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Leggenda e realtà in «Hijo de hombre», di Augusto Roa Bastos

Giuseppe Bellini






I. Premessa

Le «apologetiche istorie», libri o saggi, che trattano della letteratura ispano-americana, giunte agli anni più recenti menzionano spesso solo di sfuggita il nome di un narratore di tanto rilievo qual'è il paraguaiano Augusto Roa Bastos. Ciò, nonostante qualificate valutazioni di alcuni critici, in particolare di Hugo Rodríguez-Alcalá e di Seymour Menton1. Il gran pontefice del «nuovo romanzo» ispano-americano, lo scrittore messicano Carlos Fuentes, pur dedicando anch'egli poche righe all'autore di cui ci occupiamo, e menzionando appena il suo libro, Hijo de hombre, riconosce in lui uno di quei narratori che, con Rulfo e García Márquez, «convierten en literatura mítica los temas tradicionales del hinterland»2.

Questi scrittori rivoluzionano l'atteggiamento tradizionale del romanzo ispano-americano, dominato dal regionalismo e dal tellurismo -massimi esponenti Eustasio Rivera e Rómulo Gallegos- per affrontare da un angolo visuale diverso, di maggiore universalità, la complessa condizione dell'uomo americano, non tipicizzato e isolato nel suo confine geografico, ma restituito al mondo3.

Per il Fuentes, Augusto Roa Bastos è già un'espressione, in sostanza, del nuovo romanzo, che supera il realismo in una decantazione mitica. Non si dimentichi che Hijo de hombre apparve nel 1959, in un momento in cui la letteratura ispano-americana stava cercando vie nuove, che superassero il realismo protestatario, in una dimensione inedita.

Il riconoscimento del Fuentes è un dato positivo di partenza nel giudizio sul romanzo di Roa Bastos4. Nel panorama poco noto, e non certo ricco di nomi, della letteratura paraguaiana - lo scrittore ne ha spiegato i motivi in un saggio appassionato5-, è logico che Hijo de hombre si presenti come un'opera di grande rilievo. Mario Benedetti, partendo da questa dimensione, giudicava proprio per questo libro, già nel 1961, che il nome di Roa Bastos, con quello di Gabriel Casaccia, era uno dei pochi «exportables» nell'ambito della narrativa paraguaiana contemporanea6.

L'affermazione di Benedetti potrebbe sembrare una valorizzazione in realtà limitativa, che fa spiccare il nome del narratore su uno sfondo letterario comunque scialbo, soprattutto per quanto attiene alla narrativa. Ma non è questa l'intenzione del critico. Infatti il romanzo di Roa Bastos va giudicato non su un piano nazionale, ma continentale. Lo scrittore, del resto, usci presto dall'ambito paraguaiano, pur rimanendovi legato spiritualmente7; egli si formò nell'esilio, a Buenos Aires, in un mondo di vaste esperienze letterarie, ben aperto sul continente e sull'Europa. Come per Miguel Ángel Asturias, e forse con più ragione ancora, dato l'isolamento maggiore in cui Roa Bastos visse, e vive, dal suo paese, la sua opera entra in un contesto continentale, al quale apporta, con la sensibilità dell'esiliato, la testimonianza di un mondo misconosciuto, come isolato nel cuore stesso del Sudamerica, non tanto per ragioni geografiche, quanto per il ricorrere di crudeli satrapie politiche.




2. La struttura del libro

Con Hijo de hombre, che segue a sei anni di distanza la raccolta di racconti El trueno entre las hojas (1953)» libro che già aveva richiamato l'attenzione della critica8, Augusto Roa Bastos dà la misura esatta delle sue qualità vigorose di romanziere. In seguito verranno altre raccolte di racconti, da El baldío (1966) a Los pies sobre el agua (1967), Madera quemada (1967) e Moriencia (1969) che confermeranno il valore della sua narrativa9. Ma il romanzo citato è quanto di più valido e permanente lo scrittore abbia prodotto nel campo letterario, il libro in cui le sue qualità di narratore appaiono in una gamma più estesa di sfumature, che ne sottolineano, con la novità e l'originalità, l'alta e raffinata coscienza estetica allusa dal Rodríguez-Alcalá10

Con Hijo de hombre l'apporto di Roa Bastos al rinnovamento della narrativa ispano-americana è concreto, anche senza toccare il tema delle possibili influenze su altri narratori del continente oggi in gran voga11. La «intrahistoria» del Paraguay -come l'ha definita Hugo Rodríguez-Alcalá12-, il romanzo del «dolor paraguayo» -secondo l'espressione di Mario Benedetti13-si costruisce con un'originalità artistica nella quale confluiscono molteplici componenti: le esperienze del modernismo e dell'avanguardia, le vaste tetture, da Proust a Kafka, a Joyce, gli apporti della psicoanalisi, con la psicologia del profondo e lo studio del subcosciente- le ha sottolineate esattamente Cesco Vian14- e in particolare la lezione del cinema, appresa ed esplicata dal Bastos come regista e «guionista», e della quale si avvale per efficaci flash back.

La stessa struttura del romanzo è nuova. Essa si fonda non su una serie di capitoli tradizionali, ma su nove capitoli con un'autonomia propria e richiami a eventi e situazioni verificatisi o futuri, a personaggi appena accennati o già definiti, o comunque che si definiranno nel volgere delle vicende, a presenze leggendarie o reali che sottintendono una lunga orma nella sensibilità e nella storia intima del materiale umano impiegato e del paese. È una trama sottile, capillare, che si aggancia al futuro e al passato, che si radica nel presente; molto più valida dell'artificio del protagonista narrante -il tenente Miguel Vera-, la cui parte di filo conduttore si rivela chiaramente solo alla fine del libro, allorché il narratore fa intervenire un nuovo personaggio, la dottoressa Rosa Monzón, che con una lettera finge di inviare allo scrittore gli appunti del Vera in suo possesso, onde riscattare, attraverso pubblicazione di essi, la dignità del suo paese15.

