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ArribaAbajoCapitolo terzo

Un programma apertamente liberale: la prolusione di Donoso Cortés


Se occorressero maggiori testimonianze per confermare la vitalità e la portata storico-letteraria del Discurso di Durán, nessuna parrebbe più efficace della prolusione pronunziata l'anno seguente da Juan Donoso Cortés nell'assumere la cattedra di Humanidades a Cáceres. Da essa abbiamo estratto alcune frasi di elogio rivolte al critico madrileno, ma la presenza del Discurso è vivissima nell'intero saggio. Questo è infatti una risposta, non scevra di una sottintesa, garbata polemica, a certe opinioni di Durán che Donoso si propone di correggere o circoscrivere.

La problematica del romanticismo appare dunque naturalizzata in Spagna. Tracce dei testi ufficiali, in particolar modo ancora dello Chateaubriand e di Madame de Staël, sono nuovamente reperibili in questo discorso inaugurale, ma si tratta ormai solo di riecheggiamenti, forse neppure più diretti, mentre il pensiero, pur dove vi si oppone, si snoda lungo le direttrici segnate da Durán.

Spentosi il clima dell'agguerrita polemica tra Böhl de Faber e Mora, ultima reazione del conservatorismo spagnolo contro i vangeli predicati oltre Pirenei, appare superata anche la posizione assunta da Durán, che tale polemica aveva trasferito sul piano di un dibattito interno tra i fautori del conservatorismo e del rinnovamento nazionale. Ora la discussione si sviluppa nell'ambito dello stesso movimento, partendo da posizioni affini e nella stessa atmosfera di più o meno accentuato rinnovamento.

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Nel precedente capitolo s'era affacciata l'ipotesi che sul saggio di Durán avessero influito le preoccupazioni del partito liberale-conservatore; con altrettanta probabilità, si può pensare che l'ala più progressista del liberalismo spagnolo abbia approfittato della prima occasione per contrapporvi un programma politico-letterario più conforme alle sue prospettive.

Il conferimento della cattedra alla università di Cáceres offriva, per più di un verso, quest'occasione. Anzitutto la provincia d'Estremadura poteva vantare recenti glorie letterarie, fortemente radicate nel gusto e nella mentalità del secolo XVIII, quali Meléndez Valdés e Quintana, extremeños entrambi (per nascita l'uno, l'altro d'origine) e quindi rivendicare un suo posto nella letteratura contemporanea. Inoltre, vi dominava certamente una vigorosa tradizione liberale, di cui fanno testimonianza, oltre a Quintana, Donoso Cortés ed Espronceda. Non era quindi priva di significato politico l'offerta che della cattedra si fece proprio a Quintana, da poco ritornato dal confino di Cabeza de Buey. Altri impegni e forse anche una certa cautela politica indussero il poeta a declinare l'invito; ma il nome che propose (proposta che ovviamente equivaleva a un'autorevole designazione) fu quello di un suo discepolo, non ancora compromesso con la politica, ma che allora seguiva, nelle linee fondamentali, le opinioni del maestro: fiducia nel progresso che si svolge seguendo i lumi della ragione, ammirazione per il secolo XVIII, esaltazione dello stato di natura94.

L'anno precedente, Donoso Cortés aveva preso, per la prima volta, contatto con i circoli culturali di Madrid, grazie all'interessamento di Quintana, che l'aveva raccomandato a Durán95; ora, appena ventenne, ancora per l'intervento del suo maestro, saliva alla ribalta della cultura con un incarico ufficiale.

Era dunque una creatura di Quintana ed era pertanto logico   —81→   che il suo esordio apparisse, se non proprio come la voce ufficiosa di quello, almeno come l'esposizione di idee che ne avessero ottenuto il beneplacito.

In effetti, non tutte le posizioni assunte da Donoso Cortés avrebbero potuto esser sottoscritte dall'autore del Pelayo: soprattutto l'implicita adesione al movimento romantico ed il conseguente incondizionato rifiuto delle unità drammatiche non potevano esser totalmente accettate da chi, circa quarant'anni prima, aveva scritto Las reglas del drama, sebbene, in tempi più recenti, ne avesse compiuta una parziale ritrattazione96. D'altro canto Quintana, se ebbe l'accortezza di chiudersi nella sua torre d'avorio, rimanendo così un venerando cimelio di glorie trascorse, evidentemente s'avvide d'esser superato dai tempi. Él mismo debía creerse anticuado, -commenta il Menendez y Pelayo- y por eso enmudeció como poeta desde 1829, como crítico e historiador desde 183097.

Suggestiva è questa coincidenza di date fra il ritiro del maestro e l'esordio del discepolo: una sorta di cambio della guardia. Avvenute, per così dire, le consegne, Quintana lasciò il posto a chi, pur nell'adesione ai gusti e alle tendenze dell'epoca nuova, gli offriva sufficienti garanzie di non venir meno a quel fondo ideologico -politico, filosofico, letterario- che aveva costituito l'essenza del suo magistero.

Egrave; naturale conseguenza che gli spiriti più apertamente liberali riponessero nel discorso che Donoso avrebbe pronunziato la stessa fiduciosa aspettativa del loro capo spirituale e che vi scorgessero la possibilità di riprendere quell'iniziativa che, dopo l'Europeo (cui in molti passi questa prolusione pare richiamare) era passata ai moderati e agli afrancesados.

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Il giovane professore non tradì quest'attesa. Anzitutto la problematica letteraria apparve intessuta su di una trama filosofica e storico-politica, che palesemente s'ispirava alle dottrine del liberalismo, concepito secondo le formule illuministiche di Quintana e di Jovellanos; la trattazione poi di queste idee era talmente estesa da lasciare un'indelebile impronta sulla parte letteraria. Cosicché, a differenza di quanto accadeva a Durán, per il quale l'opera poetica era la sintesi più significativa di un momento storico, qui la letteratura appare come un aspetto, non trascurabile invero ma complementare, della civiltà.

In secondo luogo, l'elogio di Durán inserito nel testo, se era un cavalleresco riconoscimento dell'iniziativa presa dai conservatori, poneva in evidenza, attraverso il riferimento al Discurso, le posizioni che con esso contrastavano.

Infine le lodi tributate a Quintana, come al genio che gli spagnoli possono contrapporre agli stranieri (él que ha sabido llenar nuestra escena con los acentos de Pelayo y los gemidos de Hormesinda no morirá jamás entre nosotros), collocate come sigillo del saggio, rivelavano con chiarezza la sorgente delle idee esposte, oltre ad essere il debito omaggio al maestro ed ispiratore.

Un altro omaggio rendeva l'autore a Quintana, evitando, in tutto il discorso, ogni riferimento alla polemica classico-romantica, anzi ignorando gli stessi vocaboli, costantemente sostituiti da antiguo e moderno. A dire il vero, questa reticenza troverebbe una certa giustificazione nella struttura stessa del saggio, consistente, stando alle parole d'esordio, in una mera indagine storica intorno alla civiltà antica e a quella moderna:

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...me contentaré con presentaros algunas observaciones sobre el carácter que distingue la moderna de la antigua civilización; siguiendo después la marcha de los siglos desde el renacimiento de las luces, los compararé entre sí, y todos con el XIX, en que nace este Colegio. Vosostros veréis que él debe ser el siglo de la razón y de la filosofía; y dando, finalmente, una rápida ojeada sobre la provincia de Extremadura, os la presentaré como la más privilegiada por la Naturaleza y la más dispuesta a serlo por la ilustración. En vano buscaréis en mí razones ni pensamientos profundos, ni formas elocuentes; pero los acentos que van a despedirse de mi labio serán puros como mi corazón y sencillos como la verdad y la Naturaleza98.



Ma una troppo lunga tradizione della critica europea, accolta ormai da anni anche in Spagna, aveva regolarmente imperniato il dibattito fra classicismo e romanticismo proprio su tale contrapposizione. Al giovane critico rimarrà pertanto la possibilità di portare fino alle estreme conseguenze la diffidenza già mostrata da Durán, ignorando i vocaboli tradizionali, ma gli sarà praticamente impossibile eludere i termini della questione.

Infatti, proprio nelle prime pagine, dopo aver descritto la caduta dell'impero romano ed aver affermato che nei secoli della barbarie medioevale si formò il carattere della filosofia e della letteratura moderne, egli guarda al Medio Evo con un interesse d'impronta non solo più rousseauniana, ma propriamente romantica.

Perdona -esclama rivolgendosi all'antica Grecia- si, contemplando en silencio con Osián las tumbas de sus padres y evocando sus sagradas sombras, prefiero sus misteriosos gemidos y sus salvajes laureles al aroma de tus flores y a los acentos de tu lira99.



Siffatte espressioni -misteriosos gemidos, salvajes laureles- ci riportano, oltre Durán, all'Europeo, con le sue tendenze a valorizzare il lugubre e il patetico. Ma nascono anche dal desiderio, polemico nei confronti del Discurso, di ridimensionare il Medio Evo in termini storicamente più accettabili. All'epoca quieta e serena descritta da Durán, Donoso oppone secoli di cupa desolazione, da cui sgorga una poesia vaga, indecisa, vacillante, espressione dell'incertezza tormentosa in cui erano immersi gli uomini. Quanto i Greci vissero in serena   —84→   beatitudine, altrettanto i moderni conobbero il dolore e la disillusione:

El hombre de la Grecia era el hombre de la felicidad, y el de la Europa moderna el hombre del infortunio; aquél se vio mecido por la mano de las Gracias, y éste por la mano del dolor; la cuna del primero fue regada con el néctar de sus dioses; la cuna del segundo, humedecida con el llanto de sus padres100.



Per questo gli antichi si rivolsero al mondo esterno, che loro appariva ricolmo d'oggetti gradevoli; al contrario i moderni, distogliendo lo sguardo dagli spettacoli dolorosi che li circondavano, si rinchiusero in sé stessi e, di conseguenza, effusero nella poesia la propria intimità.

