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Abajo

Traduzioni italiane del «Martín Fierro»

Meo Zilio, Giovanni





Il primo e più noto tentativo di traduzione all'italiano del Martín Fierro, il famoso poema della pampa di José Hernández, fu quello di Folco Testena (pseudonimo di Comunardo Braccialarghe) la cui prima edizione è del 1919, rimaneggiata poi nel 1930 (per la I parte) e nel 1935 (per la II). La V edizione, riveduta e corretta ulteriormente, è del 1950 (Buenos Aires, Centro del Libro Italiano), riprodotta nella sfarzosa edizione plurilingue dalla editrice EDIL, S.R.L., di B. Aires (1973).

Lo sforzo di Testena può considerarsi senz'altro poderoso, se teniamo conto che si tratta di un non specialista, ma fragile sul piano dei risultati letterari. Innanzitutto perché l'A. non ha saputo scegliere fra i vari livelli linguistici (letterario, colto, colloquiale, plebeo) finendo col mescolare in modo eterogeneo e casuale elementi di diversi livelli. Così troviamo, per esempio, «rovello», «augello» (p. 1)1, «ei a sgambare» (p. 21), «giva» (p. 23), «mi frenare» (p. 27), «ria sorte» (p. 39), «meriggiare» (p. 48), «gualdana» (p. 61), «sevo» (p. 66), «lunge» (p. 69), «forosetta» (p. 71), «azza» (p. 72), «puole» (p. 77), «squallante» (p. 78), «s'asconde» (p. 82); accanto a «in panciolle» (p. 15), «per il buco della toppa» (p. 20), «Buonanotte suonatori!» (p. 21), «mi squagliai» (p. 37), «porcellone» (p. 67); o addirittura a «gorgozzule» (p. 62), «sleppa» (p. 67), «cesso» (p. 68), e simili.

Certe forme dell'italiano dialettale, come «ciuccio» 'asino' (p. 13); «scaneggiati» 'trattati come cani' (p. 40); o magari inventate come «trappoliera» per 'trappola' (p. 14); o travestite con significati spagnoli (cocoliche semantico)2 che in italiano non hanno, come «gaucho redondo» che diventa «gaucho rotondo» in luogo di 'gaucho tutto d'un pezzo', 'vero gaucho' (p. 13); «después de salvar el cuero» che diventa «dopo il cuoio aver salvato» per 'dopo aver salvato la pelle' (p. 23); o perfino usate con significati che non hanno né in italiano né in spagnolo come «riparare» per 'parare (un colpo)' (p. 45); ecc.

A volte la sintassi italiana viene contaminata da quella spagnola in forma immediata (cocoliche sintattico): «forse si cambi il destino, / forse finiscan le pene» per 'forse cambierà il destino, / forse finiranno le pene' (p. 83); o anche in forma indiretta: «Chissà quando ció finisca?», per 'Chissà quando ciò finirà?' (p. 64)3. A volte viene violata la norma morfematica: «negrina» (p. 83), invece di 'negretta' o 'negruccia' (per far rima con «cucina»...).

Altre volte si calca letteralmente un costrutto spagnolo invece di cercarne il reale equivalente italiano: così il gioco di parole «Más prendido que un botón», che può equivalere all'ital. 'più attaccato di una sanguisuga' e, nel contesto, 'più innamorato che mai', viene calcato con un incomprensibile «più attaccato di un bottone» (p. 65). Senza contare il ricorso a immagini che non solo sono troppo lontane da quelle del testo («l'aveva vinta alle piastrelle», invece di 'l'avevo vinta ai dadi', (p. 24); «L'agnellin... / gioca...» invece di '[...] bela', (p. 53) ma che spesso non hanno nulla a che vedere col testo: «e ogni vincita ora stava [...] / più lontano delle stelle» invece di 'il pidocchio che ci stava [annidato nella coperta] non usciva a nessun costo', o simili (ib.); «(s'era in vari) [...] Poffarina! / Uno mangia quel che può», invece di 'mi ero riunito con altri compagni tanto disgraziati quanto me' (vv. 2027-2028, p. 75). Analogamente «Negra linda... / Me gusta... pa la carona» ('negra bella... mi piacerebbe portarti a letto') diventa «Bella negra, / la risposta è stata buona» (p. 43, vv. 1163-1164); «vino ciego» ('mi venne addosso cieco dall'ira') diventa «Ma perdé la tramontana», come se qui «vino» significasse 'divenne'; «y en el medio de las aspas» ('e nel mezzo delle corna') diventa «Mentre stavo lì annaspando» (p. 45, v. 1215); «pa el cañadón» ('verso la valle') diventa «lungo il fosso» (p. 46, v. 1252); «déle palo ('dagli bastonate!') diventa «dàlli al palo!» (p. 52, v. 1381), come se le bastonate le buscasse il palo e non il gaucho...

Ho citato solo alcuni casi, ma l'intero libro risulta un centone eterogeneo e difficile comunque da leggere fino alla fine, quale che sia il livello culturale del lettore. Si ha, qua e là, l'impressione di un esercizio dilettantesco di interpretazione, a volte perfino burlesca, del serioso testo hernandiano («Incomincio qui a cantare / pizzicando la mandola»...: p. 1); anche con rime incredibili come «La mia lingua stenta o parmi [...] da quest'ardua prova a trarmi» (p. 1); o con interpolazioni di banali frasi riempitive, del tutto estranee al testo, come quel buffo «felice sera!» nei versi «vuoi o non vuoi, felice sera! / devi andare alla frontiera» (p. 10); o con immagini che né corrispondono al testo né rappresentano in italiano un equivalente di quelle del testo: «perro cimarrón» 'cane randagio', 'inselvatichito', diventa «can dell'ortolano» per far rima con «Sacr...estano» (p. 58, v. 1539).

Questa traduzione insomma non può essere rivolta alla persona colta (malgrado i suoi numerosi cultismi e arcaismi letterari), né può essere rivolta alla (né intesa dalla) persona non colta proprio per la continua presenza di tali elementi.