Dal punto di vista sentimentale questo intervento si spiega: Roa Bastos intende reagire alla rimproverata passività del suo popolo di fronte al perpetuarsi della dittatura e ne dà la giustificazione nelle distruzioni sofferte dalla sua gente nel corso delle guerre che hanno sconvolto il paese, mentre ne attesta lo spirito indomito, ma sfortunato nei risultati, attraverso le numerose rivolte. Al tempo stesso egli sembra indicare nel tenente Vera la responsabilità dell'uomo di maggior cultura, se non dell'intellettuale, nell'incapacità di intraprendere un'azione decisamente orientatrice.

Nell'economia del romanzo, tuttavia, è difficile riconoscere validità all'artificio quale mezzo per conservare unità al romanzo. Non a torto il Sommers denuncia nell'espediente alluso la debolezza strutturale dell'opera e considera negativa l'apparizione del «supuesto narrador y posible motivo amoroso», il cui risultato è di sconcertare il lettore, così che il finale è qualcosa che non offre la «necesaria consonancia» col resto del romando16.

Il fatto, poi, che la voce del Vera si manifesti solo nei capitoli dispari, ha indotto un critico, il Foster, a proporsi il problema del «punto di vista narrativo» nell'opera, e a concludere che esistono due narratori, uno il Vera denunciato alla fine, l'altro Roa stesso, o il Cristo, o «qualsiasi Dio» che Roa possa accettare, «con el fin de que percibamos la diferencia entre el punto de vista mítico, y el punto de vista lastimosamente inadecuado de los Vera»17.

Nella realtà dei fatti il problema si risolve da solo, a mio parere, ed è il lettore che istintivamente salva l'unità del romanzo. Le pagine finali sono, infatti, un'aggiunta alla quale non dà peso e che si affretta a eliminare, di fronte all'impressione radicata che non esista che una voce sola, quella del narratore, Roa Bastos, al tempo stesso testimone delle vicende che racconta, una sola cosa con il tenente Vera. L'artificio finale può essere inteso solo come un maldestro tentativo per «despistar», ma la sostanza rimane, ed è un atteggiamento dolente, sofferto, la partecipazione agonica dello scrittore al dramma del suo paese. Cogliamo tale atteggiamento fin dal primo intervento senza paternità dichiarata -il nome del tenente, la sua presenza, si fanno largo in pagine successive-, intervento che il lettore attribuisce immediatamente al narratore:

Yo era muy chico entonces. Mi testimonio no sirve más que a medias. Ahora mismo, mientras escribo estos recuerdos, siento que a la inocencia, a los asombros de mi infancia, se mezclan mis trahiciones y olvidos de hombre, las repetidas muertes de mi vida. No estoy reviviendo estos recuerdos; tal vez los estoy expiando18.



È facile ravvisare in questi accenti il tormento dell'esiliato Roa Bastos. Il libro è da intendersi, perciò, come continua confessione di un uomo che di fronte alla situazione del suo paese ritiene di essere in colpa, anche se non lo è in realtà; una confessione autobiografica in cui l'autobiografia perde i contorni concreti in un clima mitico e leggendario. È un problematico indagare in se stesso, senza trionfalismi, senza sfoggio di rettorica «patriotera» o redentrice delirante. La condizione paraguaiana è vissuta da Roa Bastos dall'interno. Vera è solo un tentativo per difendere, da parte dello scrittore, la propria intimità.

Esiste anche in Roa Bastos, perciò, un dualismo, quello stesso che si manifesta in tutti i personaggi, in tutte le situazioni di Hijo de hombre, sottolineate con acutezza anche nel loro significato simbolico dal Mentón19. Il personaggio Roa Bastos è, al tempo stesso, il tenente Miguel Vera e il descrittore degli avvenimenti presentati nei capitoli pari, nei quali scompare la partecipazione diretta; il corso della memoria, la riflessione «problematica» si arrestano, apparentemente, per far luogo solo a un affresco dalle linee marcate. Ma tutto il romanzo è un grande affresco della storia intima del Paraguay, potentemente illuminata dai flash black con cui lo scrittore mette a fuoco, in una commistione complessa di dati temporali, la scena nazionale attraverso il tempo. E il tempo è, nella sua dimensione più ampia e diffusa, una delle realizzazioni più valide dell'opera. Roa Bastos spazia, infatti, nella storia umana del suo paese, facendo perno soprattutto sulla guerra del Chaco del 1932-35, alla quale partecipò -e lo attesta anche il diario del tenente Miguel Vera, intercalato nel corpo del romanzo-; ma nelle allusioni e nei riferimenti questo dato temporale centrale è superato da ogni lato, raggiungendo gli anni della «Triplice Alleanza», vale a dire il 1865-70, e, più oltre ancora, nell'evocazione de «El Supremo» e dell'imposizione della «Dictadura Perpétua», l'epoca del Dottor Gaspar Rodríguez de Francia, gli anni, cioè, 1812-1840.

Al percorso a ritroso nel tempo si accompagna l'attualizzazione del futuro, sul quale il presente si proietta fortemente con le note dell'ingiustizia, dell'oppressione, e quindi della rivolta. Il libro si chiude, infatti, con la ripetizione di un panorama costante nella storia del Paraguay. Finita la guerra riprende rilievo l'ingiustizia, e di qui lo scontento popolare:

Las montoneras vuelven a pulular en los bosques. El grito de ¡Tierra, pan y libertad!... resuena de nuevo sordamente en todo el país y amanece «pintado» todos los días en las paredes de las ciudades y los pueblos con letras gordas y apuradas20.