Donoso tenta così di sostituire al troppo razionalistico determinismo storico di Durán una visione più sentimentale e spiritualistica del problema, la quale si connette, conseguentemente, con la concezione che egli ha della poesia:

La poesía no es otra cosa que la expresión enérgica de las sensaciones, que, habiendo herido fuertemente nuestra imaginación, se revisten en nosotros de aquel carácter de grandeza y de sublimidad que nos arrastra a la contemplación muda y silenciosa de todo lo bello, lo ideal y lo sublime101.



Intenzionale (la definizione ha inizio con le stesse parole di Durán: la poesía no es otra cosa que...) ed evidente è il contrasto con le posizioni di Durán, ancora vincolato all'idea trascendentale del bello: sebbene Donoso Cortés non neghi che un processo d'idealizzazione intervenga nella concezione del fantasma poetico, tuttavia identifica la poesia con l'espressione immediata (non ideale, come affermava il suo predecessore) di sentimenti sofferti.

Egrave; ben vero che lo scrittore usa il termine sensaciones, proprio dell'estetica sensistica, anziché il romantico sentimientos,   —85→   ma in realtà è a questi ultimi che allude: «ciò che si sente si esprime -soggiunge infatti- e la storia della poesia è la storia delle nostre sensazioni».

Anzi, il critico perviene, su questa strada, ad un vero e proprio soggettivismo idealistico, là dove, per confutare il principio estetico dell'imitazione della natura, nega la possibilità di una conoscenza oggettiva, affermando che all'uomo è dato solo di conoscere le proprie sensazioni, nelle quali fa necessariamente consistere l'idea di natura102.

Può darsi che, ricondotta a questi significati, la definizione della poesia potesse non incontrare l'approvazione incondizionata di Quintana, sebbene non sia difficile risalire, attraverso di essa, a concezioni estetiche del secolo precedente103. Certo però l'interpretazione della storia letteraria, condotta in termini di forte soggettivismo, che da queste premesse deriva, rispecchiava abbastanza le posizioni del maestro, il quale nelle Vidas de Españoles célebres, nonché nel Pelayo, aveva scolpito figure gigantesche e solitarie campeggianti sullo sfondo oscuro della loro epoca. Eroe quintaniano è in questo senso soprattutto Dante, il quale está solo, apoyado de su genio en medio de la Naturaleza; altrettanto lo sono le figure degli altri poeti che seppero raggiungere una sublime originalità esprimendo sentimenti conformi alla spiritualità nuova, instauratasi dopo l'avvento del cristianesimo. Tali, oltre a Dante, il Petrarca, l'Ariosto e il Tasso, che segnano le tappe più importanti nella storia della rinascita letteraria. Tali i grandi poeti del Seicento spagnolo   —86→   che, abbandonata l'imitazione dei modelli stranieri104, diedero alla nazione la vera grandezza letteraria: Góngora (cuando no delira, se viste con toda la pompa oriental de la musa castellana), Lope de Vega (traza un surco de luz en todo el dominio de las musas), Calderón de la Barca (se levanta como un gigante que todo lo ocupa con su nombre).

Nel marcato rilievo dato alle singole personalità risiede l'aspetto più interessante e più fecondo del saggio. Anche in questo punto Donoso si scostava da Durán, che aveva orientato di preferenza la sua indagine verso la scoperta dello «Zeitgeist» e del «Volksgeist», in cui l'individualità del poeta risultava assorbita e mortificata.

La posizione di Donoso dovette apparire particolarmente solida, dal momento che non solo se l'appropriarono, conducendola fino alle estreme conseguenze, spiriti indipendenti come Hartzenbusch e Alcalá Galiano105, ma lo stesso Durán vi si accostò nel saggio sul Romancero e, più ancora, negli scritti successivi.

Se il critico madrileno accolse, almeno in parte, il suggerimento che nasceva da questo discorso, fu perché s'avvide delle implicanze ben più vaste che esso offriva, comportando una scelta sul dibattuto terreno della poesia popolare e della poesia d'arte. Egli schierandosi a favore della seconda, capirà l'esigenza di dare un particolare spicco all'opera individuale, pur vedendo questa sorgere e fecondarsi nell'humus della tradizione e sotto la spinta dell'anima nazionale.

In Donoso, la coscienza del problema appare ancora confusa. Da una parte egli sente il fascino delle grandi personalità, ma dall'altra non sa rinunziare alla sua viva inclinazione per lo stato di natura e per la poesia «barbarica». Vagamente avverte l'intimo contrasto di queste posizioni, cosicché, dopo aver   —87→   isolato le figure dei grandi poeti secenteschi, s'affretta a definirne l'opera complessiva secondo gli schemi della poesia popolare:

Así se presenta la musa española en el siglo XVII bañada de esplendor, de majestad y bizarría; el artificio no envilece sus facciones; ella es inculta y salvaje porque es inculta y salvaje la Naturaleza106.



L'evidente forzatura, in contrasto con i giudizi in precedenza espressi intorno a ciascun poeta ed inammissibile anche per quei tempi (inculto e salvaje sarebbero parsi epiteti eccessivi anche nei confronti di Lope, che pur molta critica, da F. A. Schlegel al Sismondi, giudicava con scarsa benevolenza; nessuno poi avrebbe osato attribuirli a Góngora o a Calderón) rivela un non riuscito tentativo di superare antinomie difficilmente conciliabili.

Certamente una qualche influenza sulle posizioni assunte da Donoso fu esercitata anche dallo stimolo patriottico. Lo scrittore voleva, infatti, attraverso la dimostrazione della loro «naturalità», esaltare le lettere spagnole, di cui poneva in luce la barbarica grandezza, di contro all'interpretazione di Durán cui premeva invece di rilevarne la compiutezza artistica.

In verità, non solo sotto questo aspetto Donoso si poneva in contrasto col Discurso, ma soprattutto per la diversa apertura del suo patriottismo, ben lontano dall'accogliere gli accenti nazionalistici che talvolta appesantiscono le pagine di Durán. Al contrario, l'ideale cosmopolitico percorre una gran parte di quest'orazione, improntandone la problematica letteraria e la visione storica. Il romanticismo, o meglio, per restare nella terminologia di Donoso, la poesia moderna, non viene identificata col casticismo, bensì ne vengono poste in rilievo le tradizionali componenti europee del cristianesimo, dell'intimismo, della libertà   —88→   dalle regole aristoteliche. Per questo il critico sottolinea la comunanza ideale fra le diverse letterature, comparando Shakespeare al Tasso e il teatro calderoniano a quello inglese e tedesco.

Calato in questa prospettiva europea, il problema della letteratura francese d'impostazione classicheggiante trova una soluzione più facile, quantunque altrettanto semplicistica, di quella prospettata da Durán. La Francia avrebbe commesso l'errore d'inventarsi unas necesidades facticias, ossia avrebbe tradito, abbandonandosi al classicismo, la sua più autentica ispirazione, che non poteva differire sostanzialmente da quella degli altri paesi europei. Donoso non esita pertanto a contrapporre la grandeza sin originalidad raggiunta dalle lettere francesi nel secolo XVII all'originalità e alla grandezza congiunte della contemporanea produzione spagnola. Ma tale contrapposizione è esposta con assoluta, obiettiva serenità, senza le punte polemiche di certi passi del Discurso. L'autore non sente il bisogno di deprimere altre nazioni per esaltare il suo paese, né, tanto meno, prova animosità verso la Francia, cui anzi riconosce la grandezza che essa ha conseguito nel secolo XVIII, grazie al fertile ingegno dei suoi filosofi. E se ancora solleva qualche riserva circa l'uso che di tale grandezza essa seppe fare, le attribuisce comunque il merito d'aver ripreso, nel secolo presente, quella via europea da cui s'era ingiustamente staccata. Che è, anche se l'autore non lo dice, la via del romanticismo, come dimostra il fatto che, a questo punto, egli presenti, con elogi perfino iperbolici, Madame de Staël quale guida nel nuovo cammino intrapreso dalla nazione vicina.

Questa comunanza di spiriti fra le varie nazioni ha, secondo l'autore, il suo fondamento nella storia della civiltà europea, storia appunto di contatti fra i popoli. Egli scorge nell'età feudale il momento deteriore della storia moderna, a causa del grave ostacolo che l'isolamento frappose al cammino dell'umanità. Al contrario, il progresso sarebbe sbocciato in seguito alle Crociate, alle quali Donoso attribuisce il merito d'aver ristabilito rapporti fra i popoli.

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A questo punto, la tracotanza dei feudatari venne rintuzzata dai re, i quali, accentrato il potere, liberarono i popoli dall'oppressione che su di loro s'era esercitata: los pueblos se vieron libres, con la protección del Trono, de su horrorosa tiranía.

Può stupire che il discepolo di chi aveva, nel Panteón del Escorial, descritto a fosche tinte la tirannide degli Absburgo, assuma posizione a favore dell'assolutismo monarchico. Compromesso con la situazione politica del momento o effettiva divergenza dalle opinioni del maestro?

A vero dire, non mancherebbero motivi a favore dell'una o dell'altra interpretazione107, né ci si dovrebbe eccessivamente stupire di questa contraddizione col tono apertamente liberale del contesto108. Ma è assai più verosimile che Donoso abbia inteso esprimere un semplice giudizio storico, identificando nell'intervento della monarchia uno dei molteplici momenti dell'evoluzione storica verso la libertà.

In effetti, la storia è, per Donoso Cortés, un costante cammino sulla via del progresso: lo stesso termine revolución, di cui l'autore fa un uso anche troppo esteso, sottolinea quest'interpretazione dinamica109. Non esistono pertanto, nella sua disamina, zone vuote, secoli fuori della storia; anche gli apporti del diciottesimo secolo sono valutati in senso positivo, sebbene non ne vengano sottaciute molteplici pecche.