Frequenti sono comunque i qui pro quo dove è evidente che il traduttore non ha capito il testo: il «moro de número» (cioè il 'morello di razza') diventa un «morello sol[o]» per confusione coll'ital. uno di numero che appunto significa 'uno solo'; «si uno anda hinchando el lomo» ('se uno vuol ribellarsi') diventa «se un fa un po' di carne» (p. 15), forse perché lo sp. lomo ha anche il significato di 'filetto di carne'...; «Y nunca se andan con chicas / Para alzar ponchos ajenos» ('e non hanno nessun scrupolo per rubare la roba d'altri') diventa, all'incontrario, «e se in donna altrui s'imbatten, / non la pigliano... grulloni!» (p. 34, vv. 917-918), come se alzar el poncho volesse dire, in questo caso, 'sollevare le gonne (delle donne altrui)'...; il «gauchaje» ('le truppe dei gauchos') diventa «la scolta» ('la sentinella') (p. 35); il «lobo» ('tipo di foca del Río de la Plata, detta anche lobo marino') diventa 'lupatto' (p. 77, v. 2080), animale che il gaucho non conosce.

Quanto alla metrica, pur essendo giusto riconoscere il meritevole sforzo realizzato dall'autore per tradurre in ottonari rimati più di settemila versi, occorre rilevare che proprio in questo sta anche il suo limite. Infatti, data l'enorme difficoltà, il vincolo formale della rima, aggiunto a quello dello schema dell'ottonario italiano (con accenti fissi sulla terza e sulla settima), ha impastoiato ulteriormente, al di là delle sue forze, il nostro pioniere. A parte il fatto che almeno il 10 % dei versi sono metricamente errati, e che molti altri sono tirati per i capelli, tale ambizioso programma metrico è corresponsabile di molte storpiature, licenze gratuite, immagini eterogenee, costrutti sintattici traballanti, interpolazioni riempitive, troncamenti o sincopi o aferesi artificiali... L'estrema difficoltà del testo è, comunque, solo una attenuante generica, dato che nessuno obbliga un traduttore a scegliere un testo così arduo senza misurare preliminarmente le proprie forze.

Vediamo ora una strofa intera (che a prima vista potrebbe magari sembrare ineccepibile) a titolo di esempio organico di come non deve essere fatta una traduzione poetica:

TestoTraduzione del Testena
A otro que estaba apuraoA un altro che in gran fretta
Acomodando una bola,Mi lanciava il cappio a volo.
Le hice una dentrada solaLo affettai d'un colpo solo
Y le hice sentir el fierro,Como se fosse di pane;
Y ya salió como perroAndò traballoni al suolo,
Cuando le pisan la cola.Poi scappò via come un cane.
(1, vv. 1549-1554)(p. 58)

I verso: «apurao [= apurado]» non vuol dire qui «in [...] fretta», ma 'indaffarato'.

II verso: «bola» non equivale a «cappio» (cioè 'nodo scorsoio') ma a 'palla di pietra' (arma degli indi).

III e IV verso: «Le hice una dentrada sola / Y le hice sentir el fierro» vuol dire 'gli tirai una sola stoccata e gli feci provare il ferro', e non «lo affettai d'un colpo solo / come se fosse di pane». D'altra parte non si può affettare ('tagliare a fette') d'un colpo solo; senza contare che uno che viene tagliato a fette poi non potrebbe scappare.

V e VI verso: «andò traballoni al suolo» è un'interpolazione gratuita nel testo (a parte che «traballoni» non si usa in italiano come avverbio) che fa pendant con la soppressione del verso finale «Cuando le pisan la cola» che, invece, è importante perché il poliziotto ferito non scappa via tanto come un cane (che di per sé non suole fuggire per nulla) quanto come un cane umiliato e dolorante a cui abbiano pestato la coda.

Quanto ai giochi di parole, frequenti nel poema come nel linguaggio reale del gaucho, il traduttore se la cava come può, dato che non è facile trovare dei reali equivalenti italiani; e a volte anche ci riesce in qualche modo; ma altre volte ci rinuncia (ed è un peccato...). Così nel caso del v. 1823 (p. 67) dove la frase sarcastica «Cuidado, no te vas a pér... tigo», che gioca sulla associazione picaresca di pértigo 'stanga del carro' con peer (pron. per) 'spetezzare', e che potrebbe tradursi nel contesto 'Attenzione a non fartela addosso (dalla paura)!', viene tradotta invece «Bada che ti vai a ferire...», perdendosi così il gioco linguistico e l'allusione sarcastica che esso contiene.

Ma fin qui poco male. Un po' più avanti, la frase, altrettanto sarcastica «[...] Pa su agüela / han de ser esas perdices» (vv. 1861-1862, p. 69), che segue all'immagine del vecchietto che se la fa addosso (questa volta davvero, dalla paura), e che potrebbe tradursi più o meno 'Alla salute di tua nonna vada questo tuo fetore!', viene tradotta alla lettera «Per tua nonna serviràn quelle pernici»; e qui non solo si perde il gioco di parole ma si crea un'immagine del tutto incomprensibile in italiano. Così pure al verso 327 (p. 44) viene lasciata tale e quale in ital. (dove pure rimane incomprensibile) la espressione «Inca-la-perra», che è una interpretazione scherzosa di Inglaterra associata maliziosamente a hinca ('monta') e perra ('cagna').

Eppure occorre dare a Cesare quel che è di Cesare: ci sono, in questa disperata impresa del Testena, molti passi ben tradotti, corretti, efficaci e soprattutto armoniosi. Ce n'è qualcuno addirittura di magistrale. Non c'è dubbio, quindi, che egli aveva virtualmente delle grandi capacità di traduttore con uno spiccato senso melodico e ritmico. Non si tratta pertanto di un semplice dilettante qualunque, ma di un dilettante sui generis, sommamente e stranamente irregolare, che a volte dà l'impressione di un grande ingegno, a volte (più spesso) quella di un orecchiante.

