Selecciona una palabra y presiona la tecla d para obtener su definición.
Indice


Abajo

Amore, scienza e trasgressione nella maga settecentesca1

Antonietta Calderone





Nella stessa misura in cui la comedia de magia settecentesca può ritenersi un'appendice -seppur consunta nei casi meno felici- della grande comedia del secolo precedente, che trova linfa nuova per divertire nell'inserimento della magia come cardine portante della trama, cosi la maga -la nuova eroina del teatro del sec. XVIII- assomma in sé pregi e difetti dei personaggi femminili aureosecolari. Soccuba di una tradizione teatrale che, a seconda del gusto e dell'inventiva di chi la modella, vuole la protagonista casta o fedifraga, amabile o sdegnosa, capace di azioni eroiche o dedita solo a lavori muliebri, illetterata o colta, si differenzia dall'archetipo solo perché dotata di poteri prima a lei sconosciuti, cioè perché, appunto, maga2.

Di questa sua straordinarietà ella è pienamente consapevole. Valga per tutte l'esempio di Margarita che cosí rassicura l'innamorato Fisberto, preoccupato per la sua condizione di donna perseguitata, dotata di «frágil naturaleza»:


... porque yo soy
excepción de aquessa regla.


(La mágica Margarita, Jorn. I)                


Precisamente nell'opposizione fragilità femminile/potenza magica -che l'eroina riesce a fondere, fino ad annullarla, nella sua personalità- ritengo che risieda la fondamentale peculiarità di un personaggio difficilmente riconducibile a schemi fissi di caratterizzazione.

Negli autori, infatti, il desiderio smisurato di ricchezza compositiva, ridondante sia nella struttura che nella scenografia della comedia de magia, trova riscontro anche nella creazione di una protagonista quanto mai policroma in cui vengono a confluire esperienze teatrali assorbite da secoli di pratica letteraria e a cui il filtro della magia dà nuovo corpo3.

Non vi è dubbio che nella genesi del personaggio abbia avuto minor peso quello che in un primo momento potrebbe sembrare il modello più determinante, filtrabile non attraverso la tradizione letteraria ma attraverso quella delle credenze popolari e della realtà storica: la strega.

Se è vero che le commedie sono fitte di riferimenti al monda della stregoneria e all'Inquisizione4, è anche vero che questi sono relegati nell'ambiguità semantica delle battute dei graciosos (oltre a rifarsi allo sfruttato luogo comune della donna-strega, donna-demonio), caricandosi, quindi, di una equivocità che si rivela già sintomo manifesto di idee nuove. In altri termini, alla maga settecentesca si può, si, attribuire una filiazione stregonesca, ma «depurata» da più di un secolo di satira teatrale sul tema. Seguendo J. Caro Baroja, si deve riconoscere ai drammaturghi de magia l'aver combattuto la lotta contro i falsi pregiudizi e le credenze magiche -iniziata dai colleghi del Siglo de Oro- prima ancora che lo facessero i teorici con in testa il Padre Feijoo5.

Non poche sono le implicazioni ideologiche legate alla creazione di un personaggio che, come si è già notato, sebbene modellato su tipi teatrali noti, si presenta con la straordinarietà del dato nuovo: la potenza magica come peculiare attributo.

La maga è il primo personaggio teatrale femminile che centri in sé privilegi da sempre attribuiti ai ruoli maschili -sapienza, forza fisica, potenza, arroganza, ribellione- senza vedersi sminuita la femminilità, anzi, espletandola in ogni sua azione.

Sulla scena la maga non si differenzia dal mago quanto alla qualità e alla spettacolarità delle operazioni che compie e che si esplicano nelle note, incalzanti, a volte del tutto gratuite reiterazioni di voli, sparizioni e apparizioni improvvise, sostituzione di persone o di oggetti, trasformazioni di luoghi scenici in altri diversi o di persone in bestie, sulle quali non mi soffermo in questa mia analisi6. Se ne diversifica quanto al diverso movente che la spinge all'azione, dal quale traspare chiara la sua situazione subalterna di donna.

