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ArribaAbajoLa mala hora

Un microcosmo condannato


Il 1962 è per Gabriel García Márquez un anno proficuo; egli pubblica, infatti, due libri rilevanti: una raccolta di racconti riuniti in Los funerales de la Mamá Grande e il romanzo La mala hora, contemporaneo, in parte, a El coronel no tiene quien le escriba, ma, come ho detto, secondo l'affermazione dello stesso autore, interrotto per proseguire quest'ultimo, in seguito alla prepotente attrazione del personaggio, nel quale vedeva riflessa in qualche modo la propria situazione a Parigi.

I racconti di La Mamá Grande annunciano anch'essi situazioni e personaggi che saranno ripresi e sviluppati in romanzi successivi e che, comunque, si ricollegano ai testi precedenti. A parte l'insistita figura del colonnello Aureliano Buendía, ritroviamo quella, poi indimenticabile, di Rebeca, e ancor più quella del padre Altar Castañeda y Montero, «el manso pastor de la parroquia que a los noventa años de edad aseguraba haber visto al diablo en tres ocasiones»127, la figura di Pilar Montiel, dell'alcalde prevaricatore e del medico che in «Un día de estos», estraendo al sindaco un dente che lo fa impazzire dal dolore, riscatta il lutto di tutta una popolazione: «Aquí nos paga veinte muertos, teniente»128.

L'abilità di García Márquez sta nella scorrevolezza di un racconto che ingloba la realtà in un'atmosfera irreale che la rende più convincente. Epopea satirica del «caciquismo» ha definito il libro l'Alfaro129, fondandosi sugli elementi della violenza presenti nei racconti, specie in «La viuda de Montiel», dove la donna appare nella sua estrema solitudine, morto il marito -rifuggita da tutti poiché la ricchezza accumulata dal consorte è frutto solo di prepotenza e di malversazioni-, ma con risultati di particolare rilievo dal punto di vista artistico   —42→   ne «Los funerales de la Mamá Grande», dove l'iperbole grottesca converte in condanna lo smisurato potere e ricchezza della matrona:

Nadie conocía el origen, ni los límites ni el valor real del patrimonio, pero todo el mundo se había acostumbrado a creer que la Mamá Grande era dueña de las aguas corrientes y estancadas, llovidas y por llover, y de los caminos vecinales, los postes del telégrafo, los años bisiestos y el calor, y que tenía además un derecho heredado sobre vidas y haciendas. Cuando se sentaba a tomar el fresco de la tarde en el balcón de su casa, con todo el peso de sus vísceras y su autoridad aplastada en su viejo mecedor de bejuco, parecía en verdad infinitamente rica y poderosa, la matrona más rica y poderosa del mundo130.



Per le esequie di signora così ragguardevole si scomoda anche il Sommo Pontefice, che viene a onorare, «con su dignidad suprema», i funerali «más grandes del mundo»131.

Una sottile vena anticlericale si insinua nel grottesco spettacolo, ma imperano soprattutto l'umorismo e l'iperbole distruttiva. Non a torto si è segnalato132 che García Márquez ha scoperto che l'arma migliore contro la falsità di un'apparente democrazia è la burla. Del resto, validi esempi di distruzione del personaggio e delle situazioni aveva dato e ancora all'epoca stava dando un altro grande scrittore ispanoamericano, Miguel Ángel Asturias, nei suoi romanzi133. Qui, tuttavia, non v'è dubbio, García Márquez presenta una sua indiscussa originalità negli ingredienti iperbolico-grotteschi cui ricorre, al fine di far naufragare uomini e cose nella negatività. A questo fine rispondono le abili architetture del gigantismo e dell'assurdo, che realizzano una critica demolitrice efficace nei confronti del sistema, politico-sociale, di cui lo scrittore rende responsabile anche la chiesa. L'impressionante spettacolo del potere, cui assiste addirittura «obnubilado» il «populacho»134, non fa che dar rilievo a un inquietante senso barocco della fine, emblematicamente introdotto da quei «gallinazos» destinati a essere, in El otoño del Patriarca, segnale ricorrente di morte:

Nadie vio la vigilante sombra de gallinazos que siguió al cortejo por las ardientes callecitas de Macondo, ni reparó que al paso de los ilustres, éstas se iban cubriendo de un pestilente rastro de desperdicios [...]135.



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Come in una danza della morte modernizzata si afferma nel fastoso funerale l'inconsistenza delle grandezze umane, del potere e della ricchezza; lo sottolinea, sulla corruzione materiale, il respiro di sollievo dei popoli, scaduti i termini di rito del lutto ufficiale: «cuando se cumplieron los catorce días de plegarias, exaltaciones y ditirambos, y la tumba fue sellada con una plataforma de plomo», le «muchedumbres» emisero un «estruendoso suspiro de descanso»136. E' allora che, mentre la un tempo «poderosa» Mamá inizia a decomporsi sotto la pesante piattaforma di piombo, tramonta tutta un'epoca, quella dominante dei pochi privilegiati e dei molti oppressi, e ne inizia una nuova: «Algunos de los allí presentes dispusieron de la suficiente clarividencia para comprender que estaban asistiendo al nacimiento de una nueva época»137.

Con questo lungo racconto, Los funerales de la Mamá Grande si chiudono su una prospettiva positiva: dalla morte è destinata a scaturire la vita. Gabriel García Márquez sottolinea in più occasioni, nei racconti ivi raccolti, l'incontaminata purezza del popolo, dando rilievo a personaggi indimenticabili, come il protagonista di «La prodigiosa tarde de Baltazar», il quale finisce per imporre la propria categoria morale al potere e alla ricchezza, non vendendo, ma regalando al figlio del terribile José Montial la gabbia meravigliosa che ha costruito. Episodi a livello di un'umanità semplice, ma proprio per questo più credibile.

Un mondo miserabile di violenza e di egoismo convive con un mondo di intatta sanità morale, che non riesce a distruggere. Lo spettacolo del primo, gran teatro della perdizione, della miseria del cuore, dell'aridità dei sentimenti, non fa che dare risalto al mondo «altro», incontaminato, anche se oppresso dall'arbitrio e assediato dal bisogno, un mondo «grandemente umile», potremmo dire, dotato di quella stessa dignità invincibile dell'indimenticabile protagonista di El coronel no tiene quien le escriba.

Tra Los funerales de la Mamá Grande e La mala hora non vi è dissonanza, come del resto non vi è con quelli che ho definito i «riti della miseria», del primo romanzo di García Márquez. E tuttavia, La mala hora è stata spesso duramente giudicata dai critici, benché alla fine abbia prevalso, pur nella sottolineatura di incongruenze e di difetti strutturali, un sostanziale apprezzamento.

Per primo Mario Vargas Llosa, teso a sottolineare il «miracolo» costituito da Cien años de soledad, pone in rilievo negativamente i contatti che il romanzo ha con El coronel no tiene quien le escriba e con Los funerales de la Mamá Grande; egli afferma che i racconti riuniti in quest'ultimo libro sono «primeras versiones» o «desprendimientos» de La mala hora138. Da parte sua il Volkening   —44→   scrive che un paragone con Los funerales risulta negativo per La mala hora139. Non migliore, nonostante l'esame in sé positivo del romanzo, il giudizio dell'Alfaro, il quale, riprendendo Vargas Llosa140 e il Gilard141, rimprovera all'opera il «fragmentarismo», dovuto all'«esquematismo extremo de simetrías que caracterizan el relato»142. Ma non basta: circostanziatamente duro, il Volkening segnala i punti deboli de La mala hora: anzitutto lo squilibrio tra il disegno dell'opera e la sua realizzazione, in particolare l'accumulazione di eventi che producono nel lettore una sensazione di «suspenso», simile a quella che si prova leggendo un romanzo poliziesco o vedendo un film «de vaqueros», lezione positiva del cinema, questa, ma che non trova soluzione adeguata143. Insomma, per il critico, il romanzo, bene osservato,

se disuelve en una serie de episodios que se hallan entrelazados de manera asaz floja unos con otros, o incluso carecen de toda concatenación y, en cambio, guardan cierta afinidad temática con el ciclo de cuentos (Los funerales de la Mamá Grande, El coronel no tiene quien le escriba), sin igualarlos en concisión y densidad del relato144.



Riporto con particolare minuzia le riserve a La mala hora, perché tra le più dissonanti tra quanti giudizi espressi sul romanzo, del resto facilmente confutabili, oggi soprattutto, che abbiamo davanti un'opera ben altrimenti apprezzabile dello scrittore colombiano. Ma quando il Volkening manifestava, pur tra apprezzamenti notevoli, occorre dirlo, le sue riserve145, La mala hora era appena stata pubblicata e con l'intervento arbitrario di un correttore di bozze che, come poi doveva denunciare Gabriel García Márquez nel 1966, in una breve nota alla nuova edizione, da lui considerata la prima vera, si era permesso di cambiare certi termini e di «almidonar el estilo, en nombre de la pureza del lenguaje», obbligando l'autore «a restituir las incorrecciones idiomáticas y las barbaridades estilísticas, en nombre de su soberana y arbitraria voluntad»146. Di modo che solo nel 1966 appare il vero testo orginale del romanzo. Ma il Volkening   —45→   dichiara esplicitamente che le alterazioni di forma non impedivano anche allora un giudizio sul contenuto, così che di fronte al testo restituito alla sua originalità le riserve del critico rimanevano uguali147.

Tre punti sostanziali sono da rilevare nelle critiche a La mala hora: frammentarietà, legami con le opere precedenti, in particolare con Los funerales de la Mamá Grande, il finale irrisolto per quanto attiene al problema dei «pasquines». A mio giudizio il pregio del romanzo sta invece proprio nella sua frammentarietrà e nella ripetitività. Ricorrendo alla frammentarietà lo scrittore immette per gradi il lettore nell'intimo della vita del paese, una quotidianità apparente che nasconde zone di maggior spessore, sia sotto l'aspetto negativo che in quello positivo:comportamenti ignobili, accumulo di ricchezza, illecito finanziario, malcostume politico, ma anche correttezza morale, valore individuale, dignità di fronte al sopruso, áncore sulle quali si fonda la speranza di ogni cambiamento, che tuttavia dovrà passare attraverso la clandestinità, la lotta, la guerriglia. Di fronte a un alcalde prevaricatore, a un giudice corrotto, a uomini senza scrupoli come Montiel, o volgari e indegni come don Sabas, privilegiati dal potere nell'indiscriminata accumulazione della ricchezza, stanno figure di segno positivo, come il barbiere rivoluzionario, il medico oppositore imperterrito, il dentista temerario.

