Gómara detrattore di Colombo
Giuseppe Bellini
—41→
Ben diverso da
quello di Pietro Martire e di Bartolomé de Las Casas fu
l'atteggiamento di Francisco López de Gómara. Della
sua Hispania
Victrix, o Historia General de las Indias, che pubblica a
Saragozza nel 1552, la parte più celebre e continuamente
citata è la frase con cui il cronista, nella dedica a Carlo
V, definisce la scoperta dell'America «La mayor cosa
después de la creación del mundo, sacando la
encarnación y muerte del que lo
crió»
1.
Egli scriveva senza aver mai messo piede nel mondo americano, cosa
che gli fu rimproverata da molti altri cronisti, specie da
Garcilaso de la Vega, el Inca, per le molte inesattezze e
«menzogne» di cui riempie le sue pagine. Ma il fatto
che non fosse mai stato nelle Indie non voleva dire che la sua
«storia» dovesse per forza essere una menzogna. Egli
aveva avuto a sua disposizione ben altre fonti d'informazione,
certamente di parte, ma autorevoli, come lo stesso Hernán
Cortés, conquistatore del Messico, di cui era divenuto
cappellano. E tuttavia certo che egli dà un'interpretazione
molto personale dei fatti.
Nella Historia Gómara,
anzitutto, sottolinea una logica continuità tra la
Riconquista e l'impresa americana. Nella stessa dedica
all'imperatore afferma che «Comenzaron las conquistas de indios acabada la
de moros, por que siempre guerreasen españoles contra
infieles»
2,
e legittima, in questo senso, come una investitura divina, la
signoria di Carlo V sulle Indie e gli attribuisce anche grandi
responsabilità circa il futuro delle popolazioni e delle
terre americane:
«[...] otorgó la conquista y conversión el papa; tomastes por letra Plus ultra, dando a entender el señorío de Nuevo Mundo. Justo es, pues, que vuestra majestad favorezca la conquista y los conquistadores, mirando mucho por los conquistados. Y también es razón que todos ayuden y ennoblezcan las Indias, unos —42→ con santa predicación, otros con buenos consejos, otros con provechosas granjerias, otros con loables costumbres y policía.[...]».3 |
Ma soprattutto, se trascuriamo le a volte sconcertanti elucubrazioni cosmogoniche e scientifiche del cronista, è interessante vedere come egli interpreti vitalisticamente il desiderio umano di conoscenza. Dio ha messo a disposizione dell'uomo il mondo con i suoi segreti, perché egli li ricerchi e li conosca: la scoperta di un mondo nuovo è certamente uno di questi segreti, finalmente svelati dall'ardimento di chi ne ha fatto la scoperta. La pagina è di grande efficacia e proietta una luce viva su tutta la Historia, quelle dei tempi nuovi dell'intelligenza:
«Es el mundo tan grande y hermoso, y tiene tanta diversidad de cosas tan diferentes unas de otras, que pone admiración a quien bien lo piensa y contempla. Pocos hombres hay, si ya no viven como brutos animales, que no se pongan alguna vez a considerar sus maravillas, porque natural es a cada uno el deseo de saber. Empero unos tienen este deseo mayor que otros, a causa de haber juntado industria y arte a la inclinación natural; y estos tales alcanzan muy mejor los secretos y causas de las cosas que naturaleza obra; aunque, a la verdad, por agudos y curiosos que son, no pueden llegar con su ingenio ni propio entendimiento a las obras maravillosas que la Sabiduría divina misteriosamente hizo y siempre hace; en lo cual se cumple lo del Eclesiástico, que dice: "Puso Dios in disputa de los hombres, con que ninguno de ellos pueda hallar las obras que el mismo obra". Y aunque esto sea así verdad, según que también lo afirma Salomón, diciendo: "Con dificultad juzgamos las cosas de la tierra y con trabajo hallamos lo que vemos y tenemos delante", no por eso es el hombre incapaz o indigno de entender al mundo y sus secretos; ca Dios crió al mundo por causa del hombre, y se lo entregó en su poder, e puso debajo los pies, y, como Esdrás dice, los que moran en la tierra pueden entender lo que hay en ella; así que, pues Dios puso el mundo en nuestra disputa y nos hizo capaces y merecedores de lo poder entender, y nos dio inclinación voluntaria y natural de saber, no perdamos nuestros privilegios y mercedes».4 |
Con simili aperture da intellettuale moderno, ci aspetteremmo da Gómara un inno allo scopritore dell'America. Ma il cronista immediatamente ci delude, in questa Historia formata di brevi capitoletti, che si presenta piuttosto frettolosa e direi anche superficiale, e che tuttavia tanta —43→ fortuna ebbe, nonostante le critiche che le furono mosse fin dal suo primo apparire. Cristoforo Colombo non riscosse, è evidente, le simpatie di Gómara, forse perché straniero, mentre egli intese assolutamente ispanica la scoperta delle Indie.
