubbiamente Valencia sentì più vicino alla propria sensibilità Silva che Darío, ma tra i due vi è una netta differenza: in Silva vi è pessimismo, scetticismo, angoscia, mentre in Valencia vive la speranza; l'atmosfera in cui si svolge la poesia del primo è atmosfera di tinte notturne, di cupi stati d'animo, di tristi considerazioni, rafforzate nel loro significato da colorazioni romantiche intense, mentre l'atmosfera in cui si svolge la lirica di Valencia è riposata e calma, più orientata verso la malia del sogno, e gode di un tempo lento, di un immobile ed estatico fluire di atmosfere celesti, si fa sinfonia di un'unica gamma di colori che hanno chiarità mattutine.

Nella poesia di Guillermo Valencia il tempo sembra arrestarsi per dar modo alla fantasia di ricreare lentamente un mondo in cui quel tanto che vi è di esotico si naturalizza e la nostra sensibilità percepisce il lentissimo moto del cosmo, che fissa per l'eternità la sete d'infinito e in uno la massa enorme della malinconia umana.

Queste situazioni sono visibili in più di una lirica tra le più belle del poeta, particolarmente in Los camellos e in Cigüeñas blancas. Nella prima di queste liriche si respira la pesantezza del tempo riassunta e moltiplicata nel moto dei languidi; cammelli che misurano a lunghi passi la monotonia del deserto. La malinconia dell'universo si specchia nei loro occhi verde-chiaro, che vedono il fluire delle generazioni nelle vestigia sparse sull'immensa distesa di sabbia e in esse scorgono l'agonia del mondo nel suo affanno d'infinito.

In Cigüeñas blancas si coglie tutta la gamma di raffinata spiritualità del modernismo di Valencia, la quale si specchia in delicate espressioni cromatiche, che si giovano di un sapiente contrasto di colori, il nero degli occhi, il rosso del becco, il violetto dell'ultimo tramonto, per suggerire impressioni di più candida purezza nel ricordo del bianco, le penne delle cicogne, sinfonia celeste, immagine del sogno. Nella pallida bianchezza, albura triste, suscitata dal volo candido delle cicogne, si fa più vivo il ricordo di un mondo di gioie passate, per il quale il poeta non prova dolore, ma solo profonda malinconia, nella certezza che quelle ore di gioia innocente non torneranno.

Il ricordo di Valencia diventa cosciente rassegnazione nella quale rivive per un momento l'attimo felice, visto in lontananze nostalgiche:



   Esas aves me inquietan: en el alma
reconstruyen mis rotas alegrías;
evocan en mi espíritu la calma,
la augusta calma de mejores días,

   y restauro del mundo los abriles
que ya no volverán, horas risueñas
en que ligó sus ansias juveniles
el lento crotorar de las cigüeñas.



Valencia ha cantato spesso, in altre liriche, il cigno modernista, ma di fronte a questa poesia mi sembra che il sua simbolo più esatto sia proprio la bianca cicogna, espressione di un candore spirituale senza eucaristici e sensuali contagi. In essa il poeta rivive il passato, trova ressegnazione, e in essa conclude il simbolo del suo mondo di classiche perfezioni, la sua Grecia, il suo Oriente, il Lazio, Carrara, il sogno di infinito. Il verso, tormento del poeta, ha nella cicogna, amica «discreta» di Cupido, simbolo di artistiche pazzie, la cifra della sua ansia di perfezione espressa nella «blanca fatiga de su vuelo».

Più di una volta Valencia mostra la sua predilezione per i vaghi stati del sogno e per l'indefinibile spiritualità dell'intimo mondo dell'anima umana. Il suo cattolicesimo sincero gli offre materia per indagini di puro ordine spirituale che egli, modernista anche in questo, si compiace di ambientare, come fece il Pascoli dei Poemata Christiana, nei mondi delle primitive epoche cristiane, in quei mondi storici, cioè, in cui più evidente si mostra il conflitto tra due opposte spiritualità. Appartengono a questo ordine i poemi En el circo, San Antonio y el centauro, Palemón el estilita, i più noti, perfetti nell'analisi dei moti spirituali, esaltazione, in atmosfere di viva poesia, dei conflitti intimi dell'individuo.

Di Valencia possiamo dire che è colui che alla poesia del suo clima ha saputo dare maggior compostezza classica, misura ed estensione, conservando e potenziando nello stesso tempo tutti i raggiungimenti estetici del movimento. Nella sua lirica sono penetrate anche, almeno una volta, le sue convinzioni politiche, in Anarkos, dove prende posizione contro le disuguaglianze sociali vive nel suo paese. Ma non è certo in questa lirica, anche se significativa, che si può cogliere la misura della sua arte: la migliore è, precisamente, quella in cui l'ispirazione si compie in perfetto circolo spirituale, in un ambiente lontano dalle realtà fenomeniche, aperto solo ai palpiti dell'anima e, non di rado, alle suggestioni di un paesaggio che riflette quello natale85.

Nella lirica di Valencia un altro aspetto distingue il suo modernismo, la mancanza costante di ogni sensualità. Per questo la sua poesia conserva una serietà che bene si accorda con i suoi convincimenti morali e religiosi, e non cede agli ellettamenti di mode esteriori. Sono atmosfere nuove, queste, nelle quali si presente sempre più la crisi del modernismo in quelli che sono i suoi elementi più esteriori.

Non meno importante di Valencia, anche se la sua lirica è di tutt'altra intonazione, è Leopoldo Lugones (1874-1938), il più cospicuo rappresentante del modernismo argentino. Con Darío e con Jaimes Freyre egli fondò la Revista de América, visse poi per vario tempo in Francia come corrispondente de La Nación e a Parigi si dedicò alla diffusione delle lettere sudamericane fondando la Revue Sudaméricaine.

In politica fu un socialista di puri principi sentimentali e solo più tardi si orientò verso forme di acceso nazionalismo nel miraggio di una «grande» Argentina. Questo passaggio dal socialismo al nazionalismo suscitò non poche polemiche intorno al poeta e molta ostilità e incomprensione, origine di una profonda crisi spirituale che lo condusse al suicidio, col quale suggellò l'atmosfera di pessimismo dalla quale si era sforzato invano di uscire.

L'opera di Lugones abbraccia tutti i generi letterari e, per la sua stessa estensione, rivela immediatamente i suoi limiti. Tuttavia il valore della sua lirica appare incalcolabile per l'influenza che esercitò sulla poesia del suo tempo. Ricca e varia nella sua evoluzione la lirica del poeta argentino rappresenta una delle più complete realizzazioni del modernismo, anche se alcuni la hanno detta soggetta a troppe influenze e a uno squilibrio tecnico d'ispirazione esteriore. L'originalità di Lugones appare meglio nella continua variazione della forma, che rivela un'ansia tutta modernista per nuove esperienze più ardite, necessarie alla estrinsecazione di un urgente fuoco interiore.

Federico de Onís ha osservato esattamente86 che proprio nella proteica capacità di mostrarci forme diverse, pur rimanendo sostanzialmente lo stesso, di provare le più diverse modalità di poesia suonando sempre con ritmo personale, sta l'originalità e la superiorità di Lugones sugli altri poeti, in generale perfetti in un solo aspetto. Anche quando Lugones imita Laforgue, Moréas, Samain o Victor Hugo, o meglio ne esperimenta l'influenza, riesce sempre a trasformare questa influenza in nota così personale da renderne ardua l'identificazione.

Nelle Montañas de Oro (1897), Lugones fu poeta magniloquente e fortemente romantico nell'interpretazione delle forme occulte degli elementi, con tonalità che sanno di allucinazione nell'ardimento delle metafore, le quali preannunciano le composizioni alla luna del Lunario sentimental. Le Montañas de Oro rivelano un poeta di robusti accenti, influenzato da Victor Hugo, ma che trova già caratteri propri e dà al modernismo colori nuovi, caldi e smaglianti, tenebrose tinte notturne e allucinate atmosfere lunari, fusione di componenti romantiche e di elementi personali che preannunciano il surrealismo. Dal lato formale egli lima tanto la propria espressione da darle, in più di un caso, apparenze preziosiste.