Conseguentemente, Donoso Cortés ripone assoluta fiducia nel suo secolo, nel quale vede, secondo la logica del suo pensiero, assommarsi e realizzarsi le esperienze positive dei secoli   —90→   trascorsi. È ancora l'illuminismo quintaniano che riaffiora in questa posizione, in contrasto con la precedente critica romantica, non solo di Durán ma anche di López Soler. Poiché dunque considera il passato definitivamente concluso o, per meglio dire, assorbito e rielaborato nel presente, manca in Donoso ogni aspirazione a restaurare le antiche glorie, a riprendere il cammino partendo dalle esperienze secentesche.

Così facendo, l'autore introduceva nella critica romantica un atteggiamento che incontrerà consensi presso altri scrittori, ai quali la ripresa del passato parrà una formula di regresso.

Proprio a coloro che proseguiranno su questa linea si dovrà la costante opera di erosione del movimento romantico quale si era venuto affermando, cioè secondo la formula duraniana dell'unión de lo pasado con lo presente; saranno costoro quelli che a più alta voce chiederanno d'instaurare una terza corrente, né classica né romantica, o talvolta, come vorrà lo stesso Donoso Cortés nove anni dopo quest'orazione, classica e romantica al contempo110.

A un dato momento, attraverso la logica evoluzione delle idee, le posizioni più liberali e quelle più conservatrici parranno collimare nella comune ricerca d'una formula nuova, anche se gli uni penseranno di raggiungerla attraverso la libera espressione del sentimento individuale, gli altri, e saranno i più, attraverso le genuine manifestazioni dell'anima nazionale.



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ArribaAbajoCapitolo quarto

Il problema della poesia popolare nel Romancero di Durán


Se, nel Discurso di Durán, non trovava riscontro il cosmopolitismo proclamato dai critici dell'Europeo e ribadito da Donoso Cortés, vi si poteva tuttavia scorgere la preoccupazione di sospingere la Spagna verso il reinserimento nella cultura dell'Europa moderna. È vero che, date le sue particolari prospettive, il saggio si risolveva in un rifiuto dello spirito europeo, ma ciò non toglie che tale preoccupazione lievitasse nel fondo.

Quando però, nel 1832, Durán scrive la prefazione ai Romances caballerescos e históricos, i suoi interessi appaiono ormai polarizzati intorno ad un ulteriore approfondimento dell'ideale del casticismo. La cultura europea contemporanea non viene certo dimenticata, ma è solo un punto di riferimento, sia come stimolo a superare gli stranieri nella riesumazione delle glorie letterarie di Spagna, sia come bersaglio di una più o meno sottintesa polemica intorno alla valutazione delle antiche romanze e dei problemi che esse comportano.

Questa maggior chiusura si spiega, oltre che con l'evoluzione del pensiero di Durán, prevedibile fin dal 1828 e confermata dagli scritti degli anni successivi, con l'argomento stesso di questo saggio; se infatti il teatro barocco spagnolo aveva trovato consensi pressoché unanimi all'estero (anche se si avanzava qualche riserva che Durán provvederà a ridimensionare nel saggio su Lope de Vega) non altrettanto accadeva per il Romancero, cui spesso si guardava con un misto di simpatia e di sufficienza.

Il nostro critico dunque, nel porre mano alla grandiosa   —92→   raccolta di romanze, si preoccupò soprattutto di sentirvi palpitare l'anima del suo paese, e di venire così incontro all'esigenza che gli spagnoli avevano in comune con i romantici di tutte le nazioni: conoscere se stessi.

Il che, in quel clima di fervido storicismo, non poteva significare altro che riconoscersi nelle vicende e negli uomini che avevano costruito la storia della nazione. Sotto questo rispetto, le idee esposte nel Discurso non erano che una premessa ad un'indagine più approfondita poiché gli spagnoli vi potevano bensì intravedere il loro profilo morale nel quadro sbozzato da Durán di un Medioevo cristiano e monarchico, ma, a prescindere da certe sfumature, stentavano a scorgervi lineamenti spiccati che nettamente potessero contraddistinguere la loro dalla storia delle altre popolazioni cristiane.

La rivendicazione del teatro nazionale soddisfaceva il loro orgoglio, stimolandoli alla ripresa di uno dei più tipici prodotti del casticismo, ma d'altra parte esso appariva come il punto d'arrivo d'una secolare maturazione: ogni spagnolo doveva pur pensare, sotto il peso d'una tradizione indiscussa, che lo spirito nazionale, giunto all'apogeo nell'edad de oro, si fosse formato negli anni gloriosi della reconquista. Conoscersi voleva dunque dire gettar luce su questo lontano periodo che, sotto l'impulso della moda romantica orientaleggiante, acquistava un fascino tutto particolare: cercare, nella fusione dei Latini, dei Visigoti e degli Arabi, il carattere più autentico della razza ispanica.

A questa esigenza, esotica e nazionale insieme, rispondeva in parte il rinnovato interesse per l'arabismo che avrebbe trovato in Gayangos uno dei suoi più illustri diffusori e già aveva dato l'Historia de la dominación de los Árabes di J. A. Conde; quest'ultima in particolare affrontava il problema dell'origine araba del romance, supposta pure da A. G. Schlegel.

Durán ebbe un'idea più ambiziosa: tracciare, attraverso la ricostruzione storica ed il documento letterario, una vera storia morale della Spagna.

All'interesse letterario, predominante nel precedente Discurso, viene così ad associarsi, in maniera ben più estesa,   —93→   quello storico. Ciononostante Durán non raggiunge le posizioni di Donoso Cortés, poiché alla letteratura egli assegna una posizione tuttora preminente, come a quella che più altamente esprime ed in sé riassume lo spirito di un'epoca e di un popolo.

La storia della letteratura diviene pertanto il più valido documento per l'interpretazione di una civiltà, come Durán sosterrà più tardi nel ripubblicare il Romancero:

La historia de la literatura es el espejo de la sociedad y del hombre modificado por las circunstancias y necesidades que le rodean e influyen; es la consideración de la ley constante de la humanidad, que sólo aparece variado en su expresión y en sus formas accidentales111.



Con una concezione che risente ancora delle lezioni di F. Schlegel, egli scorge fra storia civile e letteraria una così stretta connessione, da giudicare sterile una critica che prescinda da un inquadramento storico; più tardi esporrà in termini definiti questa teoria, che però trova una pratica applicazione già nel Romancero:

El objeto de la buena crítica no es sólo juzgar las obras del arte y del ingenio bajo el aspecto de un tipo absoluto convenido entre los profesores y maestros, sino también atender a las épocas y circunstancias en que se produjeron, considerándolas sometidas al influjo de la idea social, entonces predominante... Bajo este aspecto, la crítica es producto de un nuevo sentido conquistado en nuestros tiempos; es la idea preferente y necesaria, hija del análisis y de la discusión; es una garantía más de la imparcialidad en los juicios; es la teoría realizada de la inteligencia libre, y no el sistema de reacción, ciego, orgulloso e intolerante que excomulgaba a Shakespeare y a Calderón, porque no eran griegos ni franceses. Llena de datos históricos filosóficamente apreciados, y de erudición profunda sobre los sentimientos íntimos de cada pueblo y de cada edad en sus diversas fases de civilización; colmada de la ciencia práctica adquirida en el   —94→   estudio de las ideas populares, antes despreciadas por los sabios, ha penetrado el secreto de cada sociedad, y sabe usar de él para juzgar convenientemente las obras de la fantasía y del arte112.



Tale mutua relazione fra storia e poesia ha la sua ragion d'essere nel fatto che la ricostruzione storica cui tende Durán non concerne tanto gli avvenimenti in sé stessi, quanto lo spirito che li avrebbe animati. L'evento letterario, non diversamente da quello civile o bellico, gli appare in tal modo il prodotto d'una società e d'un ambiente determinati, e quindi la testimonianza d'uno stato d'animo collettivo.

In questa prospettiva nessuna produzione poteva collocarsi meglio dei romances, i quali si presentavano come un costante commento, come un'interpretazione corale della storia di Spagna. Non solo: attesa la vastità dei motivi affrontati, una raccolta di romanze pareva tracciare un quadro esauriente dell'anima spagnola, nelle sue reazioni dinanzi ai fatti e ai miti della vita pubblica e privata, nonché, considerata la loro lunga estensione nel tempo, nella sua evoluzione dai secoli semibarbarici alla maturità dell'edad de oro.

Durán sostiene d'aver pubblicato dapprima i moriscos, perché, teniendo que transigir con una generación educada y reglamentada por la crítica y filosofía del siglo XVIII, cercò di attrarla alla romanza per mezzo delle più seducenti; avrebbe insomma fatto leva sull'orientalismo di moda, per condurre poi il suo pubblico, di grado in grado, alle sencillas y rústicas narraciones dei caballerescos e históricos. Probabilmente una certa evoluzione avvenne anche in lui, come ci è dato congetturare dalle prefazioni dei diversi volumi.

Il primo parrebbe dettato essenzialmente da un interesse di bibliofilo e di patriota: En un tiempo en que la Europa parece disputarse a porfía la adquisición de todas nuestras obras de literatura, y bellas artes... nos ha parecido vergonzoso no tratar de reimprimir a lo menos algunas de aquéllas que nos hacen más honor. Non manca neppure, ma appena accennata,   —95→   una traccia d'interesse storico, nelle ultime righe, là dove afferma di aver inserito anche le romanze meno belle, perché tutte formano la storia delle tradizioni popolari113.

Quest'ultima affermazione è ribadita nel secondo volume: tutte le romanze riportate, -egli annota- buone e cattive, sirven para la historia del arte114.