Dopo aver
dissertato, a suo modo, sul mondo, uno e non molti, e aver spiegato
che tuttavia parlerà di Nuovo Mondo per intendere le Indie;
che il detto unico mondo è rotondo e non piano; che non
solamente è abitabile, ma è abitato -e qui una nuova
riflessione positiva: «No
se harta la curiosidad humana así como quiera, o que lo
hagan los hombres por saber más, o por no estar ociosos, o
porque (como dice Salomón) quieren meterse en honduras y
trabajos, pudiendo vivir
descansados»
5-;
che esistono gli antipodi e perché si chiamano così;
dove stanno e chi sono questi antipodi; che contro la comune
opinione dei filosofi esiste comunicazione con gli antipodi;
qual'è il posto della terra; che cosa siano i gradi; chi fu
l'inventore della bussola, eccetera; infine, stabilito
qual'è il posto delle Indie, nel XIII capitoletto
Gómara inizia a parlare della «prima scoperta»
delle Indie stesse, rispolverando con tutta serietà la
storia del pilota anonimo, enfatizzando il misterioso personaggio,
del quale rimpiange non ci sia giunto neppure il nome, e che,
secondo alcuni, era andaluso, secondo altri biscaglino, o anche
portoghese. Per il cronista è, comunque, certo che il
marinaio morì in casa di Cristoforo Colombo, «en cuyo
poder
-lo afferma con sicurezza- quedaron las escrituras
de la carabela y la relación de todo aquel largo viaje, con
la marca y altura de las tierras nuevamente vistas y
halladas»
6.
Ma chi era questo
Cristoforo Colombo? Il Gómara gli dedica il capitolo XIV, e
afferma che «era natural
de Cugureo, o como algunos quieren de Nervi, aldea de Genova,
ciudad de Italia muy nombrada»
7.
Riferisce poi che, secondo alcuni, discendeva dai «Pelestreles de Plasencia
de Lombardia»
8,
che fu marinaio, che stette per molti anni in «Suria y en otras partes
de levante»
, che poi fu «maestro de hacer cartas
de navegar»
, e aggiunge con furbizia,
«por do le nació
bien»
9;
quindi si stabilì in Portogallo, «por tomar razón
de la costa meridional de Africa y de lo —44→
más que portugueses navegaban para mejor haver y
vender sus cartas»
10
e dove si sposò; o forse ciò avvenne nell'isola di
Madera, «donde
pienso
-scrive- que vivía a la sazón que
llegó allí la carabela
susodicha»
11,
vale a dire quella del pilota anonimo.
Come si può
vedere, il «clérigo» di
Francisco López de Gómara non mostra simpatia per
Colombo, lo presenta come un personaggio teso a far danaro delle
sue conoscenze cartografiche, carpitore e sfruttatore di segreti
altrui. Nello stesso capitolo, infatti, il cronista afferma che il
futuro scopritore ospitò in casa sua il pilota, «el cual le dijo el viaje
que le había sucedido y las nuevas tierras que había
visto, para que se las asentase en una carta de marear que le
compraba»
12;
ma nel frattempo l'uomo morì, «y dejole la
relación, traza y altura de las nuevas tierras, y así
tuvo Cristóbal Colón, noticia de las
Indias»
13.
Colombo, quindi,
per Gómara, non ha merito alcuno nella scoperta delle Indie.
La tesi che egli sostiene veniva a tutto vantaggio, come sappiamo,
della corona spagnola e comunque rispondeva a un orgoglio
nazionalista che voleva spagnolo tutto il merito della scoperta e
della successiva conquista. È vero che il cronista riferisce
anche, per dovere d'onestà, «porque todo lo
digamos»
14,
come altri sostenessero che il Navigatore «fuese buen latino y
cosmógrafo»
e che avesse preso a
cercare le terre degli antipodi in base a fondata documentazione di
letture specifiche, da Marco Polo a Platone, da Aristotele a
Teofrasto15.