La magia è a priori arma altrimenti adoperata dal mago o dalla maga: prevalentemente offensiva in lui, difensiva in lei.

Diversamente dai maghi che arrivano a servirsi della loro arte per acquistare sapienza o potere, le donne vi ricorrono, per lo più, solo al fine di difendere la propria persona o i propri sentimenti dagli attacchi di vario tipo del mondo circostante.

Nella serie di Marta la Romarantina -la più famosa tra le commedie in cui compaiono maghe-7, parallelamente ai vari episodi della storia si possono individuare motivazioni diverse.

La giovane e ingenua protagonista della Prima parte si trova a servirsi delle proprie arti spinta dall'affetto filiale e dallo spirito patriottico: si trasforma in soldato, infatti, e opera prodigi tramite il genio Garzón, per difendere la patria, combattendo al fianco del padre e del barone di Heseing che diviene poi suo sposo.

Nella Seconda parte, Marta, rinnegata dal marito dopo le nozze e gelosa dell'amore che ora questi rivolge alla cugina Federica, stavolta di sua iniziativa ricorre a Garzón perché l'aiuti a punire il fedifrago.

Il medesimo motivo della vendetta per gelosia ricompare in Marta abandonada e viene esasperato in Marta imaginaria e Marta aparente.

Tale è lo scalpore sollevato dal suo comportamento fuori del comune che ella diventa il principale pericolo della Francia. Quando l'intera nazione si scaglia contro di lei, Marta acuisce e generalizza le rappresaglie. È ancora la vendetta, quindi, il movente della Terza parte nella quale, però, si può ravvisare un ulteriore e inedito impulso all'azione nel desiderio di fama futura:

GARZÓN:
y así lo que intento es
que hoy a cara descubierta
des principio a tus venganzas
y a las historias materia,
para que el futuro tiempo
en su memoria te tenga.
(Jorn. I)                


Cambia totalmente tono la Quarta parte in cui ricompare il motivo dell'affetto filiale e del valore patriottico. Dimentica ormai del marito, Marta dichiara il suo amore incondizionato a Garzón che l'aiuta, quindi, a liberare Jacome prigioniero del sultano Solimán.

Nella Prima parte di El asombro de Jerez, Juana è costretta a ricorrere alle lezioni magiche abbandonate da tempo per difendere il figlio ingiustamente accusato di stregoneria e di omicidio. Ogni iniziativa della donna avrà come scopo quello di salvaguardare «una vida de hijo y madre perseguida» ovvero «mi estudio -dice- es en la defensa de una prenda que me toca». (Jorn. I, p. 12 a)

La continuazione della commedia vede Juana alle prese con la riabilitazione di se stessa. Non riuscendo con una vita esemplare a scrollarsi di dosso la nomea di «hechicera», decide di «vengarse de tanta violencia» asserendo: «Redimiré mi opinión»; e subito dopo: «y vea el ingrato Pueblo / de Xerez que él me despeña / a proseguir mis asombros / por sus bárbaras violencias». (Jorn. I, p. 3 b)

È spinta a vendicare i torti subiti anche la protagonista della Quarta parte del Mágico de Salerno. Rimasta vedova di Pedro, Diana è perseguitata da Fabricio perché «hechicera» e «del mundo escándalo». Affiancata dal demonio che assume le sembianze del marito redivivo, Diana dichiara: «Me vengaré de Fabricio / y de mi dueño la ausencia / estorbaré a mi pasión». (Jorn. I, p. 5)

La devota e casta Maria, futura maga di Nimega, scacciata di casa dalla superba sorella Claricia, stringe il patto con Momo -nel quale non ha riconosciuto il Maligno ma che le offre ricchezza e potenza- per poter subito vendicarsi della sorella.