Ma già il Cancionero, che uscì subito dopo, lascia intendere un'impostazione storica definita. È ben vero che della storia del romance si limita a cogliere il momento culminante, desde que pudo llamarse poesía, es decir, desde el siglo XVI hasta mediado y más del XVII, ma è chiaro che sottintende un precedente periodo di maturazione. Già è esplicita la fusione di storia civile e letteraria (attraverso queste romanze, afferma Durán, si può seguire l'evoluzione della lingua e dell'arte svolgentisi di pari passo con la civiltà e la cultura); neppure manca l'accenno alle deviazioni dallo spirito nazionale, rappresentate dalla lirica italianeggiante del secolo XVI.

Infine la conclusione appare veramente un preannunzio del Discurso preposto al quarto volume: Deseamos que nuestro trabajo proporcione placer a los hombres de gusto, y meditaciones al sabio y al filósofo, que sepa y quiera estudiar en la literatura el carácter de nuestra nación. E, quasi a confermare la validità di queste meditazioni, si affretta a ripetere che si tratta d'una collezione di poesia veramente nazionale, che nulla deve agli stranieri115.

Nel Discurso preliminar che appunto precede il penultimo volume della raccolta, Durán traccia finalmente un quadro storico completo. I punti che in esso vengono svolti sono cosí riepilogati dal critico stesso:

1º. Que los primitivos ensayos de la poesía castellana vulgar debieron ser los romances.

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2º. Que a ellos debemos principalmente la conservación de las tradiciones populares revestidas con el tipo y carácter nacional.

3º. Que nos marcan los diversos grados de cultura y modificaciones que según los tiempos experimentaba la sociedad.

4º. Que hasta fines del siglo XVI la poesía del pueblo, y por consiguiente el romance, no formaron un sistema completo y uniforme, capaz de llamar la atención de los sabios para adoptarle o combatirle116.



Egli intende dunque presentare l'intera vicenda del romance o, come dirà nel prologo alla seconda edizione,

el principio, progresos y retrocesos de esta forma de poesía, que empezó por el inculto pueblo, se continuó por los juglares, y más tarde se aceptó por los poetas para devolverla a su origen más bella y perfecta, y aunque menos espontánea y natural, no privada del sello y carácter propio de los tiempos en que nació y de las épocas en que se fue modificando117.



Questa storia egli vede tutta pervasa da una vena romantica, che sgorga dall'aderenza a sentimenti naturali e propri dell'epoca in cui le varie romanze vennero scritte. È quindi pervasa di verità; di una verità che consiste nell'essere fedeli non alla storia, ma allo spirito dei propri tempi:

Aunque los asuntos de estos romances (moriscos) fuesen fingidos,   —97→   su espíritu era la misma verdad... A nadie que los estudie filosóficamente se le ocultará la verdad moral que contienen, con sólo observar la fácil inspiración que los anima y vivifica118.



A questa così esplicita formulazione Durán giunse invero solo nel 1849, ma è innegabile che il concetto di verità morale (forse gli derivava dall'insegnamento di Lista119) sia alla base della stessa rivalutazione delle romanze120.

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Egli vede, in sostanza, realizzarsi in queste composizioni la sua concezione della poesia, intesa come quella che, pur partendo dalla realtà, questa realtà trasfigura idealizzandola e spiritualizzandola, ossia cercando di penetrare oltre la scorza del fenomeno per cogliervi la vera essenza di una perenne eticità.

Nel Discurso del 28, aveva assegnato alla poesia romantica il compito de formar la historia del hombre interior considerado como individuo (ossia non come tipo) en cuya conciencia íntima ha de penetrarse para juzgar del motivo o mérito de sus acciones y cuya verdad histórica o ideal se desenvuelve haciéndole obrar en muchas o en todas las circunstancias de su vida121. Questa storia, ideale e intima, dipingono le romanze, in questo solo differendo dal teatro che, invece della personalità di un uomo, tratteggiano l'individualità di un popolo.

Certamente la possibilità di tracciare la storia della Spagna attraverso le romanze veniva limitata dal fatto che i primi componimenti di questo tipo s'incontrano solo verso il secolo XV; Durán allora, senza alcun solido fondamento critico, ma confortato dalle convinzioni diffuse in tutta Europa circa le origini della poesia popolare, formulò la teoria della trasmissione orale dei romances, la cui trascrizione avrebbe avuto inizio solo nell'epoca in cui il popolo fu in grado di leggere.

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In tal modo egli non ha difficoltà a congetturare l'esistenza di romanze fin dal tempo in cui si formarono, insieme con la costituzione di un primo organismo politico, la lingua, la cultura e lo spirito ispanico.

Fondandosi sul presupposto del contemporaneo sviluppo di storia civile e letteraria, Durán ritiene che le prime romanze fiorissero sulla bocca degli asturiani sotto il regno di Alfonso II il Casto. Il quadro che egli dipinge della società di quest'epoca è tutto pervaso di un lirismo tipicamente romantico, che appunto per il suo tono rivela una scarsa consistenza sotto il profilo critico:

Ya los valientes astures respiraban entre fronteras más dilatadas; era su monarquía más regular y fuerte, e iban dejando con los temores el odio concentrado que al principio fue causa de repeler todo trato amistoso con los árabes, y de rechazar las luces, las artes y la civilización que trajeron a España. Entonces fue cuando el entusiasmo de gloria se sustituyó con ventajas al valor ciego, hijo de la necesidad de ofender y defenderse. Los caudillos que conducían las huestes cristianas al campo del honor, volvieron a sus hogares cargados de botín y de objetos de lujo conquistados al enemigo. En acción de gracias al Dios de las batallas empleaban sus riquezas en edificar templos y en dotar iglesias, ocupando las artes, aun imperfectas, en levantar monumentos de gratitud al Ser Supremo y protector que les atribuía la victoria. Por este tiempo era ya el latín casi desconocido, y la lengua vulgar no podía permanecer más ociosa que las artes, siendo muy probable que mientras éstas se ocupaban en el ornato de los templos, aquélla la empleasen los soldados y el pueblo para cantar sus sentimientos, celebrar sus caudillos, aplaudir sus triunfos, y conservar la memoria de sus hazañas en un lenguaje métrico. Cuáles fuesen estas canciones no puede decirse: ninguna ha llegado hasta nosotros, pero puede afirmarse su existencia, deduciéndola del orden natural y de la necesidad de las cosas122.



Così, accanto al pregiudizio romantico d'una storia che, sul nascere si trasforma in poesia, viene a porsi quel determinismo che già affiorava nel precedente Discurso.

  —100→  

La stessa intima debolezza si riscontra nella rivendicazione del carattere ispanico del metro ottosillabo:

Entre las combinaciones métricas anteriores al siglo XVI que se encuentran en la poesía castellana, ninguna es más fácil, natural y acomodada al carácter de la lengua y al género narrativo que la del romance común octosílabo. Su constante e inalterable medida, su corte de períodos y su sintaxis primordial se encuentran más que cualquier otro género de metro en la conversación y en la prosa sin necesidad de descomponer e interrumpir la frase. Estas cualidades le hacen muy a propósito para imprimirse en la memoria... Además, el ritmo monótono del romance antiguo parece que indica y provoca el canto que se le ha aplicado... En una palabra, nuestro romance, tal como es y ha sido, es tan exclusivamente propio de la poesía castellana, que no se encuentra en ninguna otra lengua ni dialecto que se hable en Europa123.



Non staremo a porre in luce tutte le manchevolezze di quest'apparato filologico; né entreremo nel merito della questione relativa all'origine delle romanze, trattandosi di problema troppo vasto che esula dalla nostra indagine. A onor del vero, il critico, conscio della gravità dell'argomento, che egli affrontava tra i primi, non pervenne mai (neppure nel corso delle più impegnative classificazioni tentate nell'edizione successiva) ad asserzioni precise, ma si limitò a presentare le sue congetture in via d'ipotesi. Tuttavia bisogna riconoscere che, nonostante gli scarsi mezzi a sua disposizione (Hubo de leer Durán -commentava l'accademico Cutanda pochi giorni dopo la sua scomparsa- en gran parte a ciegas y sin previo discernimiento124) gli spetta il merito di aver impostato il problema in termini cui continuò ad ispirarsi (se sia stato un bene o un male, non staremo a discutere) la critica più rigorosa di   —101→   Milá y Fontanals, Menéndez y Pelayo, Menéndez Pidal, Cejador e altri.

Dopo aver dunque tracciato il quadro delle origini, Durán tenta di cogliere i momenti essenziali in cui penetrano nella romanza le varie componenti dello spirito spagnolo. Il critico non delinea una vera e propria successione nel tempo (la classificazione cronologica è compito che svolgerà nella seconda edizione), ma descrive il confluire di elementi eterogenei, nordici e orientali che, nel lento maturare della reconquista, vengono assimilati e decantati finché si fondono nella compatta unità che lo spirito assume sul finire del secolo XVI: la Spagna avrebbe ritrovato sé stessa, in politica come in letteratura, nella grandezza dell'età imperiale.

Los extranjeros -rileva a questo punto- que estudiando nuestra literatura confunden épocas y circunstancias, han anticipado el tiempo de nuestro verdadero romantismo (sic), considerado como sistema, atribuyendo a siglos anteriores lo que sólo se verificó desde fines del XVI a mediados del XVII. En este intermedio, y no antes, se completó el amalgama y fusión de las partes heterogéneas que constituyen todo el brillo, riqueza, armonía y originalidad de nuestra bella literatura125.