Nella sostanza, tuttavia, lo storico spagnolo non muta opinione;
ammette che Colombo fosse intelligente, ma nega assolutamente che
fosse dotto: «No era docto
Colón
-scrive-, mas era bien
entendido»
16.
La fonte prima della scoperta è sempre, per lui, il pilota
anonimo, e per confermare questa tesi si lascia andare a un
ragionamento a parer suo, evidentemente, convincente:
«Paréceme que si Colón alcanzara por ciencia dónde las Indias estaban, que mucho antes, y sin venir a España, tratara con genoveses, que corren todo el mundo —45→ por ganar algo, de ir a descubrirlas. Empero nunca pensó tal cosa hasta que topó con aquel español que por fortuna de la mar las halló».17 |
Nessun merito, quindi, a Colombo, ma neppure al pilota anonimo. Gómara intende, infatti, il ritrovamento delle Indie un evento prestabilito da Dio, che doveva verificarsi in ogni modo. L'uomo che avesse effettuato la scoperta era un puro strumento, e in ciò il cronista contraddice se stesso, in quanto poche pagine prima, come abbiamo indicato, aveva esaltato l'ardimento umano nella conoscenza del mondo.
Che Francisco
López de Gómara avesse poca simpatia, o comunque poca
stima degli italiani, lo rivela anche un altro particolare: nel
capitolo XV, intrattenendosi, direi con «desparpajo», sulle
difficoltà del Genovese nel reperire appoggi e fondi per la
sua impresa -che sempre ricollega alle informazioni del pilota
anonimo-, il cronista afferma che alle sue parole né il duca
di Medina-Sidonia, né quello di Medinaceli prestarono fede,
poiché «entrambos
duques tuvieron aquel negocio y navegación por sueño
y cosa de italiano burlador»
, e ciò
era avvenuto anche con i re d'Inghilterra e di Portogallo. Non si
comprende, allora, perché i due menzionati duchi incoraggino
il futuro Scopritore a recarsi alla corte dei Re Cattolici. Forse
perché più ingenui o più disponibili a burle?
Scrive Gómara che essi «holgaban de semejantes
avisos»
18.
Cosciente o no di
quel che dice, il cronista spagnolo supera se stesso. Resta ad ogni
modo assodato che per lui Colombo non ha meriti, neppure
nell'allestimento dell'impresa, se lo storico torna ad affermare,
con adeguata sottolineatura, l'intervento economico, e il
sacrificio, dei Re Cattolici, sia pure attraverso un ingente
prestito di Luis de San Angel, «su escribano de
ración»
, che gli prestò
«seis cuentos de
maravedís, que son, en cuenta más gruesa, diez y seis
mil ducados»
, dato che le casse reali erano
vuote19.
Parzialità, questa, evidente, poiché oggi sappiamo
che gran parte del costo finanziario dell'impresa colombiana fu
assunto dai mercanti genovesi presenti in Andalusia, alcuni dei
quali potenti a corte20.
Fedele all'impegno
di togliere merito a Colombo, Francisco López de
Gómara scrive della scoperta delle Indie, nel capitolo XVI,
badando a sottolineare che il Navigatore «siguió la derrota
que tenía por memoria»
21,
quella, appresa, cioè, dal pilota anonimo. Il desiderio di
svilire la figura di Colombo porta il cronista a falsare la
realtà storica: non è l'equipaggio ad avere paura, ad
un certo punto, durante il primo viaggio, e a voler abbandonare
l'impresa, ma lo stesso Navigatore, il quale, lasciata la Gomera,
«a cabo de muchos
días topó tanta yerba, que parecía prado, y
que le puso gran temor, aunque no fue de peligro; y dicen que se
volviera, sino por unos celajes que vio muy lejos,
teniéndolos por certísima señal de haber
tierra cerca de allí»
22.
Vi è poi il
particolare dell'avvistamento della terra americana, l'11 ottobre
1492, da parte di Rodrigo de Triana: gli sarebbe toccata una
ricompensa, che né Colombo né i sovrani gli diedero
mai. Di qui le conseguenze che il Gómara non manca di
enfatizzare, alla fine del capitolo XVII, allorché tratta,
per contrasto, delle mercedi e degli onori dei sovrani allo
Scopritore al suo ritorno: «Y así el marinero de Lepe se
pasó a Berbería, y allá renegó de la
fe, porque ni Colón le dio albricias ni el rey merced
ninguna, por haber visto él primero que otro la flota lumbre
en las Indias»
23.
