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Abajo

Sulla «spettacolarità» delle commedie di magia

Ermanno Caldera





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Comedias de teatro, de tramoya, de gran espectáculo: come è noto, con questi termini si alludeva, nel Settecento, a quelle piezas che comportavano un notevole impiego dell'apparato scenico: non solo dunque le commedie di magia, ma, come ha ampiamente dimostrato l'Andioc, anche quelle de santos e i cosiddetti drammi militari1.

È altrettanto noto che, in questi vari tipi di opere, proprio la componente scenografica rappresentava, in genere, l'attrattiva più rilevante, come è sottolineato dai resoconti giornalistici dell'epoca, dalle osservazioni dei critici e dalle numerose satire; come, inoltre, è stato variamente ribadito da tutti gli studiosi che si sono occupati di questa materia.

Chi si recava ad assistere a comedias de teatro andava dunque a vedere più che ad ascoltare e pertanto anteponeva al testo la parte operativa, per cui i fondali, le quinte e le macchine finivano per contare più del dialogo e degli stessi attanti2.

Da queste constatazioni emergono subito due tratti caratterizzanti, abbastanza insoliti, delle comedias de teatro.

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Da una parte, l'inversione del consueto tipo di rapporto fra testo e scena, dal momento che -contro una lunghissima tradizione- il primo è sentito dagli spettatori (e parallelamente concepito dagli autori) in funzione della seconda, o quanto meno sullo stesso piano.

Dall'altra, l'instaurarsi di un rapporto nuovo, anch'esso diverso da quello tradizionale, fra il pubblico e l'opera. Se infatti, fin dall'antichità, la sorpresa era l'ingrediente teatrale più ricercato, al contrario l'aficionado di questo teatro non andava affatto alla ricerca della novità in senso assoluto, ma anzi era attratto dall'idea di poter contemplare quanto, in fondo, aveva già visto varie volte: i diversi tipi di mutaciones (de selva, de monte, de campiña, de jardín, de palacio, de salón, ecc.), i voli degli attori appesi alle maromas, le apoteosi, i carri trionfali, le battaglie non permettevano infatti ai pur abilissimi ingegneri teatrali che margini abbastanza ristretti di vera invenzione, anche se certamente potevano stimolare un'infinità di variazioni e di combinazioni.

Fra le diverse componenti del successo di questi generi teatrali è dunque da annoverare la sostanziale ripetitività (che concerne tanto la scenografia quanto la trama), la quale, venendo incontro alle attese di un pubblico psicologicamente pigro, finiva per riuscire gratificante proprio nella sua assenza pressoché totale di informazione.

Questo atteggiamento riguarda in modo particolare il pubblico delle comedias de magia, i cui espedienti scenografici godevano, si può dire, di una tradizione plurisecolare che si era andata evolvendo attraverso vari generi ma che costantemente riportava sulla scena i medesimi ingredienti o, almeno, la ricerca dei medesimi effetti. Voli, metamorfosi, apparizioni e sparizioni e numerosi altri trucchi, che erano peculiari delle opere di magia e non, per esempio, dei drammi militari (anche se, in parte, si riaffacciavano in quelle mitologiche e in quelle di santi) erano ben noti anche prima della grande stagione settecentesca del teatro di magia.

Gli antecendenti più remoti nell'uso di macchine al fine di realizzare le scenografie che diverranno tipiche di questo teatro si possono riscontrare in quegli spettacoli paraliturgici che erano diffusi in tutto il medio evo e di cui ci sono pervenute testimonianze dirette riguardanti secoli più recenti. Secondo documenti citati dallo Shoemaker, durante il secolo XV, nella cattedrale di Valencia, in occasione   —13→   di alcune festività liturgiche, veniva montata una scena multipla verticale, in cui si faceva comparire la Sacra Famiglia circondata da angeli; oppure, con giochi di pulegge e sparo di mortaretti, si faceva volare una colomba. A Elche, invece, nella stessa epoca, si realizzava la comparsa di una nube che, aprendosi, mostrava la figura di un angelo3.