Più tardi, in Los crepúsculos del jardín (1905), la voce di Lugones si affina, tutta tesa alla realizzazione di una metafora delicata, di netta derivazione simbolista. Samain è il più diretto ispiratore, ma il poeta argentino è sempre più personale e ricerca fibre recondite per palpiti interiori che insinua nell'anima raggiungendo pura bellezza. La metafora gli è d'ausilio completo in questo, e già si accentua in essa il ricorso a elementi irreali. Si veda, ad esempio, entro quale perfetta cifra emotiva il sonetto Delectación morosa racchiude il quadro notturno: la natura è vista con squisita sensibilità modernista, ed è lasciato alla delicata allusione il compito di suggerire lo svolgersi del fatto d'amore, così che si sviluppa unitaria la creazione di un commosso stato spirituale.

E ancora, in Melancolía perdura la tristezza gocciolante, ma non stucchevole, di un modernismo di raffinati stati d'animo. La orgia modernista scompare in Lugones: l'amore è visto da lui come qualcosa di serio, di sacro. Più tardi, in El libro fiel (1912), libro in cui celebra l'amore coniugale, il poeta rivela questa sua concezione di un amore legale, senza elementi peccaminosi o perversi, vicino in questo alla concezione di Amado Nervo. E' una nuova conquista del modernismo, come lo è l'attenzione costante che Lugones dedica al paesaggio americano, a tutti quegli elementi, cioè, che fino allora il modernismo ufficiale sembrava aver poco considerato come non suscettibili di emozione estetica.

Nella raccolta El libro de los paisajes (1917), la natura è al centro dell'emozione di Lugones. E' questo, probabilmente, il suo libro più ispirato e sincero, animato da un misurato lirismo, perfetto nella costruzione formale. Per qualche motivo vi si sente l'orma del Pascoli.

Nelle Horas doradas (1922), il canto idillico continua, per sfociare nella vena popolare del Romancero (1924). Quivi Lugones interpreta il mondo in un senso di completa universalità e accomuna in un'unica emozione le cose e le creature. Questo accento si rafforza ancora nei Poemas solariegos (1928) e nei Poemas del Río Seco (1938), dove la poesia ritorna alla primitiva forza espressiva e rivela la convinzione del poeta di essere il vate della grande Argentina. E' il periodo nazionalista di Lugones: egli attutisce, perciò, la nota della sua intimità per innalzare inni alla forza, alla virtù, ai fondamentali aspetti della sua razza. Ne viene una padronanza meno costante della poesia, spesso prolissa e pesante.

Il libro di Lugones che portò maggiore novità di accenti ed ebbe maggiore risonanza nel modernismo americano fu il Lunario sentimental (1909), che resta anche la migliore espressione delle sue vaste fonti di ispirazione. Prima di questa raccolta mai il modernismo aveva esperimentato così profonde emozioni d'indole ironico-sentimentale. Il Lunario sentimental rappresenta la parte più difficile e meglio riuscita di un grande temperamento poetico. Attraverso la trasformazione in poesia di un potenziale di concetti acrobatici e strampalati, i legami con la realtà vengono scossi dalle fondamenta e rivisti attraverso un'allucinazione caricaturesca che, lungi dal diminuirne l'umanità, ne accresce il potere sentimentale originando una strana malinconia illuminata dal bagliore della metafora. E' il trionfo dell'immaginazione creativa, della padronanza del verso libero e del potere di suggerire emozioni.

La raccolta richiama gli acrobatismi di Laforgue, ma anche qui Lugones si rivela originale e crea, per la prima volta nella poesia del modernismo, una tendenza assolutamente nuova nella quale stanno tutte le premesse del surrealismo. Lo si può vedere particolarmente nell'Himmo a la luna, in Luna maligna, Luna campestre e in Los fuegos artificiales.

Con Leopoldo Lugones il modernismo amplia le proprie frontiere e nello stesso tempo si avvicina sempre più alla sua conclusione poiché preannuncia chiaramente forme nuove di poesia.

L'influenza del migliore Lugones non tardò a farsi sentire e in modo tutto particolare nel più grande poeta del modernismo uruguaiano, Julio Herrera y Reissig (1875-1910), che molti critici ritengono la personalità più significativa, con Darío e lo stesso Lugones, di tutto il modernismo americano87.

Tra gli ammiratori di Herrera y Reissig primo fra tutti Rufino Blanco-Fombona, e quelli di Lugones, si sollevarono in varie occasioni aspre polemiche a proposito delle rispettive influenze. Un attento esame delle loro opere rivela, tuttavia, la inutilità della polemica, che non si manca però di ricordare ogni volta che si tratta di uno dei due poeti, anche se ormai più nessuno osa parlare di plagio88.

Vi sono, certo, punti di contatto tra il Lugones del Lunario sentimental, ad esempio, e il tono surrealista di tutta la poesia di Herrera y Reissig, ma non vi è imitazione. D'altra parte, la figura letteraria di Lugones non è data solo da questo accento, ma da tutto un complesso di toni che in sé sono lontani da maggiori punti di contatto con la poesia dell'uruguaiano. Il canto di Lugones nelle Odas seculares e nei Poemas solariegos, per non ricordare che due delle sue raccolte più significative, è ampio e orchestrato sulla corda di sentimenti che il Reissig non ha mai espresso. Quest'ultimo sembra cercare costantemente l'ombra, il rumore sommesso, il palpito intimo dell'anima per le cose. La sua espressione, lungi dal ricercare toni di più ampio consenso, rifugge dalle sollecitazioni comuni, intesa a perseguire una poesia per sé, espressione individuale che basta a se stessa. Per questo Herrera y Reissig si dà totalmente a una fuga cerebrale, che mostra contatti per i tempi passati con quella di Góngora; nella irrealtà funambulesca del sogno egli crea un mondo che si stacca bruscamente dai consueti contatti umani, ma che conserva nell'apparente illogicità una sua coerenza e l'essenza di sentimenti propri del nostro mondo, percepiti però in stati abnormi.

La poesia di Julio Herrera y Reissig è il riflesso di una vita irrequieta e tormentata. Di origini aristocratiche, egli si allontanò ben presto dal suo ambiente per darsi a una vita volutamente «bohemien», la cui conoscenza resta ancor oggi fondamentale per la comprensione della sua opera, anche dopo che un attento e appassionato studioso del Reissig, Roberto Buia Piriz, l'ha depurata di molta di quella retorica con la quale si era soliti presentarla. Alla luce di questi studi89 la personalità del poeta uruguaiano appare come quella di un uomo instabile per intima costituzione, sofferente di mania di persecuzione, capace di trasformare in racconto di pena anche i momenti meno infelici della sua vita.

Il rifugiarsi in quella soffitta che chiamò «Torre de los panoramas», rispondeva in Herrera y Reissig all'intima necessità di isolarsi dall'ambiente, che era giunto a odiare proprio per una mania ossessiva. In quella torre d'avorio costruita dalla sua fantasia egli si circondò di un'eletta schiera di iniziati fedeli, fondò anche una rivista di breve vita, La revista (1899-1900), senza riuscire a formare, però, alcuna scuola. Il nome che egli diede al suo rifugio valse tuttavia a significare presto una nuova sensibilità, una nuova e valida estetica nel mondo poetico dell'Uruguay romantico, e valse a dare nuovi aspetti di modernità al modernismo americano.

Nella formazione di Julio Herrera y Reissig ebbero parte determinante i maggiori poeti del modernismo, Julián del Casal, Leopoldo Lugones, Rubén Darío, Salvador Díaz Mirón e, per certi aspetti, anche Armando Vasseur, dal quale assorbì non poche aggettivazioni esotiche. Sull'ampliamento delle sue conoscenze poetiche extra-americane ebbe particolare importanza la amicizia che lo legò a uno strano tipo di pseudo letterato, Roberto de las Carreras, che gli presentò la poesia contemporanea di Francia e d'Italia nei testi dei principali poeti. Sull'orientamento modernista di Herrera y Reissig ebbero, quindi, parte, determinante anche Albert Samain, Jules Laforgue, Rimbaud, Mallarmé90, e D'Annunzio, il cui Canto Novo lasciò orma profonda in lui.