Da segnalare, infine, che i versi della traduzione non sono numerati; e ciò rende più difficile il confronto con l'originale e con le note collocate alla fine. Alcune di esse sono realmente utili per il non specialista; altre piuttosto vuote e sempliciotte.

Mi sono limitato all'esame della prima parte del poema (La Ida del Martín Fierro), ma il discorso vale anche per la seconda (La Vuelta del M. F.).

Per concludere su questo primo tentativo, che tanta eco ha avuto ed ha ancora in Argentina, da una parte va confermata comunque l'ammirazione per l'uomo, che ha dedicato «oltre vent'anni» (son parole sue), con amore e costanza esemplari, per dare «la cittadinanza italiana» a Martín Fierro; dall'altra vanno ribadite le più ampie riserve sui risultati complessivi obiettivamente raggiunti. La sua opera insomma, con tutti i meriti che nessuno le può negare, ivi compreso quello di essere stata la prima (e quindi più difficile) impresa del genere, avrebbe dovuto costituire, per i futuri traduttori, un modello non di come deve essere fatta una traduzione del Martín Fierro ma di come non deve essere fatta. Invece, come subito si vedrà, ciò non è avvenuto.

Abbiamo visto la prima e più nota traduzione italiana. Confrontiamola ora con l'ultima, pubblicata in Bahía Blanca (Argentina), per i tipi della Casa Editrice Palumbo Hnos. y CIA., S.C.A., 1972, a mezzo secolo di distanza dalla I edizione del Testena, e uscita in occasione del centenario della pubblicazione della Ida del Martín Fierro. Questa volta il traduttore (o comunque uno dei due traduttori) è propriamente del mestiere, «Professore», «Traduttore e Interprete di Lingua Italiana» (come può leggersi nel frontespizio): Francesco F. Crocitto Cuonzo, con cui ha collaborato il fratello Comm. Giuseppe R. Crocitto Cuonzo. Ciononostante i risultati letterari della traduzione non hanno superato di molto quelli del Testena. Trattandosi non più di un dilettante, mi corre l'obbligo di esaminare più sistematicamente, e con maggior rigore, il testo presentato. Mi limiterò al primo migliaio di versi.

Occorre premettere, anche in questo caso, che non mancano qua e là versi felici in corrispondenza di momenti del testo particularmente ardui come: «un volpone del mio rango / non rimane intrappolato» (p. 18); «ché io son come le tigri / a cui rubano la prole» (p. 20)... Ma il difetto metodologico fondamentale è lo stesso del Testena: la confusione di livelli linguistici. Così forme letterarie o rare - come buffi (7,28)4; negletta (8,39); sito (9,40); sentía (10,59); ostello (10,67); captiva (12,86); sfuggía (13,102); l'equino (14,114); gruzzo (14,115); a stracciasacco (15,126); indagazione (16,130); gioir (18,153); involato (19,173); non ritenganmi (20,183); del mio dir non ho certezza (10,63)- alternano con termini o locuzioni conversazionali e popolari: me li spaccio (5,12); facendola finita (7,33); col gozzo pieno (riferito a persone) (8,34); marmocchi (9,49); minchione (10,58); sgobbar (11,70); balla (11,72); quattro gatti (11,75); testone (11,76); di volata (11,79); Porco boia! (13,93); per un pelo (13,103); salvai la pelle (13,104); squagliarmela (16,134); porco cane (17,140); un corno! (17,141); sbirciar (18,154); un volpone (18,161); non mollo (19,167); quella là (20,177).

A parte questo vizio di fondo nella metodologia della traduzione, sono numerosi gli abbagli e i qui pro quo:

v. 213: «No le faltaba un consuelo» non significa «di rispetto lui godeva» (8,36) ma 'non gli mancavano consolazioni (affettive o economiche)';

v. 218: «Cosa que daba calor» non significa «ciò che dava un gran calore» (8,37) ma 'cosa che entusiasmava';

v. 224: «más bien era una junción» non significa «ma piuttosto una funzione [religiosa]» (8,38) bensì 'ma piuttosto uno spettacolo';

v. 225: «Y después de un güen tirón / en que uno se daba maña» non significa «ed in seguito a strappone / che ben tira ma non strappa» (ib.) bensì 'e dopo una lunga tirata [cioè dopo una lunga faticata nel lavoro] in cui uno si dava da fare';

v. 235: «Aquél que no era chancleta» non significa «e la gente non negletta» (8,39) ma 'e chi non fosse una pastafrolla';

v. 425: «corté paja» non significa «tagliai paglia», ma 'tagliai giunghi' (o frasche con cui il gaucho faceva il tetto del rancho);

vv. 428-429: «Que si uno anda hinchando el lomo, / Se le apean como un plomo» non significa «se qualcun volge la spalla / gli spediscono una palla» (11,72), ma 'se qualcuno reagisce gli si buttano addosso pesantemente (come il piombo)';

vv. 443-444: «Porque había rastrillada / O estaba una yegua muerta» non vuol dire «perché alcuno rastrellava / ed alzava un polverone» (11,74) ma 'perché c'erano tracce [degli indiani sul terreno] o un cavallo ucciso [da loro per succhiarne il sangue]';

v. 452: «(Se entiende, de puro vicio)» non significa «e lo fan per distrazione» (11,76), ma 'si capisce, inutilmente';

v. 455: «Con un estrutor... ¡qué... bruta!» non vuol dire «Con un caporal testone» (11,76) ma 'con un istruttore... figlio di...' (testone corrisponderebbe eventualmente allo sp. bruto e non bruta), in quanto bruta! qui è eufemismo per puta!, che a sua volta è ellissi di la puta madre que lo parió!;

v. 459: «eran lanzas y latones» non significa «eran lance con ottone» (11,77) ma 'eran lance e spadoni';

vv. 582-583: «Tendido en el costillar», non significa «Mi buttai carponi» (13,98) ma '(l'indio), disteso lungo il fianco (del cavallo)';

