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Vicente Aleixandre. Arrivederci all’Italia
Rinaldo Froldi
Il poeta Vicente Aleixandre, chiudendo questa intervista, ha espresso il suo virissimo desiderio di conoscere al più presto il nostro paese.
Una pioggia sottile, insistente, penetrante mi accompagnò pertutto il viaggio dalla capitale spagnola alla Sierra Guadarrama, la montagna di Madrid. Quivi e, più precisamente, a Miraflores de la Sierra, trascorre sempre i sue estati Vicente Aleixandre
Gli avevo promesso per quel giorno, l'ultimo davvero dell'estate e il primo dell'autunno (alla pioggia si accompagnava un freddo pungente che il mio leggero impermeabile non sapeva respingere) una visita, là nella sua casetta fra gli alberi con la terrazza volta al verde panorama.
Vicente Aleixandre o, meglio, Don Vicente come tutti lo chiamano affettuosamente ancor più che rispettosamente a Miraflores de la Sierra, mi accolse con cordialità squisita. Mi fece accomodare in un tinello dalle poltroncine di vimini dove notai subito la confortevole presenza di un caminetto acceso. Anch'egli era stato sorpreso, ancora in montagna, dall'anticipato autunno e mi disse subito che si riprometteva tornare di li a pochi giorni, raccolte le sue carte, a Madrid.
«Intanto, aggiungeva sorridendo, ho acceso il caminetto».
Alto, robusto, con un viso giovanile pronto al sorriso, sembrava smentire la fama intorno a lui creatasi e cui dà appiglio la malattia subita in gioventù e la vita ritirata d'oggi, di un uomo debole per salute cagionevole. Io ho avuto l'impressione di un uomo vitale e persino, a volte, esuberante.
Aleixandre è un signore nel senso più bello della parola: fine ed aristocratico senza affettazione. Quando parla di sè parla con semplicità, senza inutili modestie, senza noiose vanterie, con vera umiltà. Nello stesso tempo si preoccupa per chi gli sta vicino: il contatto che si stabilisce con lui è quello di due anime desiderose di conoscersi a vicenda e d'arricchirsi. L'atmosfera si crea immediatamente. Si comprende come Aleixandre possa essere maestro a tanti giovani poeti spagnoli.
Feci presente a Don Vicente il desiderio di rivolgergli alcune domande per una intervista per La Fiera Letteraria e di buon grado si dispose ad accontentarmi.
Invitai il poeta a parlare della sua produzione più recente.
E così infatti fu dopo Espadas como labios nell'apparire di La destrucción o el amor soprattutto più tardi quando Sombra del Paraíso nella sua chiarezza luminosa evocante un mondo di sognata perfezione, sembrò indicare un cammino tutto diverso dal precedente che era fatto d'asprezze dall'illucinanti intuizioni, di telluriche suggestioni.
Aleixandre riconosce d'aver tratto motivo di soddisfazione da questo comportamento dei giovani che finiva con dargli la certezza di aver fatto un passo più innanzi, di non essersi fermato sulle posizioni già raggiunte.
Aleixandre parla lentamente, riflettendo su ciò che dice e torna a ribadire il concetto quando gli sembra che esso non possa essere stato colto nella sua interezza.
Gli chiedo se, oltre a Historia del corazón, sta per uscire qualche altro libro e mi parla allora di Desamor.
Dalla conversazione sulle sue opere a quelle sulle sue letture: Alexandre, accogliendo le mie domande, mi disse del suo amore giovanile per Leopardi ed indicò in R. Darío, Quevedo, Rimbaud, Keats altre sue preferenze non senza influssi. Anche Góngora fu per lui una voce non priva di eco, anche se sostanzialmente diversa dalla sua è la poesia del grande barocco. Tra i moderni Rilke ed Eliot.
Volli sapere pure delle sue letture in prosa.
Vicente Aleixandre, nel ricordare l'episodio, aveva parlato animatamente e la sua voce s'era soffusa di velata tristezza al ricordo del povero Lorca.
Mi versò e si versò un altro bicchierino di Jerez e lo sorseggiò lentamente.
Egli stesso mi parlò poi, interpretando un mio desiderio, dei poeti spagnoli viventi.
Dalla poesia spagnola volgemmo il discorso a un tema più generale e vasto: a quello della letteratura ed alle sue possibilità nel mondo d'oggi che sembra porre, contro lo esercizio libero d'essa, infinite difficoltà e sembra mal collocarsi di fronte ad esigenze più vitali quali quelle della scienza. Ma Aleixandre pur riconoscendo le difficoltà entro cui faticosamente operario gli uomini di lettere ed arte, si mostra completamente ottimista nei riguardi dell'avvenire delle lettere: le considera espressione dell'uomo, della sua spiritualità, risposta ad esigenze che la scienza non può soddisfare e quindi destinate a durare con l'uomo. E l'uomo, come persona, egli mostra sempre d'avere presente: nella sua casa di Madrid, che è una villetta in una ridente zona, al limite della città, con in vista l'aperto panorama della Guadarrama, egli è abituato a ricevere i numerosissimi amici ed i non meno numerosi visitatori e, più frequentemente, i non pochi giovani poeti che lo considerano maestro. Ma non riceve mai più di due persone alla volta, anzi, più spesso, riceve una sola persona. Non gli piace il contatto superficiale, richiede l'accostamento profondo, quello veramente umano. Per questo Aleixandre non ha mai amato le tertulias, superficiali incontri di letterati che concepiscono la letteratura sportivamente, quando non s'ano degli ambiziosi che cerchino il modo di porsi troppo facilmente in mostra. L'arte per Aleixandre non è un gioco: è un impegno profondo, un atto morale. Egli è mosso alla poesia dalla necessità di comunicare con gli altri uomini. Nell'ascoltare il canto che dentro gli nasce sente che esso vale non solo per sè ma anche per i fratelli.
E l'umanità sua io chiaramente avvertii nelle due ore del nostro colloquio, nel suo sguardo buono, nel suo tratto gentile. Mi volle indicare la terrazza ove nelle belle giornate d'estate usa prendere il fresco della montagna; la pioggia aveva avuto una pausa ed il cielo era striato d'azzurro profondo: il verde dei pascoli e dei piccoli orti era lucente a un raggio di sole che cominciava ad apparire. Poi mi volle accompagnare alla porta per congedarmi e mi parlò della Italia, il paese che ancora non conosce e che tanto desiderebbe conoscere: io gli parlai delle nostre condizioni attuali e della nostra cultura. Gli accrebbi il desiderio.
Alle parole di congedo mescolò quasi una promessa di un viaggio in Italia nella prossima primavera, la stagione forse più italiana.
Ed il saluto finale fu un arrivederci.