Ne La mágica florentina Fénix ricorre al suo potere per difendere o il proprio onore o l'amore -che sente minacciato dalla cugina Margarita- o per far conoscere al mondo la forza in lei racchiusa:


y para que os admirase
(ya que la suerte lo ordena
así) he venido a mostraros
el saver que en mí se encierra,
el poder que en mí se rinde,
la hermosura que en mí reina;


(Jorn. I)                


o, semplicemente, per il gusto di burlarsi di chi la circonda.

Quest'ultimo motivo, quello della burla per la burla, è variamente presente in quasi tutte le commedie esaminate. Risulta tuttavia interessante notare come sia possibile rintracciarne un progressivo affievolimento con l'avanzare del secolo, fino a raggiungere a También se ama en el Barquillo y mágica siciliana nella quale la maga, Genara Bosco, offre una giustificazione del proprio operato così carica di preoccupazione altruistica che, lungi dal suonare a alcahuetería, sembra rivestirsi di seri significati morali:


      [...]que de esta ciencia
no he usado y podéis creerlo,
sino alguna yez a solas,
por divertir sentimientos,
y en lo que aora se ha ofrecido
para servir a Don Pedro,
como para la defensa
que sabéis en varios riesgos.


(Jorn. III)                


E nessuno metterebbe in dubbio che la magia in lei sia assurta addirittura ad arma di carità cristiana quando ella racconta d'aver comprato una casa nell'umile barrio del Barquillo e di essersi ritirata a viverci


sin más afán y desvelo
que cuidar de mi persona
i mi familia, atendiendo
a quantas nezesidades
en el barrio se ofrecieron,
socorriendo su pobreza...


(ibidem)                


Preoccupazione non per il proprio vantaggio personale ma per quello altrui rivela anche la maga Erictrea (La traición más bien vengada) cui Giove affida l'incarico di assistere Linceo nella sua vendetta contro Danao.

Parimenti indirizzano la propria arte al raggiungimento di un bene non direttamente proprio Aldora, la maga di Amor, valor y saber los astros pueden vencer8 e Isbella di Deidad, encanto y fortuna vuelven a su dueño el cetro9: la prima per aiutare la cugina Rosaura nella scelta dello sposo, la seconda per ristabilire sul trono lo spodestato Gofredo.

Si allontana sensibilmente dal tono e dagli obiettivi delle piezas finora esaminate -sia per la marcata filiazione letteraria che per gli accenti nuovi contenuti- un gruppo di commedie composte nell'ultimo quarto di secolo10: En vano contra el honor lidian encantos y amor; Cuanto la ciencia pretende amor lo sabe vencer. Encanto, hermosura y rey e No hay encantos contra amor y mágica Arcelida.

Le tre commedie tornano a servirsi dei consueti ingredienti tematici (amore, gelosia, vendetta) recuperandoli, però, da una nuova prospettiva. La novità tocca il concetto intorno al quale esse ruotano -l'impossibilità di ottenere l'amore tramite i poteri magici- dal quale traspare ormai una più chiara presa di posizione degli autori di fronte all'illimitata potenza della magia. Comincia a prendere piede una più forte consapevolezza della vanità dei poteri sovrannaturali di fronte a quelli naturali del sentimento, che preannuncia l'atteggiamento proprio degli autori del teatro di magia nel Romanticismo11.

Fatta eccezione di Cuanto la ciencia... che prende le mosse dal noto motivo di Circe adattandolo allo sviluppo di un altro tema tradizionale -la bella e casta fanciulla capace di rompere l'incantesimo-12, le altre due commedie sono reinterpretazioni teatrali dell'amore travagliato di Armida e Rinaldo.

Rimane comune alle due trame solo il nucleo essenziale del tema tassesco, il rapporto fra la maga innamorata e il cavaliere combattuto tra l'onore cavalleresco-cristiano e l'amore, sullo sfondo di un ambiente magico diversamente trattato.