v. 635: «En mi perra vida he visto» non vuol dire «Nella sporca vita ho visto» (14,106) ma 'nella mia vita, non ho mai visto' (nello sp. riopl. en mi perra vida è una mera negazione intensiva);

v. 757: «Esto sí que es amolar» non significa «questo fatto è amorale» (15,127) ma 'questo sí che è dar fastidio [al prossimo]' (evidentemente qui il traduttore ha letto amoral invece di amolar);

vv. 781-784: «Y todo era alborotar / Al ñudo, y hacer papel. / Conocí que era pastel / Pa engordar con mi guanaca» non significa «Si riempiva inutilmente / un volume di cartaccia... / era proprio una focaccia / che ingrossava il mio fardello» (16,131) ma 'era tutto un far confusione per niente, e un far teatro. Mi accorsi che era una pastetta [nel senso metaforico] per mangiare a spese mie';

vv. 917-918: «Y nunca se andan con chicas / para alzar ponchos ajenos» non vuol dire «e non sanno, disgraziati, / donna altrui quanto conforta» (18,153) ma 'e non vanno tanto per le sottili quando si tratta di rubare'; anche qui il traduttore, come il Testena, ha confuso «alzar ponchos ajenos», che letteralmente significa 'alzare il poncio altrui', con alzar las faldas de las mujeres ajenas...

Altri casi, meno vistosi, di traduzione erronea o che comunque non corrisponde al testo sono i seguenti:

vv. 395-396: «los haremos pitar del juerte; / Más bien dése por dijunto» non corrisponde a «quindi stia ognuno all'erta / se non vuol morire a siento» (10,66) ma 'gli faremo provare una razione di tabacco forte [cioè 'gli faremo sputar sangue']; è meglio che si consideri già defunto';

vv. 856-858: «Y esa fue la culpa toda. / El bruto se asustó al ñudo / y fi el pavo de la boda» non corrisponde a «per la mente sua incosciente / che si spaventò per niente, / la mia mossa fu colposa» (17,143), ma 'e quella fu tutta la (mia) colpa: Quel bruto si spaventò per nulla e ci andai di mezzo io';

vv. 911-912: «Y cuando pescan un naco / uno al otro se lo quitan» non corrisponde a «Ma disposti a disputare / qualche soldo o dei proventi» (18,152), ma 'quando riescono a pescare un po' di tabacco, se lo contendono l'un l'altro;

vv. 191-192: «Y así sin sentir pasaban / Entretenidos el día» non corrisponde a «Ed i giorni si passavan / tanto gli uni come gli altri» (7,32), ma 'E così, senza accorgersene, passavano, divertendosi, la giornata'.

v. 491: «Ande enderieza abre brecha» non corrisponde a «come spinto da balestra» (12,82) ma 'dovunque attacchi apre una breccia";

v. 510: «Y se agacha a disparar» non corrisponde a «e rifugge disperato» (12,85) ma a 'se la dà a gambe';

vv. 508-509: «Si lo llega a destripar / Ni siquiera se le encoge» non corrisponde a «e anche quando è sviscerato / nella terra non finisce» (12,85) ma 'se anche arrivi a sbudellarlo, lui non fa una grinza';

vv. 653-654: «Yaguané que allí ganaba / No salía... ni con indulto» non corrisponde a «In quel gioco per sventura / si perdeva fino all'osso» (14,109) ma 'il pidocchio che lí si annidava non usciva nemmeno con l'indulto' (cioè 'non riusciva a stanarlo');

vv. 831-832: «Que talvez mi sepoltura / Si me quedo iba a encontrar» non corrisponde a «e che una sepoltura / per cercarmi certo fruga» (17,139), ma 'e che forse la mia tomba, se fossi rimasto, avrei trovato'.

Vediamo ora una serie di qui pro quo di tipo linguistico: «Naides me ha de seguir» (v. 95) 'nessuno mi dovrà seguire' tradotto «Non ho mai persecutore» (questo corsivo e i successivi sono miei); «querellas» (v. 98) 'lagnanze' diventa «bagatelle» (6,17) che in ital. vuol dire un'altra cosa; «Hasta ponerse rechoncho» (v. 148) 'fino a diventare gonfio' tradotto «fin tener la pancia a concio» (7,25); «el Juez de Paz» 'il giudice di pace' (v. 311) diventa «L'Istruttor» (9,52); «En cuanto sonó un cencerro» (v. 540) 'non appena suonò un campanaccio [il segnale d'attacco]' diventa «ché un campano li commina» (12,90) (l'ital. comminare significa 'minacciare', e qui il campanaccio non minaccia gli indi, ma dà loro il segnale di attaccare); «echar panes» (v. 567) 'dire bravate' diventa, chissà perché, «finire sottoterra» (13,95); «Siempre he sido medio guapo» (v. 591) 'Sempre sono stato piuttosto coraggioso' diventa «sono sempre uno spaccone» (13,99) (si è scelta qui una accezione di guapo incoerente rispetto al contesto).

Interi gruppi di versi vengono semanticamente sconvolti. Così «Hicieron el entrevero, / Y en aquella mescolanza; / éste quiero, éste no quiero, / Nos escogían con la lanza» (vv. 561-564), 'Fecero una grande confusione, e in quella mescolanza -voglio questo, questo no- ci sceglievano con la lancia', diventa «eran fulmini sul campo! / Ci sceglievan con la lancia, / era un gioco, vera ciancia... / e per noi non c'era scampo» (13,94), dove fra l'altro ciancia, che in italiano significa 'chiacchiera inutile, a vanvera', è usato impropriamente col valore di 'bazzecola'.