L'uso della morfina alla quale il poeta ricorse per lenire il dolore fisico intervenuto, ebbe indubbiamente notevoli conseguenze anche su certi sogni abnormi che compaiono in molte sue liriche.

Nel 1900 la raccolta di poesie Las Pascuas del tiempo annuncia già una rivoluzione nella poesia uruguaiana: sono sonetti strani, dimostrazione di abilità funambolesca, di melodiosa atmosfera modernista, ancora confusa tecnicamente nel mondo di Darío, ma già originale e sorprendente per la novità delle immagini e il significato spesso deliberatamente strampalato o, comunque, distante dal normale linguaggio poetico.

Nei libri che seguono, il processo di originalità si intensifica, anche se non è possibile determinare le fasi di un progressivo perfezionamento: la grandezza e la peculiarità del poeta è sempre presente, sia che l'estro o l'emozione del momento lo portino a interpretazioni d'indole idillico-georgica, o a costruzioni semimetafisiche di fondo subcosciente e di espressione astrusa. Per tal modo, da Los maitines de la noche (1902) a Berceuse blanca (1909-1910)91, in ogni raccolta di questo poeta singolare si sente l'originalità e la grandezza di un artista completo.

La forma della poesia di Julio Herrera y Reissig è caratterizzata da un barocchismo di intenzioni moderne, che si rivela, oltre che nella scelta del vocabolo luminoso, nel gioco di luce della metafora92. Il dominio della lingua, che piega e innalza a espressioni di luce e di colore, trasformandola totalmente, è così completo che Guillermo de Torre l'ha detto paragonabile solamente a quello di Darío93.

La realtà viene trasformata dal Reissig in un gioco di luci e di ombre, potenziata nel suo significato sentimentale dalla trasposizione dei suoi elementi in un extra-mondo di bagliori allucinanti e di immagini deformate, al quale la poesia sembra tendere, spinta da una forza divina e perversa nello stesso tempo. Il processo di spersonalizzazione che il poeta persegue non fa che aumentare il significato emotivo ed estetico della sua lirica, per la quale egli conia direttamente la terminologia che gli è necessaria alla sua espressione, e ricorre con particolare compiacimento a una forma di aggettivazione che chiameremo «eucaristica» per comunicare al profano sottili sensazioni sacre.

Costante è anche il suo ricorso agli elementi sensuali e corposi, colori, suggerimenti olfattivi, tattili, musicali, plastici e parimenti costante il ricorso alla metafora come mezzo di espressione luminosa e di alto valore estetico. Lo si vede particolarmente nelle liriche de Los éxtasis de la montaña: qui l'alba diventa «La inocencia celestial del día (que) se lava en la fontana»94, le rondini sono «flechas perdidas de la noche en derrota»95, il tramonto è «La tarde (que) paga en oro divino las faenas»96, le colombe sono «Monjas blancas y lilas de su largo convento», che «ofician vísperas en concilio»97, e l'autunno nella selva è visto come «gótica herrumbre de silencio y estragos»98. Ma si veda come in La noche la metafora assume luci fantastiche e allucinate creando un paesaggio lunare altamente suggestivo:



   La noche en la montaña mira con ojos viudos
de cierva sin amparo que vela ante su cría;
y como si asumieran un don de profecía,
en un sueño inspirado hablan los campos rudos.

   Rayan el panorama, como espectros agudos,
tres álamos en éxtasis... Un gallo desvaría,
reloj de medianoche. La grave luna amplía
la cosas, que se llenan de encantamientos mudos.

   El lago azul de sueño que ni una sombra empaña,
es como la conciencia pura de la montaña...
A ras del agua tersa, que riza con su aliento,

   Albino, el pastor loco, quiere besar la luna.
En la huerta sonámbula vibra un canto de cuna...
Aúllan a los diablos los perros del convento.



Il quadro notturno si conclude perfettamente nel giro del sonetto. La predilezione per il sonetto viene al Reissig con ogni probabilità da Samain, ma anche da Casal e da D'Annunzio. Nei suoi versi la metafora è elemento essenziale, trasforma i nessi reali e crea un paesaggio non sempre tranquillo, popolato, anzi, spesso di lubrichi fantasmi, di mostruose bocche aperte a smorfie contorte, o qualche volta a impreviste purità celesti. In Los maitines de la noche, ad esempio, la lirica Nivosa ci offre l'immagine contrastante di questi due diversi mondi, e suscita un'atmosfera di grande poesia. La presentazione della notte regno del deforme può far ricordare qualche elemento proprio più tardi di una nuova corrente di poesia, quella negra, presente nelle «canciones de cuna» e che ha proprio in un altro poeta uruguaiano, Ildefonso Pereda Valdés, il suo iniziatore in Sudamerica99. Suggestivo è, il contrasto determinato dall'intervento delle nubi e delle bianche colombe:



Es noche de neurastenias.
      Es una noche de junio:
los surtidores derraman
      plumas, jazmines, burbujas:
por sus manchas me parece
      que se ríe el plenilunio,
y se me antojan las plantas
      un ejército de brujas.

Cual procesión de novicias,
      envueltas en aéreo velo,
pasan las nubes aladas
      vertiendo nevado lloro;
y en el níveo campanario,
      que es un tímpano sonoro,
hay dos palomas muy blancas
   que son como hostias del cielo.



Attraverso innumerevoli composizioni, che non presentano legami con alcuna poesia precedente, Julio Herrera y Reissig costruisce un mondo suo sempre più astratto, dove i sentimenti assumono tinte inusitate. Anche i colori servono al poeta per rafforzare il significato emotivo di quanto vuol esprimere. Spesso l'atmosfera decadente, densa di ricordi esotici, mescola in ambienti di accidia sensazioni musicali e ricordi sensuali. Nella sua lirica assistiamo a un progredire di accumulazioni angosciose, attraverso le quali il Reissig esprime la propria soggettiva impressione a contatto delle cose, vedendole con occhi nuovi, trasfigurandole sempre più. Egli raggiunge in questo modo il barocchismo espressionista de La vida, che si accentua ancora in Tertulia lunática de La torre de las Esfinges, dove ogni nesso umano è totalmente interrotto nella divagazione allucinata della fantasia. In tinte allucinate di surreali interpretazioni il poeta scioglie un lungo inno alla nette d'Averno. La sua sensibilità si compiace di grottesche deformazioni che rendono arduo il cogliere il nesso logico del suo pensiero, ma che esprimono tutte, come Desolación absurda de Los maitines de la noche, un senso doloroso della vita, un pessimismo radicale, un'attrazione violenta verso gli stati allucinati del subcosciente, tutta pervasa di malinconica ironia e di dolorosi fantasmi.

Nell'atmosfera modernista la lirica di Julio Herrera y Reissig risplende di sentimento, di luci suggestive e violente, appare contorta e raccapricciante, talvolta, talaltra misticamente elevata a rarefatte atmosfere, sempre musicale e profonda. Essa rappresenta realmente qualcosa di nuovo nel modernismo, ne rinnova l'atmosfera e preannuncia una nuova poesia100.

Con Herrera y Reissig siamo alle ultime forme del modernismo; col poeta peruviano José Santos Chocano (1875-1934), il movimento americano manifesta apertamente la sua crisi definitiva.