La commedia di Ramón de la Cruz (En vano contra el poder...) si rifa più fedelmente alla fonte sia nella trattazione del tema centrale che nell'ambientazione della trama. Questa si centra nello sviluppo parallelistico di due vicende amorose che vedono protagonisti Armida-Rinaldo ed Erminia-Tancredo13 e nella creazione di una nuova coppia oppositiva di donne guerriere e innamorate in Armida-Erminia. Nella commedia non compaiono operazioni magiche spicciole, per cosi dire; la magia di Armida è tutta concentrata e legata all'incantesimo del bosco e sparisce tout-court nel momento in cui Rinaldo lo abbatte; di Armida rimane il ricordo di una donna innamorata, devota e tenera, che ricorre alla sua arte solo per disperazione.

Gli anonimi autori di No hay encantos contra amor trasportano la scena in terra spagnola ambientando l'opera nel periodo della Reconquista. Armida trasforma il suo nome in Arcelida secondo il filtro forse già adoperato da J. A. de Vera nel Fernando14; Reinaldo trova il suo corrispondente in Don Pedro de Aragón, Tancredo in quello di Garcipérez de Varga; il fido Vafrino della Liberata diventa il gracioso Gofrín. Eliminato con Adrasto un ulteriore tema di contrasto in amore, si trova in Brimando lo spunto per un più incisivo sviluppo del tema guerresco-cavalleresco. Anche Erminia -e il suo mondo d'amore- cede il posto che è preso dalla fida criada Zaida, confidente delle pene di Arcelida.

Il trattamento «magico» dell'azione -quanto mai aparatoso- che tenta di amalgamare contrasti d'amore e di religione, gelosia, vendetta, guerre, sete di potere ecc., ben lungi dal rivelare sintomi di logorio in questo genere teatrale, sembra invece acquistare nuovo vigore.

Vi ricompaiono la figura di un mago, oggetti magici da questi apprestati per sciogliere l'incantesimo e poi la consueta scenografia movimentata delle comedias de magia: fumo, cartapesta e vani scongiuri che ormai hanno perso ogni facoltà di presa -se mai ne hanno avuta- persino nei più creduli spettatori.

A più di trent'anni da En vano contra el honor..., lo scongiuro di Arcelida, infatti, non è più rivolto alle sole forze occulte dell'Abisso ma suona già con accenti di vago sapore romantico:


Amor y magia ahora juntos
favorezed mis designos!


(Jorn. II)                


e ancora


¡o majia, favorecedme!
¡o amor, az aquí un milagro!


(ibidem)                


attribuendo, cioè, uguale importanza alla forza della, magia e a quella dell'amore; ribadendo -se si vuole- il vecchio concetto di El mayor encanto amor ma rivisto dopo decenni e decenni di fiducia illimitata nei poteri magici.

Le tre commedie sviluppano più la correlazione magia/amore che non quella magia/conoscenza.

A quest'ultima desidero, invece, rivolgermi per appurare, nei limiti del possibile, quanta novità il teatro de magia offra attraverso la maga -personaggio colto per eccellenza -, ovvero in che misura la maga si presenti non come modello squisitamente letterario ma come riflesso della donna del tempo. In sostituzione del dato storico e teorico sulla condizione della donna -del tutto assente nella prima parte del secolo- mi rifaccio al teatro che ha avuto da sempre come funzione prima quella di essere specchio della realtà in cui opera.