Insomma l'italiano dei Crocitto è molto approssimativo e vi emergono anche veri e propri barbarismi grammaticali o lessicali con frequenti contaminazioni o ibridismi cocoliceschi5: «perché l'uom cui lo divora / un dolore straordinario» (5,1); « una mosca si avvicina» (ib., 10) (contaminazione con lo sp. ni che ha il valore dell'ital. nemmeno); «e nessuno in un impaccio / mi ha mai visto titubando» (ib., 12) (confusione con l'uso participiale del gerundio spagnolo); «al confin se lo convoglia» (9,47) per 'lo si convoglia' (adozione erronea dello sp. se lo); «a uno solo, supplicante, / sol poté salvar l'ostessa» (ib., 56) (calco dell'accusativo personale sp.); «A cavallo ed albeggiando / mi diressi alla frontiera» (10,64) (altro caso di calco sintattico del gerundio sp.); «Ben compatta a noi, furiosa / dando gridi caricò» (13,93) (ancora l'accusativo preposizionale sp.); «Y al fin me les escapé / Con el hilo de una pata» (v. 618) diventa «di volare al Padre Eterno / per un pelo sol non fallo» (13,103) (erronea attribuzione al verbo ital. fallare 'sbagliare' del valore di 'rischiare'); «Aquel trance tan amargo» (v. 624) 'quella situazione così amara' diventa «quell'ora poco spiccia» (14,104) (quando l'ital. spiccio non ha nulla a che vedere con amaro); «poco a poco» (v. 646) diventa «tratto a tratto» (ib., 108) (che in ital. equivale a 'di tanto in tanto'); «sembra che si fece tutto / per affliggere la gente» (14,112) (costruzione sintactica erronea in ital., per contaminazione con quella dello sp. riopl.); «Con la roba più discorda» (15,118) (ricostruzione di un presunto femminile dell'invariabile discorde); «con fine e giusto accerto» (16,133) (italianizzazione erronea dello sp. acierto; a parte il fatto che tutto il verso non ha nulla a che vedere con il verso corrispondente del testo che dice «Pa no verme más fundido»: v. 796); «giocavamo senza sosta / con baristi d'alta sfera» (16,135) (divertente attribuzione alla parola ital. baristi 'gestori di bar' del valore di 'coloro che barano nel gioco'); «Se fa caldo non è gente» (18,152) (traduzione letterale arbitraria dello sp. riopl. no son gente che qui vuol dire 'non sono in gamba; non sono resistenti'); «al mio buco fui filando» (19,168) (uso improprio del verbo essere al posto di andare, per contaminazione con lo sp. fui che ha ambedue i valori); «mi contò un vicino» (ib., 173) (adozione del valore riopl. di vecino = 'abitante del luogo'); «per pagar l'arrendamento» (ib.) (italianizzazione dello sp. arrendamiento 'fitto'); «Forse mai io ti riveda» (ib., 178) (costruzione arbitraria di forse con il congiuntivo come il tal vez sp.); «né un buon cane per compadre» [rimando con «padre» (ib., 179) (adozione dello sp. compadre al posto dell'ital. compare).

La rima spesso è tirata per i capelli e qualche volta induce il traduttore a parole di uso raro o speciale, o a inventarne di inesistenti nell'ital. attuale: «Salvazione» per rimare con «veglione» (9,47); «arretaron» per rimare con «mischiaron» (ib., 57); «morir a stento» per rimare con «momento» (10,6 cit.); «gridamenti» (12,81) per rimare con «adolescenti»; «non gli si capiva un brano» (17,142), per rimare con «cristiano» (voleva dire 'non gli si capiva una parola'). Non mancano qua e là versi metricamente errati o zoppicanti. Nei prirni mille versi esaminati ne ho contati almeno una ventina.

Da rilevare infine, anche qui, che i giochi di parole, che allietano qua e là questo serioso poema, sono troppo spesso evitati o sacrificati o resi inverosimili. Così quel gustoso (¡barajo!) (per ¡Carajo!) che potrebbe corrispondere all'ital. pop. 'Cazzerola!' o simili, vien ridotto a un semplice «Per Bacco» (19,163); «Inca-la-perra» (per Inglaterra) associato maliziosamente, come s'è visto più sopra, a hinca la perra 'monta la cagna', viene sostituito da «ciurmaglia» (9,55) con cui non ha nulla a che vedere; «Quién vívore?» (v. 860), equivalente cocolicesco dello sp. ¿Quién vive?, è tradotto con un incomprensibile «chi là vipere?» (17,144); così pure «Haga arto!» (ib., 862) (per haga alto!), interpretato giocosamente come lagarto ('ladro'), viene rappresentato con un poco convincente «Ca va là!» associato a «cavallo» (ib.).

Comunque è giusto riconoscere che questa traduzione rappresenta un passo avanti rispetto a quella precedente.

Fra la prima traduzione del Testena e l'ultima del Crocitto, si colloca cronologicamente quella di Mario Todesco, rivista e corretta dal padre Venanzio Todesco, già professore di Filologia Romanza all'Università di Padova, il quale dopo la scomparsa del figlio, la diede alle stampe per i tipi di Bino Rebellato Editore in Padova nel 1959. Si tratta di una traduzione in prosa, sostanzialmente antologica in quanto molti passi, ritenuti non interessanti, sono stati omessi. Non essendo legata al metro del verso essa riesce a mantenere più facilmente la fedeltà al testo rispetto alle precedenti. Il traduttore questa volta ha scelto un solo livello linguistico (anche se non quello più adatto, a mio giudizio) e, nell'insieme, lo ha mantenuto costante: è il livello normale dell'italiano scritto dalle persone colte, senza voli classicheggianti e senza scadimenti popolari; insomma uno stile piano e pulito di medietas letteraria. Si sente in questa scelta e in questa coerenza l'intervento della mano di un filologo romanzo. Tuttavia, se l'impresa era ovviamente da considerarsi ardua in partenza per un giovane alle prime armi come Mario Todesco (luminosa figura di patriota fucilato dai nazisti nel 1944), essa continuò ad essere in molti punti insormontabile anche per il vecchio specialista in questioni filologiche quando rivide, aggiornò e pubblicò la traduzione. Infatti a lui pure sfuggì il significato di molte espressioni gaucesche (o, più genericamente, rioplatensi) che, pertanto, trascrisse erroneamente od omise o sostituí con altre non omogenee rispetto al contesto; senza contare che sacrificò anche lui molti dei giochi di parole e delle relative allusioni picaresche che incontrò nel poema. In ciò risiede il maggior limite di questa antologia che, comunque, ha avuto il merito di essere stata la prima stampata in Italia. Attraverso di essa gli italiani della penisola hanno potuto venire a contatto diretto, anche se incompleto, con la grande epopea della letteratura argentina.