Si può pensare che in questa posizione avesse una certa parte l'orgoglio nazionale che impediva a Durán d'accettare come piene espressioni dello spirito spagnolo opere che egli giudicava rozze (tale è il suo giudizio su gran parte dei caballerescos e históricos) e che molto spesso rivelavano aperte influenze straniere e perfino classiche. Ma la ragione più profonda risiede in quella particolare prospettiva di cui s'è parlato. In fondo egli non nega le suddette influenze, particolarmente visibili nelle romanze cavalleresche, ma descrive il collaterale sviluppo di argomenti e spiriti prettamente nazionali in quelle storiche; quando infine lo spirito ispanico, giunto all'età adulta, diviene autocosciente (non sono le parole di Durán, ma tale   —102→   è la sostanza del suo asserto), ecco sorgere i suoi grandi interpreti, Lope e Góngora,

los primeros que comprendieron el destino de la poesía castellana, y que abandonando la imitación de modelos latinos e italianos, establecieron el verdadero romantismo (sic) español, tanto en la lírica como en la dramática. Así reunieron los elementos de la poesía popular, y crearon un sistema nuevo, compuesto con la brillante imaginación árabe, con la sentimental y vehemente pasión de los escandinavos, con la aventurosa y galante caballerosidad de los normandos, con los profundos pensamientos del dogma y moral cristiana, y en fin con el espíritu noble, guerrero, generoso y grave de su nación. Bajo el poderoso influjo de tan grandes ingenios, los versos cortos adquirieron toda la flexibilidad y dulzura que los distingue, y el romance octosílabo la perfección que le hace apto para expresar digna y convenientemente toda clase de pensamientos, y para adaptarse a todo género de tonos, desde el trivial al más sublime126.



Non c'è dunque contraddizione fra l'anonima e rozza poesia popolare dei primi secoli e quella colta che ne rappresenta l'apice. Ogni epoca ha la poesia che le si confà; ad epoche di cultura primitiva e d'incipiente evoluzione linguistica corrisponde una letteratura altrettanto primitiva e rigida nelle sue strutture; ad epoche di piena maturità culturale, una poesia ricca e cosciente. Inoltre, come preciserà Durán nella seconda edizione, l'anonimato delle antiche romanze non indica necessariamente che tali opere siano il frutto diretto della collettività: anche nelle società primitive esiste una certa élite, non culturale, ma intellettuale, cui appartengono i poeti. Ad essi seguono i giullari, i poeti eruditi e infine i poeti «artistici».

  —103→  

Los poetas primitivos, pues, y los juglares expresan la poesía natural del pueblo, la que el pueblo engendra y comunica; los eruditos y artísticos expresan aquélla que la ciencia y el arte, habiéndola recibido de la multitud tosca y ruda, se la devuelve culta ya, pero siempre acomodada al mayor o menor desarrollo de su civilización actual.



Variano perciò i toni della poesia, così come mutano i rapporti fra il poeta ed il popolo; ma quest'ultimo, romanticamente inteso come il depositario dei valori nazionali più autentici, rimane il punto costante di riferimento.

Cosicché Durán, discostandosi dalle teorie dominanti all'estero, poteva far rientrare nell'ambito della poesia popolare anche quella più evoluta:

Por ello, a diferencia de los imitadores de los clásicos griegos y latinos, llamamos poetas populares aún a los que hemos considerado como eruditos y artísticos, relativamente a la clase de literatura indígena que cultivaron o que de ella procede127.



Al lato opposto stanno invece i più sterili prodotti dell'imitazione straniera: Boscán, Garcilaso, Herrera, Rioja, Luis de León, Villegas, gli Argensolas seppero bensì superare la poesia popolare in artificio, buen gusto, estilo, cultura y filosofía; ma riuscirono inferiori per estro, nacionalidad, riquezas de imágenes, abundancia de fantasía, y sobre todo, en las galas de una invención inagotable128. Che è in definitiva il contrasto, come lo intese Durán, fra poesia classica e romantica.

Rispetto al saggio sul teatro, questo Discurso preliminar rappresenta un progresso nel maggior rilievo dato alle singole personalità dei poeti (e in ciò, come si diceva nel precedente capitolo, non si può escludere un influsso di Donoso Cortés), ora chiuse nell'individualismo degli imitatori, ora quali corifei di un intero popolo. Ma un altro passo è compiuto verso una più precisa caratterizzazione di questo popolo, il quale non appare più solo genericamente cristiano e monarchico, ma, secondo lo spirito che anima quest'opera nella ricerca della più   —104→   genuina hispanidad, rilevato e nobile nelle sue peculiari qualità.

Disseminate attraverso il saggio incontriamo osservazioni e definizioni: grave, fiero y guerrero è il carattere degli Spagnoli129; profondamente radicata la loro fede, che sdegnosamente ripudia le finzioni della mitologia araba130; il loro spirito è noble, guerrero, generoso y grave131; i loro ideali sono el heroísmo, la lealtad y el valor132.

Senza dubbio l'importanza che il popolo assume nel Romancero è da mettersi in rapporto, oltre che col genere di poesia trattato, con gli influssi esercitati sul critico dagli studiosi tedeschi contemporanei. Non sappiamo molto delle letture compiute da Durán prima del 1832; tuttavia, come egli possedeva precise notizie intorno al movimento romantico che si svolgeva in Germania (lo ricaviamo dalle sue allusioni ai sabios alemanes) e conosceva l'opera degli Schlegel, le cui idee affiorano nei suoi lavori, non poté non conoscere, per via diretta o indiretta, gli studi compiuti sulle romanze spagnole dallo Herder, dal Grimm, dal Diez, dal Depping, dal Bouterweck (con lo Huber entrò in contatto dopo la pubblicazione del Romancero)133. Possiamo quindi affermare che non gli erano ignote le idee elaborate intorno alla Volkspoesie ed alla Kunstpoesie (le quali, inoltre, già affioravano nell'orazione di Donoso Cortés), che spesso s'accompagnavano ad un'appassionata rivendicazione della poesia spagnola primitiva.

  —105→  

In effetti, nella sua concezione della poesia popolare ritroviamo gran parte, se non tutti, i motivi cari ai Romantici, particolarmente ai tedeschi: l'esaltazione della spontaneità e la condanna dell'artificio, l'individuazione d'un'anima etnica e la denunzia delle importazioni e delle sovrastrutture, l'idea dell'interdipendenza di arte e vita e la rievocazione di un Medioevo cristiano e bellicoso.

E tuttavia ci sono posizioni che egli non condivide, come s'è visto poco innanzi a proposito della determinazione del Romanticismo spagnolo. Quest'idea, che suona curiosamente schellinghiana, dello spirito etnico che da incosciente, o da semicosciente, si trasforma in autocosciente (anzi, unisce incoscienza ed autocoscienza nella superiore unità dell'arte) e che dall'inartistica immediatezza passa alla venustà di un'arte riflessa, è, a parte i motivi patriottici che possono averla suggerita, forse ancora un residuo neoclassico, ma è al contempo un'intuizione che sembra superare i limiti del suo tempo.

Ci sono certe proposizioni del Croce, le quali, pur partendo da presupposti ben più profondi e giustificati, non riescono, nella sostanza, dissimili dalle concezioni di Durán.

Quando i poeti d'arte, -afferma il critico italiano- che hanno fatto poesia popolare e popolareggiante, non sono cascati (come assai di frequente) nel frigido e nell'insulso [è il caso di Sepúlveda, secondo Durán], e hanno veramente dato vita a cose belle, osservando da presso si vede che essi hanno bensì preso certe materie, certi motivi, certe forme della poesia popolare, ma o le hanno approfondite o le hanno variamente ironizzate, sicché quella loro apparente poesia popolare è anch'essa finissima poesia d'arte.



E ancora:

È stato detto da qualche critico che «la poesia popolare tende tutta alla poesia d'arte»; ma non è essa che tende a quest'oggetto, perché, in quanto si attua come poesia, è di sé satisfatta e autarca, sibbene è lo spirito che dall'un tono passa all'altro, come, a volte, torna al primo134.



  —106→  

Non abbiamo certo l'intenzione di presentare Durán come precursore del Croce, anche perché l'analisi dei due contesti ci porterebbe a porre in luce notevoli distinzioni: ci preme tuttavia rilevare come certe posizioni del critico spagnolo, pur mostrando la sua adesione ai gusti del passato, possano, per un altro verso, interpretarsi come innovatrici.

Anche questa nuova idea, alla stregua di quelle esposte nel Discurso, non era tale in senso assoluto, bensì si presentava come una rielaborazione, secondo una prospettiva spagnola, di teorie in gran parte già formulate dagli studiosi della poesia popolare.

Senonché queste teorie implicavano troppo spesso, talvolta inconsciamente, talaltra con palese intenzione, un giudizio negativo nei confronti dell'antica poesia spagnola e della nazione che l'aveva prodotta. Ciò che attirava i critici stranieri verso le romanze era infine l'aspirazione, di marca rousseauniana, verso un mondo semplice e schietto, ma rozzo ed incolto. Quando poi la loro attenzione si spostava verso epoche più recenti, per lo più scorgevano l'involuzione della poesia verso forme false ed artificiose o, come il Sismondi, negavano che il paese avesse saputo evolversi verso un mondo culturalmente più maturo.

Nell'uno e nell'altro caso, gli Spagnoli si sentivano irrimediabilmente respinti verso quel Medioevo, che essi pure contemplavano con simpatia, ma col quale, logicamente, non intendevano identificarsi.

Le stesse premesse metodologiche erano destinate a far insorgere le loro diffidenze. Scriveva lo Herder:

Wissen Sie also, dass, je wilder, d. i. je lebendiger, je frei würkender ein Volk ist..., desto wilder, d. i. desto lebendiger, freier, sinnlicher, lyrisch handelnder müssen auch, wenn es Lieder hat, seine Lieder sein! Je entfernt von künstlicher, wissenschaftlicher Denkart, Sprache und Letternart das Volk ist: desto weniger müssen seine Lieder fürs Papier gemacht und tote Lettern Verse sein135.