Come la sua vita, egolatrica e violenta, l'opera di questo poeta ci mostra aspetti intemperanti e stridenti, è violenta, verbosa e non di rado stucchevole. Nella produzione anteriore a Alma América (1906) si riscontrano le perniciose influenze dei peggiori versificatori del secolo XIX. Il carattere enfatico e pomposo di Chocano lo spinse a forme di espressione incontrollate che portarono un pericoloso squilibrio nella sua innegabile vena. Le raccolte che seguirono Fiat lux (1908), i vari Oro de Indias (1934, 1940, 1941), e Alma América stessa, lo dimostrarono però singolare poeta, scoperta la propria via nella celebrazione dell'America e della spiritualità indo-ispanica. In questa celebrazione di epoche remote del mondo aborigeno e coloniale, della natura peruviana lussureggiante, egli trova la materia adatta al suo gusto esuberante ed anfatico, al suo canto sempre iperbolico.

Se il carattere della sua poesia rimane sostanzialmente sempre lo stesso, tuttavia si affina, si matura e progredisce in perfezione formale, acquista maggiore misura, non in grazia di una più severa costrizione verbale impostasi, ma per il fatto che il tema, di per sé grandioso, giustifica e rende plausibile l'enfasi del cantore.

Intorno a Santos Chocano divampò violenta la polemica, ancor oggi non del tutto sopita. In vita lo si giudicò straordinario poeta, per ripudiarne più tardi tutta l'opera come falsa e mancante di grandi doti artistiche. Enrique Díez-Canedo era nel giusto quando affermò che in Chocano si coronava l'eloquenza fatta poesia101, mentre, d'altra parte, non ne disconosceva i momenti felici di buon poeta minore102. Oggi la critica tende a una rivalutazione parziale del poeta peruviano, ne riconosce la potenza della fantasia, la forza delle metafore, il calore e l'emozione presenti in alcune delle sue liriche più sincere103. Chocano è sincero, ad esempio, quando canta il paesaggio, la flora e la fauna, della sua America. Il suo stile lussureggiante rende bene il singolare e violento contrasto di un mondo di colori intensi immerso in un mitico sapore ancestrale.

Santos Chocano si proclamò orgogliosamente l'unico grande poeta americano, con Walt Whitman che riconosceva incontrastato poeta del Nord: «Walt Whitman tiene el norte; pero yo tengo el sur»104. La diversità di grandezza appare, tuttavia, immediatamente evidente, a tutto svantaggio di Chocano, anche se egli stesso in una scelta della sua produzione lirica operò una revisione severissima. Molto di quanto ci è rimasto dovrebbe, però, ancora essere riveduto, particolarmente nelle raccolte pubblicate postume. Nell'insieme la sua opera rivela, perciò, più difetti che pregi, sa troppo spesso di falso e di superficiale, anche se non si possono negare ricche possibilità al poeta, versificatore possente, ma torrentizio e come tale torbido, impuro.

Nella massa di tanti detriti Chocano portò nonpertanto anche qualcosa di ancor oggi valido spiritualmente. Alla poesia americana egli aprì, ad esempio, completamente l'orizzonte continentale, rifiutando, invece, le troppo facili suggestioni che gli offrivano Darío e la lirica simbolista e rifacendosi volutamente a Poe e a Walt Whitman. Fu però modernista nel gusto per la musicalità del verso, per le molteplici innovazioni metriche e per l'amore all'esotico. Ma in Chocano il movimento presenta gli ultimi bagliori, mentre si chiudono di nuovo le frontiere extracontinentali che il modernismo aveva aperto con tanto successo, e si restringono al solo continente americano.

E', tuttavia, con il messicano Enrique González Martínez (1871-1952), che il modernismo si può considerare ufficialmente concluso. La voce di questo poeta, uno dei più originali e delicati della lirica messicana del novecento si levò in un momento critico del modernismo, quando ormai stava scadendo nelle irrimediabili banalità dei molti imitatori di Rubén Darío. Profondo conoscitore della poesia francese, il Martínez non si lasciò attrarre dal fascino della facile musicalità, degenerazione del modernismo al tramonto, né cercò i toni enfatici e altisonanti. La sua lirica porta una nota di serietà e di raccoglimento: misura, armonia, perfezione formale, sono le caratteristiche principali. Quanto alle doti sostanziali, il poeta si allontana dall'apparenza fenomenica delle cose e cerca di penetrare l'intimità delle anime, di cogliere il silenzio profondo che sta oltre il reale, gravido di infinite e suggestive sensazioni spirituali. Egli percepisce così un mondo sommesso e nascosto che esprime in sordina, senza ornamenti verbali, servendosi di una elementarità, di una semplicità estremamente espressive, adatte a rendere l'intima essenza delle cose senza caricare le tinte con la ricerca di effetti pittorici o musicali forzati.

La sua poesia viene come da un mondo lontano, senza contorni definiti, reca viva in sé una profonda sensazione di sfumato, di indeterminato che ne accresce il significato sentimentale.

Il meglio di sè Enrique González Martínez lo espresse nelle raccolte Silenter (1909), Los senderos ocultos (1911), La muerte del Cisne (1915), El nuevo Narciso (1952). Quando dichiarò guerra al cigno modernista, «Tuércele el cuello al cisne», egli intendeva dichiarare guerra non a Rubén Darío, ma alla forma peggiore del modernismo, alla superficialità dilagante, alla mancanza di preoccupazioni spirituali, all'orgia di colori e di suoni. Lo ha notato bene Pedro Salinas105, il quale ha interpretato in tal senso il valore di simbolo del gufo adottato dal Martínez in contrapposizione al cigno. Dalla superficiale bellezza degli ornamenti modernisti, impersonati dall'uccello candido e divino, il gufo indicava il passaggio a una ricerca inquieta dell'ombra, del misterioso silenzio notturno nel quale il gufo affonda la pupilla inquieta e viva.

L'atteggiamento del poeta messicano ebbe notevole influenza sull'orientamento della nuova poesia, di quella post-modernista, cioè, anche se non riuscì a determinare una corrente nettamente improntata alla sua opera che talvolta, come ha notato l'Onís106, rivela l'influenza delle correnti ultramoderniste, specie nell'ironia delle ultime raccolte.

Con Enrique González Martínez il modernismo si conclude definitivamente, anche se si prolunga per vario tempo in molti poeti minori107.




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Conclusioni intorno al modernismo


I Poeti di cui si è trattato appaiono come i più notevoli rappresentanti del movimento modernista ispano-americano, che in essi si determina e si definisce in tutte le sue sfumature. Nell'atmosfera generale ognuno di questi poeti conserva netta la propria originalità e indipendenza, pur nell'esistenza di note comuni. Non si è creata, perciò, una scuola, ma nella comune atmosfera il modernismo ha mantenuto un carattere di continuo e sempre nuovo processo evolutivo che col Martínez raggiunge l'ultimo stadio e, perciò stesso, il definitivo tramonto.

Molteplici, come si è visto, sono i caratteri di questo movimento poetico. La loro definizione è stata tentata più di una volta dalla critica, ma la difficoltà di ridurli a comune denominatore, appunto per il prevalere del carattere individuale, è più che evidente. Lo stesso Díez-Canedo, che con Rufino Blanco-Fombona fu uno dei più accreditati interpreti della nuova corrente, lo ha rilevato108. Se ci allontaniamo dai caratteri assolutamente generali, trattando della nuova poesia si finisce per parlare di qualità peculiari il più delle volte a un solo poeta. Per Rubén Darío, ad esempio, il modernismo pare concretarsi in una sorta di anarchismo assoluto in campo artistico. Dal canto loro quelli che si sogliono indicare come «Iniziatori» del movimento preannunciano caratteri e tendenze generali, e in ognuno abbondano aspetti individuali.

E' innegabile che tra Darío e gli «Iniziatori» vi fu per molto tempo anche una diversità sostanziale di atteggiamenti. Il Meregalli afferma, a questo proposito109, che il primo e più evidente contrasto che si nota tra il poeta nicaraguense e questi ultimi sta nell'atteggiamento che essi assunsero di fronte alla vita, essenzialmente pessimista negli «Iniziatori», edonista in Darío. In Casal, Nájera e Silva, poi, è ben presente in ogni momento il senso del tempo, la preoccupazione del vivere umano e dell'umano destino, elementi spirituali, questi, ignoti per molto tempo a Darío, che fu essenzialmente un sensuale, mentre quelli furono soprattutto dei sentimentali.