In Hijo de hombre ogni episodio, ogni periodo è parte di un'unica storia, quella vitale del Paraguay nel periodo della sua indipendenza, ma con un aggancio anche all'epoca vicereale, rappresentata nella prima pagina del libro, trattando della fondazione di Itapé, dall'allusione al «Virrey achacoso» che ne doveva aver stabilito con leggerezza la nascita, limitandosi ad appoggiare l'unghia sulla carta geografica, in un'immensità «desconocida y vacía, despreocupado de las penurias y del sudor que empezaba a nacer [...]»21.

È questo l'inizio di un destino drammatico che caratterizzerà, sotto il segno della distruzione e della sofferenza, nel tempo, non solo il villaggio in questione, ma tutta la nazione paraguaiana. Il peso di una storia che il lettore ben conosce grava, con le sue cifre terrificanti, sulle allusioni temporali fatte dal romanziere. La guerra della «Triplice Alleanza» contro i López, dittatori di turno, dissanguò, infatti, il paese; informa lo stesso Roa Bastos che lo sterminio fu quasi totale: del 1.500.000 abitanti «sólo quedaron medio millón de mujeres, ancianos, niños e inválidos»22; e il Féraud specifica che dei superstiti solo ventottomila individui erano maschi superiori ai quindici anni23.

Le rivoluzioni che seguirono, la guerra del Chaco, nuove rivoluzioni, non fecero che accentuare la drammaticità della situazione paraguaiana. Non meraviglia, perciò, che il protagonista-testimone, Miguel Vera, si esprima in termini disperati, alla fine del romanzo:

Alguna salida debe haber en este monstruoso contrasentido del hombre crucificado por el hombre. Porque de lo contrario sería el caso de pensar que la raza humana está maldita para siempre, que esto es el infierno y que no podemos esperar salvación. Debe haber una salida, porque de lo contrario...24.






3. La dimensione leggendaria

La trama sottile delle allusioni e dei richiami -«pulsioni sovratemporali che anticipano l'avvenire, o protraggono il passato», le ha definite, a proposito di Cien años de soledad, Cesare Segre25 attraverso i quali Roa Bastos costruisce l'unità di Hijo de hombre, se da un lato dimensiona concretamente la scottante materia di cui tratta, dall'altro proietta tale materia, la sua realtà sensibile, in una misura leggendaria che la esalta.

Nel libro esistono due riferimenti che si ripresentano in modo quasi ossessivo attraverso i vari capitoli: l'uno è di sostanza fantastica, la cometa, l'altro assai reale, la spaventosa esplosione del treno avvenuta nella stazione di Sapukai.

L'apparizione della cometa nel cielo del Paraguay è un fatto anch'esso concreto, in verità: si tratta della Halley, che apparve per l'ultima volta nel 191026. Tuttavia lo scrittore rifugge dalla individuazione temporale esatta, disancora l'avvenimento dalla data certa, ampliando la suggestione e il significato del fenomeno. Nella sensibilità popolare paraguaiana -ma sappiamo che significato abbia assunto nell'animo popolare l'apparizione di una cometa, come segno funesto- esiste, profondamente impresso, a colori terrificanti, un «año del cometa». Tale anno diviene nel romanzo, per la gente che in esso si muove, un dato costante di riferimento. Dall'apparizione della cometa, in effetti, sembra segnata tutta la storia dolente del paese; il destino di Sapukai non fa che confermarlo, col riferimento alla cattiva stella sotto la quale il villaggio fu fondato:

Desde el momento mismo de su fundación, el año del cometa, parecía cargar sobre sí un destino aciago27.



In Hijo de hombre l'apparizione della cometa costruisce un'atmosfera terrificante che domina tutte le vicende umane. La sua presenza perdurante nell'animo popolare permette a Roa Bastos di saldare tra loro agevolmente le diverse epoche storiche, quella che inizia con Francia, quella dei López, gli anni del Chaco e l'epoca più recente (che, secondo Rodríguez-Alcalá, giunge fino al 1959, anno in cui Hijo de hombre fu premiato28, ma che in realtà si proietta concretamente anche sul tempo attuale). Apparsa sul piccolo villaggio di Itapé, dove vive Macario Francia -forse «hijo mostrenco» de «El Supremo»-, che rappresenta la «memoria viviente del pueblo»29, la cometa agita e sconvolge il fondo superstizioso dell'anima paraguaiana. La «Guerra Grande», quella della Triplice, che strazia il paese sotto i López, è, in sostanza, il risultato dell'influsso funesto del fenomeno celeste. La siccità che opprime Itapé, scatenando l'egoistica ansia di sopravvivenza dei suoi abitanti, -che li spinge persino a dimenticare il musico lebbroso Gaspar Mora, ritiratosi nella selva-, è anch'essa conseguenza dell'apparizione della cometa. La nozione del tempo si fa vaga, sfuma in un clima mitico, leggendario:

Por ese tiempo fue cuando el cometa apareció en el cielo y acercó desmesuradamente a la tierra su inmensa cola de fuego.

Cundió el pánico. Era el anuncio resplandeciente del fin del mundo.

La nueva terrible del castigo se amplificaba en la iglesia, entre las lamentaciones y los rezos. De eso me acuerdo bien.

Nos olvidamos de Gaspar Mora, solo en el monte.

Después empezó la sequía, como si el ardiente resuello del monstruo hubiese secado toda el agua de la tierra y del cielo30.



Il fenomeno assume dimensione irreale e apocalittica; il «fuego aciago del cometa»31 incombe sul romanzo come qualcosa di mostruoso, seminatore di morte: esso segna dall'alto, con la sua onnipresenza maligna, il desolato destino dell'uomo.

Il fatto concreto dell'esplosione del treno carico di rivoluzionari, nella stazione di Sapukai, è una manifestazione di questo «destino aciago» annunciato dalla cometa. Esso costituisce nel libro un richiamo che riaffiora, con la sua tragica presenza, da ogni parte, assumendo dimensioni ancor più grandi della realtà, divenendo, nel tempo e nell'immaginazione popolare, anch'esso un elemento mitico.