Il teatro del Siglo de Oro accorda tutta la sua simpatia all'eroina travagliata da problemi di cuore ma mostra reticenza nei confronti di colei che voglia accaparrarsi diritti non previsti per lei da madre natura, tra qui quello alla cultura15. Inglobato nella problematica più generale del culteranesimo letterario, l'atteggiamento dei drammaturghi verso le donne colte è, per lo più, di rifiuto giacché si assimila il concetto di cultura a quello di pedanteria secondo il famoso esempio quevediano. Se l'ambiente della donna è la casa, se per essere brava moglie e brava madre basta solo un poco di buon senso, se infine bellezza e sapere stanno tra di loro in antitesi, non si capisce perché le donne debbano rivendicare privilegi accordati sino ad allora solo agli uomini, tanto più che l'inferiorità intellettuale comunque impedirebbe loro ogni accesso al sapere.

Il teatro del sec. XVIII sembra ribadire i medesimi concetti, nonostante che a un dato momento scoppi la rivoluzione feijoiana e per anni si accendano gli animi nel dibattito sull'inferiorità o non dell'intelletto femminile.

Persistono i soliti topici sulle caratteristiche negative dell'animo muliebre. La donna è ancora volubile:

GARZÓN:
      ... ¿pero quién
funda en el mudable sexo
de la muger una esperanza
que no la entregase al viento?

(Marta 1.a parte, Jorn. III)                


¿Ahora te hace fuerza eso
y antes nada reparabas?
Muger al fin, que tan presto,
como propone firmezas,
fabrica arrepentimientos;

(ibidem)                


superba:

DEMONIO:
Con un genio tal altivo
es mi persuasión en valde
que hace una muger soberbia
lo que aun el diablo no haze;

(La mágica de Nimega, Jorn. I)                


chiacchierona:

LEONCIO:
      ... ¿no habláis?
que sería cosa nueva
ver una muger sin pico.

(La mágica florentina, Jorn. I)                


CASCARELA:
Mientras estáis en el siglo
habláis con tan grande exceso
las mugeres, que no debe
reputarse por portento
que lenguas acostumbradas
a un movimiento perpetuo
no quieran estar callando
ni aun después de haberse muerto;

(Marta aparente, Jorn. I)                


e, naturalmente, gelosa. Basti pensare alle peripezie di Marta, causate appunto dalla gelosia. Ella non ha altra alternativa, abbandonando la podestà paterna, che accettare quella maritale, garanzia di equilibrio morale:

JACOME:
      ... dispuse se casara
para que en sus delirios se templara.

(Marta 2.a, Jorn. I)                


GARZÓN:
Quise pervertirla luego
pero inútilmente, pues
los saludables consejos
del esposo que eligió
y su notorio talento
la hicieron aprovechar
la dignidad del cielo;

(Marta aparente, Jorn. I)                


e, all'interno del regno familiare, dedicarsi ai lavori femminili:

POLINESIA:
      ... mis amas,
ya está aquí telar y sedas;
trabajemos, que las damas,
quando los hombres las ven
laboriosas, son amadas
de los juiciosos y en breve
suelen encontrar casaca;

(Cuanto la ciencia...)                


o chiudersi in convento (è il caso, per esempio, di Diana e di Juana la Rabicortona).

Se le è permesso di lottare per un suo sogno d'amore (che cosa non fa la maga per conquistare o riconquistare l'amato, dalla funambolesca Marta alla travagliata Arcelida!), non le è, invece, concesso di soddisfare la sete di conoscenza. La riserva su questo punto è comune a uomini e donne:

ISBELLA:
      ... es que me han dicho
lo que sabéis y en las damas
saber suele ser peligro.

(Amor, valor y saber..., Jorn. III)                


FEDERICA:
Que es inclinada al estudio
sabéis y que no desdeña
lección alguna, sin ver
quanto en esta acción se arriesga
una mujer, pues el sexo
sin la cabal fortaleza,
que es propia en un varón, suele
apetecer cosas nuevas
que no extrañas y exquisitas
el mayor peligro encierran.

(Marta l.a parte, Jorn. I)                


JACOME:
siempre dije yo que era
delirio de tu razón
el estudio en que te empeñas.