Era logico che questi espedienti passassero al teatro religioso: in proposito, ci avverte l'Arróniz che Lope usò abbondantemente le tramoyas nelle sue comedias de santos; e cita quella, gigantesca, che fu impiegata nel 1622 per Las Niñeces e per La Juventud de San Isidro che aveva come base un forte e in alto sorreggeva una nube sopra la quale sedeva la Fama che impugnava una bandiera, mentre attorno a lei volavano quattro angeli4: ossia una tipica scena da apoteosi finale che ricomparirà decine di volte nelle comedias de magia.

Più tardi, sarebbero state soprattutto le commedie mitologiche rappresentate a palazzo ad appropriarsi di questi espedienti, ora certo con un'ampiezza di mezzi e con una raffinatezza estetica che la presenza degli esperti scenografi italiani aveva reso di uso quasi corrente.

Non mancano, al riguardo, testimonianze già fin dai tempi di Lope, nella cui egloga pastorale La Selva sin amor Cosme Lotti introdusse, fra l'altro, il mare con le navi e Venere su di un carro tirato da due cigni, operando poi una rapida trasformazione del mare in selva e altri prodigi del genere5; tuttavia la piena fioritura si ebbe soltanto all'epoca di Calderón.

Non è il caso di soffermarsi sulle troppo note feste del Buen Retiro, con la sontuosità delle decorazioni, la profusione delle luci, l'eleganza degli sfondi, soprattutto perché non tanto la ricchezza della scenografia interessa ora rilevare quanto il costante ricorso a quei trucchi e a quei quadri che ricompariranno puntualmente nelle commedie di cui ci stiamo occupando.

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Nel 1656, Baccio del Bianco, successore di Cosme Lotti alla corte di Filippo IV, descrive appunto una commedia mitologica di cui gli era stato affidato l'allestimento. Si tratta, dice in una lettera inviata al signore di Firenze, di una di quelle commedie «con scena dipinta, mutazzioni, tramoie». In essa, al principio, con accompagnamento musicale, «venivano abbassando l'Aurora con sei ninfe». Poi la scena si mutava in «un giardino tutto rose» e «mutavasi il teatro del giardino in bosco detto di Diana adornato di statue ecc.». Quindi apparivano Circe e Pelio su di «un carro tirato da due dragoni»; poco dopo «per l'aria passava in un carro d'oro Venus y Cupido».

Per farla breve, ecco alcune delle scene successive: «cortile di fontane, con statue di marmo e quasi giardino», una libreria il cui «soffitto era tutto libri dorati con strumenti matematici», «Amore con una nugola a parte scende al suolo», Pelio che «fa volare all'aria» Circe e «trasforma Canente in nube».

Chiunque abbia una qualche dimestichezza col teatro di magia sa che tutte le scene descritte da Baccio vi ritornano puntualmente. Quel che non sarebbe ricomparso sono certe raffinatezze che solo si potevano concepire negli eleganti saloni di corte e che sarebbero parse assurde nell'ambiente popolare dei corrales. Tale, per esempio, la scena che Baccio così descrive: «qui si oscurò la scena, tonò e balenò con pioggia di acqua di odore e confetti sopra le dame».

Ma per tutto il resto i gusti degli spettatori palaciegos non dovevano differire molto da quelli dei teatri pubblici, se tre anni prima lo stesso Baccio, nel suo solito italiano castiglianizzato, raccontava che un'altra opera da lui messa in scena era piaciuta perché «le macchine erano in quantità e assai buone, con voli d'ogni sorta, precipizzi e quelli che voglion qua, fracassi, rovine, tremuoti e spaventi; fra le altre una caduta che Dio ci ha posto le sue mani, a fare che quella povera muciacia bella come un angelo, non abbia rotto il collo, perché cadeva da alto circa 18 braccia delle nostre con tutta velocità»6. Che non può non richiamarci alla mente gli ironici commenti che più di un secolo dopo faceva Iriarte sull'entusiasmo   —15→   che i comici del suo tempo riuscivano a destare con le loro spettacolari cadute7.