Attraverso la sua lunga vita Rubén Darío ebbe modo di modificare più di una volta i propri atteggiamenti, ma fu solo verso la fine che sentì ed espresse preoccupazioni più profonde. Non mancarono, però, caratteri comuni tra gli «Iniziatori», gli stessi «premodernisti» da noi considerati, e Darío e il resto dei modernisti. Questi caratteri, che possiamo dire distintivi di tutto il modernismo, furono il prevalere del soggettivismo, il desiderio di assoluta libertà, la raffinatezza verbale, di origine prevalentemente francese, l'atteggiamento ribelle di fronte ai moduli borghesi di vita e al conservatorismo cattolico, uniche eccezioni a quest'ultimo punto Guillermo Valencia e Amado Nervo. Solitamente si nota ancora un altro carattere comune, quello della mancanza di preoccupazioni politiche, senonchè stanno a smentirlo, oltre alla personalità di M. González Prada e di J. Martí, lo stesso Darío nell'ultimo periodo, Leopoldo Lugones, Amado Nervo, Santos Chocano e Guillermo Valencia, anche se tale elemento appare sporadicamente nella lirica di quest'ultimo. La mancanza di un problema politico è, quindi, caratteristica solo degli «Iniziacitori», propriamente detti e di Darío prima dell'ultima epoca, ma non caratteristica generale.

Nota costante del raffinamento verbale è, in tutti i modernisti, la ricerca di sensazioni mistiche e raffinate, con il ricorso a elementi della terminologia sacra trasportata nel campo dei sensi per realizzare un'atmosfera «maledetta» sull'orma simbolista, una sorta di messa profana, gravida di sensazioni corpose, nobilitate e accentuate dalle suggestioni liturgiche. E costante è anche il ricorso allusivo alle espressioni dell'arte, specie della pittura e della scultura, per ottenere atmosfere raffinate e decadenti.

Altra caratteristica comune a tutti i modernisti è il rinnovamento della forma e dell'espressione con il ricorso ai metri' più diversi, da quelli dell'antica letteratura spagnola (come l'endecasillabo dattilico, il verso monorrimo, il verso libero, o l'esametro di tradizione greco-latina, le clausole ritmiche tetrasillabiche e trisillabiche), all'introduzione di nuove combinazioni di strofe e di versi, oltre a metri esotici asiatici quali i'«hai-kai». Tutto ciò risponde all'ansia del nuovo, del raffinato, a quel raffinamento verbale che genera, come è stato esattamente notato110, un inindividualismo spinto alle più estreme conseguenze, in un significato narcissistico. Individualismo e raffinamento che, intimamente uniti, valgono a determinare più prefondamente il clima modernista.

Sempre nel senso di questa ricerca di raffinamento si spiega il persistente interesse dei modernisti per le atmiosfere esotiche, per la Grecia nel periodo parnassiano, poi, sull'influsso dei simbolisti, per epoche diverse della vita del mondo: la Francia del settecento, frivola e raffinata, fatta di musica e di colori, sull'orma di Verlaine e di Samain; i mondi esotici dell'Oriente, particolarmente la Cina e il Giappone, dietro l'influsso di Théophile e Judith Gautier e di Edmond de Goncourt. Nella ricerca di suggestioni raffinate è pure costante il ricorso a vocaboli indicanti oggetti esotici che richiamano sensazioni di luce e di colore, come gioie e smalti, ispiratore lo stesso Théophile Gautier. Con questi elementi i modernisti costruiscono delicate atmosfere cromatiche, calde di suggestioni impressionistiche e sensorie. A questo stesso bisogno di raffinatezza e di suggerimenti plastici risponde il ricorso costante al simbolo, al cigno, soprattutto, ma anche al fiordaliso, al «pavo real», alle cicogne «eucaristiche», fonte di impressioni di luce, di colore, misto di sacro e di profano sotto il segno dell'eleganza111.

Nei modernisti è altresì costante l'evasione verso poeti di altre terre che non sono la Francia: Poe, Whitman, Heine, D'Annunzio e altri che abbiamo avuto occasione già di indicare, conosciuti direttamente o attraverso traduzioni sudamericane, oppure ancora attraverso le preferenze che gli stessi simbolisti dimostrarono.

Caratteristico del modernismo è, in particolare, oltre a quanto accennato, un atteggiamento angosciato di vita che trae le sue origini da stati morbosi in cui, sull'orma dei maestri simbolisti, l'atmosfera s'incupisce in un misto di dubbio, di delusione e di noia. E' questo radicale atteggiamento pessimista che origina l'anelito di evasione verso altri mondi, un'intima inquietudine di fronte al mistero che regna oltre la morte. Davanti alla morte i modernisti non rivelano terrore, ma solo inquietudine per l'aldilà sconosciuto, anche se non ne pongono in termini chiari il problema. L'insondabile mistero li avvicina, infine, alla natura, nella quale vedono la fonte prima di ogni emozione. E' in questo avvicinamento che si fanno evidenti i residui contatti col realismo e col naturalismo, i quali conducono al momento «americano» della nuova poesia. Per tal modo, secondo alcuni critici, il modernismo finirebbe per presentare due aspetti, uno essenzialmente estetizzante, femmineo e vuoto, l'altro cosciente di rappresentare la voce e i problemi del continente americano. Anche Max Henríquez Ureña ha sostenuto tale opinione112. Secondo questo critico, infatti, nel modernismo si possono notare due periodi: nel primo si vede il culto preziosista della forma favorire lo sviluppo di una volontà di stile che culmina in un raffinamento artificioso e in un manierismo inevitabile attraverso simboli, temi esotici, giochi di colore, il tutto in funzione dei sensi, così che l'espressione letteraria sembra ridursi a mero gioco d'ingegno rincorrendo solo l'originalità e l'aristocrazia della forma; il secondo periodo vede il realizzarsi, invece, di un processo inverso in cui, mentre il personalismo raggiunge manifestazioni intense di fronte all'eterno mistero della vita e della morte, prevale l'ansia di ottenere un'espressione artistica il cui senso sia genuinamente americano, accettandone la vita, l'ambiente, riflettendone le inquietudini, gli ideali e le speranze, senza tuttavia abbandonare la caratteristica principale, quella di «trabajar el lenguaje con arte».

Mi sembra, tuttavia, che non sia possibile parlare di due momenti così nettamente distinti nel modernismo, sia perchè esso non presentò, lo si è visto, un aspetto compatto nei suoi esponenti, sia perchè in ogni singolo poeta si ripetè continuamente il processo indicato dall'Ureña, e dall'estetismo si passò a note più profonde, le quali sono visibili anche se l'estetismo talvolta si prolunga. Questo non avviene solamente alle origini o alla fine del modernismo, ma in ogni momento. Quando il poeta è completamente formato, vediamo nella sua poesia una integrazione totale dei due aspetti, anche se talvolta può riapparire l'artificio. Negli stessi «Iniziatori», per non parlare di González Prada e di Martí, vediamo una profonda serietà di intenzioni, una sensibilità che si rivolge a vaste istanze spirituali, senza che per questo venga meno l'atteggiamento estetista. Non si può parlare, quindi, di un secondo periodo néttamente differenziato da un primo periodo per il suo atteggiamento spirituale.

Quanto al ritrovato «americanismo» che alcuni sembrano considerare come punto culminante del modernismo, mi sembra piuttosto che proprio quando il moviimento si presentò come «voce americana» esso raggiungeva l'ultimo stadio della sua evoluzione. In alcuni l'americanismo fu abdicazione ai caratteri più «artistici» del movimento, per esigenze d'ordine ambientale, in altri superamento, o addirittura rivolta spontanea ad esso. L'americanismo modernista, poi, sfociò presto in preoccupazioni politiche e sociali che dovevano condurre più tardi alla grande poesia moderna di Pablo Neruda, di Nicolas Guillén e di César Vallejo113.

Ma anche senza la nota americanista, il modernismo resta pur sempre un movimento di straordinaria portata, sorto da profonde preoccupazioni estetiche e spirituali, nel momento cruciale della crisi di tutta una cultura.