La storia della poesia popolare sfocia nella mortificante   —107→   insincerità della poesia artistica: secondo il critico tedesco, si susseguono poeti, scaldi, eruditi, in una prima fase; in una seconda cantori, bardi e menestrelli, finché sopraggiunge l'arte:

die Kunst kam und die Natur auslöschte... und endlich wurde alles Falschheit, Schwäche und Kunstelei136.



Queste idee, applicate alla Spagna, formarono un quadro in cui si aggregavano tutti gli elementi più atti a destare il risentimento dei suoi abitanti. Ecco come lo tratteggia il Depping:

Los pueblos separados por mares, montes o desiertos de lo demás del mundo, faltos de trato activo con otras naciones, suelen atender principalmente a lo que dentro de ellos sucede, y en sus momentos desocupados siempre visten sus tradiciones históricas o fabulosas con galas poéticas, poniéndolas en rima, para que en lugar de los libros sirvan de enseñanza y entretenimiento a la gente de pocas o ningunas letras.



In questa situazione si sarebbero trovati, in passato, gli spagnoli, oltre agli scandinavi, i gallesi, gli scozzesi, gli irlandesi e i bretoni137.

Come si vede, sia pure riferendosi ad epoche trascorse, il Depping faceva allusioni a quanto gli spagnoli ripudiavano: l'incultura, l'isolamento dal resto d'Europa venivano considerati causa determinante delle prime espressioni della loro poesia nazionale. È logico quindi che la posizione di Durán fosse diametralmente opposta e che egli vedesse la nascita della poesia spagnola contemporanea ai primi sprazzi di cultura e alla ripresa di rapporti con altri popoli.

  —108→  

Anche peggiore impressione doveva destare il Depping, quando istituiva analogie fra le condizioni degli antichi spagnoli e quelle dei moderni morlacchi e afgani; quando spiegava l'abbondante produzione dei romances con il molto tempo libero concesso agli spagnoli dal clima benigno che li esonerava da un intenso lavoro agricolo; e soprattutto quando rilevava, nelle romanze stesse, negligenze di versificazione, assenza di slancio lirico, entusiasmo, immagini, eleganza del dettato, certo non compensati dalla presenza di semplicità, vivezza e rapidità138.

Se possiamo pensare che nel Depping l'implicito giudizio negativo fosse inconsapevole -date le parole entusiastiche con cui esaltava certi aspetti spirituali delle romanze (nobiltà, moralità, patriottismo)- esso diventa chiaramente intenzionale nel Sismondi, il quale, pur non dimostrandosi insensibile alla poesia delle romanze, ne traeva lo spunto per accennare ad una sorta di perenne infantilismo del popolo spagnolo:

On y retrouvait -egli dice- de même cette imagination enfantine, qui semble d'autant plus riche qu'elle ignore plus le monde, et qui s'arrête si peu dans les bornes du possible ou du probable, tandis qu'elle arrive si juste à l'expression du coeur... Les Espagnols ont conservé plus que nous cette imagination crédule des anciens temps.



E poiché qualcuno vorrebbe ricondurre la poesia a questa credulità, contro costoro scaglia una frecciata volterriana, che viene a colpire gli Spagnoli tutti:

Nous croirons celui qui nous raconte l'histoire d'Alarcos ou de la Barbe-Bleue, si c'est un chevalier du quatorzième siècle; nous hausserons les épaules, si c'est un homme de nos jours139.



Naturalmente s'incontrano, in quest'epoca, anche giudizi assai più benevoli. Ci sono affermazioni e concetti di F. Schlegel   —109→   che possono esser sottoscritti anche dallo spagnolo più nazionalista e che infatti ritroviamo quasi identici nel saggio che stiamo esaminando, tanto da rendere assai probabile l'ipotesi che Durán li abbia desunti dal critico tedesco. Vi troviamo il concetto della poesia spagnola che si eleva sul fondo castigliano, arricchendosi gradualmente degli apporti arabi, provenzali e portoghesi, sino a formare un tutto assolutamente unitario e nazionale140. La letteratura spagnola vi è definita, non diversamente da Durán, «severa, morale e profondamente religiosa», animata da «spirito d'onore, di severi costumi e di solida fede»141.

Ma poiché lo Schlegel non si limita a cercare nelle opere letterarie, come voleva lo Herder, «den Geist der Natur», ma compie anche un'analisi estetica, ecco allora farsi avanti le prime riserve. Né Garcilaso, né altri poeti della sua età (Garcilaso e Boscán sono dallo Schlegel ritenuti espressioni della poesia nazionale), sostiene il critico, raggiunsero «la perfezione del linguaggio poetico», come invece seppero fare un Virgilio e un Racine142.

Man mano che ci si avvicina all'edad de oro, il giudizio si fa più severo: e ritroviamo le solite accuse alla rozzezza di Lope de Vega, nel teatro e negli altri campi della letteratura, cui fa riscontro la denunzia dell'artificio di Góngora e di Quevedo143. Sebbene questo quadro di decadenza giovi allo Schlegel per inserirvi l'esaltazione di Calderón, rimane comunque il giudizio negativo nei confronti di una grossa parte della letteratura spagnola, coinvolta nella diffidenza romantica verso la Kunstpoesie.

Più vicino a Durán è certamente il Diez, il quale esprime un incondizionato entusiasmo per le romanze spagnole, in cui   —110→   riconosce accenti di profonda nobiltà144, nonché un forte spirito nazionale capace di assimilare le importazioni straniere145. Anzi, svolgendo la teoria schlegeliana della stretta unione fra l'eroe e il cantore delle sue gesta, formula la congettura, che ritroveremo nel saggio di Durán, che le prime romanze siano state composte dagli antichi asturiani; senonché, date le premesse, ne scorge rapporti assai più con le imprese guerresche che con lo sviluppo culturale:

Wenn nun, wie jede grosse Zeit bestätigt, Heldenwerk mit Heldenwort innigst verschwistert sind, so können wir mit Zuversicht annahmen, dass schon in Asturiens Gebirgen, wohin der gothische Namen sich gerettet hatte, die Leier mit dem Schwert geklungen habe; aber diese Gesänge mochten wohl früh verhallen, weniger wegen der ziemlich schnellen Umwandlung der Sprache, als wegen der Fülle neuer Thaten, die das Gemüth immer neu für die Gegenwart anregten146.



Il quadro è dunque ben diverso, se non opposto a quello tracciato da Durán.

Sebbene il Diez non svolga la questione della poesia popolare e di quella artistica e l'unica vera discordanza con Durán consista nella proposizione riferita, tuttavia, proprio in quanto trascura di seguire la storia della poesia spagnola oltre i limiti del Medioevo (e non certo per ignoranza del problema, poiché non possiamo supporre che gli fosse sconosciuta l'opera dello Herder), rivela una visione complessiva sostanzialmente diversa da quella del nostro critico. Anche il Diez veniva pertanto a dimostrare un interesse polarizzato intorno alle forme più ingenue e primitive.

  —111→  

Nelle note apposte alla nuova edizione del Romancero del Depping, Alcalá Galiano rilevava questo differente atteggiamento di stranieri e spagnoli, prefiriendo aquellos los romances más viejos, toscos en el estilo... y gustando más los segundos de los romances modernos, de versos fluidos y sonoros, de dicción galana y de lozano estilo147.

Ma non era, come parrebbe doversi desumere da questa citazione, solo questione di gusti; era anche, nei più consapevoli, differenza di metodo e di prospettiva.

Con la sua impostazione, Durán si poneva dunque al riparo soprattutto dagli attacchi insidiosi dei romantici stranieri, ma insieme respingeva ogni possibile obiezione di provenienza spagnola; di un Lista, per esempio e di altri, denigratori del «barbarico» Medioevo. Sapeva di difendere valori ben più alti di quello relativo all'evoluzione delle romanze; sapeva che, con un'interpretazione diversa, si poteva mettere in crisi il valore di tutta la letteratura e dell'intera Spagna. Erano idee, quelle che egli combatteva, certo assai radicate e che ritroveremo, molto più tardi, ancora nel Croce; il quale, all'incirca ripetendo le affermazioni del Sismondi, proprio in un persistente popolarismo vide il limite della letteratura spagnola, «popolare e medievale come il suo popolo, che a lungo si tenne in questa disposizione d'animo e in questo fare, e fu un giovane che non giunse mai a diventar maturo»148.

Duran confutava questi giudizi, poiché, senza lasciarsi ingannare dall'apparente semplicità di tono, intuiva la sostanziale letterarietà dell'edad de oro, e vedeva la poesia popolare filtrarsi nella raffinata sensibilità di quei poeti. Letterarietà nata bensì nell'otium libresco, ma fecondata e resa vitale da un rapporto intenso con la vita e con la storia.

L'equilibrio razionale che, per sua stessa dichiarazione, gli proveniva dall'assidua lettura di Aristotele e di Platone149, congiunto   —112→   ad una non sopita sensibilità classica ed all'orgoglio nazionale, impedì a Durán e, per sua mediazione, ai suoi concittadini, di cadere negli abbagli e nelle interpretazioni di cui noi oggi sorridiamo. E se talvolta, come rileva il Menéndez y Pelayo, poté accadergli di scambiare il popolare con l'artistico popolarizzato150 (ma quanto dubbiose e soggettive sono queste distinzioni!), il suo innato buon gusto gli evitò quel sovvertimento di valori in cui facilmente incorsero alcuni suoi contemporanei.

Nonostante l'implicita confutazione delle teorie dominanti, da questo saggio traspare un'estrema moderazione, tanto che non solo vi manca l'aperta impostazione polemica del precedente Discurso (comprensibile peraltro ove si pensi al significato prevalentemente erudito della raccolta), ma neppure è avvertibile quel larvato intento di propaganda letteraria che traspariva dal saggio sul teatro. Soltanto al termine del Discurso preliminar, Durán fa un timido accenno al valore delle romanze como modelos de buena poesía, che passa quasi inosservato rispetto all'importanza che ad esse attribuisce sul piano storico.