Nel secondo episodio del romanzo, «Madera y carne» -dove si tratta del lebbroso Gaspar Mora, del Cristo di legno da lui intagliato, quindi, alla sua morte, venerato su di un monte che rassomiglia al Calvario- la spaventosa scena del treno investito da una locomotiva «gubernista» carica di esplosivo, viene presentata da Roa Bastos come uno dei molti disastri della guerra. Con la medesima tecnica che egli impiega in tutti i racconti, dapprima menzio na il fatto come già accaduto, poi, più tardi, ne proietta l'attualità drammatica, quindi continua a farvi allusione. Presente, passato e futuro si fondono continuamente, sia nella menzione delle cose che dei personaggi, che si muovono, perciò, su un piano temporale assai vasto e sfumato. Gli uomini che, all'inizio di «Madera y carne» stanno riempiendo la fossa scavata dall'esplosione del treno32, appartengono a un tempo presente che si fonda su un passato di cui si ha la spiegazione in pagine successive33. È un presente remoto che mantiene fermi i suoi contorni. L'attualità temporale si confonde con il passato, che continua a essere punto di riferimento, sempre vivo attraverso lo svolgersi del tempo cronologico, ma con contorni che accentuano la drammaticità dell'episodio, circondandolo di un alone di leggenda. A questo clima mitico Roa Bastos perviene insistendo sul significato che il tradimento del telegrafista di Sapukai -oggi per ricompensa capo politico del paese assume per la storia del Paraguay, sulla presenza costantemente viva dei morti innocenti nella fossa misteriosamente incancellabile. Il treno, infatti, torna a passare sui binari riattivati sopra l'enorme cratere dell'esplosione, sostenuti da pilastri che si rivelano malfermi sulle loro fondamenta, o che almeno tali sembrano per le vibrazioni che scuotono il convoglio.

Roa Bastos anima le cose dando ad esse dimensioni fantastiche di stimolo ossessivo per l'animo popolare. I lunghi anni impiegati, a colmare la fossa pongono in rilievo la profondità di una ferita non facilmente rimarginabile nella storia umana del paese, e danno alla fossa stessa e ai suoi morti un significato simbolico. Come Miguel Ángel Asturias ne Los ojos de los enterrados (il romanzo dello scrittore guatemalteco è posteriore, però, a quello di Roa34) il narratore ci fa intendere che i morti non si acquieteranno finché il paese non avrà raggiunto la libertà. Misteriosamente, infatti, i materiali di riempimento sembrano disperdersi per fenditure segrete:

Puede ser que el relleno se vaya sumiendo por grietas hondas y haya que seguir echando más, hasta que ese pueblo de muertos enterrado bajo las vías, se aquiete de una vez35.



In altro modo non si spiega il lungo tempo che occorre per colmare il cratere dell'esplosione. I morti permangono presenze drammatiche e incancellabili nella storia del paese, sul trascorrere del tempo, perché gravano sullo spirito:

Pese a los años, a las refecciones, al cráter por fin nivelado, las huellas no acababan de borrarse. Sobre todo las que estaban dentro de cada uno36.



Neppure quando, in epoca più tarda, il villaggio teatro della catastrofe viene rabberciato i segni scompaiono del tutto; anzi, altri misteriosi e simbolici compaiono, tra essi l'orologio piazzato sulla torre della chiesa ricostruita, che segna le ore all'indietro, a perpetuazione del «trastorno»:

[...] hasta un reloj mandaron traer de Asunción, un extraño reloj que marcaba las horas hacia atrás, porque el albañil lo empotró en la torre al reves37.



La realtà dell'accaduto si carica di una serie inquietante di suggestioni. Nella «fabulación» della gente «esa cosa tan terribile de la que aún se hablaba a lo largo de la vía férrea»38, «la terrible masacre»39, continuava viva.

Di tanto in tanto, tornando a menzionare l'accaduto, Roa Bastos aggiunge nuovi dettagli alla scena, ampliando ancora più le dimensioni, realtà e leggenda, dell'ora in cui Sapukai fu «agujereado salvajamente por las bombas»40.

Nell'intrecciarsi dei piani temporali, ma in sostanza seguendo fondamentalmente uno sviluppo cronologico, gli elementi magici e leggendari si arricchiscono di un nuovo dato collegato strettamente all'esplosione. Si tratta del movimento misterioso di un vagone bruciacchiato, lanciato dallo scoppio alla periferia del villaggio, dove la gente ha finito per dimenticarlo, come cosa morta. Con l'arrivo di Casiano Jara -sfuggito dopo lunghe traversie, con la moglie e il figlio Cristóbal, alla schiavitù degli «yerbales»- il vagone, che diviene il suo rifugio, inizia una marcia lentissima, quasi invisibile, verso il cuore della selva. I limiti tra realtà e allucinazione vengono superati senza difficoltà. Come quello che domina Cien años de soledad, il clima magico e irreale di Hijo de hombre viene accettato e legittimato anche sul piano della realtà concreta. Il testimone-narratore non trova assurdo che nel villaggio nessuno si accorga del fatto e infine della definitiva scomparsa del carro, forse per complicità della gente coi rifugiati o più plausibilmente per un fenomeno di suggestione colletiva, conseguenza dell'avvenimento spaventoso che ha sconvolto, con le cose, l'ordine logico e la mente. Tornando nuovamente ad alludere all'esplosione del treno Roa Bastos dà ad essa la stessa dimensione leggendaria della «Guerra Grande» nella storia nazionale e ne fa l'origine prima dello sconvolgimento collettivo che ha reso tutto possibile e credibile:

El espanto y el éxodo, la mortandad que produjo la terrible explosión, dejaron por largo tiempo, como el cráter de las bombas, una desmemoriada atonía, ese vacío de horror o indiferencia que únicamente poco a poco se iría rellenando en el espíritu de la gente, igual que el cráter con la tierra.