Appare ora interessante riproporre il problema delle relazioni tra il modernismo e la cultura della madre patria. E' consuetudine della critica di rifarsi al modernismo come alla fonte prima di ogni rinnovamento nel trattare della poesia spagnola contemporanea. Al modernismo spetta il merito di aver fatto ritrovare alla lirica di Spagna un rinnovato Secolo d'Oro, periodo «áureo» come lo ha definito Dámaso Alonso114, di «vasto e prodigioso» patrimonio di poesia, secondo il Macrì115.

Per la Spagna il modernismo costituì realmente l'inizio di quella «influencia de retorno» di cui dice E. Díez-Canedo116. L'Onís, nella sua Antología, afferma che il modernismo fu la forma ispanica di quella crisi universale che caratterizzò il secolo XIX sul suo finire117, e sostiene la necessità di rifarci a Darío ogni qualvolta si debba trattare della poesia spagnola del novecento118.

Ci sembra però che la prima affermazione dell'Onís sia suscettibile di qualche limitazione: il modernismo non fu, in realtà, a parer nostro, la forma «ispanica» della crisi spirituale fine ottocento, bensì la forma americana di questa crisi. La crisi veramente ispanica di questo periodo è rappresentata, invece, dalla «Generazione del '98». E non è un puro gioco di denominazioni, questo, ma risponde a una differenza sostanziale di atteggiamenti. L'America, meno ricca e meno oppressa dal peso della tradizione, riflettè per prima la crisi della fine del secolo, che laggiù si manifestò con carattere prevalentemente estetico, anche se non tralasciò, come si è indicato, problemi di profonda indole spirituale. Al contrario la Spagna, chiusa nella tradizione, rinnovava proprio in quel momento uno dei periodi ricorrenti nella sua storia in cui si accentuava il suo isolamento, e fu perciò più lenta a reagire. Gli aneliti di rinnovamento che in campo poetico presentarono alcuni lirici spagnoli, Ricardo Gil, Eusebio Blanco, Manuel Reina, Salvador Rueda, Francisco Villaespesa, furono ben poca cosa di fronte all'impeto del nuovo che Darío, sbarcato in Spagna, diffuse tanto largamente, valendosi per questo dell'aiuto entusiasta dello stesso Rueda. Certo non deve sfuggire l'importanza del significato che il desiderio di nuovo presentò anche negli spagnoli. E' in grazia di questo che si suole affermare che il modernismo non fu un movimento esclusivamente americano. Ma non si deve neppure dimenticare che per opera dei poeti spagnoli citati il modernismo in Spagna non sarebbe andato, quasi certamente, oltre uno stato embrionale, più che altro superficiale, epidermico, e che prese forma e sostanza solamente grazie all'influenza del poeta di Nicaragua, che valse a sviluppare in senso totalmente nuovo l'ansia di rinnovamento e di libertà tecnica e formale latente negli spagnoli. Uno sviluppo autonomo del modernismo in Spagna prima di Darío mancò anche perchè mancarono grandi poeti, bisogna confessarlo, e la personalità dei pochi validi non era tale da evitare di essere sommersa dalla apparizione di un artista dotato come Darío. Per questo il poeta americano divenne in Spagna la guida incontrastata della nuova sensibilità, particolarmente dopo il secondo viaggio a Madrid, del 1899.

Dopo Azul, che Juan Valera aveva tanto elogiato, Prosas profanas sconvolgeva decisamente l'atmosfera già turbata della poesia ispanica, dandole nuova vita, volta com'era gioiosamente all'esterno, così tremante di attrazioni sensuali, abbagliante nel suo cromatismo, e bene lo ha notato Pedro Salinas119. I poeti spagnoli già aperti alla corrente modernista si trasformarono in propagandisti entusiasti del nuovo credo poetico cui Darío veniva a dare un così alto contributo. La disposizione modernista incontrata in Spagna fu sviluppata da Darío in una direzione rispondente alla propria sensibilità. Egli fu, praticamente, il solo poeta americano, se togliamo qualche limitata influenza di José Asunción Silva, a essere conosciuto in Spagna, anche se più tardi il panorama delle conoscenze si ampliò, soprattutto grazie a Valle-Inclán, dopo i suoi viaggi in America, e all'opera di diffusione della Revista Nueva, fondata a Madrid nel 1890, e a quella che svolse, dalla Editorial America, Rufino Blanco-Fombona. La Spagna scopriva in tal modo, con notevole lentezza, un nuovo mondo, «scopriva una seconda volta l'America», scrive M. Henríquez Ureña120.

Dopo le prime polemiche e le violente opposizioni di molti, il modernismo si sviluppò anche nella penisola, avvantaggiato notevolmente dal parallelo diffondersi del modernismo artistico catalano, sorto all'insegna dei Quatre Gats121.

Ma il modernismo non fu, ripetiamo, la forma «ispanica» della crisi del secolo XIX. Ne fu, tuttavia, la premessa determinante. A un dato momento Rubén Darío, centro e faro del movimento, cessò di essere l'unico punto di riferimento. A mano a mano che si concretavano nuove e vigorose personalità poetiche, il processo di rinnovamento ritornò a quelle che erano state le fonti del modernismo stesso, vale a dire si rifece direttamente alla poesia francese del Parnasse e del simbolismo. Per questo motivo ai modernismo di Darío spetta soprattutto, a nostro giudizio, un ruolo di risvegliatore, di orientatore di sensibilità nella poesia spagnola, di rivoluzionatore di tendenze e di forme.

Quello che per il modernismo americano era stato il Parnasse e il simbolismo, una fonte determinante di intima inquietudine spirituale e formale, fu il modernismo per la poesia spagnola. L'ampliamento verso altre fonti che caratterizzò il modernismo americano, si ripetè in un secondo tempo anche nella poesia ispanica, che si rifece alla fonte comune, alla poesia francese. La curiosità che la lirica spagnola dimostra per le fonti originali indica inequivocabilmente profonde esigenze culturali, che confermano in piena atmosfera di rinnovamento la persistenza di una tradizione di estrema dignità artistica. E' precisamente dalla serie delle nuove esperienze dirette che in Spagna sorge la poesia nuova, la quale se da un lato conduce alla poesia pura di Juan Ramón Jiménez, da cui si diparte tutta la poesia spagnola moderna, dall'altro porta alla «Generazione del '98», due modi, in realtà, di percepire e riflettere profondi problemi etici.

Ramón María del Valle-Inclán (1866-1936) è stato, tra le grandi espressioni della letteratura spagnola dei tempi di Darío, il più evidentemente modernista. Fu modernista nella prosa, lo attestano particolarmente le Sonatas, e lo fu anche in poesia. La sua estetica modernista trova, com'è noto, la propria formulazione nelle pagine de La lámpara maravillosa (1916). E' qui che Valle-Inclán allude alla dottrina delle «analogie e delle corrispondenze», esprime l'ossessione dell'eterno nell'effimero, professa il culto per le sensazioni, i colori e la musica, afferma essere il poema un «milagro poético» e concepisce la vita come un'essenza dionisiaca «entrañada de intuiciones místicas». I poemi raccolti nel volume che intitolò significativamente Claves líricas (1930) e che rimontano a epoche diverse (Aromas de leyenda, 1907; La pipa de Kif, 1919; El pasajero, 1920), sono la realizzazione poetica di queste magnifiche intuizioni.

Con Manuel Machado (1874-1947), altro poeta inequivocabilmente modernista, il movimento si presenta con caratteristiche già nettamente ispaniche e in esso è visibile più di uno degli atteggiamenti che saranno caratteristici della poesia del '98. La musicalità del suo verso è dovuta all'influenza di Darío, ma anche a quella di Verlaine e di Banville. Pur senza riuscire a raggiungere la profondità di vibrazioni umane che caratterizza la poesia del fratello Antonio, Manuel crea presto una lirica più profonda di quella della prima epoca ligia ai temi rubeniani, di Alma (1900), Caprichos (1905) e di Mal poema (1909) soprattutto. E' viva, del resto, in tutta la sua opera l'orma di una continuità modernista di marca «ispanica», cioè più preoccupata, che si diparte da Salvador Rueda, del quale non segue solamente «la senda de perfumes de claveles» notata dal Valbuena122, ma toni più densi di sostanza pensosa che conducono a orientamenti vicini al '98 e che Machado esprime in particolare in Ars moriendi (1921) e in Horas de oro (1938).