Nella simbologia implicita in questi personaggi è stato giustamente notato che l'opposizione tra bene e male si manifesta anche nella presenza o nella mancanza di difetti fisici e di stati di sofferenza148. Solo nei personaggi negativi, infatti, è presente il dolore fisico, al quale possono apportare rimedio unicamente persone che stanno all'opposizione: «Los personajes en el poder necesitan alivio -scrive l'Alfaro- y sólo la oposición puede ofrecérselo»149.

Il caso più evidente e che domina nel romanzo con l'effetto di una iperbolica accentuazione del contrasto, è rappresentato dall'alcalde, vittima di un tormentoso mal di denti, che riesce a farselo eliminare dal dentista, introducendosi nel suo studio a mano armata. La scena è un caso evidente di ripetitività, poiché già sinteticamente presente nel racconto «Un día de estos», de Los funerales de la Mamá Grande, ma ha una felice funzione di sottolineatura. Del resto, il legame costante tra i vari testi di García Márquez non solo attesta una inesauribile capacità di fabulazione su un medesimo tema, con gli stessi personaggi, ma dà a tutta la sua opera un'unità che la trasforma in un solo grande romanzo. La ripresa di episodi, di argomenti, di personaggi, rappresenta sempre un approfondimento, un ulteriore sviluppo, amplia la dimensione dell'opera richiamandone altre, che permangono attive, preludendo, al tempo stesso, a pagine successive che recheranno apporti nuovi, sia di casi che di persone.

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Nella scena dell'alcalde sofferente e del dentista si afferma convincente, in La mala hora, l'inferiorità fisica e morale del primo, costretto a mendicare un aiuto dal suo oppositore, ma puntando la pistola e con l'umiliazione di dovergli richiamare una sorta di merito negativo, quello di averlo risparmiato, nonostante le «instrucciones» dall'alto di «encontrar armas y municiones y documentos con los pormenores de una conspiración nacional» in casa sua150. Ma dal dentista non ha il riscontro della minima gratitudine; per lui i militari continuano a essere solo degli assassini e la sua risposta all'alcalde dopo l'intervento è strettamente professionale: «-Haga buches de agua de alholva»151.

Appare evidente che, nell'episodio esaminato, García Márquez non ripete passivamente la scena di «Un día de estos», né i personaggi, pur essendo gli stessi, sono identici nella loro caratterizzazione sia negativa che positiva. Neppure il don Sabas che compare, fuggevolmente, ne La mala hora è uguale a quello presente in El coronel no tiene quien le escriba, pur essendo il medesimo personaggio. Ora egli viene caratterizzato più in profondità, sia pure attraverso tratti rapidi; lo vediamo, infatti, uomo finito: il dottor Giraldo lo trova «exhausto» nel suo letto, «envuelto en una toalla hasta la cintura»152, costretto a farsi iniezioni di insulina, squallidamente seduto «en el pato», dove don Sabas orina «con un manantial lánguido»153. La presentazione del personaggio, di cui ricordiamo da El coronel no tiene quien le escriba, negativamente, la singolare e molle grassezza e la piccola statura, a livello ora di un'umanità infima è di rara efficacia ai fini della sua distruzione.

L'infermo segue con una «mirada mansa» il medico nelle operazioni preliminari, ha gli occhi «descoloridos», ma ancora si entusiasma per le passate svergognatezze, dimostrazioni, a suo avviso, di potenza vitale154. Significativo il passo che prende avvio dai «paquines» che, secondo il medico, «Dicen lo que todo el mundo sabe, que por cierto es casi siempre la verdad»155. L'osservazione del dottore spinge don Sabas a dichiarare cinicamente che nel paese non vi è una sola fortuna «que no tenga a espaldas un burro muerto»156. Di fronte a tanto squallore, l'imbarazzo del medico è forte e si riflette nei suoi gesti, che sono di ripudio verso l'infermo, il quale, nel suo giudizio distorto delle cose, ha reazioni che lo affondano nel grottesco:

El médico recibió la frase inclinado sobre el aguamanil. Vio reflejada en el agua su   —47→   propia reacción: un sistema dental tan correcto que no parecía natural. Buscando al paciente por encima del hombro dijo:

-Yo siempre he creído, mi querido don Sabas, que su única virtud es la desvergüenza.

El enfermo se entusiasmó. Los golpes de su médico le producían una especie de juventud repentina. «Esa, y mi potencia sexual», dijo, acompañando las palabras con una flexión del brazo que pudo ser un estímulo para la circulación, pero que al médico le pareció de una expresiva procacidad. Don Sabas dio un saltito con las nalgas.

-Por eso me muero de risa de los pasquines -prosiguió-. Dicen que mis hijos llevan por delante a cuanta muchachita empieza a despuntar por esos montes, y yo digo: son hijos de su padre.

Antes de despedirse, el doctor Giraldo tuvo que escuchar una recapitulación espectral de las aventuras sexuales de don Sabas157.



Dalla scena il personaggio esce completamente distrutto; García Márquez è un demolitore abile, ricorre all'ibrido e al grottesco, a un'aggettivazione inedita di efficace risultato. Non v'è chi non dubiti dell'effettiva vitalità di don Sabas, evocatore dei propri trascorsi di amante di squallido successo; quelle che egli accampa come prove positive della sua attività erotica, quindi del suo essere uomo, accentuano, al contrario, lo squallore della sua figura, la sua indegnità, in trasparente contrasto con l'integrità morale del medico, avaro nei suoi interventi, con il risultato che quando si ritrova in strada «llevaba la impresión de que por las arterias de don Sabas había empezado a circular un caldo suculento»158, quello della decomposizione.

Con questa insistita esemplificazione intendo sottolineare come nulla sia vecchio, nulla scontato nel romanzo di García Márquez; anzi, tutto valga ad approfondire, suscitando nel lettore un interesse costante di fronte a una vicenda che non ha fine e che si presenta come un efficace «teatro del mondo». Neppure ripetitiva, in senso negativo, è la ricomparsa ne La mala hora della vedova Montiel, già presente nel racconto che da lei prende titolo ne Los funerales de la Mamá Grande. Ne La mala hora la dimensione del personaggio acquista volume, perviene al sospetto di una mezza pazzia, introduce la nota di mistero del suo vivere in una casona immensa, ormai vuota di presenze familiari, animata da improbabili contatti con l'aldilà:

Vivía sola en la sombría casa de nueve cuartos donde murió la Mamá Grande, y que José Montiel había comprado sin suponer que su viuda tendría que sobrellevar en ella su soledad hasta la muerte. De noche, mientras recorría con la bomba del insecticida los aposentos vacíos, se encontraba a la Mamá Grande destripando piojos en   —48→   los corredores, y le preguntaba: «¿Cuándo me voy a morir?» Pero aquella comunicación feliz con el más allá no había logrado sino aumentar su incertidumbre, porque las respuestas, como las de todos los muertos, eran tontas y contradictorias159.



E' agevole ravvisare in questa rinnovata presenza della Mamá Grande un annuncio di altre presenze «vive» di scomparsi, come Melquíades in Cien años de soledad. La funzione di connessione di queste riprese, e di annuncio di ulteriori sviluppi, è chiara: si tratta di «materia» sulla quale si esercita instancabilmente l'invenzione dell'artista, di un artista di una sola grande opera.

Non meno interessante e nuova, pur nella ripetitività, è la figura del padre Ángel. Il personaggio viene incontro al lettore dalle prime pagine de La mala hora, ed è come se si risvegliasse d'improvviso dal sonno agitato in cui lo abbiamo lasciato immerso nella sacristia, in La hojarasca, «con un breviario abierto sobre el vientre grasoso, oyendo pasar la mula del correo, sacudiendo las moscas que le atormentan el sueño, eructando, diciendo "Me envenenas con tus albóndigas"»160. Ma ne La mala hora la figura del prete si precisa ulteriormente, si costruisce meglio: ha compiuto sessantun anni, abita in un «dormitorio» che comunica direttamente con la chiesa, è «grande, sanguíneo, con una apacible figura de buey manso», si muove «como un buey, con ademanes densos y tristes»161.

Ulteriori particolari completano il personaggio a livello umano e di quotidianità: «Se vistió sin lavarse y sin rezar»; quindi, «Después de rectificar la botonadura de su sotana con la atención lánguida de los dedos con que se verifican las cuerdas de un arpa, descorrió la tranca y abrió las puertas del patio», per dirigersi poi verso l'«excusado», dove «orinó en abundancia, conteniendo la respiración para no sentir el intenso olor amoniacal que le hacía saltar las lágrimas» e infine, ricordando i versi di una canzone d'amore, entra in chiesa162.

La figura del prete dominerà in senso negativo tutto il libro, sarà sempre presente con la sua «umanità» semplice, svogliata, codarda, circolerà per tutte le vicende del libro, senza che mai il personaggio prenda una posizione responsabile e attiva. Il suo contatto con uomini e avvenimenti rimane esteriore, costituisce una rinuncia alla responsabilità, quindi, come sacerdote, rappresenta il fallimento di una missione che avrebbe dovuto essere di impegno morale, di lotta attiva contro il sopruso e la corruzione.

Nella narrativa di García Márquez significativamente la figura del prete, fatta eccezione per «El Cachorro» de La hojarasca, non ha mai una funzione positiva e a volte, come in El coronel no tiene quien le escriba, è del tutto espunta. Si tratta di un atto di accusa trasparente dello scrittore, il quale ritiene carente   —49→   la partecipazione della chiesa al dramma umano dell'America Latina. Il padre Ángel, infatti, considera addirittura immorali i «pasquines», perché si intromettono nella vita intima dei fedeli. La sua unica preoccupazione è di salvare la sua chiesa dall'assalto dei roditori; egli non sembra rendersi conto di altro, neppure del fatto che il carcere si è di nuovo riempito di prigionieri politici e che gli uomini del paese «se están echando al monte para meterse en las guerrillas»163: i suoi «ojos parsimoniosos, de un azul inocente»164, non vedono che il mondo in cui vive si consuma nella violenza.