Colombo, invece,
trionfava: sulla strada da Palos, dove era sbarcato, a Barcellona,
dove i Re si trovavano in quel momento, «fue muy honrado y
famoso, porque salían a verle por los caminos a la fama de
haber descubierto otro mundo, y traer de él grandes riquezas
y hombres de nueva forma, color y
traje»
24.
Il 3 aprile egli fa il suo ingresso a corte, «con mucho deseo y
concurso de todos»
25.
Reca un'infinità di cose che stupiscono tutti, in
particolare i pappagalli, che tutti ammirano per la novità e
bellezza dei colori: «unos
muy verdes, otros muy colorados, otros amarillos, con treinta
pintas de diversa color; y pocos de ellos parecían a los que
de otras partes se traen»
26.
Tra tanta festa un
solo punto nero, che provoca la reazione dei cattolici sovrani:
«No pudieron sufrirse
cuando oyeron que allá, en aquellas islas y tierras nuevas,
se comían unos hombres a otros, y que todos eran
idólatras»
27;
con il conseguente fermo proposito di intervenire: «y prometieron» si
Dios les daba vida, de quitar aquella abominable inhumanidad y
desarraigar la idolatría en todas las tierras de Indias que
a su mando viniesen»
28.
Commenta
l'edificato cronista: «voto
de cristianísimos reyes y que cumplieron su
palabra»
29.
E ben sappiamo come la compirono.
E, in ogni modo,
una festa generale entusiasmante. Gómara rivive
efficacemente il momento. Dice di come Cristoforo Colombo fu fatto
sedere davanti ai sovrani e non manca di porre in evidenza «que fue gran favor y
amor; ca es antigua costumbre de nuestra España estar
siempre en pie los vasallos y criados delante del rey, por
acatamiento de la autoridad
regia»
30.
Allo Scopritore sono confermati i privilegi pattuiti, gli vien dado
il titolo e compito di Ammiraglio delle Indie e al fratello
Bartolomeo quello di Adelantado. E poi lo scudo, con la seguente
divisa: «Por Castilla y por
León/ Nuevo Mundo halló
Colón»
; per il che assale lo storico
un sospetto, «que la reina
favoreció más que el rey el descubrimiento de las
Indias»
, sospetto che viene rafforzato dal
fatto che essa «no
consentía pasar a ellas sino a castellanos; y si
algún aragonés allá iba, era con su licencia y
expreso mandamiento»
31.
Le Indie, infatti, erano, e rimasero, patrimonio della corona di
Castiglia.
Nel capitolo di
cui abbiamo trattato sembrerebbe scomparsa, di fronte al successo,
l'antipatia per Cristoforo Colombo. Ma nel capitolo XX, dove
Gómara parla del ritorno nelle Indie dello Scopritore, il
cronista insiste sulla negatività del governo di Bartolomeo
alla Española e sulla durezza delle misure prese da Colombo,
al suo ritorno, contro gli spagnoli. L'intervento di frate Boyl
appare giustificato, e infine l'arrivo di Juan de Aguado,
«repostero» dei Re, decide
della sorte dei due, inviandoli «como
presos»
32,
si limita a dire Gómara, in Spagna. E qui è la
ricchezza —48→
dei doni, sembra voler insinuare il cronista, gran
conoscitore dell'animo umano -tanto più che il suo padrone,
Cortés, aveva fatto lo stesso-, che rende benigni i sovrani,
oltre alle meraviglie che lo Scopritore racconta delle terre
americane, della loro bellezza e fertilità. Non vi è
castigo, quindi, ma solo ammonimento a che «se hubiese de
allí adelante mansamente con los españoles que los
iban a servir tan lejos tierras»
, e poi
ancora «armáronle
ocho naves con que tornase a descubrir más, y llevase gente,
armas, vestidos y otras cosas
necesarias»
33.
Un avvertimento serio, comunque, quello dei Re e, sembrerebbe, pienamente condiviso da Gómara: tenesse sempre presente Colombo che era uno straniero e che aveva a che fare con spagnoli, vale a dire con i veri padroni di quanto lui aveva e avrebbe scoperto.