Pur conservando del modernismo le perfezione del verso, l'armonia e la musicalità, Manuel Machado sostituisce a una realtà esotica di sognanti principesse, di bambagia dorata, di amori decadenti, una realtà vivente, fondata sul ricordo personale della sua terra. Infine dà sfogo alla sua ansia di esotismo, fondandolo sulla realtà storica di un passato raffinato che egli rivive con preziosità modernista nelle opere dei grandi pittori, ma con sentimenti profondamente ispanici non di rado permeati di una tristezza novantottesoa.

Anche J. R. Jiménez (1881-1958) è l'espressione di un orientamento autonomo, svolgimento compiuto di quel rinnovamento che promosse il modernismo e che determinò e indirizzò la profonda radice di ispanicità viva nel poeta.

Nella formazione di Juan Ramon Jiménez Darío ebbe parte determinante e per qualche verso vi influì anche José Asunción Silva. Modernisti sono, perciò, i ritmi e i temi della sua prima lirica, da Jardines lejanos e Arias tristes (1904), anche se più raccolti e sfumati in una malinconia sentimentale del tutto ispanica. Presto, però, anche Jiménez si rivolse alla poesia francese, che conobbe e studiò a fondo, specie durante la sua residenza in Francia. Da questo momento ha inizio il suo superamento del modernismo. A partire dal Diario de un poeta recién casado (1917) il suo poetare si rivolge a una depurazione costante di elementi corposi e sentimentali, mira a una «essenzialità» che tompe i legami con le cose. Sorge, quindi, una poesia nuova, quella di Eternidades, Piedra y cielo (1918), Bellezza (1923)..., che si stacca dal modernismo pur conservandone gli ammaestramenti tecnici e formali. La lirica del poeta ricerca sempre più una emozione pura, isolata dal tempo e dallo spazio. Quella di Jiménez è, quindi, una forma originale d'arte sulla quale ben potè influire, secondo nota Macrì123, il modernismo catalano, autonomo nelle sue origini e genuinamente spagnolo.

Lo stesso Macrì ha affermato124 che Jiménez «non ha mai tradito la sua coscienza del '98 e dell'unità e continuità del novecento spagnolo». Questa coscienza riposa nel poeta su motivi del tutto etici, e la continuità che egli sente col novecento ispanico si fonda su stati d'animo che Jiménez rivela comuni con quelli degli altri poeti del suo tempo. Non è possibile, però, rintracciare in Jiménez orma di quella profonda ideologia che domina l'opera di Unamuno e di Antonio Machado, ma non per questo ridurremo, come ha fatto Torrente Ballester125, la sua lirica a un'abile esercitazione tecnica. Giovandosi dell'esperienza modernista e della sua propria, Jiménez converge la sua sensibilità e la sua malinconia verso il creato. A contatto della natura si affina lo stato d'animo raccolto che suscita in lui la dilaniante nostalgia del ricordo in un paesaggio di pallida luce astrale. A volte la bruma interiore che domina Juan Ramón sfocia in una stanchezza infinita, sull'onda di Verlaine, ma permeata di un senso di dolore universale, tutto novantottista. E novantottista è in Jiménez quel fare costantemente del paesaggio il punto di riferimento del suo spirito. Vi è in lui un'adorazione «frenetica» della natura126, un culto veramente panteista. Ma tutto ciò fa parte quasi esclusivamente del primo Juan Ramón. I legami col '98 si rompono definitivamente quando egli distrugge ogni nesso di uguaglianza e di somiglianza nella comparazione, quando il poeta si isola in torri cristalline e inaccessibili che rifiutano ogni sollecitazione esterna. Sciolta dai legami contingenti, fatta poesia «pura», la sua lirica diventa «eterna» nel tempo, indipendente e unica nella sua originalità. Il modernismo è valso, quindi, a J. R. Jiménez come avviamento alla poesia; le fonti dirette gli hanno dato la possibilità di una nuova espressione, ed egli ha creato una poesia sua, indipendente e inconfondibile, che ha le sue più alte vette in La estación total (1946), nei Romances de Coral Gables (1948) e in Animal de fondo (1950).

Con Miguel de Unamuno (1864-1936) e con Antonio Machado (1875-1939) si conferma anche nella poesia l'esistenza di una «Generazione del '98», nettamente differenziata dal modernismo127. Juan Ramon Jiménez presenta solo qualche segno dei caratteri che distinguono questa «generazione»; Manuel Machado ne annuncia solamente alcuni motivi. Unamuno e Antonio Machado vi appartengono, invece, pienamente.

Partiti da un modernismo iniziale i due poeti vanno sempre più operando una depurazione di poesia e di sentimento che li conduce a una semplicità essenziale, la quale bene corrisponde alla serietà dei problemi che si agitano nelle loro anime e che convergono tutti su tre punti fondamentali: Dio, la Patria, l'Uomo.

Ai mondi esotici modernisti Unamuno e Antonio Machado contrappongono ben presto il mondo della tradizione ispanica, ai motivi di sogno il loro mondo vivo, del quale in un'epoca di effettiva crisi cantano la dolorosa passione. Non per nulla l'anno 1898 è un anno di disastro nazionale. La liquidazione delle ultime colonie americane nella disastrosa guerra contro gli Stati Uniti è un colpo assai duro, e solo gli spagnoli, direttamente provati dalla sconfìtta, potevano adeguatamente esprimere la portata di tale disastro. Vi è un netto proposito di ricerca corroborante in loro, che viene riposta nel meglio della spiritualità del loro popolo, nelle grandi figure della storia, nel paesaggio desolato, ma forte, della Castiglia. Al libero gioco della fantasia essi vanno sostituendo una realtà viva e tormentosa; alle maestà olimpiche sostituiscono l'angoscia della ricerca divina, passione che non dà pace, e la figura tormentata dell'uomo intorno al quale cercano affannosamente di ricostruire qualcosa per il futuro, o per l'aldilà.

Antonio Machado converse tutte le proprie esperienze poetiche verso una poesia la cui dote principale è l'emozione, che gli viene da una sofferta posizione davanti ai problemi dell'uomo e della vita, e che tutta si esprime nel suo verso, dalle Soledades (1903) a Campos de Castilla (1912), alle Nuevas Canciones (1924).

E' stato notato128 come nella lirica di questo poeta si fondar no due correnti, quella del modernismo formale, rappresentato da Rubén Darío, e quella del '98, «fundamental, ideológica», rappresentata da Unamuno. Come tutti i novantottisti Antonio Machado è dominato da un pessimismo che coinvolge la sua fede e che solo la profonda spiritualità del paesaggio castigliano riesce a contenere nel grido disperato. Su questo pessimismo s'imponei. poi, quasi sorgendo dalla terra, la caratteristica radice di tristezza propria della Castiglia, così che tutto nel poeta è canto amaro. Dalla contemplazione del paesaggio desolato scaturisce la poesia dell'uomo castigliano, che Machado canta nel suo dolore e nella stoica rassegnazione. Con l'anima del paesaggio e degli uomini che in esso abitano, il poeta coglie la spiritualità che sorge dalla tragedia di miseria, di solitudine e di dolore dei grandi popoli decaduti, e riflette compiutamente la crisi ispanica del secolo XIX, alla quale porta la nota determinante del suo tormento religioso.