(ibidem)                


Contro questa opinione si ribella la donna-maga, cosciente della forza del proprio cervello e della propria volontà. Né potrebbe essere altrimenti in un personaggio che si distacca dagli altri proprio perché centra nella conoscenza la forza del suo essere.

Al padre che le vieta di leggere altri libri Marta controbatte:


Está bien, señor, mas quando
los volúmenes se niegan
a quien la curiosidad
ama, hay en el cielo y en tierra
tantas hojas como flores,
tantas líneas como estrellas.


(ibidem)                


E la maga Aldora sembra lanciare una sorta di sfida al mondo intero quando asserisce:


Yo he de seguir de mis artes
los industriossos caminos
y si una muger sin ciencias
a veces fábricas hizo
que al entendimiento assombren,
con ciencias hará prodigios.


(Amor, valor y saber..., Jorn. III)                


Argomentazioni consimili sono comuni a quasi tutte le maghe, per cui non è il caso di addurre ulteriori esemplificazioni.

La seria consapevolezza in Marta della sua capacità intellettuale, ben lungi dal rivelarsi fenomeno isolato, prende corpo in tutte le altre mágicas che la seguono nel tempo. Tale frequenza -assoluta per quanto concerne la comedia de magia e comunque alta all'interno della globale produzione teatrale centrata su protagoniste femminili- non può non presentarsi come indice di una problematica ideologica in atto che si stia avviando verso una soluzione favorevole alle interessate dirette, le donne.

In altri termini, nel fatto stesso che ponga l'annoso problema per quanto poi cinicamente dibattuto o genericamente risolto sulla scena -e che con questo martelli continuamente, per oltre un secolo, l'attenzione del pubblico, al teatro «magico» si deve riconoscere a questo rispetto un'opera di educazione, capillare a livello popolare, simile a quella condotta contro le false credenze magiche. Anche in questo caso la letteratura precorrerebbe i tempi, anticipando risposte alle quali l'autorità dei teorici arriva solo verso la fine del secolo, a conclusione della lunga polemica sollevata da Padre Feijoo.

Poco importa, al fine del mio discorso, che le realizzazioni concrete di tali risposte in un primo momento si circoscrivano alle fasce sociali più alte, come ben si sa16. Al teatro -data la sua peculiare funzione osmotica- va il merito di recepire e di farsi portavoce delle idee e delle esigenze della società in cui opera. E se la comedia de magia si rivela un genere teatrale prevalentemente popolare -perché a questa fascia del pubblico indirizza prevalentemente il messaggio o la notizia17 e da questa riceve stimoli- è innegabile il suo contributo positivo alla causa delle donne, nella fattispecie alla rivendicazione del diritto allo studio che si configura anche come diritto alla parità dei sessi.

Se infatti, come acutamente pone in rilievo R. Andioc18, la comedia de magia riscuote tanto favore nella fascia popolare del pubblico perché ne soddisfa non solo il desiderio estetico ma anche quello inconscio sia di ascesa sociale che di assoluto; se, quindi, la magia offre all'uomo l'unica possibilità d'infrangere impunemente le barriere sociali e di mirare a una realizzazione totale del suo essere, ritengo che in una società rigidamente stratificata e differenziata sessualmente quale si rivela ancora quella del sec. XVIII, per la donna la magia costituisca innanzitutto il solo mezzo per superare l'endemica condizione d'inferiorità nei confronti dell'uomo. I poteri magici permettono alla donna-maga di porsi intanto su un piano di uguaglianza -se non addirittura di supremazia- rispetto all'altro sesso. E non interessa quanto la maga operi in quanto maga (a questo livello, nella fittizia ascesa sociale della scena, la donna ha già raggiunto l'ambita uguaglianza), bensì quanto possa operare perché maga, perché depositaria di dottrina anche lei, il che presuppone l'annullamento dell'inferiorità culturale, riflesso -in ultima istanza- di quella sessuale.