Sólo así se podía explicar que nadie notara el comienzo del viaje, o que a nadie le importara ese hecho nimio en sí, aunque incalculable en sus proyecciones, en su significación. La noche del desastre había durado más de dos años. Iba a durar mucho más tiempo aún para la gente de Sapukai, en esa especie de lenta, dolorosa, inexplicable ceguera, de estupefacción rencorosa en que se arrincona una mujer violada41.



Il simbolo è chiaro: la «mujer violada» è la nazione paraguaiana. Ci si spiega, perciò, come il ricordo del disastro sia continuamente vivo. Il trascorrere del tempo è dominato da due momenti fissi, che sembrano trattenere il succedersi cronologico dei fatti. Il clima leggendario è pienamente raggiunto attraverso suggestioni allucinanti. Il progredire degli avvenimenti si salda solidamente col tempo favoloso, si confonde con esso proiettandosi, per sottili legami spirituali che permeano tutta la storia umana del Paraguay, nella remota e accattivante atmosfera delle origini mitiche, la cui carica misteriosa è introdotta già dalla seconda delle due epigrafi del volume, l'«Inno dei Morti guarani». D'altra parte la cometa interpreta, nella sua simbologia negativa, l'idea della distruzione del mondo secondo la Genesi indigena; fare del fenomeno celeste la misura rapportatrice del tempo significa ribadire tale concezione: «Fue cuando el cometa estuvo a punto de barrer la tierra con su cola de fuego»42.

Non sono unicamente le cose, tuttavia, a dare a Hijo de hombre un'atmosfera di leggenda. Nel racconto dell'epoca di Francia, l'exschiavo Macario -«Lázaro resuscitado dal gran exterminio»43, vale a dire dalla carneficina della «Guerra Grande» -dà alla storia contorni magici e proietta sul romanzo, fin dalle prime pagine, una luce favolosa. Macario è un personaggio che appartiene appieno alla leggenda, anche se richiama una realtà assai concreta, la dittatura; egli travalica i confini umani: infatti, il suo ricordo «abarcaba un tiempo inmemorial, difuso y terrible como un sueño»44.

Non meno leggendaria si presenta la figura del dittatore Francia; essa è, anzi, un elemento determinante del clima favoloso e magico che regna nel libro, anche per le implicazioni demoniache del suo potere, che ha dato all'uomo, nel tempo, significati terrificanti. Come Tirano Banderas di Valle-Inclán o il Señor Presidente di Asturias, Francia domina fin dalle pagine iniziali il romanzo con la sua figura lugubre e inquietante, incarnazione del male e della violenza. Benché Macario lo ricordi sotto aspetti più paterni, ma di un paternalismo crudele. Francia si presenta nel libro con le connotazioni dell'incubo; da ciò gli viene la dimensione leggendaria. A distanza di tempo la sua figura agita ancora lo spirito del protagonista, e del narratore che ne ha sentito solo l'eco popolare. Roa Bastos ricrea efficacemente l'atmosfera di ammirazione-terrore che agita l'animo infantile davanti alla rievocazione del personaggio fatta da Macario:

No le entendíamos muy bien. Pero la figura de El Supremo se recortaba imponente ante nosotros contra un fondo de cielos y noches, vigilando el país con el rigor implacable de su voluntad y un poder omnímodo como el destino.

-Dormía con un ojo abierto. Nadie lo podía engañar...

Veíamos los sótanos oscuros llenos de enterrados vivos que se agitaban en sueños bajo el ojo insomne y tenaz. Y nosotros también nos agitábamos en una pesadilla que no podía, sin embargo, hacernos odiar la sombra del Karaí Guasú.

Lo veíamos cabalgar en su paseo vespertino por las calles desiertas, entre dos piquetes armados de sables y carabinas45.



La lezione dell'esperpento valle-inclanesco, mediata o meno da quella de El Señor Presidente di Miguel Ángel Asturias, è visibile nella presentazione del dittatore che, come Tirano Banderas e il Señor Presidente, appare sotto le forme di un «pajarraco» inquietante:

Montado en el cebruno sobre la silla de terciopelo carmesí con pistoleras y fustes de plata, alta la cabeza, los puños engaritados sobre las riendas, pasaba al tranco venteando el silencio del crepúsculo bajo la sombra del enorme tricornio, todo él envuelto en la capa negra de forro colorado, de la que sólo emergían las medias blancas y los zapatos de charol con hebillas de oro, trabados en los estribos de plata. El filudo perfil de pájaro giraba de pronto hacia las puertas y ventanas atrancadas como tumbas, y entonces, aun nosotros, después de un siglo, bajo las palabras del viejo, todavía nos echábamos hacia atrás para escapar de esos carbones encendidos que nos espiaban desde lo alto del caballo, entre el rumor de las armas y los herrajes46.



Su un piano diverso di leggenda sta la figura del lebbroso Gaspar Mora, suonatore magico di chitarra. La sua presenza reca al libro una nota di poesia che gli dà vita, attraverso la suggestione della musica, e offre una dimensione spirituale che si concreta ancor più nel discorrere intorno alla morte e alla sopravvivenza47. Nel suo isolamento volontario dal mondo Gaspar Mora finisce per costituire una presenza liberatrice che, a distanza di tempo, si ripercuote ancora con accenti magici sull'anima del popolo e su quella del testimone-narratore:

Al oscurecer se ponía a tocar la guitarra [...].

De eso me acuerdo. La gente se tumbaba en el pasto a escucharlo. O salía de los ranchos. Hasta el cerrito se escuchaba el sonido. Se escuchaba hasta el río. Me acuerdo de mamá que al oír la distante guitarra se quedaba con los ojos húmedos. Papá llegaba del cañal y trataba de no hacer ruido con las herramientas.