Ma se diamo uno sguardo alla situazione della lirica spagnola sulla soglia del 1830, possiamo facilmente dedurre che a Durán premesse stimolarne il risveglio.

Il fatto stesso di presentare il Romancero come frutto genuino del casticismo in un'epoca in cui ancora risuonavano le odi pindariche di Quintana e le liriche accademiche degli ultimi esponenti della scuola salmantina, è già di per sé indice di una presa di posizione.

Che altro offriva la poesia spagnola in quel tempo? Zorrilla si sarebbe fatto conoscere due anni più tardi, Espronceda e Rivas, vagabondi attraverso l'Europa, stavano appena maturando il distacco dal classicismo, Cabanyes rimarrà ignorato finché non sorga Milá y Fontanals a ricostruirne la fama postuma:   —113→   l'«annus mirabilis» della poesia lirica è, secondo il Peers, il 1840151.

Non migliore il quadro per quanto concerne specificamente la romanza e l'amore per l'antica letteratura. La critica classicheggiante, così sospettosa nei confronti del teatro nazionale, s'era mostrata, da Luzán in qua, abbastanza benevola verso il romance: ciononostante, secondo Rivas, l'atteggiamento dominante era, ancora nel 1841, di sostanziale indifferenza:

En vano Luzán hizo su elogio, y demostró su importancia en el renacimiento de la poesía española, a mediados del siglo pasado. En vano Meléndez justificó con su ejemplo la doctrina de aquel erudito, y escribió, no sólo romances eróticos y descriptivos, sino también composiciones líricas de un género más filosófico y atrevido en el mismo metro. Y en vano se reimprimieron muchos romances antiguos, con razonados prólogos, tributando al género los elogios más encarecidos: el romance no resucitó. Los ingenios que han honrado nuestro parnaso después de Meléndez, apenas han escrito alguno que otro, dedicándose exclusivamente al cultivo de los metros italianos. Y los poetas más recientes tampoco han hecho esfuerzo alguno a favor del romance, ya que tantos hacen por resucitar las coplas de arte mayor, y por aclimatar en nuestro suelo los cuartetos endecasílabos con consonantes agudos, que dan a nuestra lengua un giro mezquino y una canturía, más propios del idioma francés que del castellano152.



Rileva il Peers, a questo proposito, che, a distanza di tempo, la situazione appare meno grigia. Infatti il critico inglese dimostra, attraverso la citazione di alcune opere, che la simpatia per il romance non era del tutto spenta: prima ancora della pubblicazione del Romancero, ne avevano scritti gli stessi Quintana e Gallardo153, s'erano levati a sua difesa i traduttori del Bouterweck, se n'era fatta un'edizione a Valenza, Maury ne aveva inclusi nella sua Espagne poétique154.

  —114→  

Rimane comunque il fatto che la ripresa era assai lenta e infine non avvertita dai contemporanei. Non mancavano poi atteggiamenti di aperta ostilità: Rivas polemizza infatti contro un'opinione diffusa, di cui si fa propagatrice perfino una obra elemental, que anda de real orden en manos de la juventud (probabilmente si tratta dell'Arte de escribir en prosa y verso di Gómez Hermosilla), secondo la quale il romance è metro grossolano e volgare155.

Ma soprattutto mancava negli Spagnoli l'accettazione della romanza come atta ad esprimere il nuovo mondo spirituale. È ancora Rivas che si stupisce di questa incomprensione:

Es ciertamente extraño que en esta época de ensanche y acaso de regeneración (en que la poesía, rompiendo los estrechos límites de reglas arbitrarias, aunque respectadas por un siglo entero, pugna por volver a su origen, dejando a un lado la servil imitación de griegos y latinos, y buscando inspiraciones propias en épocas más en armonía con las sociedades modernas), no haya renacido con muchas ventajas el romance octosílabo castellano. Pues buscándose en los tiempos feudales y en los siglos caballerescos los asuntos y el colorido de la poesía actual, ningún otro metro podía encontrarse más a propósito, como castizo y original; como nacido en la época misma de los héroes que ahora se celebran; como depósito de esos matices mismos que hoy se buscan con tanto empeño; y como el más adecuado, en fin, por su sencillez, facilidad y soltura, a todos los tonos de la poesía, y por lo tanto a los atrevidos, variados y desiguales vuelos del romanticismo156.



Scuotere quest'indifferenza dovette essere uno degli scopi di Durán; ma, se si pensa alla situazione descritta da Rivas un decennio più tardi, si ha l'impressione che sia stato scarsamente raggiunto.

Le reazioni della stessa critica contemporanea non rivelano l'entusiasmo che ci si sarebbe aspettati dinanzi al monumento elevato da Durán alle patrie lettereture: forse non aveva tutti   —115→   i torti il berlinese Magazin für Literatur des Auslandes, che praticamente definiva Durán quale vox clamantis in deserto157.

Per lo più, dalle osservazioni espresse dagli Spagnoli intorno a quest'opera, trapela una sostanziale perplessità. Il Boletín de Comercio, nel darne l'annunzio, esalta bensì la novità delle idee contenute nell'introduzione, ma scansa un giudizio impegnativo attraverso un rilievo sentimentale e patriottico:

(Durán) presentándose como un defensor acérrimo de nuestras antiguas riquezas literarias, se coloca en un campo demasiado ventajoso, y sostiene una causa harto bella para que nadie salga airoso del difícil empeño de combatirle158.



Gallardo si burla bonariamente delle conclusioni cui è pervenuto Durán: es para alabar a Dios su fuerza de fantasía: con un huevo (qe digamos) ha cuajado V. una tortilla qe puja, puja hasta esos zielos de Dios159.

Lo stesso Böhl de Faber, che pure, a pubblicazione avvenuta, si dichiarò concorde con l'assunto del discorso introduttivo160, aveva in precedenza espresso le sue riserve nei confronti delle romanze e s'era augurato che Durán, nel preannunziato Romancero histórico-caballeresco (Böhl scriveva questa lettera nel 29) non le avrebbe esaltate con la demasía que lo han hecho Bouterweck, sus traductores y unos cuantos críticos ingleses. Anche per quanto concerne l'interesse destato da queste liriche e il loro valore quali interpreti dello spirito nazionale, non condivideva certe posizioni che saranno poi assunte da Durán: lamentava infatti che questi panegiristi paran la atención en los históricos que bajo el aspecto poético son los que menos me llenan (e in questo concordava con Duran), y no   —116→   hacen mayor caso de los que salidos del pueblo o al menos adoptados por él, pintan el modo de sentir nacional161.

La critica successiva, che tanto dibatté i problemi relativi al teatro, s'occupò ben poco delle romanze. Perfino Alcalá Galiano, nel prologo al Moro Expósito, che pur gli offriva materia per entrar nel merito della questione, si limita ad accennare che il romance e parzialmente il teatro diedero alla Spagna una poesia nazionale162.

Un'anonima recensione della stessa opera pare addirittura ignorare questa produzione, poiché nega originalità alla lirica spagnola: Digan cuanto se quiere, en el género lírico no somos originales163.

Se, tuttavia, prescindiamo dagli effetti immediati e soprattutto da una visione troppo particolaristica del problema, possiamo allora affermare che il Romancero non fu opera sterile nei confronti della letteratura romantica.

Certo, se pensiamo agli aspetti esteriori della romanza, quale componimento in ottosillabi con i versi pari assonanti, allora il campo si restringe ai Romances históricos del Duque de Rivas e a pochi altri esempi di minor rilievo. Ma lo stesso Durán, nella seconda edizione, accoglierà il termine in un'accezione più ampia: Hay sin embargo algunos, en versos cortos pareados que se usaron ya en el siglo XV, y otros de la última mitad del XVI, en los cuales para adorno y gala se mezclan, con el texto vulgar, variedad de metros y combinaciones. A todos estos, a pesar de su anómala construcción, los he considerado y clasificado también como romances164. Con lo stesso criterio, Rivas chiamò romances i vari canti del Moro Expósito, scritti per lo più in endecasillabi.

Converrà dunque pensare alla romanza come espressione di un particolare gusto per il mitico Medioevo ispanico, donde   —117→   sgorgarono le numerose Leyendas, tra cui spiccano quelle di Zorrilla e scorgere inoltre nel Romancero il contributo che esso diede a quell'ansiosa ricerca di se stessi che travagliò i romantici spagnoli e forse fu uno dei frutti più vitali del movimento; donde, per altra via e con gusti diversi, trarrà origine la vasta produzione costumbrista165.

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ArribaAlcune osservazioni sugli orientamenti critici nel decennio successivo

Dopo la restaurazione del regime liberale, l'attività critico-letteraria diviene particolarmente intensa e vivace, affidandosi in modo quasi esclusivo a giornali e riviste. Tuttavia si nota facilmente come non si defletta dalle linee tracciate negli anni precedenti. Solo si fa più insistente la ricerca di un genere nuovo e sempre più si tende a mettere in crisi e a superare le primitive partizioni fra classicismo e romanticismo.

La critica moderna ha incluso sotto la generica classificazione di justo medio e di eclettismo le tendenze letterarie dell'epoca. In realtà occorrerebbe distinguere fra due orientamenti diversi, anche se talvolta non scevri di vicendevoli influenze, accomunati solo dall'aspirazione verso il nuovo genere.

Gli uni infatti aspirano a vedere realizzata una corrente di pretta ispirazione nazionale e guardano pertanto alla gloriosa produzione del secolo XVII; gli altri continuano a manifestare un bisogno di apertura verso l'epoca presente -più raramente verso le altre letteratute, compresa quella classica- e insistono sul valore degli apporti personali dello scrittore.

E se talvolta i primi continuano ad esaltare il romanticismo, usano il termine nell'accezione di castizo: Romántica es nuestra historia, romántico nuestro cielo... romantícese también nuestra escena, scriveva nel 1835 la Revista Española166.