Ritengo peraltro votato all'insuccesso un tipo di analisi volta a rintracciare un ipotetico messaggio che vada oltre la semplice, anche se puntuale, enunciazione del problema. La spettatrice del Settecento poteva, nell'arco di durata della comedia, identificarsi con l'eroina e con lei abbattere tutte le barriere sociali, culturali e sessuali possibili, a guisa di liberazione delle proprie frustrazioni, forse. Ritengo che ella, per prima, fosse ben convinta di andare a teatro per divertirsi e che tutto ciò che ammirava sulla scena fosse finzione, illusione, «teatro», e che fosse ancora lontano il tempo nel quale avrebbe potuto comportarsi nella vita quotidiana come la maga faceva sul palcoscenico.

Perché, se qualche velleità avesse voluto lei alimentare, ci avrebbe pensato l'eroina stessa a spegnergliela, dopo averla accesa, naturalmente.

La comedia de magia, infatti, innalza sulla scena la figura di una donna dalla onnipotenza più precaria e più limitata che si sia mai potuta immaginare. In primo luogo, poche sono le maghe che si avvalgono dei loro poteri per libera determinazione. Nelle piezas con il diavolo -o un suo emissario- come co-protagonista, la maga è quasi continuamente condizionata nel suo operato dell'approvazione di questi. Basti pensare a Marta, la più marimacha delle maghe, versione femminile dello scatenato Pedro Vayalarde: in quasi tutte le commedie del ciclo che la vedono protagonista reale, ella chiede espressamente a Garzón, di volta in volta, d'aiutarla nei suoi propositi e anche quando sembra esplicare da sé la sua forza magica, lo spettatore avverte che ella può farlo perché il genio glielo permette. Quando, infatti, Garzón le nega l'appoggio, la maga perde qualsiasi potere e ritorna ad essere la donna debole e indifesa su cui si abbattono le punizioni del padre o dell'autorità costituita.

In secondo luogo, la vita della maga trascorre tra due figure maschili antitetiche la cui precipua funzione è quella di limitarne la libertà. La prima condiziona la fase di educazione -qui addottrinamento, iniziazione-19: la figura materna è sostituita da quella del Maestro nella persona del demonio (Marta 1.a parte) o del marito (El mágico de Salerno 4.a parte) o, più generalmente, dal vecchio saggio, mago a volte anche lui (La mágica florentina, la mágica Margarita, la mágica siciliana).

La seconda ha il compito manifesto di opporsi all'operato della maga -prevalentemente sotto forma di persecuzione- per ristabilire la giustizia e l'ordine. Tali possono essere il padre e il re (ciclo di Marta), il rappresentante della giustizia (le due parti di Juana la Rabicortona, El mágico de Salerno 4.a parte, la mágica de Nimega), l'indispettito signorotto innamorato (il conte d'Artois ne la mágica Margarita).

Infine, il desenlace tipico delle commedie ci riporta al ristabilimento pieno di quell'ordine di valori che le «nefandezze» della maga hanno messo a soqquadro. La donna che in quanto maga può prendersi tutte le rivincite possibili, sottraendo all'uomo il suo ruolo di potere, alla fine rientra nei primitivi ranghi: o si pente cristianamente o è sopraffatta, persi i poteri magici, da una forza a lei superiore o è vinta dall'amore o si converte o rinuncia spontaneamente alla sua arte perché più non le serve.

Il che non si risolverebbe che nella negazione più categorica della magia. Ma tutto quadra. Nessuno credeva più nei poteri magici, forse meno di tutti ci credeva la massaia che, quando aveva la possibilità di andare a teatro, amava annullare nell'onnipotenza di Marta il ricordo dello stillicidio delle faccende domestiche. Il teatro tuttavia a quella massaia suggeriva, silenziosamente, anche il modello di una donna la cui eccezionalità opportunamente ridimensionata, umanizzata cioè, si sarebbe potuta tradurre in un auspicabile e realizzabile sistema di vita.




 
Indice