Fu naturale per Calderón applicare alle comedias de magia gli stessi recursos escogitati per quelle mitologiche; tanto più che queste ultime possedevano in fondo tutti gli ingredienti delle prime, salvo logicamente l'ambiente e certe peculiarità dei personaggi.

Cosicché poteva agevolmente trasferire al Jardín de Falerina o a En esta vida todo es verdad y todo es mentira o all'ultima sua fatica, Hado y divisa de Leonido y Marfisa, in tutto o in parte il meraviglioso che, in El mayor encanto amor, o in La fiera, el rayo, la piedra, aveva diffuso rispettivamente intorno alla figura di Circe e a quella di Cupido.

Ma in ogni caso, l'operazione magica, fosse essa compiuta da un dio pagano o da un più moderno mago, si prestava egregiamente a presentare certi aspetti e motivi del teatro calderoniano in una prospettiva più facile ed elementare.

Nelle commedie filosofiche, Calderón si era giovato di oggetti, di ambienti e di azioni cui aveva attribuito valori simbolici: basti pensare alla ben nota iconologia della grotta, del palazzo o della torre nella Vida es sueño o alla caduta di Rosaura e al passaggio di Sigismondo dalla grotta alla corte e viceversa. Ognuno di questi simboli racchiudeva un messaggio che certo non tutto il pubblico era in grado di decifrare. La magia poteva invece offrire una forma più agevole di decodificazione, naturalmente a parziale scapito dei valori più profondi del messaggio stesso.

Pertanto commedie come La fiera, el rayo, la piedra o En esta vida todo es verdad y todo es mentira, così legate ai temi fondamentali della Vida es sueño, non fanno altro che rendere esplicita e comprensibile -palpabile, si vorrebbe dire- quell'atmosfera magica che implicitamente aleggiava nel capolavoro calderoniano. In Esta vida, per esempio, il trasferimento dei protagonisti dalla selva al palazzo (quel trasferimento che nella Vida era operato per mezzo di un sonnifero) si realizza per opera di incantesimo: in questo modo, i significati occulti dell'allegoria sono rimpiazzati dall'azione,   —16→   altrettanto occulta, della magia e anche lo spettatore meno preparato è messo in condizione di avvertire in qualche modo l'agudeza di un messaggio che, per dirla con Gracián, contiene in sé una qualche ponderación misteriosa.

Al contempo, certi valori simbolici ottengono, grazie alla magia, una particolare rilevanza: è certo che il palazzo sorto per un'operazione magica stimola più facilmente un'interpretazione in chiave allegorica che non il palazzo in cui è trasportato Sigismondo.

Gli scrittori settecenteschi non avevano necessità di ispirarsi direttamente a Calderón nel comporre le loro comedias de magia. Il teatro di magia godeva infatti di una lunga tradizione che risaliva ben oltre Calderón, visto che è possibile rintracciarne la presenza già nella produzione di Lope de Rueda per proseguire attraverso un po' tutti gli ingenios del Siglo de Oro: da Lope ad Alarcón, a Solis, a Diamante, a Rojas Zorrilla.

Tuttavia Calderón rimaneva logicamente il modello più vicino e più incombente; a lui guardarono gli autori di cui ci stiamo occupando, tenendo conto sì delle sue piezas magiche e mitologiche, ma soprattutto avendo ben presenti gli aspetti fondamentali, di tutta la sua produzione.

Pertanto calderoniana, come tutta la produzione teatrale del primo Settecento, fu anche la commedia di magia di quella stessa epoca e tale rimase, per una forza d'inerzia connaturale al genere stesso, anche nella seconda metà del secolo. Non a caso gli iniziatori della nuova tappa, quella appunto settecentesca, furono gli epigoni più illustri di Calderón: Zamora e Canizares; quest'ultimo, con l'intensa frequentazione del genere e col successo che arrise ad alcuni suoi cicli di opere divenute ben presto notissime -El anillo de Giges, Marta la Romarantina - ne può essere considerato uno dei più validi cultori.