Aún después de muerto Gaspar en el monte, más de una tarde oímos la guitarra. [...] En el silencio del anochecer en que ondeaban las chispitas azules de los muäs, empezábamos a oír bajito la guitarra que sonaba como enterrada, o como si la memoria del sonido aflorase en nosotros bajo el influjo del viejo.48



Il tempo concreto sfuma visibilmente la propria realtà definita, si fa vago e si dilata, anche mediante il ricorso a inizi di frase in cui il termine di paragone, apparentemente preciso, è in realtà favoloso: «En aquel tiempo [...]»49 , «Por aquel tiempo [...]»50 sono avvii frequenti, cui contrasta il richiamo immediato all'attualità. Se per una delle protagoniste del romanzo «se entreveraban las cosas»51, in realtà tutto nel libro si presenta «entreverado». La realtà si mescola senza confini col mito. Gli avvenimenti hanno una carica simbolica che si impone sul tempo. È il caso dell'invasione delle farfalle a Isla P'í, «lava dorada y aleteante», che copre tutta la laguna e rende irrespirabile l'aria -«El aire estaba tan espeso que asfixiaba»-, preannunciando il duplice flagello, la siccità e la guerra del Chaco52.

Il ricorso frequente alla congettura da parte del testimone-narratore, nel suo monologo interiore, contribuisce ad accentuare il clima favoloso di Hijo de hombre. La ruota del tempo scorre lenta, in una curva che si ancora nel passato e in un presente che si prolunga continuamente, conglobando il futuro.




4. Il peso della realtà.

Nell'alone mitico di Hijo de hombre afferma la sua presenza e il suo peso una realtà allucinante. Roa Bastos intende sottolineare questa realtà, d'accordo con l'impegno che caratterizza i narratori più vicini a noi, non meno di quelli del passato, vale a dire di esprimere un'esperienza vitale e con nuovi risultati tecnici e formali, che superano il realismo superficiale; dare cioè «una imagen del individuo y de la sociedad, lo más completa y comprometida posible con la totalidad de la experiencia vital y espiritual del hombre de nuestro tiempo»53. Affondare nella «singularidad» dei valori dell'uomo americano e «trascenderlos» a una dimensione «más universal», è l'obbiettivo anche di Roa Bastos54.

Egli sottolinea, infatti, in più occasioni che lo scrittore latinoamericano, non solo quello ispano-americano, non può estraniarsi da un impegno diretto con la realtà, e tanto più non lo può il narratore, essendo il romanzo, «como instrumento de captación de la realidad en sus más hondos estratos, con el espíritu de análisis que le es connatural, el género que mejor refleja los cambios de una sociedad, pero también la conciencia de estos cambios»55. Per questo una corretta interpretazione della narrativa americana può essere formulata solo tenendo presente il punto di vista storico-sociale. I raggiungimenti espressivi, o «reajustes expresivos», come li chiama Roa Bastos, acquistano validità solamente «cuando penetran profundamente bajo la superficie del destino humano»56. Più ancora: tali raggiungimenti sul piano estetico sono possibili «en el interior de la concepción misma del arte de narrar, y es aquí donde aliando la subjetividad personal con la conciencia histórica y social, la imaginación creadora con la pasión moral, sienten que pueden responder mejor y con mayor profundidad a esa pregunta, centro y clave de nuestra causa, a esa inagotable y siempre nueva pregunta: ¿qué es el hombre?»57.

È questo il centro motore di Hijo de hombre, il cui protagonista in senso assoluto è l'uomo, in una ricerca agonica del narratore, cioè dell'uomo Augusto Roa Bastos, mai dimentico di appartenere a un paese concreto, che ha la sua realtà, anche se in essa si rispecchia gran parte di quella del mondo. È questa realtà bruciante che mosse il narratore a stendere «de un tirón», in due mesi, l'opera, dopo averne spesi altrettanti nel tentativo di scrivere un racconto su un fatto reale della sua terra58. Il tema «trascendente» del libro è, secondo le parole dell'autore, al margine dell'aneddoto, «la crucifixión del hombre común en la búsqueda de la solidaridad con sus semejantes; es decir, el antiguo drama de la pasión del hombre en la lucha por su libertad, librado a sus solas fuerzas en un mundo y en una sociedad inhumanos que son su negación»59 Infatti, il Cristo intagliato da Gaspar Mora nella solitudine della selva, è figlio non di Dio, ma dell'uomo. Gaspar lo costruisce a propria immagine e somiglianza e alla sua morte rimangono sulla scultura i segni della sua paternità, le macchie delle mani purulente di lebbra dell'artefice: «Si un alma podía adquirir forma corpórea, esa era el alma de Gaspar Mora»60. Il Cristo è, perciò, un dio reso umano, che afferma l'umanità del Cristo del Calvario, senza alludere alla sua divinità. Così, alla peccatrice Maria Rosa, che sta ad adorarlo sotto la pioggia, nuova Maddalena, ignorata e disprezzata dalla gente, «Sólo el Cristo extendía hacia ella los brazos»61

Del Cristo Roa Bastos pone in rilievo la condizione di perseguitato nel mondo, come lo è l'uomo. La prima epigrafe del romanzo, tratta da Ezechiele, immette programmaticamente nello spirito dell'opera. La condizione del «figlio di Dio» è quella stessa del «figlio dell'uomo», destinato a vivere incompreso e osteggiato tra i suoi simili:

Hijo del hombre, Tú habitas en medio de casa rebelde....


(XII,2)                


... Come tu pan con temblor y bebe agua con estremecimiento y con anhelo....


(XII, 18)                


Y pondré mi rostro contra aquel hombre, y le pondré por señal y por fábula, y yo lo cortaré de entre mi pueblo... .