Il modernismo ha dato, certo, in Machado i suoi frutti, noni ultimo il tormento della forma, l'intenso rigore nei riguardi della propria opera poetica, ma i risultati della sua poesia hanno ben superato il clima modernista. La sua lirica mostra veramente una sensibilità nuova, del tutto ispanica, riflesso di una crisi che è solo peninsulare, e che si fonda soprattutto su problemi di indole etica; essa si allarga a nuovi orizzonti spirituali ed è densa di richiami profondi, sfondo adatto alla serietà dei problemi che l'epoca proponeva alla nazione.

La sensibilità del '98 trova in Miguel de Unamuno, come si sa, il pensatore della «generazione» e la sua figura più completa. In lui i caratteri fondamentali, la ribellione, l'irìdipendenza, possono venire tanto dal romanticismo come dal modernismo. Il Vian lo ha definito129 una delle più grandi figure del modernismo adducendo, per la verità, importanti ragioni. Mi sembra, tuttavia, che Unamuno sia essenzialmente una grande figura del '98 anche se dal modernismo ha potuto trarre non pochi elementi. E uomo del '98, si rivela particolarmente per il profondo tormento di Dio, che ricerca affannosamente, e per la grandezza della tragedia dell'uomo ispanico, che egli riflette e soffre, per il tormento col quale lavora intorno alla sua Castiglia e all'uomo del suo paese, per la concezione essenzialmente agonica della vita che domina tutta la sua opera e la sua esistenza. Lo attestano tutti i suoi libri di poesia, dalle Poesías (1907), al Rosario de sonetos líricos (1911), al Romancero del destierro (1927), al Cancionero postumo, pubblicato dall'Onís nel 1952. Pensare che il tormento divino in Unamuno possa venire direttamente dal modernismo appare alquanto azzardato; il modernismo, infatti, sentì solo occasionalmente, e solo in alcuni dei suoi esponenti, il problema di Dio. La poesia di Unamuno, poi, quella dell'età più matura, è estremamente lontana anche per musicalità dal modernismo: secca di toni, talvolta faticosa per l'urgenza del pensiero, dominata da un'emozione profondamente umana, quella stessa che domina i suoi saggi, è sempre tesa alla difesa dello spirito, in lotta per la vita dell'anima, alla ricerca di un fondamento per l'aldilà. La concezione stessa dell'amore è, in Unamuno, lontana sostanzialmente dal modernismo: egli è il cantore dell'amore borghese, più che mai umano nella sua estensione alla casa, alla sposa, ai figli, agli stessi nipoti, e sfocia in un romanticismo appassionato. Ma nel verso di questo poeta l'elemento più profondo che lo distingue è l'amore geloso per la sua Spagna che anche egli, come Antonio Machado, fonda sulla Castiglia nella quale rivive e soffre la sua razza e persino Dio. Il ripresentarsi costante in tutte le cose di questo grande problema della divinità, dalla cui esistenza dipende il valore della vita, dà continuo vigore e drammaticità al suo verso. Unamuno vede riflettersi Dio in monumenti eterni, in un paesaggio grigio, immerso in calma enorme, in cui si muove solamente il ricordo di un grande passato e si diffonde il profumo rude di tempi medievali, che vede rivivere in Salamanca, in Medina del Campo, nel biondo castello della Mota, in Toledo, regno di grandezza e di morte, città che «Suena como queda el Tajo» e che eternamente culla il suo sogno di «imperio de la muerte».

Nulla più lontano dal modernismo, a parer nostro, dell'atteggiamento unamuniano nei confronti della morte. Nel modernismo la morte è elemento essenzialmente estetico, talvolta morboso, poche volte apportatore di pace. In Darío la morte è disinganno, testimonio della gioventù sfiorita per sempre, meta fatale e ultima, e sempre sottintende qualche inconfessato terrore. In Unamuno la morte assurge a suprema dignità di tragedia, perchè in essa, culmina il dramma della vita, e rappresenta il momento in cui l'arcano ci si rivela. La morte è l'unica grande realtà che in ogni momento gli sia presente, e ne sente un terrore non fisico, ma spirituale in quanto significa la fine della lotta e con questo la spaventosa incognita di un possibile e sconfortante confondersi dell'Io individuale nell'indifferenziato.

Tutti questi elementi provano un profondo superamento in Unamuno del modernismo, dal quale è lontano, del resto, anche per la mancanza di virtuosismi musicali e di cromatismi abbaglianti. La sua poesia, dura, puntuta, aguzza, è essenzialmente poesia di pensiero, non di allettamenti sensoriali, anche se spesso corposa, ma non manca di quelle perfezioni formali che indubbiamente il poeta ha appreso anche dal modernismo.

Fondandoci sugli elementi esposti possiamo affermare che la «Generazione del '98» è una realtà indiscutibile anche nella poesia. Essa fu, logicamente, in certo qual modo, lo sviluppo del modernismo, ma di un modernismo ispanico rifattosi alle fonti primigenie, in cui erano già visibili le caratteristiche di un cambiamento radicale di sensibilità. Dopo il primo periodo, Jiménez si allontanò verso mete proprie che col modernismo non hanno nulla a che vedere, anche se si servirono della sua esperienza. Unamuno e Antonio Machado, forti anch'essi di un'esperienza modernista, reagirono presto alla corrente dominante, non certo ripudiandone gli apporti formali, ma indirizzando la propria sensibilità verso mondi più profondi e raccolti, spinti dall'urgenza dei problemi che il '98 incominciava a porre. Sorse così la poesia della «Generazione del '98», nella quale si svilupparono le tendenze proprie anche della prosa di Baroja, di Azorín, di Maeztu e dello stesso Unamuno.

Questa «Generazione» costituisce il nucleo più importante della letteratura spagnola del novecènto, vi confluiscono le figure dei letterati più rappresentativi, ed è quindi logico vedere in essa la vera espressione «ispanica» della crisi universale del secolo XIX nei suoi ultimi armi, così come il modernismo fu la espressione «ispanoamericana» della stessa crisi.

Pedro Salinas affermò giustamente130 che la Spagna non rifiutò il modernismo, anzi lo accettò e lo coltivò per vari anni; presto, però, gli autentici rappresentanti dello spirito del '98 percepirono l'impossibilità di fondere il loro anelito spirituale in quello stile sia pur bello e seducente. E' questo il momento in cui la Spagna incomincia, secondo J. F. Cirre131, a trovare se stessa, contemplando il suo nascosto tesoro di memorie. Si compie, perciò, un processo di depurazione del modernismo. Ma anche affermando questa originalità e peculiarità della poesia ispanica non si nega la importanza basilare del movimento americano nella determinazione di un'atmosfera nuova anche in Spagna. Si sarebbe forse pervenuti ugualmente a un rinnovamento, anche senza l'apporto modernista, ma è comunque certo che questo ne affrettò il processo e la trasformazione.

Se per l'America il modernismo rappresentò un'epoca di maturità e di autonomia delle sue lettere, per la Spagna fu il motore primo che condusse a un periodo di straordinario vigore che ancora continua.

Sul modernismo e sul '98 si fonda tutta la grandezza della letteratura spagnola del novecento, e al '98 in Spagna diede l'avvio il modernismo stesso. Il '98, poi, indirizzò, e sviluppò in senso autonomo la letteratura peninsulare, ma i punti di contatto tra Spagna e America da quel momento si ristabilirono con reciproco vantaggio.

Anche in America, alquanto più tardi, la preoccupazione per problemi più profondi di ordine etico si cominciò a manifestare, e quella letteratura si orientò verso forme che presentano notevoli punti di contatto col '98, di cui, anzi, in alcuni esponenti americani è evidente l'orma. Il movimento modernista, quindi, valse a riannodare il proficuo colloquio che la letteratura di una unica lingua, sotto due latitudini e coni caratteri propri, aveva per qualche tempo interrotto. Nonostante l'avversione che la maggior parte dei novantottisti professò, per ragioni evidenti, verso l'America che rivendicava un posto suo nell'ambito della cultura ispanica, l'unione spirituale dei poeti di qua e di là dell'Atlantico fu resa effettiva proprio in grazia del modernismo. Anche per questa missione di fraternità il movimento rivela la sua sostanziale importariza132.





 
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