Ma più spesso si tende a considerare il vocabolo come sinonimo di mostruoso, di stravagante, ispirato alle mode straniere,   —120→   cui si contrappone un gusto spagnolo, moderato e composto.

In un articolo comparso nel 1833 sul Boletín de Comercio, l'autore, dopo aver riconosciuto il fallimento del gusto settecentesco, consigliava ai critici di lottare bensì contro le opere classicheggianti, ma anche, siguiendo un justo medio, que es el camino del acierto... tronar contra aquéllas que extravagantes y monstruosas a fuer de románticas, quebranten las leyes eternas de la razón, y choquen abiertamente con los preceptos del gusto167.

Circa un mese dopo, lo stesso periodico pubblicava un racconto satirico, in cui l'anonimo autore, fingendo di narrare un sogno, immagina che una turba di miserabili (sono gli scrittori romantici) chieda l'ammissione in Parnaso. Apollo elegge tre giudici nelle persone di Aristotele, Orazio e Boileau, con il compito di esaminare le loro opere, per vedere se siano degni d'essere accolti. Ma poiché i candidati protestano, sospettando i giudici di parzialità, vengono eletti a far parte della giuria pure Lope, Calderón e Shakespeare. Non perciò i romantici verranno accolti; che, alla lettura dei loro orrori, i sei giudici, perfettamente concordi, li respingono senza alcuna esitazione168.

Se questi giudizi s'incontrano nel 1833, quando la Spagna non ha ancora conosciuto opere romantiche all'infuori di quelle straniere, è palese che il romanticismo esasperato che si vuole abbattere è quello proveniente dall'estero.

Più tardi, questa distinzione si fa maggiormente precisa. In maniera esplicita, Santos López Pelegrín, dopo aver criticato tanto gli eccessi del teatro romantico quanto la rigida precettistica di Moratín, invita coloro che vogliano fare opere originali a seguire le caratteristiche proprie della nazione: háganlas españolas en sus sentimientos, en su estructura y en su versificación169.

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El exagerado drama romántico ha sido una llamarada que sólo ha brillado por un momento -affermava nel 1841 J. del Peral, con una proposizione che è stata ingiustamente considerata l'epitaffio del romanticismo spagnolo. Le ragioni di tale fallimento egli individuava nelle importazioni straniere, tanto poco acclimatabili in Spagna quanto il dramma di stampo classicheggiante; pertanto proponeva di riprendere l'antico teatro secentesco, adeguandolo alle esigenze moderne, per creare un genere esencialmente español. Soggiungeva inoltre che, al posto del fallito dramma romantico (evidentemente nell'accezione di straniero) erano salite sulla scena le opere ben più valide di Hartzenbusch, Gil y Zárate, Saavedra, Gutiérrez, Breton e Rubí170.

Non deve perciò stupire che qualcuno giungesse a distinguere apertamente fra dos géneros sumamente distantes entre sí, el género español y el género romántico171; e che, analogamente, quando Príncipe esclamava: El medio, el justo medio!, chiedesse che la poesia fosse libre a lo menos y española172.

Frequentemente ci si rivolge alla tradizione nazionale, o per sostenere, come Hartzenbusch, che il romanticismo è connaturale alla Spagna (El nuevo sistema, que para nosotros es harto viejo... más propio en fin para constituir nuevamente entre nosotros un Teatro nacional)173, o per richiamare in vita un   —122→   passato, cui si guarda con estrema nostalgia: è il caso di Larra, Ochoa, Gil y Carrasco174. In ciascuno di questi scrittori vibra il desiderio di restituire alla Spagna una dignità letteraria, che trova in Larra il suo interprete più efficace: Quisiéramos sólo -egli dice rivolgendosi alla giovane Spagna- pudiera llegar un día a ocupar un rango suyo conquistado nacional en la literatura europea175.

Naturalmente un posto di primo piano è occupato, in seno a questa corrente critica, dallo stesso Durán. Dopo l'esito del Romancero, il critico torna più volte alla ribalta, per ribadire e approfondire le sue posizioni. Nel 1837, recensendo Doña María de Molina, ritorna sul concetto di una letteratura nazionale che ormai si sarebbe radicata in Spagna, respingendo i modelli innaturali, antipáticos a nuestras costumbres, a nuestra sociedad176. Due anni dopo pubblica il più maturo dei suoi saggi, Poesía popular. Drama novelesco. Lope de Vega, in cui perviene alla definitiva rivalutazione del teatro nazionale. A Lope spetterebbe il merito d'aver rielaborato e fuso tutte le componenti dello spirito ispanico, condensando nell'opera sua el más   —123→   extenso y sólido saber177. Così, presentando il teatro barocco come un gigantesco fatto culturale, Durán veniva a risolvere definitivamente il problema della poesia popolare e della poesia d'arte. Al contempo superava le resistenze di chi ancora riponeva scarsa fiducia nel passato, che alcuni giudicavano inadeguato alla superiore cultura dell'epoca presente. Infine, nel 43, tentava di cogliere, nei Sainetes di Ramón de la Cruz, la sopravvivenza dello spirito nazionale, in pieno secolo XVIII, tra l'imperversare delle mode classicheggianti178.

Non si può inoltre dimenticare l'appoggio che la produzione teatrale, dal 1835 in poi, diede alle teorie di Durán, con i suoi palesi richiami alla drammaturgia barocca; e che Durán a sua volta sosteneva con recensioni179. In particolar modo è da ricordarsi il Duque de Rivas che, nel discurso de recepción per la sua nomina all'Accademia fece un'esplicita professione di fede romantica, seguendo rigorosamente l'impostazione data dal critico madrileno180.

L'altra linea critica -cui aderí la minoranza degli scrittori, provenienti, in genere, dalle schiere del liberalismo più avanzato- è molto più recisa nel condannare, come concetti superati, classicismo e romanticismo. Divisiones arbitrarias li definì Alcalá Galiano fin dal 1834, quando scriveva il Prólogo al Moro Expósito, in cui pure faceva parte alle opinioni di Durán181. Non esitava a ribadirla quattro anni più tardi, ben presto seguito da Donoso Cortés, da Lista e da Escosura, i quali sottolineavano il carattere romantico di certe opere comunemente definite classiche (il teatro greco, il teatro francese   —124→   del Seicento) e viceversa tacciavano d'inconsapevole classicismo scritti che si presentavano con l'etichetta romantica182.

Ritornava sulla difficoltà di una vera distinzione J. Pidal, nell'anno seguente183, finché un articolista dell'Iris dichiarava, nel 1841, definitivamente superata la questione184.

Tanto rigore nasceva, più che da una diffidenza critica nei confronti dei generi letterari, dal timore di veder soffocata la personalità del poeta entro gli schemi di una precisa classificazione. Non è casuale infatti che, proprio nel citato Prólogo di A. Galiano, si sottolinei l'avvenuta liberazione dal principio di autorità e si consideri il sentimento del poeta come l'essenza della poesia: sólo es poético y bueno lo que declara los vuelos de la fantasía y las emociones del ánimo (più avanti definisce le emociones fuertes come el minero de la poesía)185.

Inoltre è assai probabile che, respingendo le classificazioni tradizionali, questi critici volessero evitare ogni possibilità di confusione col tradizionalismo proposto dalla scuola di Duran. La loro aspirazione è verso una letteratura profondamente adeguata alle esigenze del presente. Lo stesso Galiano, che nel 34 s'era mostrato favorevole alla ripresa di temi medioevali, mostrerà in seguito, una certa perlessità nei confronti di essi186. Posizioni analoghe, anche più radicali, difendono Escosura187,   —125→   Gil y Zárate, il quale afferma che l'età presente esige maggiore profondità dei tempi di Lope188, Lista, che trova inconciliabile la mentalità filosofica dei suoi tempi con la ripresa di temi medioevali189.

Il bisogno di aprirsi a nuove esperienze e d'aumentare il numero delle fonti d'ispirazione conduce talvolta a posizioni eclettiche. Ma si tratta di casi sporadici190, che per lo più colpiscono per l'ingenuità delle formule escogitate.

Già Durán, nella prefazione al Romancero, aveva, seppur di sfuggita e destando la perplessità di Böhl de Faber, vagheggiato una futura produzione letteraria che sapesse fondere grecità e Medio Evo: Si alguna vez llega tiempo en que no choque o se tolere ver el mundo maravilloso de los griegos antiguos mezclado con el de los siglos medios, como lo está con las ficciones orientales sin que se repare el anacronismo, lograremos tener un sistema poético que reúna todos los medios posibles de perfección, y entonces no nos repugnarán muchas de las ficciones del Dante y del Camoens, que ahora criticamos por inconvenientes191.

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La proposizione di Durán, quantunque offra il fianco alle critiche, non urta grazie alla sua formulazione, in via d'ipotesi, e per la serietà della problematica che essa presuppone. Lo scrittore aspira evidentemente a trovare un metodo critico che gli permetta di valutare in maniera adeguata le opere di qualsiasi tempo, al disopra delle scuole letterarie e dei contenuti specifici.

Assai più semplicistica è invece la conclusione cui perviene Donoso Cortés, quando propone una letteratura di contenuto romantico e di forma classica192. Gil y Zárate procede oltre ed accarezza l'idea di una letteratura che in sé racchiuda i pregi di quella antica, di quella classica (nell'accezione di classicheggiante) e di quella romantica193. Ma, in un primo tempo, aveva cercato una formula ancor più composita, vagheggiando un teatro che sapesse contemperare gli aspetti positivi della drammaturgia greca, spagnola, inglese e tedesca194.

Questa è, se non l'unica, una delle pochissime tracce di cosmopolitismo rimaste nella critica spagnola. Nonostante la varietà degli orientamenti, l'impostazione data da Durán nel 1828 era stata tacitamente accolta anche dagli avversari.