(XIV, 8)62                


L'umanità del Cristo è l'unica capace di farsi udire tra gli altri «figli dell'uomo», e su di essi si proietta, per il comune denominatore della sofferenza, una luce extra-umana, divina. Macario Francia, che raccoglie la statua intagliata dal lebbroso e nonostante l'opposizione del prete ne impone il culto, interpreta esattamente il valore umano del Cristo:

[...]¡Y mírenlo! Habla por su boca de madera... Dice cosas que tenemos que oír...¡Óiganlo! Yo lo escucho aquí -dijo golpeándose el pecho- ¡Es un hombre que habla! A Dios no se le entiende... ¡pero a un hombre sí... ¡Gaspar está en él!... Algo ha querido decirnos con esta obra que salió de sus manos...¡cuando sabía que no iba a volver, cuando ya estaba muerto!...63.


Il senso drammatico del «figlio dell'uomo» sta nella difficoltà di cogliere il messaggio divino. Egli si sente nel mondo come abbandonato dalla mano di Dio. Ha osservato il Cruz-Luis che dal primo all'ultimo capitolo di Hijo de hombre assistiamo allo sforzo titanico dell'uomo per trovare un'uscita alla sua alienazione e che la storia di ognuno dei personaggi è costituita dalla lotta instancabile in cui impegnano tutte le proprie energie, dalla dimensione, «agudamente dramática», dell'uomo in lotta con le forze del «mundo inhumano de las alienaciones»64 . A differenza di altri «Cristi» che compaiono nei vari romanzi ispano-americani -da El Cristo de espaldas di Caballero Calderón, a Maladrón di Asturias- quello di Roa Bastos interpreta non una situazione esterna all'uomo, bensì la sua essenza drammatica, la ricerca di un senso alla propria azione. I personaggi che compaiono in Hijo di hombre, siano essi donne o uomini, sono sempre coscienti -per quanto il Cruz-Luis sostenga il contrario65- di vivere in un momento difficile della loro esistenza, specchio di quella della collettività. Certo nessuno giunge a un risultato definitivo: Gaspar Mora si isola e muore durante la siccità; Macario Francia è ancorato ai suoi ricordi: «El fluctuaba estancado en el pasado»66; Casiano Jara, salvato dall'esplosione del treno, cade nella schiavitù dello «yerbaje», sotto il potere implacabile dell'esperpentico Aquileo Coronel; suo figlio Cristóbal muore mitragliato dal tenente Vera, nei «trastornos» dell'ultima ora; Crisanto Villalba, alla fine della guerra, impazzisce ed è vittima delle burle dei suoi compagni, finché si toglie la vita. Anche il tenente Vera si suicida, incapace di trovare una via d'uscita alla solitudine in cui finisce per trovarsi alla fine della guerra, in un mondo nel quale si sente un intruso:

En ese silencio volvía a sentirme solo de repente. Más solo que otras veces. Yo estaba en mi pueblo natal como un intruso. Me hallaba sentado a la mesa de un bolicho, junto a otros despojos humanos de la guerra, sin ser su semejante [...]67.


Eppure, ognuno di questi uomini ha un messaggio positivo da lasciare: il vecchio Macario l'avvertimento, ricorrente nel romanzo, che tutto dipende dall'uomo -«El hombre, mis hijos -nos decía-, es como un río. Tiene barranca y orilla. Nace y desemboca en otros ríos. Alguna utilidad debe prestar. Mal río es el que muere en un estero...»68-; Gaspar Mora la virtù della pazienza e la certezza della sopravvivenza; Casiano Jara la «necesidad de andar un poco más de lo posible, de resistir hasta el fin, de cruzar una raya, un límite, de durar todavía, más allá de toda desesperanza y resignación»69. Cristóbal Jara insegna, da parte sua, che l'opera dell'uomo ha un valore insostituibile e che sul suo sacrificio la terra si feconda, malgrado le frustrazioni singole:

Lo que no puede hacer el hombre, nadie más puede hacerlo..., había dicho él mismo. Y había muchos como él, incontables, anónimos. ¿No estribaba acaso su fuerza en la simplicidad de acatar una ley que los incluía y los sobrepasaba? No sabían nada, ni siquiera tal vez lo que es la esperanza. Nada más que eso: querer algo hasta olvidar todo lo demás. Seguir adelante, olvidándose de sí mismos. Alegría, triunfo, derrota, sexo, amor, desesperación, no eran más que eso: tramos de la marcha por un desierto sin límites. Uno caía, otro seguía adelante, dejando un surco, sobre la vieja costra, pero entonces la feroz y elemental virginidad quedaba fecundada70.


Lo stesso Miguel Vera lascia un suo messaggio, valido al disopra della negazione del suicidio, ed è che l'uomo deve trovare il significato della propria vita nella lotta, perché le cose finalmente cambino, perché il «país de la tierra sin hombres y de los hombres sin tierra» -così è definito il Paraguay71- divenga qualcosa di diverso, sia finalmente redento.

Il Cristo «hijo de hombre», con la certezza che rappresenta nell'efficacia dell'opera umana, proietta sul romanzo un'ombra gigantesca, lo pervade di un soffio di totale redenzione. Anche le donne, come tutto il popolo, partecipano di questo soffio redentore. Come nella storia evangelica esse si riscattano continuamente dal peccato per un atto d'amore. È il caso di Salu'í, che muore nella guerra seguendo Cristóbal Jara: «Estás naciendo de nuevo, Salu'í!»72 . La lezione era implicita nella seconda epigrafe del romanzo, l'Inno dei Morti guarani, nell'allusione alla nascita di un nuovo tempo. Macario, quasi ripetendo le parole di Gaspar Mora, aveva affermato l'eternità nel ricordo, destinato a sopravvivere alla morte dell'individuo:

-Porque el hombre, mis hijos [...], tiene dos nacimientos. Uno al nacer, otro al morir... Muere pero queda vivo en los otros, si ha sido cabal con el prójimo. Y si sabe olvidarse en vida de sí mismo, la tierra come su cuerpo, pero no su recuerdo...73.