Non vale che il dispotico alcalde assuma alla fine la veste dell'agnello per fare meglio il proprio interesse; egli finge di inaugurare tempi nuovi, di pace e di comprensione, che rispondono invece alle sue esigenze, di uno che ha scoperto -è la diagnosi del giudice, anche lui corrotto- «un placer del cual no se regresa: poco a poco, sin hacer mucho ruido, se está volviendo rico»165. Per il popolo non esiste, quindi, altra soluzione che riprendere la lotta clandestina.

Partito da un omicidio, un giallo al quale non sembra esservi soluzione, il romanzo vive del clima violento che sembra aver contraddistinto da sempre la storia colombiana. Lo sparo che sveglia improvvisamente l'alcalde, il quale incominciava ad assopirsi dopo tre notti terribili di dolor di denti, ha una funzione premonitrice. Non importa che non si trovi soluzione al delitto, nonostante che i critici si siano ampiamente esercitati nel ricercarla, ma senza risultato. Il significato dello sparo è certamente un altro: rappresenta un richiamo d'allarme a proposito di una situazione che sta per esplodere.

Ricorrendo a una copiosa frammentarietà di fatti, Gabriel García Márquez costruisce un testo narrativo rilevante, incidendo nel profondo di una problematica nazionale estremamente inquietante. Ogni fatto, ogni personaggio ha ne La mala hora la sua ragion d'essere. Su una società moralmente corrotta si afferma la reazione di coloro che hanno conservato intatti i valori fondamentali, ma che proprio per questo sono perseguitati dalla legge, una legge frutto della corruzione. Il dimesso scenario del romanzo, come del resto quello dei racconti de Los funerales de la Mamá Grande, interpreta un microcosmo putrido, che solo la ribellione armata potrà eliminare. Per il momento, la realtà rappresenta un inquietante spazio della «mala hora».



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ArribaAbajoCien años de soledad

Mondo magico e violento


Intorno a Cien años de soledad, romanzo che appare nel 1967 e darà allo scrittore fama internazionale ottenendogli anche il Premio Nobel nel 1983, si è scritto molto. Si può dire che l'improvviso auge del «nuovo romanzo» ispanoamericano sia legato strettamente, senza togliere merito agli altri scrittori facenti parte del cosiddetto boom, alnarratore colombiano e al romanzo citato. Del resto, dopo la pubblicazione e il successo del nuovo libro, gli stessi colleghi di gruppo finirono per distinguere García Márquez come il più significativo tra loro. Ne è testimonianza l'imponente studio dedicatogli dall'allora giovane Mario Vargas Llosa, pubblicato pochi anni dopo l'apparizione del romanzo166 e ancora oggi testo fondamentale.

In numerose interviste García Márquez ha offerto, prima delle sue memorie, una serie abbondante di riferimenti intorno alla propria vita, alle letture, alle possibili influenze, soprattutto di Faulkner, a un certo punto negata167, benché autore oggeto di attenta lettura168, a quella di Hemingway, e del cinema,   —52→   circa la propria formazione, e il concetto personale del romanzo. Una serie infinita di dati si ricava non solo da El olor de la guayaba, di Plinio Apuleyo Mendoza169, ma in particolare dalla monumentale biografia di Dasso Saldívar, García Márquez. El viaje a la semilla170; altre informazioni si hanno molti anni dopo dallo scrittore nelle sue memorie171.

I critici che hanno affrontato i molteplici aspetti della narrativa di García Márquez, si sono soffermati in particolare su Cien años de soledad, esaminando il romanzo nei minimi particolari, nella simbologia e nei significati esoterici, esaltandone l'apporto al «realismo magico»172 e il ruolo nell'affermazione della «nueva novela» in Ispanoamerica173. E' fuor di dubbio che la prodigiosa facoltà d'invenzione rivelata dallo scrittore nel romanzo sia quanto di più accattivante per il lettore e per il critico: una sorta di continua esplosione del meraviglioso, una capacità inesauribile di «fabulación» che direttamente coinvolge, come hanno sottolineato numerosi critici, a partire da Vargas Llosa174, e che lo scrittore colombiano si è compiaciuto di avvicinare a quella degli autori ispanici dei libri di cavalleria. Rispondendo a un intervistatore García Márquez affermava infatti:

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Lo que pasa, creo yo, es que los autores de novelas de caballería, formados en el delirio imaginativo de la Edad Media, consiguieron inventar un mundo en el cual todo era posible. Lo único importante para ellos era la validez del relato, y si creían necesario que al caballero le cortaran la cabeza cuatro veces, cuatro veces le cortaban la cabeza al caballero. Esta asombrosa capacidad de fabulación penetró de tal modo en el lector de la época que fue el signo de la conquista de América. La búsqueda de El Dorado o de la Fuente de la Eterna Juventud, sólo eran posibles en un mundo embellecido por la libertad de la imaginación. Lo triste es que la literatura latinoamericana se hubiera olvidado tan pronto de estos orígenes maravillosos. Se han necesitado cuatro siglos para que Mario Vargas Llosa encontrara el cabo de esa tradición interrumpida y llamara la atención sobre el raro parecido que tienen las novelas de caballería y nuestra vida cotidiana175.



In realtà già Asturias aveva espresso giudizi simili, ricollegandosi più concretamente alle cronache della conquista, in particolare ad autori come Bernal Díaz del Castillo e alla sua Historia verdadera de la conquista de la Nueva España, all'Inca Garcilaso e ai Comentarios Reales176. Non rappresentava, quindi, nulla di nuovo, nella sostanza, quanto Vargas Llosa aveva scoperto e García Márquez accettato, idealizzando l'Età Media, ma è pur sempre un'affermazione interessante.

A partire dai cronisti delle Indie, il mondo americano è sempre apparso, nonostante il peso della realtà, come qualche cosa di magico e di favoloso, regno dell'ignoto e del meraviglioso, in cui tutto sembrava potesse accadere. Lo stesso García Márquez lo conferma quando dichiara: «vivimos en un continente donde la vida cotidiana está hecha de realidades y mitos, y nosotros nacemos y vivimos dentro de un mundo de realidades fantásticas»177.

Il dominio della fantasia in Cien años de soledad ha indotto i critici a sottolineare nel romanzo soprattutto le straordinarie facoltà inventive dello scrittore, anche se non sono mancate, fin dai primi tempi, qualificate eccezioni, che hanno posto in rilievo la materia dolorosa sulla quale il libro e l'autore affermano la loro ragion d'essere178. García Márquez sembra divertirsi a fuorviare il lettore e il critico, con trasparente nota polemica nei confronti di quest'ultimo, rifiutando interpretazioni della sua opera che ritiene arbitrarie. In questo senso   —54→   la sconcertante affermazione che all'origine del suo romanzo non vi fosse alcun proposito serio:

ningún crítico podrá transmitir a sus lectores una visión real de Cien años de soledad mientras no renuncie a su caparazón de pontífice y parta de la base más que evidente de que esa novela carece por completo de seriedad. [...] Esto lo hice a conciencia, aburrido de tantos relatos pedantes, de tantos cuentos providenciales, de tantas novelas que no trataban de contar una historia, sino de tumbar al gobierno; cansado, en fin, de que los escritores fuéramos tan serios e importantes [...]179.



La nota polemica nei confronti della «vieja novela», di quella programmaticamente «impegnata» è evidente, ma l'ostentato disinteresse di fronte alla realtà è del tutto falso. L'invenzione non cancella la passione americana; gli occhi non possono contemplare indifferenti un mondo tormentato da tanti problemi.

In Cien años de soledad, la grande novità sta nei mezzi espressivi, nella struttura narrativa rivoluzionaria, nel modo di descrivere le cose inventandole continuamente. L'apporto del linguaggio alla magia della narrazione è caratteristica dell'opera di García Márquez, non meno di quella di scrittori come Carpentier o Asturias, o lo stesso Borges, forgiatori ognuno di un «castigliano» proprio. Come Asturias anche il colombiano ripudia la lingua tradizionale, poiché la sente inadeguata ad esprimere la realtà americana e crea un idioma suo di maggiore efficacia. Egli dichiara che «había que crear un español nuevo. Es, yo creo, esta búsqueda de un lenguaje adecuado para relatar al hombre americano lo que caracteriza, lo que se ha dado en llamar la nueva novela hispanoamericana»180.

L'affermazione della mancanza di un piano previo nella strutturazione dell'opera qualifica la modernità di García Márquez, il quale afferma, con qualche provocazione:

Cuando escribo una novela o un cuento, lo hago siempre sin un plan previo, sin saber adónde voy, para descubrir la historia que cuento. Echo todas mis fuerzas en la balanza, libero mis obsesiones y mis pasiones, no reflexiono. Lo que me importa en lo inmediato no es el libro en sí, es el camino que me abre. Pueden contarse historias y deben contarse, pero sin prejuicios de ninguna clase. Hay que dejar la puerta grande abierta a la invención, y aun a todos los excesos de la imaginación. Escribir sólo con la inquietud de saber lo que sucederá a los personajes mañana. [...]181.



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Il passo sembrerebbe confermare il disimpegno dello scrittore dalla realtà; il romanzo per lui è, certamente, un'invenzione infinita, aperto a tutti i soffi della fantasia. In tal senso ha parlato di divertimento dello scrivere; questo almeno afferma di aver fatto narrando le «tribulaciones cómicas o fantásticas» del clan dei Buendía, perseguendo nel romanzo l'unica qualità che lo rende valido, cioè che in nessuna maniera debba essere noioso: perciò è necessario che le «peripecias» si rinnovino «sin cesar, mezclando lo real y lo irreal, lo posible y lo imposible»182.

La realtà, comunque, è, malgrado ogni dichiarazione depistante, anche per García Márquez il dato fondamentale dal quale e sul quale opera la fantasia. La problematica del mondo americano scaturisce scottante dalla profusione inventiva; la riflessione a posteriori sul motivo che, in una sorta di pre-coscienza, o di incoscienza, può stare alle origini di Cien años de soledad, vale a dire di raccontare la storia di una famiglia ossessionata dall'incesto183, non elimina un impegno maggiore, che non esclude il piacere di narrare, il libero esercizio inventivo.