Nella Historia General de las
Indias un brevissimo capitolo, il XXI, è dedicato al
terzo viaggio colombiano, solo una mezza paginetta, dove l'unica
cosa da rimarcare è l'insistenza con cui il cronista fa
risalire ai sovrani l'onere finanziario delle spedizioni
colombiane34.
E ciò, certamente, per dar man forte alla causa regia contro
i Colombo, intesa a ridurre di molto i loro privilegi e vantaggi.
Alle «dolencias», guerre e
vittorie degli spagnoli sugli indigeni, «por defender sus
personas y pueblos»
35,
giusta guerra, quindi, è dedicato il capitolo XXII, ma non
vi sono in esso apprezzamenti rilevanti sull'Ammiraglio. Di maggior
interesse per il nostro argomento sono i tre capitoli successivi.
Nel XXIII, Gómara tratta della prigionia di Cristoforo
Colombo, e subito sale alla superficie la sua antipatia per lui e
per il fratello, due stranieri che si permettono di trattare
duramente gli spagnoli, provocando in essi una legittima
reazione.
Egli afferma,
infatti, che, con la vittoria sul re Guarionex e il prospero corso
delle cose, del fratello e proprie, «Ensoberbióse
Bartolomé Colón»
, e
perciò «no usaba de
la crianza que primero con los españoles, por lo cual se
agraviaba mucho Roldan Jiménez, alcalde mayor del almirante,
y no le dejaba usar de poder absoluto, como quería, contra
su cargo y oficio»
36.
Il cronista intende, con questo, giustificare l'operato di
—49→
«uno scellerato», come lo aveva definito Pietro
Martire, capo di una banda di violentatori e assassini, con le
parole dell'Anghiera37
e lo fa probabilmente solo perché mosso da spirito
nazionalistico. La colpa della ribellione è, di conseguenza,
addossata unicamente a Bartolomeo Colombo; i due finiscono per
litigare, e Gómara non esita a insinuare che «aun dicen que
Bartolomé Colón le amagó o le
dio»
38;
di qui la decisione di Roldan di «allontanarsi»,
è tutto, da uomo tanto dispotico e manesco, ma protestando
sempre fedeltà al re. Scrive Gómara:
«Y así se apartó de él con hasta setenta compañeros, que también ellos estaban sentidos y quejosos de los Colón; empero protestaron todos que no se iban por deservir a sus reyes, sino por no sufrir a genoveses; y con tanto se fueron a Jaragua, donde residieron muchos años. Y después, cuando Cristóbal Colón lo llamó, no quiso ir, y así lo acusó de inobediente, desleal y amotinador, en las cartas que sobre ello escribió a los Reyes Católicos, diciendo que robaba a los indios, forzaba las indias, acuchillábalos vivos y hacía otros muchos males; y también que le había tomado dos carabelas como iban cargadas de España, y detenidos los hombres con engaños [...]».39 |
Alle accuse di Colombo ai sovrani, Roldan e i suoi controbattono con altre accuse rivolte a tutti i fratelli. Gómara le raccoglie e le elenca con fruizione e di nuovo torna a galla l'insofferenza verso i «genovesi». Affermava il rivoltoso, secondo Gómara, e si sottintende a ragione, che i Colombo
«[...] se querían alzar con la tierra; que no dejaban saber las minas ni sacar oro sino a sus criados y amigos; que maltrataban los españoles sin causa ninguna, y que administraban justicia por antojo más que por derecho, y que había el almirante callado y encubierto el descubrimiento de las perlas que halló en la isla de Cubagua, y que se lo tomaban todo y a nadie daban nada, aunque muy enfermos y valientes fuesen. [...]».40 |
—50→
Lo sdegno dei
sovrani è messo in conveniente risalto: «Enojose mucho el rey de
que anduviesen las cosas de Indias de tal manera, y la reina mucho
más»
, di modo che inviarono
Francisco de Bobadilla come governatore «con autoridad de
castigar y enviar presos a los
culpados»
41.
Come se assistesse a una giustizia esemplare, Gomara evoca
compiaciuto che là giunto il nuovo governatore, dopo
un'indagine che dovette essere più che rapida,
imprigionò gli incriminati Colombo: «Echoles grillos y
enviólos en sendas carabelas a
España»
42.