Anche qui l'esame della traduzione sarà sistematico e completo per il primo migliaio di versi. Per il resto della prima parte del poema analizzerò soltanto i principali errori e lacune.

v. 259: «si usté pisa su rancho» non corrisponde a «se uno sta nel suo rancho» (p. 43) ma a 'se uno mette piede [cioè ritorna] nel suo rancio' (dato che si parla del gaucho fuorilegge ricercato dalla polizia);

v. 261: «lo caza lo mesmo que ave» non corrisponde a «gli dà la caccia come a un uccello» (p. 43) ma 'gli dà la caccia come a una bestia' (dato che, per il gaucho, ave è qualunque animale da cacciagione, dal cinghiale all'armadillo);

v. 276: «pa el cepo lo enderiezan» non corrisponde a «lo cacciano in prigione» (p. 43), ma a 'lo spediscono al supplizio della trave';

v. 319: «Allí un gringo con un órgano» non corrisponde a «Là uno zingaro con un organetto» (p. 44) ma a 'Là un italiano con un organetto';

vv. 333-334: «Jue acollarao el cantor / con el gringo de la mona» non corrisponde a «io fui legato con lo zingaro della scimmia» (p. 44) ma «il cantante fu legato insieme all'italiano, quello della scimmia';

v. 361: «Yo llevé un moro [...]» non vuol dire «A me toccò un cavallo nero [...]» (p. 44) ma 'io mi ero portato con me [quando mi rastrellarono] un morello [...]';

vv. 383-384: «Ni envidia tengo al ratón / En aquella ratonera» non corrisponde a «non compiango il topo in trappola in confronto» (p. 45) ma 'non invidio nemmeno il topo [che vive] in quella topaia';

v. 424: «corté paja» non vuol dire «tagliai paglia» (p. 45) ma 'tagliai giunchi (o frasche) [con cui facevano i tetti dei ranchos]';

v. 427: «enriedo» non equivale a «reclusione» (p. 45) ma 'pasticcio', 'guaio';

v. 471: «Salíamos muy apuraos» non vuol dire «uscivamo di mala voglia» (p. 46) ma 'partivamo in gran fretta';

vv. 545-546: «Y golpiándosé en la boca / Hicieron fila adelante» non vuol dire «in atto di scherno ci sfilarono davanti» (p. 46) ma 'picchiandosi la bocca [con la palma della mano per ritmare e amplificare i gridi secondo la loro abitudine] si disposero in fila [cioè presero posizione] davanti a noi';

v. 583: «Tendido en el costillar» non vuol dire «Ritto sui fianchi» (p. 47) ma 'Disteso lungo il fianco [del cavallo]' (per non farsi colpire dall'avversario, come solevano gli indi);

v. 604: «me tuvo apuradazo» non corrisponde a «mi tenne impegnato» (p. 47) ma a 'mi fece vedere i sorci verdi', 'me la sono vista brutta', e simili;

v. 610: «mezquinar la garganta» non vuol dire «rantolare» (p. 47) ma 'nascondere [proteggersi con la mano] la gola';

v. 618: «Seguiré esta relación / Aunque pa chorizo es largo» non corrisponde a «Continuerò questa relazione, quantunque forse, sia troppo lunga» (p. 48), ma 'Continuerò questo racconto benché la sfilza [delle cose narrate] sia ormai lunga';

vv. 695-696: «Algunos creiban que estaba / Allí la proveduría» non corrisponde a «pareva che tenesse un intero magazzino» (p. 49) ma 'c'era chi credeva che lì ci fosse il deposito della sussistenza militare';

vv. 713-714: «sabe Dios qué zorro / Se lo comió al Comisario» non vuol dire «chissà qual volpe la [sic] mangiò al Commissario» (p. 49) ma 'chissà quale volpe si mangiò il Commissario' (nel senso di 'chissà quale diavolo si portò via l'ufficiale pagatore');

v. 737: «La cosa se me ñublava» non equivale a «La cosa si faceva seria» (p. 49) ma a 'La cosa per me diventava poco chiara';

vv. 741-743: «Yo me le empecé a atracar, / Y como con poca gana / Le dije [...]» non corrisponde a «Me gli accostai titubante e gli dissi [...]» (p. 49), ma 'Cominciai ad abbordarlo, e con l'aria dello svogliato [cioè qui 'del distratto'] gli dissi [...]';

v. 749: «Me rái y le dije [...]» non vuol dire «mi schiarii la gola e gli dissi [...]» (p. 49), ma 'feci un sorrisetto e gli dissi [...]';

vv. 847-848: «[...] tan bozal / Que nada se le entendía. / ¡Quién sabe de ánde sería!» non vuol dire «così stupido che non capiva nulla» (p. 50), ma 'così confuso nel parlare che non gli si capiva nulla' (cioè che parlava una lingua ibrida, cocolicesca); inoltre è saltato l'intero verso «¡Quién sabe de ánde sería ('Chi sa mai di dove era!');

v. 874: «Y se empezó la función» non corrisponde a «Si cominciò la funzione» (p. 51) ma 'E cominciò lo spettacolo' (qui nel senso metaforico di 'canaio');

v. 991: «Me parece el campo orégano» (o, in altre edizioni «Para mí el campo son flores») è frase fatta che non corrisponde a «Per me la campagna è il Paradiso» ma alla locuz. ital. 'per me son rose e fiori';

v. 1063: «Talvez no te vuelva a ver» non corrisponde a «Chissà non ti possa rivedere» (p. 5) ma 'forse non ti rivedrò mai più';

v. 1158: «Más vaca será su madre» non corrisponde a «Più vacca sarà sua moglie» ma 'sarà vacca vostra madre' ; il gaucho non suole insultare la moglie dell'interlocutore, ma la madre (o la sorella o la nonna);