Gabriel García Márquez ha paragonato, in una occasione, il romanzo al sogno: come il sogno, ha detto, è fatto di frammenti della realtà, che finiscono per costituire una realtà nuova e diversa; i suoi romanzi sono «experiencias elaboradas y personajes armados con pedazos de unos y otros, de seres que uno ha conocido. Lo mismo los hechos y los ambientes»184. A confermare questo valgono le numerose rivelazioni autobiografiche e quelle relative alla realtà di personaggi e di situazioni. L'invenzione si esercita, quindi, nel romanzo, su un capitale di esperienze e di realtà concrete; in defintiva, per García Márquez il romanzo ideale è quello che mostra la realtà in tutti i suoi aspetti, un romanzo «absolutamente libre», che «inquiete» non solamente per il contenuto politico e sociale -vedi «vecchio romanzo»-, ma per il suo «poder de penetración en la realidad, y mejor aún si es capaz de voltear la realidad al revés para mostrar cómo es del otro lado»185. Il che implica anche un lettore particolarmente attento; ha perciò ragione Julio Ortega di affermare che Cien años de soledad costituisce anche un «largo elogio del lector», in quanto «quiebra la razón, excita la fantasía, transparenta la sensibilidad, exige el humor, convoca la piedad»186. Tutto ciò avviene nell'evocazione di un mondo complesso in cui si concretizza la condizione americana. Infatti, Macondo è stato più volte interpretato dalla critica come un microcosmo dell'America intera.

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Nel romanzo di García Márquez le costruzioni della fantasia sono rese credibili da un «tono convincente», che elimina la separazione tra reale e fantastico, un tono che rappresenta, come lo scrittore spiega, la soluzione da lui trovata improvvisamente, dopo quattro libri che definisce d'apprendistato:

La solución estaba en los orígenes mismos del problema: había que contar el cuento, simplemente, como lo contaban los abuelos. Es decir, en un tono impertérrito, con una serenidad a toda prueba que no se alteraba aunque se les estuviera cayendo el mundo encima, y sin poner en duda en ningún momento lo que estaban contando, así fuera lo más frívolo o lo más truculento, como si hubieran sabido aquellos viejos que en literatura no hay nada más convincente que la propia convicción187.



Il segreto stava quindi nella riduzione del meraviglioso «a nivel cotidiano»188, impresa difficile, che solo un grande artista poteva realizzare con successo, mantenendo sempre alto il livello artistico, sfuggendo abilmente all'emozione nel momento stesso in cui si determinava, rifugiandosi nella burla o nell'ironia, lasciando al lettore di sviluppare ciò a cui veniva sollecitato.

In Cien años de soledad chi legge si sente immesso in un clima strano a partire dal titolo, che Carmen Arnau ha acutamente interpretato, in quanto nelle prime edizioni il vocabolo SOLEDAD recava la «E» volta all'indietro, «connotativo» della vita introversa dei Buendía189. Ma altri due elementi sollecitano, nel titolo, l'attenzione di chi affronta il libro, predisponendolo a una lettura allerta del romanzo: l'uno d'ordine favoloso, la menzione di una quantità di per sé mitica di anni per la durata normale della vita umana, l'altro di natura sentimentale, essendo la solitudine condizione particolare dell'uomo, carica di significati negativi e positivi, tutti da esplorare.

Nel corso della vicenda si coglie poi che i cento anni allusi non corrispondono a una quantità esatta, ma vengono superati dalla vicenda di Macondo, per quanto attiene al passato e al futuro: si allude, infatti, a Drake quando assalì Ríohacha, alla longevità di Úrsula Iguarán e di Pilar Ternera, le due matriarche della famiglia Buendía, la prima nel campo della legittimità, l'altra in quello della trasgressione. Sia Úrsula che Pilar, infatti, superano abbondantemente i cento anni di vita, esperimentando nell'infinita vecchiaia, l'una lucidamente il senso di dissoluzione del suo mondo: la decadenza della famiglia, il logorio della cose, l'usura del tempo, lo squilibrio conseguente della cronologia che lo trasforma in una serie inquietante di ripetizioni, tempo giratorio -«el tiempo no pasaba, como   —57→   ella lo acababa de admitir, sino que daba vueltas en redondo»190-, l'altra ferma nel tempo immobile del ricordo, nella cosciente e passiva chiaroveggenza circa il futuro: «continuaba viviendo en el tiempo estático y marginal de los recuerdos, en un futuro perfectamente revelado y estable, más allá de los futuros perturbados por las acechanzas y las suposiciones insidiosas de las barajas»191.

Il clima favoloso è presente nel romanzo fin dalle righe iniziali, nel richiamo a un tempo del ricordo da parte di un personaggio del quale, com'è naturale, ancora non si saprebbe nulla, se non si fossero letti i romanzi precedenti, il colonnello Aureliano Buendía, e dall'allusione a un'impresa remota che colpisce per la sua stranezza: «Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre le llevó a conocer el hielo»192. Si aggiunga la successiva descrizione di un ambito di mitica innocenza, il Macondo delle origini, e si avrà chiaro l'effetto accattivante, immediato, del romanzo:

Macondo era entonces una aldea de veinte casas de barro y cañabrava construidas a la orilla de un río de aguas diáfanas que se precipitaban por un lecho de piedras pulidas, blancas y enormes como huevos prehistóricos. El mundo era tan reciente, que muchas cosas carecían de nombre y para mencionarlas había que señalarlas con el dedo193.



I cent'anni sono superati sin dall'inizio: l'allusione è, se non alle origini del mondo americano, certo a quelle della conquista, quando i nuovi venuti dalla Spagna si videro costretti ad aplicare alla realtà del Nuovo Mondo nomi per somiglianza con quanto essi conoscevano nella terra d'origine. In questa atmosfera di per sé già fantastica, nella quale la realtà appare al tempo stesso esaltata e trasfigurata per il continuo richiamo alla memoria, per l'allusione intrecciata al futuro e al passato, per la ripetizione di fatti e di situazioni, prendono corpo le figure dei protagonisti.

Il lettore, ormai disponibile ad accettare ogni stranezza, accoglie «impavido», per usare un termine caro a García Márquez, le stravaganze del patriarca José Arcadio Buendía, le facoltà divinatorie di Aureliano, la reazione delle cose di fronte a Úrsula, il paventato, e infine verificatosi, evento della creatura con la coda di maiale, gli odori persistenti dei personaggi, la grottesca levitazione del Padre Nicanor, allo stesso modo dei poteri mortiferi di Remedios «la Bella», la sua ascesa al cielo afferrata alle lenzuola, la presenza inquietante tra i vivi del   —58→   defunto Prudencio Aguilar e la progressiva amicizia, dalla solitudine della morte, con il suo uccisore, José Arcadio Buendía, la previsione della propria morte da parte di Úrsula, «cuando escampe», quella singolarmente lucida di Amaranta e la tranquillità con cui vi si prepara, le stravaganti imprese di un ramo della famiglia Buendía, gli allucinanti presentimenti del futuro di tanti personaggi, le trasformazioni e le morti dello zingaro Melquíades...

Questi e numerosi altri momenti ed elementi favolosi del caos apparente di Cien años de soledad vengono accettati come naturali dal lettore, nella stessa misura in cui egli accetta la dimensione tra umana e disumana del colonnello Aureliano, trasformato intimamente dalla guerra e dal potere, l'odio tenace di Amaranta per Rebeca, la profonda umanità di Úrsula, quella stessa di Amaranta Úrsula, che rivoluziona il clima cupo della famiglia Buendía al suo definitivo tramonto, il carattere introverso, e già votato a concludere la tragedia del clan, dell'ultimo Aureliano, figlio della sventurata Meme e di Mauricio Babilonia.

L'atmosfera magica del romanzo si avvantaggia con frequenza, come detto, di richiami a imprese che sembrano ripetere la dimensione favolosa di quelle della prima scoperta e conquista dell'America, nelle quali rivivono le gesta straordinarie dei libri di cavalleria. Il viaggio del messaggero del patriarca José Arcadio Buendía, per informare le autorità delle sue assurde scoperte relative all'applicazione degli effetti della lente alla guerra, sembra ripetere, nella rapida successione dei fatti, una sorta di impresa di scoperta: «atravesó la sierra, se extravió en pantanos desmesurados, remontó ríos tormentosos y estuvo a punto de perecer bajo el azote de las fieras, la desesperación y la peste, antes de conseguir una ruta de enlace con las mulas del correo»194. L'epicità del tono accentua, per contrasto, la dimensione più che corrente del risultato dell'impresa, come l'accentua la convinzione di José Arcadio che al di là di una tenue e tuttavia insormontabile linea di demarcazione tra Macondo e il mondo oltre il fiume -universo per lui di dimensioni fantastiche-, stiano succedendo cose «terribles» ed esista ogni tipo di «aparatos mágicos»195.

La realtà allucinante del primo Macondo, quello della fondazione e dell'età degli «inventos», è circondata da un inquietante territorio che richiama i paesaggi delle terre misteriose di cui sono ricchi i romanzi cavallereschi e le cronache delle Indie. Si tratta di un territorio pantanoso, coperto da «una eterna nata vegetal», una «ciénaga grande» che si favoleggia senza confini, la quale si confondeva a occidente con una «extensión acuática sin horizontes», popolata di «cetáceos de piel delicada, con cabeza y torso de mujer, que perdían a los navegantes con el hechizo de sus tetas descomunales»196. Ripetizione del mito delle sirene, che   —59→   già aveva tratto in inganno Cristoforo Colombo al suo primo contatto con l'America197 e che qui trova nell'accentuazione erotica gigantista una nota originale.

Al clima brumoso delle fantasie marinare dell'età romantica si avvicina invece l'apparizione improvvisa di uno strano galeone spagnolo arenato nel bosco, che José Arcadio e i suoi scoprono all'improvviso, inclinato leggermente su un fianco, «rodeado de helechos y palmeras, blanco y polvoriento en la silenciosa luz de la mañana», dai cui alberi pendono le «piltrafas escuálidas» della velatura, tra sartie «adornadas de orquídeas». Visione inquietante e al tempo stesso meravigliosa: «Toda la estructura parecía ocupar un ámbito propio, un espacio de soledad y de olvido, vedado a los vicios del tiempo y a las costumbres de los pájaros. En el interior [...] no había más que un apretado bosque de flores»198.