È chiaro che, alla stessa stregua degli altri generi, anche in quello di magia affiora un calderonismo volgarizzato e formulistico, che tuttavia presenta l'interessante risvolto di una ricerca di più intensa teatralità.

È significativo, al riguardo, il trattamento che ora riceve il problema dei rapporti fra realtà e apparenza. Problema che Calderón   —17→   aveva affrontato infinite volte con il più sottile e articolato casuismo per approdare costantemente all'angoscia del dubbio esistenziale.

I commediografi de magia proseguono sulla strada di un'interpretazione semplificata che già Calderón aveva aperto in Esta vida e finiscono per ridurre il problema a una grossolana concretezza, cui la magia offre una soluzione pseudo scientifica. Il mondo dell'apparenza è ora semplicemente quello creato dalla magia, con il che la problematica gnoseologica del maestro viene spogliata di ogni premessa filosofica ed esistenziale, e l'angoscia e gli interrogativi cedono il posto alla certezza dei risultati raggiunti.

Non di rado, l'autore di commedie di magia sembra perfino lanciare segnali al suo pubblico al fine di aiutarlo a stabilire una netta linea di demarcazione fra i due mondi. Il mago Brancanelo, per esempio, protagonista di un'opera di strepitoso e durevole successo, si preoccupa di avvertire Croarto (e attraverso Croarto gli spettatori), il quale ha assistito stupefatto a un'operazione magica:

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Aunqe al verlo realidades
parezcan, son sombras vanas
qe forma la fantasía.


(Brancanelo, III)                


Avenzarca, mago mussulmano, ritiene che il suo protetto Jaime possa, benché cristiano, accettare il suo aiuto, proprio perché si tratta in fondo di apparenze:


siendo en todo un compuesto
de fabulosos ardides,
como mentidos efectos
de mágicas apariencias,
que en figurando objetos
insubstanciales se forman
a solo divertimiento.


(Mág. en Cataluña, 1.a p., I)                


Nella terza parte del Mágico de Salerno, tutta condotta sul filo del gioco assiduo realtà-apparenza magica, Salvo y Vela -con un'insistenza che fa pensare al timore della censura- richiama continuamente l'idea dell'illusione dei sensi come fatto strettamente connesso a ogni operazione magica:


dudando estoy
si acaso eres sombra que hablas,
si eres bulto sin esencia
o verdad imaginada.


(I, p.- 4 a)                



Cielos, ¿si es sombra o engaño?


(I, p.- 5 a)                



y pues es todo ficción,
no es impropio el que en festín
y música mi cautela
finja apariencias y halagos


(I, p.- 9 ab)                



o fuese real o ficticia
una Galera me traxo


(II, p.- 11 b)                


e così via, quasi a ogni pagina.

Si capisce che, ridotto a questi termini, il problema è grossolanamente semplificato; d'altra parte, occorre avvertire che, una volta impadronitisi di questo motivo, non mancano autori che lo sappiano sfruttare a fondo con risultati anche notevoli. Non è raro che il piano reale e quello magico si intersechino fra loro e si sovrappongano in maniera indubbiamente suggestiva.

Nel famoso tema della prova, che ha i suoi lontani antecedenti nel racconto del Dean di Santiago e che il teatro aveva rielaborata più volte -fra gli ultimi, Calderón in Esta vida e Bances Candamo in La piedra filosofal8 -questo procedimento era già stato ampiamente collaudato, ma nessuno ne aveva saputo -sfruttare le possibilità sceniche come farà invece l'anonimo autore del Mágico Brocario. In quest'opera, il mago, dopo avere, al solito, ricordato che opererà sulle apparenze («Pues todo esso es aparente / que con la zienzia que alcanzo / quieto ver si así afianzo / defensa al hado Inclemente...», I), fa sorgere per magia una serie di ambienti, in cui il figlio del re, Aminto, dovrà dar prova delle sue virtù. L'aspetto curioso è dato dal fatto che il mago e il re, collocati nella zona, per   —19→   così dire, della realtà, assistono alle vicende che si svolgono nella zona della finzione magica9: zone separate ma in certo senso intercomunicanti, se a un certo punto Brocario ritiene di dovere entrare anche lui nella seconda:


Aquí Gran Señor es fuerza
me Introduzca con Aminto
pues podrá ser que conbenga
para adelante.