v. 1164: «Me gusta... pa la carona» non ha qui il senso di «mi piace per la sella» (p. 54) ma di 'mi piacerebbe portarti a letto...' (carona è la coperta che si colloca sotto la sella, ma il gaucho la usava anche come materasso per dormiré all'aperto);

v. 1215: «en el medio de las aspas» non vuol dire «tra le costole» (p. 55) ma 'tra le corna' (cioè 'in testa');

vv. 1292-1293: «'[...] Beba, cuñao'. - 'Por su hermana', contesté», non significa «'Beva, cognato'. 'Per parte di sua sorella', gli risposi», ma «'Bevi, cognato'. -'Alla salute di tua sorella', gli risposi»;

v. 1408: «Al pajonal enderiece» non corrisponde a «si dirige al suo pagliaio» (che il gaucho non conosceva) ma 'si dirige verso il canneto';

v. 1578: «Y a la pu...n...ta disparo» non vuole dire «e sparò alla pu...n...ta» (nel senso, come spiega la nota del traduttore, di «alla disperata»), ma 'e andò a farsi benedire' («a la pu...n...ta» è eufemismo ellittico per a la puta madre que lo parió!);

vv. 1595-1596: «por el suelo la punta / De mi facón les jugué» non corrisponde a «piegai verso il suolo la punta del mio pugnale» (p. 61) ma 'accarezzai la terra con la punta del mio coltellaccio' (segno di provocazione);

v. 1641: «Otro iba como maleta» non corrisponde a «un altro partí barcollando come un sacco sul cavallo» (p. 6), ma 'un altro stava penzoloni sul cavallo, come un sacco' (dato che era ferito malamente);

v. 2080: «lobo», per il gaucho, non corrisponde a «lupo» (p. 69), animale che, come abbiamo già visto, egli non conosce, ma a un tipo di foca;

v. 2129: «Lo levantan de un sogazo» non vuol dire «lo sollevano con un tratto di corda al collo» ma 'lo sollevano con una scudisciata';

v. 2196: «Alcemos el poncho y vamos» non corrisponde a «Prendiamo il poncho e partiamo» (p. 71) ma 'mettiamo le gambe in spalla e andiamocene' (alzar el poncho è modo di dire che ha perduto il valore letterale).

Qua e là vengono omesse parole o frasi importanti per il contesto iconico e stilistico. Così il v. 255 «Pero áura... barbaridá! / La cosa anda tan fruncida [...]», tradotto «ma ora le cose sono tanto cambiate» (p. 43); a parte il fatto che la traduzione esatta di «La cosa anda tan fruncida» sarebbe 'le cose sono tanto complicate', viene omessa qui l'esclamazione barbaridad! che è una delle costanti lessicali più peculiari del rioplatense parlato e che corrisponde più o meno all'ital. mamma mia! Alla p. 43 è omesso il verso «Ahí principia el pericón» (v. 278) che pure è loc. pop. fra le più caratteristiche ed espressive del riopl. ('Lí comincia il ballo' nel senso metaforico di 'lí cominciano i guai'). Alla p. 44 la chaplinesca immagine «[...] un gringo con un órgano / Y una mona que bailaba» (vv. 319-320), viene ridotta a «uno zingaro con un organetto e una scimmia» (fra l'altro erroneamente perché, come già abbiamo visto, gringo non corrisponde a «zingaro» ma a 'italiano'), e si perde l'immagine della scimmia che danzava per divertire gli spettatori. Alla p. 46, viene soppresso il v. 530 «Tanto salir al botón» ('dopo di essere usciti tante volte per nulla') dove al botón rappresenta pure una delle locuzioni più espressive e più frequenti del riopl. pop. Alla p. 52 sono saltati addirittura 5 versi all'interno di una frase. Pure saltano a volte certe diffuse esclamazioni eufemistiche del riopl. tipo Pucha! (per La puta...!) alla p. 52, v. 959, o Aijuna! (per Ah! Hijo de una...!) alla p. 50, v. 839. Altre volte vengono rese con espressioni ital. più castigate, come «Pucha» del v. 590 tradotto «alla malora» (p. 47); «Jue pucha» (hijo de puta!) del v. 557, tradotto «Fu un disastro...» (p. 47); «La pucha!» del v. 425 tradotto «perdinci!» (p. 45). In tutti questi casi le espressioni corrispondenti da scegliere nell'ital. comune dovrebbero essere invece più pregnanti, del tipo Porco cane!, Porco mondo!, Porca miseria!, Porco boia!, Mondo cane!, Figlio di...!, Maledetto!, Cornuto! o simili. Tra gli eufemismi gauceschi più trasparenti c'è barajo! (corrispondente all'osceno Carajo!) il quale, come s'è visto più sopra, equivale alle varianti eufemistiche ital. Cazzerola! Cacchio! Cavolo! e simili. Nella traduzione invece esso perde la sua etimologia e diventa «accidenti!» (p. 45) o addirittura un semplice «purtroppo» (p. 43).

A volte sono intere immagini metaforiche che vengono perdute proprio perché la traduzione letterale rimane incomprensibile per il lettore italiano. Così al v. 539 «[los indios que atacaban] Salieron como maíz frito» viene tradotta «Vennero da ogni parte come i chicchi di mais tostato» (p. 46). La metafora gaucesca fa riferimento ai grani del mais che, quando vengono messi nella padella rovente seconde l'uso rioplatense, scoppiano e schizzano in tutte le direzioni. In italiano potremmo piuttosto dire che gli indiani partirono all'attacco 'schizzando come frecce', o qualcosa di analogo. Così pure al v. 1746 «Más prendido que un botón» (cioè innamoratissimo della sua donna) viene calcato letteralmente «più attaccato di un bottone» (come fece anche il Testena) conservando una metafora che in ital. non è comprensibile. In ital. bisognerebbe ricorrere a qualcosa come 'attaccatissimo!' o, meglio 'cotto e stracotto'.