La dimensione fantastica è approfondita dall'allusione a un tempo di per sé favoloso e remoto, implicito nella qualificazione di «galeón español», e si potenzia sul piano estetico con lo spettacolo delle orchidee che ornano le sartie della nave e del denso bosco di fiori nella stiva.

La trasformazione delle cose più semplici, introdotte dagli zingari, in cose meravigliose attraverso la sensibilità stralunata di José Arcadio, si accompagna alla resa «realistica» attraverso la sovrapposizione di atteggiamenti e di gesti correnti e considerati normali. Così il tappeto volante, portato a Macondo dai gitani, è accettato con naturalezza nel momento in cui passa, carico di bambini, davanti alla finestra del laboratorio di José Arcadio, proprio per l'indifferenza con cui costui lo osserva e per la presentazione degli occupanti a livello normale, divertiti e intenti a salutare con la mano199.

Di contro alla riduzione del fantastico a livello corrente sta la sua esaltazione come elemento che travalica la normalità. Lo dimostra il fenomeno inquietante dell'insonnia, che ha come conseguenza l'oblio, finché il ritorno di Melquíades ristabilisce improvvisamente l'integrità del ricordo. Il significato di questo momento, che trascende il gioco fantastico, è stato interpretato dal Volkening come timore di perdere il vivificante contatto con i giorni andati, l'affondare dell'uomo in uno stato di imbecillità, di «cretinismo ahistórico», condannato a consumarsi «sea en el vano intento de echar mano del instante fugaz y escurridizo, sea en la construcción de modelos del futuro»200. Potrebbe darsi.

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Sul medesimo piano dell'esaltazione degli elementi fantastici come puro gioco inventivo è da considerare la serie delle avventure della discendenza più estroversa dei Buendía, che culmina nella presentazione di Fernanda del Carpio, recata in «andas doradas» da una «comparsa multitudinaria»201. Subito Aureliano Segundo se ne innamora e decide di sposarla. Neppure gli elementi per così dire soprannaturali, come la levitazione del Padre Nicanor o l'assunzione al cielo di Remedios «la Bella», valgono, nel loro decorativismo religioso -«sarcasmo teológico» lo definisce l'Arnau202-, a esaltare tanto la nota fantastica, come lo splendido e carnevalesco spettacolo del ritorno di José Arcadio Segundo dall'impresa con cui aveva tentato di stabilire per Macondo un servizio regolare di navigazione sul fiume; in una sorte di apoteosi sacro-profana, ravvivata dalle implicazioni erotiche, il personaggio giunge in vista del porto circondato dalle «espléndidas» matrone di Francia, destinate a rivoluzionare con le loro arti «magníficas» i metodi tradizionali dell'amore:

Una extraña nave se aproximaba al puerto. [...] No era más que una balsa de troncos arrastrada mediante gruesos cables por veinte hombres que caminaban por la ribera. En la proa, con un brillo de satisfacción en la mirada, José Arcadio Segundo dirigía la dispendiosa maniobra. Junto con él llegaba un grupo de matronas espléndidas que se protegían del sol abrasante con vistosas sombrillas, y tenían en los hombros preciosos pañolones de seda, y ungüentos de colores en el rostro, y flores naturales en el cabello, y serpientes de oro en los brazos y diamantes en los dientes203.



L'elaborata costruzione barocca si impone, per la nota di esaltazione cromatica, sul grigiore dell'esito fallimentare dell'impresa del protagonista, sottolineata in tal senso dal misero piedestallo sul quale si regge: una «balsa de troncos» trascinata a forza di braccia dalle rive del fiume scarso d'acqua. Ritengo possibile che García Márquez abbia avuto come modello illustre per questa scena l'arrivo di Venere su una «piragua» dalla poppa dorata al banchetto che precede la battaglia degli indigeni contro gli spagnoli, nell'atto III della commedia di Lope de Vega, El Arauco domado204.

Elemento determinante del clima fantastico in Cien años de soledad è la dimensione iperbolica data alle cose, la tendenza a ingigantirle ricorrendo con frequenza a dati numerici sconcertanti, tendenza che alcuni critici hanno fatto risalire alla lettura di Rabelais, la cui opera porta con sé, alla fine del romanzo, il giovane   —61→   Gabriel diretto a Parigi205. Ma García Márquez si è preso gioco di questa interpretazione206. E' tuttavia fuor di dubbio che Rabelais qualche cosa di fondamentale deve avere insegnato allo scrittore, che certamente ne conosceva l'opera.

Comunque sia, Cien años de soledad si avvantaggia dell'uso dell'iperbole numerica: ventisei mesi dura l'impresa senza risultato dei fondatori di Macondo per raggiungere il mare; José Aracadio Buendía e la sua gente, alla ricerca della via che li colleghi con la civiltà, staranno dieci giorni senza vedere il sole; dieci uomini sono necessari per abbattere il fondatore del clan preso da furia distruttrice e, processo iperbolico crescente, quattordici uomini occorrono per immobilizzarlo, venti per trascinarlo al castagno dove rimarrà legato fino alla vigilia della sua morte, e allora ci vorranno sette uomini solo per trascinarlo fino al letto207. Il «descomunal» José Arcadio, dalle spalle quadrate che «apenas cabían por las puertas»208, improvvisamente di ritorno a Macondo, dorme tre giorni per riposarsi dal viaggio, divora diciassette uova crude, gareggia di forza nel bordello di Catarino con cinque uomini insieme, esibisce una «masculinidad inverosímil, enteramente tatuada con una maraña azul y roja de letreros en varios idiomas»209, col risultato di essere conteso a dieci «pesos» dalle donne del posto. Egli è reduce dall'aver compiuto sessantacinque volte il giro del mondo, affrontato avventure strabilianti in regioni esotiche e misteriose, dove le epoche si confondono:

En un mediodía radiante del Golfo de Bengala su barco había vencido un dragón de mar en cuyo vientre encontraron el casco, las hebillas y las armas de un cruzado. Había visto en el Caribe el fantasma de la nave corsaria de Víctor Hugues, con el velamen desgarrado por los vientos de la muerte, la arboladura carcomida por cucarachas de mar, y equivocado para siempre el rumbo de la Guadalupe210.



Il personaggio è presentato da García Márquez come un «protomacho» dalla respirazione «volcánica»; persino l'ibrido vale a renderne la straordinarietà, a imporne la non comune presenza di essere che a pranzo si mangia «medio lechón» e le cui «ventosidades» fanno appassire i fiori, quello stesso che, con potenza   —62→   «ciclónica» e con «tres zarpazos» si impossessa di Rebeca, e «la descuartizó como un pajarito»211. L'iperbole è anche la misura della descrizione della luna di miele «escandalosa» della coppia212, con il risultato di concludere con piena efficacia il clima di estrema esaltazione del reale nel fantastico.

Il gigantismo si manifesta anche nell'allusione alle trentadue rivoluzioni fallite del colonnello Aureliano Buendía, uscito peraltro incolume da quattordici attentati e da settantatré imboscate, sfuggito a un plotone di esecuzione e salvatosi persino, involontariamente, da un tentativo di suicidio. La medesima tecnica iperbolica si esercita nella menzione dell'arrivo di Meme alla casa dei Buendía, accompagnata da quattro monache e da sessantotto compagne di collegio, con il conseguente acquisto di settatadue «bacinillas»; nel pantagruelico banchetto in cui Aureliano Segundo gareggia con «la Elefanta»; nel treno della morte, di quasi duecento vagoni merci, che trasporta le vittime del massacro con cui l'esercito ha posto fine allo sciopero dei lavoratori della «Bananera». Quantità iperbolica, corrispondente all'impressione che nel giovane García Márquez aveva sempre fatto il tema213.

In una dimensione più apparentemente normale, per la puntualità dei dati cronologici, è presentata la pioggia che cade ininterrottamente su Macondo per quattro anni, undici mesi e due giorni, tutto sconvolgendo, facendo crescere fiori negli ingranaggi delle macchine, creando un'atmosfera così umida «que los peces hubieran podido entrar por las puertas y salir por las ventanas, navegando en el aire de los aposentos»214.

La materializzazione dell'irreale e la srealizzazione della realtà recano un contributo fondamentale alla creazione del clima fantastico. Se il morto Prudencio Aguilar, ad esempio, appare ormai «casi pulverizado por la profunda decrepitud de la muerte»215, parla invece come essere vivente con José Arcadio Buendía e più tardi, morto il patriarca, continua con lui ad abitare il posto sotto il castagno dove visse; il galeone spagnolo trovato nella selva sfuma la sua consistenza materiale nell'irreale, come nell'irreale sconfina Remedios, per la continuità di   —63→   un potere mortifero che colpisce gli uomini «más allá de la muerte, hasta el polvo de los huesos»216.

La morte, invece, si materializza; Amaranta la vede, infatti, come una donna per nulla inquietante, «porque era una mujer vestida de azul con el cabello largo, de un aspecto un poco anticuado, y con un cierto parecido a Pilar Ternera en la época en que las ayudaba en los oficios de cocina»217; mentre la realtà del colonnello Aureliano finisce per dissolversi, sul finire del romanzo, nell'irrealtà, abbandonato dalla memoria degli uomini. La lunga pioggia caduta su Macondo ha, infatti, il potere di cancellare anche il ricordo: «La desidia de la gente contrastaba con la voracidad del olvido, que poco a poco iba carcomiendo sin piedad los recuerdos [...]»218. Per contro, nella stanza di Melquíades, il «cuarto de las bacinillas», dove l'ultimo Aureliano decifrerà e al tempo stesso vivrà la propria fine, permane un irreale tempo immobile: «siempre era marzo y siempre era lunes»219.

La realtà assume trasparenze irreali nella decadenza di Macondo. Persino il postribolo delle «muchachitas tristes que se acostaban por hambre», retto da una «mamasanta» che tenta di dare consistenza al vuoto con un continuo aprire e chiudere di porte, sfuma nell'irreale; come le «putitas», che divengono «pura ilusión», perché in quel luogo «hasta las cosas tangibles eran irreales»220.