I re, saputo che erano giunti a Cadice «enviaron un correo que
los soltase y que viniesen a la
corte»
43.
Non vi è nel cronista nessuna presa di coscienza della
drammaticità, e dell'ingiustizia, del caso, né egli
si preoccupa di prestare ai sovrani, come aveva fatto Pietro
Martire, una più viva sensibilità, convinto che
devono essere solo giustizieri. Essi ascoltano «piadosamente» le
«disculpas» di Colombo, che
Gómara si compiace di presentare «revueltas con
lágrimas»
44.
Non vi è compassione, moto umano, nel cronista: Colombo
è colpevole e lo dimostra il fatto che i re lo allontanano
dal governo delle terre che ha scoperto, giusta punizione, sembra
implicito, per chi, straniero, aveva creduto di potersi elevare al
disopra degli spagnoli.
Il racconto dei disastri del quarto viaggio colombiano, nel capitolo XXIV, sembra voler essere conseguenza diretta del cattivo modo di agire dei Colombo, una sorta di punizione, con l'aggravante che, per la prima volta, nelle Indie, sostiene il cronista, si ha una vera e propria battaglia tra spagnoli, allorché i Colombo devono opporsi agli uomini di Porras, che vincono45.
Al ritorno in
Spagna dell'Ammiraglio avviene la sua morte. Gómara non si
cura neppure di precisare il giorno in cui il luttuoso avvenimento
si verifica: fu «por
mayo de 1506»,
indica
sbrigativamente46.
Non v'è dubbio che il Navigatore fosse ormai un
sopravvissuto a se stesso e alla sua gloria, ma non scopriamo nel
cronista alcuna emozione. Anzi, nel breve ritratto che egli fa del
personaggio si mostra astioso e ancora sottolinea come, nella
sostanza, la Spagna non gli debba nulla, perché tutto fu
—51→
compiuto a spese della corona, che adeguatamente
ricompensò quello che per Gómara rimase sempre solo
un «prestatore d'opera»:
«Era hombre de buena estatura y membrudo, carilenguo, bermejoso, pecoso y enojadizo, y crudo, y que sufría mucho los trabajos. Fue cuatro veces a las Indias, y volvió otras tantas; descubrió mucha costa de Tierra-Firme; conquistó y pobló buena parte de la isla Española, que comúnmente dicen Santo Domingo. Halló las Indias aunque a costa de los Reyes Católicos; gastó muchos años en buscar con qué ir allá. Aventurose a navegar en mares y tierras que no sabía, por dicho de un piloto, y si fue de su cabeza, como algunos quieren, merece mucha más loa. Como quiera que a ello se movió, hizo cosa de grandísima gloria; y tal que nunca se olvidará su nombre, ni España le dejará de dar siempre las gracias y alabanza que mereció, y los Reyes Católicos don Fernando y doña Isabel, en cuya aventura, nombre y costa hizo el descubrimiento, le dieron título y oficio de almirante perpetuo de las Indias, y la renta que convenía a tal estado y tal servicio como hecho les había y a la honra que ganó. [...]».47 |
Non contento, il
cronista ritorna ad accusare Colombo di responsabilità gravi
nella gestione del governo all'Española, spezzando ancora
una lancia in favore dell'innocenza di Roldan e di coloro che con
lui si erano ribellati allo straniero. Egli sembra sottolineare
quasi con compiacimento le avversità del Navigatore, il
particolare negativo che fu fatto due volte prigioniero e «la una con
grillos»
, così come con trasparenti
intenzioni denigratorie denuncia che «fue malquisto de sus
soldados y marineros»
, e per questo gli si
ammutinarono Roldan Jiménez, Francisco e Diego Porras. Ma,
fatto ancor più grave, Colombo giunse persino ad uccidere
alcuni spagnoli nella battaglia contro i fratelli Porras. E
tuttavia, malgrado tutto, a Francisco López de Gómara
non doveva sfuggire la grandezza dell'uomo, se alludendo alla
immensa biblioteca, «doce
o trece mil libros»
, raccolti dal figlio
Fernando e in possesso, al momento, dei domenicani di San Pablo di
Siviglia, afferma che «fue
cosa de hijo de tal padre»
48,
omaggio estremo da parte di chi nella sua Historia non aveva risparmiato nulla
allo Scopritore.