Altre volte gli elementi principali della metafora non vengono tradotti e rimangono semplicemente sottolineati in spagnolo, oppure vengono tradotti alla lettera, con qualche chiarimento in nota. È il caso di «Soy un pastel con relleno / Que parece torta frita» (vv. 1697-1698) che viene trascritto «sono un pastel con ripieno sebbene sembri torta fritta» (p. 63), dove le immagini sono estranee all'uso italiano. Il significato è 'sono una persona che vale, anche se ho l'aspetto umile'. In ital. si potrebbe ricorrere a una metafora più comprensibile del tipo di 'sono come l'acquavite, che ha l'aspetto d'acqua fresca' o simili.

Ai vv. 581-582 l'indiano che attacca furioso arriva «Gritando: 'Acabáu, cristiano, / Metáu el lanza hasta el pluma!'» nel suo gergo che deforma lo spagnolo. Il traduttore sacrifica l'effetto tragicomico dell'ibridismo linguistico e trascrive alla lettera «Sei morto, cristiano: ti pianto la lancia fino al pennacchio» (p. 47). Si poteva salvare in qualche modo l'effetto del testo ricorrendo a un italiano straniereggiante e dicendo per esempio: 'Cristiano esere fotuto, lancia metere infilata!'.

Quanto ai giochi di parole picareschi, pure tipici della mentalità gaucesca, essi sostanzialmente si perdono. Vediamone alcuni [per un esame più completo si veda più avanti in 5.1.2.].

vv. 860-864: La sentinella napoletana ubriaca non riconosce Martín Fierro che sta avvicinandosi e gli grida il chi va là nel suo ibrido cocoliche. Il gaucho capisce fischi per fiaschi e ne nasce una scena divertente basata sull'equivoco linguistico: «Cuando me vido acercar, / 'Quen vívore?'... -preguntó; / 'Qué víboras?' dije yo. / -'Haga arto!' -me pegó el grito, / Y yo dije despacito: / 'Más lagarto serás vos.'». Il gioco di parole sta in «Quen vívore?» (che vorrebbe dire Quién vive? 'Chi va là?') interpretato dal traduttore come «Qué víboras?» 'Che vipere?'; e «Haga arto (che sta per Haga alto! 'Alto là!') interpretato come lagarto 'lucertola' e, metaforicamente 'ladro'. Il traduttore se la cava mantenendo il testo spagnolo anche qui con qualche chiarimento in nota: «Quando vide che m'avvicinavo, 'quén vívore?' domandò: 'qué vívoras!' risposi io. 'Ha garto [sic]' egli gridò, ed io gli dissi piano: 'Más lagarto serás vos.'» ( p. 51; è chiaro che in ital. tale gioco di parole è incomprensibile, e si deve tentare di riprodurre la scenetta mediante un altro gioco linguistico del tipo, per esempio, del seguente: «Al vedermi avvicinare, / 'Arto là!' quello gridò; / 'Quale arto?' replicai. / 'Chi va accà?', gridò di nuovo; / sottovoce gli risposi: / 'Sarà vacca tua sorella!'».

vv. 1177ss.: Martín Fierro offende sarcasticamente un negro dandogli del porrudo ('persona coi capelli crespi', quindi negro, per associazione con porra 'la coda degli animali quando ha i crini sporchi e appiccicati') mediante un gioco di parole: «Po...rrudo que un hombre sea, / Nunca se enoja por esto». Il negro si infuria e gli risponde per le rime: «-Más porrudo serás vos, / Gaucho rotoso! [...]» (vv. 1181-1182). Il traduttore (p. 54) trascrive alla lettera sia la prima battura («Per fiero che un uomo sia, non si arrabbia mai per questo») sia la seconda («Più peloso sarete voi gaucio straccione») senza che il lettore italiano possa veder nessuna relazione fra fiero e peloso; anche qui bisognava cercare in ital. un gioco di parole equivalente, sia pure diverso; per esempio qualcosa come «Mamma mia, che denti bianchi! / Come bulbi di finocchio...» [...] -«Il finocchio sarai tu, / Sporco gaucho» [...]

vv. 1292-1294: Il gaucho avversario di Martín Fierro gli manda una indiretta allusiva alla onorabilità di sua sorella, chiamandolo cognato mentre lo invita sarcasticamente a bere: «Diciendo: 'Beba, cuñao' / - 'Por su hermana', contesté, / Que por la mía no hay cuidao». La traduzione resta incomprensibile: «Dicendo 'Beva, cognato'. - 'Per parte di sua sorella' gli risposi 'che per la mia non ho pensiero'» (p. 57). Si poteva tradurre, rispettando la battuta, per esempio così: «E mi disse: 'A te, cognato!' - Gli risposi: 'A tua sorella! Delia mia non t'impicciare'»;

vv. 1823-1824: Il gaucho Cruz, mentre affronta quello sporcaccione del comandante che gli insidiava la moglie, gli lancia una battuta sarcastica: «Cuidao no te vas a pér...tigo, / Poné cuarta pa salir», che, letteralmente, significa 'attenzione a non cadere dal timone [pértigo] del carro; aggiungi un altro cavallo per uscirne [dal pantano]'. E con questo significato infatti viene tradotto nel testo: «Attenzione! non ti mettere in pericolo; cerca invece di cavartela» (p. 65). Però in questo modo si perde il gioco di parole originale per cui «Cuidao que te vas a pér... [foneticamente equivalente a peer, come abbiamo già visto]» è interpretabile, se si fa pausa, come 'Attenzione a non spetezzare [dalla paura]!', o, come meglio si direbbe in ital., 'Attenzione a non fartela addosso!'. Ma adottando quest'ultima traduzione l'allusione sarebbe troppo diretta e si perderebbe il gioco di parole. Perciò potremmo ricorrere anche qui a un gioco linguistico equivalente, anche se non uguale. Per esempio: 'Vatti a far fo...rtificare / Se vuoi batterti con me!' Si dirà che questa espressione non è fine... Certo, non lo è come non lo è quella del testo hernandiano.





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