Il tempo, nel suo corso e ricorso, nel continuo intersecarsi e fondersi, retrocedere e precorrere, nel ripetersi circolare -«rueda giratoria que hubiera seguido dando vueltas hasta la eternidad, de no haber sido por el desgaste progresivo e irremediable del eje»221, secondo interpreta lucidamente Pilar Ternera -amalgama gli elementi accennati. L'ultima comparsa degli zingari, eredi decaduti della «ciencia» di Melquíades, con la ripetizione ormai senza prestigio dei fenomeni ai quali, con ben altro interesse, avevano assistito un tempo i fondatori di Macondo, attesta l'usura irreparabile dell'asse su cui tale mondo si reggeva e conclude definitivamente il ciclo, suggella un'epoca e un universo finiti.

Quanto sottolineato dà al libro di García Márquez una dimensione favolosa e magica che avvince in modo irresistibile il lettore, ne sollecita le capacità razionali, obbligandolo, per districarsi in un mondo dove, apparentemente, il caos regna sovrano, e al quale reca un sostanziale contributo il ripetersi dei nomi dei Buendía, a esercizi costanti di collegamento, al ricorso continuo alla memoria, rendendolo parte attiva del romanzo.

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Il gioco fantastico non nasconde i problemi. Infatti, attraverso la profusione inventiva si fa largo in Cien años de soledad una realtà violenta che si impone sulle suggestioni della fantasia e gli allettamenti del mito. Se si considera che dei venti capitoli -non numerati- di cui si compone il romanzo, cinque -dal quinto al nono- trattano in prevalenza il tema della guerra e, dopo soli due capitoli -decimo e undicesimo-, nei quali Macondo è presentato nell'età più prospera, ma di effimera durata, il dramma della presenza economica straniera, la «bananera», ne occupa altri quattro -dal dodicesimo al quindicesimo-, per concludere nel clima di progressiva decadenza cui è dedicato il resto del libro -dal sedicesimo al ventesimo capitolo-, appare chiaro quanto peso abbia la realtà nell'opera di García Márquez.

Già in apertura di testo, la preistoria di Macondo -narrata dal primo capitolo alla prima metà del quinto- si richiama a una dura situazione, presentando l'istante futuro in cui il colonnello Aureliano Buendía, posto di fronte al plotone di esecuzione, ricorda il momento incantato in cui il padre lo condusse a conoscere il ghiaccio222. La figura del militare, la prospettata scena della fucilazione, domina, perciò, con il suo significato di violenza e di morte, fin dall'inizio Cien años de soledad.

Non si deve dimenticare che Macondo e i suoi abitanti rappresentano un microcosmo tiranneggiato da sentimenti negativi, dilaniato dall'odio. La violenza si manifesta prima nell'ambito del sentimento che in quello della realtà materiale. Ne è esempio l'odio tenace di Amaranta per Rebeca, la cui opposizione alla felicità di quest'ultima arriva a contemplare la possibilità di un delitto, come dichiara alla rivale: «-No te hagas ilusiones. Aunque me lleven al fin del mundo encontraré la manera de impedir que te cases, así tenga que matarte»223. E se José Arcadio Buendía, il fondatore, uccide Prudencio Aguilar per futili motivi d'onore, Fernanda del Carpio, «una mujer perdida para el mundo»224, perché carente di umanità, provoca in pratica l'eliminazione dell'amante della figlia, Mauricio Babilonia -un proiettile «lo redujo a cama por el resto de su vida. Murió de viejo en la soledad [...]»225-, rinchiude questa in un monastero per il resto dei suoi i giorni e obbliga il figlio nato dalla relazione a crescere nell'isolamento, dopo aver pensato seriamente, sia pure per un istante, di eliminarlo, anche se «a la hora de la verdad le faltó valor para cumplir la última determinación de ahogarlo en la alberca del baño»226.

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Il segno violento di Macondo si rivela in tutta la sua realtà sconcertante durante la serie di guerre intraprese dal colonnello Aureliano e in occasione dello sciopero dei lavoratori della «bananera». Ma il colonnello è indotto, all'inizio, a prendere le armi per il disgusto che gli provocano gli atti di violenza che si verificano nel paese. Alla violenza morale, costituita dai brogli elettorali di Apolinar Oscote, suo suocero, in favore del partito conservatore al governo, segue la guerra civile, l'imposizione della legge marziale, con il conseguente «terror silencioso»227 dei liberali e le violenze, spesso gratuite, quindi più sconvolgenti, dei soldati.

L'episodio che decide il colonnello Aureliano Buendía a prendere le armi è l'uccisione «a culetazos en plena calle», di una donna morsa da un cane rabbioso228; la brutalità dell'atto è resa con espressioni scarne e sottolinea la nota bestiale che caratterizza gran parte dell'esercito nel mondo sudamericano, come già aveva fatto Asturias in El Señor Presidente. Svelata la commedia della democrazia, García Márquez stigmatizza l'asservimento dei militari al potere. Quando più tardi José Arcadio, l'apprendista Papa, tornato a Macondo e datosi a vita dissoluta ed effeminata, viene affogato nell'«alberca» di casa dai suoi giovani amici, l'azione di costoro è paragonata dallo scrittore a quella dei militari: «Fue una acción tan rápida, metódica y brutal, que pareció un asalto de militares»229.

Nel romanzo la violenza ha sempre come protagonisti nei suoi aspetti più brutali gli uomini d'arme, e sono i militari a compiere l'indiscriminato massacro degli scioperanti della «bananera», sul piazzale della stazione. José Arcadio Segundo, scampato, benché ferito, alla cerneficina, ricorderà per tutta la vita uno spettrale e iperbolico treno della morte, procedente a fari spenti, «con casi doscientos vagones de carga» zeppi di corpi morti e sopra i vagoni le sagome oscure dei soldati «con las ametralladoras emplazadas»230.

García Márquez sottolinea la portata della strage insistendo sulla paura dei superstiti che, ossessionati dalla versione ufficiale imposta, brancolano tra realtà e irrealtà, poiché il terrore della repressione li costringe a negare che vi siano mai stati morti, ad asserire che mai nulla è accaduto a Macondo. La violenza dei soldati sui cittadini sospetti, realizzata con il favore delle tenebre, assume nel romanzo dimensione allucinante, per la doppiezza della loro condotta, grottescamente infantile alla luce del sole, di una crudeltà spietata nell'azione notturna:

Durante el día los militares andaban por los torrentes de las calles, con los pantalones enrollados a media pierna, jugando a los naufragios con los niños. En la   —66→   noche, después del toque de queda, derribaban puertas a culetazos, sacaban a los sospechosos de sus camas, y se los llevaban a un viaje sin regreso231.



Perché incarna la violenza che incatena il mondo americano, García Márquez presenta l'esercito come un animale terrificante e multicefalo, coincidendo in questo con Asturias, Vargas Llosa e José María Arguedas232. L'avvicinarsi di tre reggimenti al paese per porre fine allo sciopero della «bananera» è visto, infatti, come quello di un drago mitologico dal respiro pestilente che impregna la chiarità del mezzogiorno233. Per meglio rendere la terrificante natura del mostro lo scrittore insiste sulla bestialità delle sue componenti, distrugge le caratteristiche umane dei militari, rappresentandoli in una uniformità bestiale e nella totale insensibilità morale, accecati da una retorica logora assorbita passivamente:

Eran pequeños, macizos, brutos. Sudaban con sudor de caballo, y tenían un olor de carnaza macerada por el sol, y la impavidez taciturna e impenetrable de los hombres del páramo. [...] todos idénticos, hijos de una misma madre, y todos soportaban con igual estolidez el peso de los morrales, las cantimploras y la vergüenza de los fusiles con las bayonetas caladas, y el incordio de la obediencia ciega y el sentido del honor234.



Dal suo mondo ormai chiuso alla luce per la cecità, l'attenta Úrsula, che tanto aveva lottato nella famiglia Buendía per conservare il «sentido común» in quella casa «extravagante»235, poi per impedire la catastrofe, percepisce chiaro il significato minaccioso dell'esercito e leva in alto la mano come a scongiurare il maleficio: «Úrsula los oyó pasar desde su lecho de tinieblas y levantó la mano con los dedos en cruz»236. Il «puto mundo» denunciato drammaticamente nella sua perfida sostanza da José Arcadio Segundo, nel momento in cui cade ferito dai soldati sul piazzale della stazione237, si costruisce sulla violenza di cui i soldati sono espressione. La condizione americana, dominata dall'oligarchia militare, è denunciata con durezza dallo scrittore, che fa interprete del giudizio negativo persino un generale, il conservatore José Raquel Moncada, il quale considera la gente d'armi dei lazzaroni senza principi, intriganti e ambiziosi, «expertos en enfrentar a los civiles para medrar en el desorden»238.

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Anche l'odio del colonnello Aureliano Buendía è significativo ed è pari a quello che egli ha per i politici. García Márquez denuncia con ironia tagliente la farsa delle ideologie; la «guerra sin futuro»239 è già una realtà, per il colonnello Aureliano, quando si rende conto che sta lottando solo per orgoglio. In epoca successiva un altro colonnello, Gerineldo Márquez, sarà il primo a percepire il vuoto della guerra e finalmente, preso nel gioco dei politici, anche Aureliano si accorge che tutto è in funzione del potere e alla lotta manca il sostegno di qualsiasi ideale240.

I lugubri avvocati «vestidos de negro», costituiscono i simboli ricorrenti della sconfitta degli ideali e del trionfo della farsa politica. In una pagina efficace García Márquez stigmatizza l'atmosfera ibrida che circonda il potere; pensando agli inquietanti personaggi, il colonnello Aureliano se li rappresenta, come in un incubo, intenti a interpretare con preoccupata e servile premura le parole del presidente, mentre il suo personale assillo è di porre in salvo i suoi uomini:

En noches de vigilia, tendido bocarriba en la hamaca que colgaba en el mismo cuarto en que estuvo condenado a muerte, evocaba la imagen de los abogados vestidos de negro que abandonaban el palacio presidencial en el hielo de la madrugada con el cuello de los abrigos levantado hasta las orejas, frotándose las manos, cuchicheando, refugiándose en los cafetines lúgubres del amanecer, para especular sobre lo que quiso decir el presidente cuando dijo que sí, o lo que quiso decir cuando dijo que no, y para suponer inclusive lo que el presidente estaba pensando cuando dijo una cosa enteramente distinta, mientras él espantaba mosquitos a treinta y cinco grados de temperatura, sintiendo aproximarse el alba temible en que tendría que dar a sus hombres la orden de tirarse al mar241.