La radiografia del Paraguay è condotta con appassionata partecipazione da parte di Roa Bastos, facendo perno sulla guerra del Chaco. L'impressione che da questa guerra lo scrittore trasse fu senza dubbio straziante; del resto egli vedeva in essa il ripetersi di una tragedia che condizionava in modo ricorrente la sua gente. In un sonetto de El naranjal ardiente -sicuramente risalente a epoca remota, se nel 1950 dichiarava chiusa la sua stagione di poeta per dedicarsi esclusivamente alla narrativa74 -Roa Bastos sotto- lineava drammaticamente la situazione del suo paese:



Tan tierra son los hombres de mi tierra
que ya parece que estuvieran muertos;
por afuera dormidos y despiertos,
por dentro con el sueño de la guerra.

Tan tierra son que son ellos la tierra
andando con los huesos de sus muertos,
y no hay semblantes, años ni desiertos
que no muestren el paso de la guerra75.


In Hijo de hombre la guerra finisce per divenire la misura di tutte le cose. Essa scaturisce dalla tirannia, è alimentata dalla cupidigia delle nazioni che circondano il Paraguay e da ogni parte insidia il «paradiso terrestre» trasformandolo in un inferno di dolore. L'orrore dell'ecatombe della «Guerra Grande», durata cinque anni, fino alla sconfitta paraguaiana e alla guerriglia disperata di López a Cerro Korá, costituisce nel libro un ricordo di dimensioni apocalittiche, ma sfumato nel tempo. La tragedia della guerra del Chaco vive, invece, in tutta la sua straziante intensità, nelle pagine del diario di Miguel Vera -che costituisce l'episodio vii, «Destinados»- e nell'episodio vili, «Misión» -il cui protagonista è Cristóbal Jara, in missione d'approvvigionamento d'acqua al tenente rimasto isolato nel «cañadón»-; la introducono i riferimenti, nel vi espisodio, «Fiesta», alla fallita ribellione di Cristóbal Jara, inavvertitamente denunciata dallo stesso Vera. Le figure dei prigionieri ammassati nei vagoni ferroviari, chiusi in essi per giorni e giorni senza cibo e senz'acqua, riconducono vivamente al ricordo del lettore episodi simili di una storia recente non ancora dimenticata. La solidarietà popolare verso i deportati, che ha per protagonisti le donne -gli uomini si nascondono come più vulnerabili nei periodi calamitosi -mostra come nel mondo si ripetano sotto ogni latitudine scene identiche.

Lo scoppio della guerra riscatta dal confino e dai campi di concentramento i prigionieri politici per farne dei soldati di prima linea. La lotta contro la Bolivia è, però, una lotta che, osservate attentamente le cose, coincide con la difesa degli interessi dei grossi proprietari terrieri e delle imprese petrolifere straniere che nei paesi confinanti esprimono contrastanti politiche. Così che il popolo è ancora una volta l'ingannato e il sacrificato. Nella «trilogía bananera» Miguel Ángel Asturias denuncerà la medesima situazione per quanto concerne l'America centrale.

Il dramma accentua le sue tinte in Hijo de hombre, se si considera la generosità e l'ingenuità del popolo che parte, come sempre, con spirito patriottico in difesa del paese e muore sotto il fuoco incrociato delle opposte batterie e, fatto non raro, di quelle nazionali. Le azioni di valore coincidono, nella guerra, con altre di barbarie. Le bombe lasciate cadere da pochi e antiquati aerei nemici fanno vittime numerose. Nel diario del tenente Vera troviamo un lucido esame della sostanza della guerra, la sofferenza. In «Misión» si entra nel vivo della carneficina e il fragore degli scoppi, le urla dei feriti, lo strazio delle mutilazioni appaiono descritti in pagine assai vive76; non di rado la scena assume aspetti surreali, legittimati dalla realtà crudele della guerra:

Se entreveían los cuerpos apilados, piernas y brazos espinudos, miembros y torsos con vendajes pegoteados, semblantes cadavéricos, la garra quemada de alguna mano engarruñándose en las oleadas de tierra y de insectos que manchaban la luz77.


La guerra non è solo dolore, è anche frustrazione, scoraggiamento. In questo senso si prospetta la pazzia del reduce Crisanto Villalba che, tornato al paese dove lo attende distruzione e rovina -il tradimento della moglie, la distruzione del suo campo-, fa saltare con le bombe a mano rimastegli il suo «rancho» e la «chacra», ossia, come interpreta il tenente Vera, «los restos de su propia alma»78. La condizione di Crisanto è la stessa di tanti altri reduci dalla guerra, «degradados hasta el ultimo límite de su condición, como si el hombre sufriente y vejado fuera siempre y en todas partes el único fatalmente inmortal»79.

La coscienza di questa situazione induce il Vera, ormai alla soglia del suicidio, a pensare disperatamente che nonostante tutto dev'esserci un'uscita alla condizione mostruosa dell'uomo crocifisso dall'uomo; altrimenti bisognerebbe pensare alla maledizione definitiva della razza umana.

Hijo de hombre conclude con queste considerazioni angosciate. Il suicidio del tenente Vera sembrerebbe suggellare il fallimento totale di ogni speranza. Ma Roa Bastos, sinceramente impegnato col suo mondo e col destino dell'uomo, non può concludere in tal modo. L'«Inno dei Morti guarani» riscattava fin dall'inizio del romanzo, col suo messaggio di fede in un futuro diverso, i fallimenti umani:


... He de hacer que la voz vuelva a fluir por los huesos...
Y haré que vuelva a encarnarse el habla...
Después que se pierda este tiempo y un nuevo tiempo amanezca...80.


Attraverso le pagine di Hijo de hombre il mondo paraguaiano perviene a quelle dimensioni universali che Augusto Roa Bastos intendeva dargli, senza mai perdere la propria peculiarità, ribadita, anzi, da una ben determinata geografia e, nel campo della lingua, dal ricorso, con effetti magici, al guarani incorporato al castigliano, come fece col quechua ne Los ríos profundos José María Arguedas.





 
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