Benché si sia dato alla rivolta armata per reazione alla violenza del potere, il colonnello Aureliano Buendía finisce presto per esercitarla lui stesso. Rifuggendo dalla mistica dell'attentato personale predicata dal dottor Noguera242, egli cade nelle aberrazioni del potere. Del personaggio, malgrado non lo privi mai di una dimensione umana, lo scrittore fa un simbolo della crudeltà della forza, ben diverso, tuttavia, come dimensione drammatica, dalla crudeltà gratuita di Arcadio Buendía, nelle cui mani per qualche tempo sta il governo di Macondo, rivelandosi presto il più crudele dei governanti avuti dal paese, tanto che la stessa Úrsula gli si leva contro e lo esautora, dando inizio col suo governo personale a un'epoca di tranquillità. La fucilazione del piccolo tiranno all'arrivo delle truppe governative elimina un personaggio disumano e spregevole, per   —68→   il quale il potere era stato solo un mezzo per sfogare il risentimento dovuto alla precedente soggezione e impotenza.

Ben diversa è la dimensione del colonnello Aureliano Buendía, la cui vicenda è segnata dal fallimento; delle trentadue rivoluzioni, vale a dire di vent'anni di guerra civile, alla fine non rimarrà altro che una targa dedicata al suo nome, apposta dopo la sua morte a una via di Macondo. Se Arcadio aveva esperimentato la «seguridad del poder»243, vale a dire l'impunità della violenza, il colonnello trova nell'esercizio del potere la maturità, ma si chiude ai sentimenti. Quando torna a Macondo prigioniero, circondato dalla «omnipotencia de los militares»244, accolto da manifestazioni ostili, Úrsula rimane colpita davanti alla maturità del figlio, impressionata soprattutto dalla sua aria di comando, dal «resplandor de autoridad que irradiaba su piel»245. E' segno che egli sfuggirà alla morte; il plotone del capitano Roque Carnicero, infatti, terrorizzato dalle voci che promettono vendetta per la morte del colonnello, all'ultimo momento cambia bandiera, passa dalla sua parte per intraprendere una nuova guerra totale contro il regime. Finale sorprendente, chiara denuncia da parte di García Márquez della scarsa affidabilità dei militari in regimi avventurosi.

Si inaugura così una nuova epoca di violenze, mentre il mito dell'ubiquità del colonnello ne ingigantisce la figura agli occhi della gente. Tempi grevi di morte sono annunciati anche dalla fantomatica comparsa dell'Ebreo Errante, mentre una lunga guerra civile distrugge il paese, non sostenuta da altro ideale che di abbattere il governo. Aureliano ne è trasformato e quando Úrsula lo rivede ha l'impressione di trovarsi davanti un intruso. E' il momento in cui il colonnello crea intorno a sé uno spazio invalicabile; il potere reca in sé il terrore per la propria vita e al tempo stesso ripugnanza fisica per il contatto con gli altri. Aureliano, infatti, impartisce ordini severissimi affinché nessuno, neppure sua madre, gli si possa avvicinare a meno di tre metri; perduto nell'abisso della «grandeza», i suoi «edecanes» tracciano intorno alla sua persona, ovunque si fermi, un cerchio che nessuno può superare e dentro il quale «decidía con órdenes breves e inapelables el destino del mundo»246.

Di pari passo con l'accrescersi iperbolico del suo potere, García Márquez segnala in Aureliano il progredire della «frialdad de las entrañas»; la vecchiaia imminente è mantenuta lontano dalla mancanza di sentimenti e Úrsula si rende conto allarmata di cosa significhi questo mutamento: «"Dios mío", se dijo Úrsula, alarmada. "Ahora parece un hombre capaz de todo"»247.

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Con i sentimenti, il potere elimina anche la distinzione tra amici e nemici. Il colonnello Aureliano Buendía permette con estrema indifferenza che vengano fucilati tutti gli ufficiali dell'esercito regolare trovati a Macondo e con la stessa indifferenza fa fucilare il generale Moncada, condanna a morte l'amico, colonnello Gerineldo Márquez, e solo la decisione di Úrsula, che affronta ardita il figlio, riesce a salvarlo in extremis dalla morte. La dissoluzione degli ideali all'origine dell'azione di Aureliano, si deve alla perversione connaturata con il potere. Il generale Moncada, prima di morire, rimprovera al colonnello di essere diventato in tutto uguale ai militari che odia248, una vita perduta, quindi, in un'attività del tutto sterile. «Cuídate el corazón», lo avveva avvertito il colonnello Gerineldo Márquez, «Te estás pudriendo vivo»249. E infatti, «Extraviado en la soledad de su inmenso poder empezó a perder el rumbo»250.

Il recupero del personaggio prende avvio dalla ribellione di Úrsula; egli si accorge improvvisamente che gli ci sono voluti quarant'anni e trentadue guerre per scoprire i «privilegios de la simplicidad»251, e incomincia a sentire di non poter più sopportare il «sabor a mierda de la guerra»252, il ripudio della quale, sottolineato dalla crudezza dei termini, induce il colonnello ad accentuare la violenza delle sue azioni, al fine di porvi fine al più presto. In questa impresa egli giunge a «incancelables extremos de crueldad»253 e mai come ora si mostra miglior soldato, perché agisce mosso da un fine valido: la liberazione di se stesso. Quando fa ritorno di nuovo a Macondo, sotto la scorta dell'esercito regolare al quale si è arreso, in attesa di firmare il trattato di pace, Aureliano è tornato finalmente un essere umano e rivedendo la madre si rende conto che lei era stata l'unica a «desentrañar su miseria»254. E tuttavia il romanziere nega al personaggio un recupero pieno; infatti, neppure lo spettacolo di devastazione della madre, di cui improvvisamente prende coscienza -«Tenía la piel cuarteada, los dientes carcomidos, el cabello marchito y sin color, y la mirada atónita»255- riesce a suscitare in lui un sentimento di pietà. La violenza della guerra ha eroso i sentimenti e l'uomo si perde nell'indifferenza.

Il resto della sua vita il colonnello lo trascorre nell'amarezza del mancato suicidio, nell'indignazione per la «guerra triste de la humillación cotidiana» dei suoi uomini, che invano attendono la pensione promessa dal governo256. E' la vicenda   —70→   patetica del protagonista di El coronel no tiene quien le escriba. Ma i giorni di Aureliano sono amareggiati anche dai tentativi del governo di sfruttare a fini propagandistici il suo nome, mentre lui sta «pudriéndose de viejo en la exquisita mierda de la gloria»257.

La demolizione sistematica dei miti della guerra e della gloria rende in profondità il fallimento del personaggio; per il colonnello il rudimentale laboratorio di oreficeria diviene, nel circolo vizioso della trasformazione delle monete d'oro in pesciolini, un apparente rifugio, in realtà un mondo chiuso che ne accresce la solitudine, una sorta di anticipazione della morte. Da tale mondo Aureliano è sottratto, alla vigilia della morte, dall'apparizione di un circo, nel cui spettacolo fantastico, minato interiormente dalla tristezza, percepisce più profondo il freddo che annuncia la fine; si avvicina allora, come per un atto abituale, all'albero che sembra simboleggiare la vita della famiglia, il castagno al quale rimase legato per anni il patriarca, in realtà attratto, come da un rifugio estremo, a ricongiungersi con le proprie radici: «Entonces fue al castaño, pensando en el circo, y mientras orinaba trató de seguir pensando en el circo, pero ya no encontró el recuerdo. Metió la cabeza entre los hombros, como un pollito, y se quedó inmóvil con la frente apoyada en el tronco del castaño»258.

Il narratore colora di tinte patetiche la morte del colonnello, con notazioni semplici e tenere, per piani contrastanti, il cui compito è di sottolineare del personaggio la riconquistata statura umana. Nell'estrema semplicità della morte, «como un pollito», Aureliano Buendía acquista la dimensione che la guerra non gli aveva saputo dare. García Márquez denuncia, nella sua vicenda, che non esiste movimento rivoluzionario valido avulso dal fortificante contatto con il popolo e che l'uomo che si abbandona alla violenza inaridisce e si perde.

Con la morte del colonnello Buendía inizia la decadenza definitiva della sua famiglia e di Macondo, il processo di distruzione che li cancellerà dalla faccia della terra. Un lungo crepuscolo, al quale García Márquez dedica più di un terzo del suo romanzo: in un clima di fatale isolamento gli ultimi esponenti del clan trascorrono la loro esistenza, tra i presagi della fine e la intermittente comparsa della morte259, opponendo ad essa, talvolta, una difesa fragile, come fa Amaranta ricorrendo all'artificio di prolungare, nuova tela di Penelope, la confezione del proprio sudario: «tejedora de la muerte» la definisce Ricardo Gullón260.

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Dopo la scomparsa di Aureliano le morti in Macondo e nella casa dei Buendía si succedono a ritmo crescente. Muore, infatti, Amaranta; scompaiono per sempre dalla scena, anche se materialmente non defungono, Meme e Mauricio Babilonia; l'intervento dell'esercito contro gli scioperanti della «bananera» cancella d'un solo colpo tremila persone e in seguito i soldati compiono un sotterraneo lavoro di finitura eliminando con il favore delle tenebre altri cittadini sospetti. L'interminabile pioggia sommerge Macondo, come rispondendo al volere del fantomatico Signor Brown, e condanna gli abitanti superstiti a vegetare in un clima che li sottrare a ogni azione. Su tale disfacimento García Márquez fa scorrere una visione allucinante, di valore simbolico, il funerale del colonnello Gerineldo Márquez, accompagnato da pochi superstiti dell'ultima campagna, allegoria del processo di estinzione del paese:

No habría podido concebirse un cortejo más desolado. Los chorros de agua triste que caían sobre el ataúd [...]. Detrás de la carreta, algunos descalzos, y todos con los pantalones a media pierna, chapaleaban en el fango los últimos sobrevivientes de la capitulación de Neerlandia261.



Il clima di disfacimento e di decadenza si riflette anche sulla passione erotica. Petra Cotes e Aureliano Segundo si rendono conto che i tempi sono mutati anche per l'amore: «Ya los tiempos no están para estas cosas»262, dice la donna, ossia non sono più quelli delle «pazzie» d'amore; se ne convince il suo amante quando negli assurdi specchi del soffitto, installati all'epoca dell'erotismo prorompente, vede riflessa non più la bella schiena giovanile della donna, ma la sua spina dorsale, ora «como una hilera de carretes ensartados en un mazo de nervios marchitos»263.

Il senso della distruzione è reso dal narratore attraverso immagini inquietanti, insistendo su particolari apparentemente minimi, ma che comunicano efficacemente l'impressione della fine. La rovina coinvolge persone e cose; agli occhi di Aureliano Segundo gli abitanti di Macondo presentati in attesa che cessi la pioggia, appaiono come immersi in una lunga vigilia di morte; la rappresentazione assume aspetti surreali:

Los había visto al pasar, sentados en las salas con la mirada absorta y los brazos cruzados, sintiendo transcurrir un tiempo entero, un tiempo sin desbravar, porque era inútil dividirlo en meses y años, y los días en horas, como no podía hacerse nada más que contemplar la lluvia264.



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L'usura del mondo, il «desgaste» del clima familiare, si manifestano anche nella monotonia della «cantaleta» con cui Fernanda assale il marito; un lungo passo del romanzo, in cui García Márquez raggiunge valido risultato artistico coniugando ossessione e umorismo: litania grottesca e interminabile265, che richiama la lamentazione della donna derubata di un uovo, nel Corbacho dell'Arcipreste de Talavera266.

Nel Macondo della fine tutto va alla deriva. Nell'imperversare della pioggia Úrsula, ormai decrepita e cieca, confonde il tempo reale con il passato, immedesimandosi in eventi antichi e dando modo ai ragazzi, Amaranta Úrsula e Aureliano, di prendersi gioco di lei evocandole intorno una irreale parentela. Terminata la pioggia, Macondo è un paese in agonia, anticipazione del «vento profético» che anni dopo lo distruggerà. Con la sua particolarissima sensibilità Úrsula percepisce nelle cose l'avanzare della rovina:

Moviéndose a tientas por los dormitorios vacíos percibía el trueno continuo del comején taladrando las maderas, y el tijereteo de la polilla en los roperos, y el estrépito devastador de las enormes hormigas coloradas que habían prosperado en el diluvio y estaban socavando los cimientos de la casa267.



La morte della matriarca coincide con l'inquietante riapparire del fantomatico Ebreo Errante, elemento inquietante dell'antica superstizione popolare268, e con un calore eccezionale che fa strage di uccelli. Dopo Úrsula muoiono contemporaneamente i gemelli José Arcadio Segundo e Aureliano Segundo, più tardi Fernanda. Il processo di decadenza dei Buendía ha un'accelerazione con l'arrivo dell'apprendista Papa, José Arcadio, che diffonde nella casa un clima corrotto. Quando il personaggio muore, con l'ultimo pensiero rivolto ai rapporti incestuosi avuti anni prima con la zia, la decadenza è completa. Né vale a infondere nuovo vigore ai resti del clan la giovinezza e lo spirito di iniziativa di Amaranta Úrsula, che darà realizzazione alla profezia, mettendo al mondo un figlio con la coda di maiale269.

In questo «paraíso de desastres», come lo definisce García Márquez, un senso di generale attesa d'ultima ora domina l'ambito a sé in cui finiscono per vivere Amaranta Úrsula e Aureliano, «flotando en un universo vacío, donde la   —73→   única realidad cotidiana y eterna era el amor»270. Nell'antico «barrio de tolerancia» stanno inquietanti le allegorie del peccato, prive ormai di ogni incanto, le «macilentas y gordas viudas de nadie, las bisabuelas francesas y las matriarcas babilónicas»; esse vivono in un tempo immobile, presso la «vitrola»271, rappresentano solo il ricordo di ciò che fu Macondo un tempo. Un «burdel de mentiras» è quello che sorge alla periferia del villaggio, dove le «muchachitas» si accoppiano ormai solo per fame272. Le dimostrazioni di virilità di Aureliano nella casa delle «putitas» sono solo un tentativo del personaggio per affermare se stesso su una realtà sfuggente.

Nel suo «burdel zoológico», Pilar Ternera, la donna che non sta in opposizione a Úrsula, bensì la complementa, sembra incarnare un tempo eterno, come cristallizzato di fronte al logorio universale, ma anche lei è giunta alla fine. Se ne va come una regina mitica, accompagnata dalla magnificenza rituale che circonda i personaggi dotati di poteri magici, intorno ai quali ruota tutto nelle società primitive. Il seppellimento della donna, come una regina mitica, seduta sul suo «mecedor de mimbres», al centro della pista da ballo del bordello, è presentato come in un quadro sacro-profano, di grande suggestione, che evoca, nel decorativismo, i riti funebri pagani. La fine di tutto un mondo è resa simbolicamente dal tributo di gioielli che le mulatte gettano nella fossa, tra salmi dissacranti:

Las mulatas vestidas de negro, pálidas de llanto, improvisaban oficios de tinieblas mientras se quitaban los aretes, los prendedores y las sortijas, y los iban echando en la fosa, antes de que la sellaran con una lápida sin nombre ni fechas y le pusieran encima un promontorio de camelias amazónicas. Después de envenenar a los animales, clausuraron puertas y ventanas con ladrillos y argamasa, y se dispersaron por el mundo con sus baúles de madera273.



Úrsula Iguarán, invece, nonostante un certo stordimento della natura che precede la sua scomparsa, avvertito da Santa Sofía de la Piedad -«que las rosas olían a quenopodio, que se le cayó una totuma de garbanzos y los granos quedaron en el suelo en un orden geométrico perfecto y en forma de estrella de mar, y que una noche vio pasar por el cielo una fila de luminosos discos anaranjados»274- e il calore insopportabile, con la conseguente strage di uccelli che «se estrellaban como perdigones contra las paredes y rompían las mallas metálicas   —74→   de las ventanas para morirse en los dormitorios»275, se ne va dal mondo in sordina, in un giorno particolare, sacro: «Amaneció muerta el Jueves Santo»276.

Neppure nell'ultimo istante la matriarca perde dignità, ma il mondo del peccato viene in realtà eliminato definitivamente dalla pietra tombale che chiude la sepoltura di Pilar Ternera: «Era el final. En la tumba de Pilar Ternera, entre salmos y abalorios de putas, se pudrían los escombros del pasado»277. Di fronte sta un futuro improbabile, rappresentato da Gabriel, l'autore, e dai suoi amici. Con la partenza di costoro dal paese, dopo quella del vecchio libraio catalano, che ne fu l'aio spirituale278, la prospettiva si apre su un panorama di possibilità precarie: l'Europa, Parigi per Gabriel, con il riferimento alla rue Dauphine e alla stanza dove, coinvolgimento dello scrittore amico, il Cortázar di Rayuela, doveva morire Rocamadour279.

L'ultimo atto della tragedia di Macondo e dei Buendía consiste nell'avverarsi della profezia e nell'interpretazione dei manoscritti dello zingaro Melquíades, nel vento biblico che cancella il paese dalla faccia della terra. Mentre Aureliano scopre il significato dell'ordine simultaneo dato dallo zingaro agli episodi della vita della sua famiglia e del paese, «de modo que todos coexistan en un instante», si leva il vento misterioso, «el viento tibio, incipiente, lleno de voces del pasado, de murmullos de geranios antiguos, de suspiros de desengaños anteriores a las nostalgias más tenaces»280. La confusione in cui vive si va chiarendo a Aureliano Babilonia nel corso della lettura dei manoscritti misteriosi e ad un certo punto egli si ritrova a decifrare l'ultimo istante della sua stessa vita, quando già Macondo è «un pavoroso remolino de polvo y escombros centrifugado por la cólera del huracán bíblico»281.

Con Aureliano Babilonia, bastardo dei Buendía e incestuoso, e con il frutto del suo amore per Amaranta Úrsula divorato dalle formiche, mentre la donna muore dissanguata, si conclude il ciclo del clan. Pare lecito interpretare, qui, il pessimismo di García Márquez circa il futuro del mondo americano, e tuttavia il romanzo termina con un'apertura alla speranza, né tutto appare negativo   —75→   nel lungo crepuscolo di Macondo e dei Buendía, in personaggi come Petra Cotes e Aureliano Segundo, ad esempio, i quali scoprono che al disopra dell'interesse e della passione vi è l'amore, che la povertà è una sua «servidumbre»282 e rimpiangono il tempo loro occorso per trovare «el paraíso de la soledad compartida»283. E' la sventura che rende umani, è la vecchiaia che ridà dimensione e chiaroveggenza. Nell' «impenetrable soledad de la decrepitud», Úrsula Iguarán individua i valori dei componenti della sua famiglia, e se giunge alla conclusione che il colonnello Aureliano in realtà non aveva mai amato nessuno e aveva condotto tante guerre «por pura y pecaminosa soberbia»284, in quanto incapace d'amore, scopre anche tutto ciò che è stato positivo: vede in Amaranta, immagine apparente dell'insensibilità e della freddezza, la donna «más tierna que ha habido jamás»285, nella quale ha finito per trionfare una paura irrazionale del proprio «atormentado» cuore; in Rebeca, la vedova solitaria e ripudiata dal grembo della famiglia Buendía, la donna che dimostró la «valentía sin frenos»286 che avrebbe desiderato per la sua stirpe.

La stessa Fernanda riscatta negli anni del tramonto il suo cuore di «ceniza apelmazada»287, attraverso gli «embates» della nostalgia e si umanizza nella solitudine. Petra Cotes, a sua volta, era passata dall'odio per Fernanda alla compassione, finendo di nascosto per mantenerla nel periodo di crisi economica, con sacrificio di sé e dell'amante. Ma è soprattutto l'amore di Amaranta Úrsula e di Aureliano Babilonia a riscattare, benché votato a fine tragica, il valore del sentimento. In un mondo in cui domina l'odio, in cui l'amore è cancellato dalla routine o snaturato dall'interesse, la passione che domina i due giovani appare unica risorsa, nella totale dedizione, per resistere alla rovina, in tempi «de postrimerías, tiempos impenitentes y aciagos»288.

Nel clima apocalittico dell'uragano biblico Cien años de soledad conclude una vasta vicenda che va ben oltre il mondo macondiano: implica tutta la storia di un'umanità usurata dai giorni e dalle passioni, anche se in qualche modo si afferma una qualche finale speranza289.



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