(Mág. Brocario, I)                


A questo punto dobbiamo ulteriormente constatare che gli eventuali aspetti filosofici del problema si sono dissolti ma al contempo non possiamo non rilevare come il motivo si sia trasformato in spettacolo: il mondo delle apparenze ha assunto ora -si passi la contraddizione- la concreta, «spettacolare», dimensione del palazzo in cui Aminto sta compiendo la sua prova.

Ma, in fondo, le stesse considerazioni valgono per qualsiasi altra operazione magica, grazie alla quale la finzione diviene necessariamente gioco di tramoya e quindi momento scenico fondamentale.

Il richiamo a Calderón diviene ancor più evidente quando il gioco della realtà e della finzione assume toni sottili e ingegnosi. Talvolta si può giungere a una di quelle sovrapposizioni di più piani che tanto attraevano lo spettatore barocco, facendo leva sulla sua marcata inclinazione al trompe-l'oeil.

È, fra gli altri, il caso tipico della già citata terza parte del Mágico de Salerno, in cui il Demonio, assunto l'aspetto di Pedro Vayalarde, compie operazioni magiche che valgano a gettare il discredito sulla figura del mago: in altri termini, finge di essere Pedro e come tale finge di compiere quegli incantesimi che a loro volta, come ben sappiamo, non sono che una finzione.

Analogamente, nella quarta parte, è ora l'amico Camilo che assume le fattezze di Pedro e che appare travestito da re in un'Algeri fittizia fatta sorgere per incantesimo.

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Sono trovate che non di rado avranno deliziosamente disorientato gli spettatori. Ma forse il massimo disorientamento lo si raggiungeva attraverso l'infinita serie di trasformazioni in cui il rapporto realtà-apparenza diviene, agli occhi del pubblico, estremamente fluido: oggetti che assumono l'aspetto di altri oggetti, ambienti che ne sostituiscono improvvisamente altri (magari rimanendo immutati i personaggi che li occupano), persone che si trasformano in statue e viceversa, persone che assumono le fattezze di altre e via elencando.

Si arriva, nella quinta parte del Mágico de Salerno, a far sì che un personaggio, Nise, prenda l'aspetto di un'altro, Diana, mentre questa, a sua volta, assume varie personalità. Analogamente, nel Mágico Africano, Mahomet si trasforma in Federico, mentre un fantasma sostituisce Margarita. Nella seconda parte di Segismundo el Romano assistiamo alla metamorfosi del Demonio nel personaggio di Lidoro; nella quinta parte di Marta la Romarantina la protagonista è sostituita dalla Lascivia mentre Garzón si trasforma in Mr. Flaus. Invece, nella prima parte, il personaggio si sdoppia: Marta vola via con Garzón mentre i suoi parenti si affaccendano invano intorno a una figura di donna svenuta che ha le sembianze della fanciulla indemoniata.

E si dà infine un interessante caso di sdoppiamento della personalità nel gracioso Corcoba del Mágico Brocario il quale, quando s'inserisce nel mondo magico, diviene il sergente Tragabalas.

Certo sarà stata necessaria una regia attenta e meticolosa per evitare che queste opere naufragassero dinanzi alla difficoltà di identificazione, da parte del pubblico, dei diversi personaggi.

Alquanto simile, e tutto giocato, anch'esso, sul medesimo contrasto è il motivo dell'invisibilità, di cui l'esempio più noto è offerto dall'Anillo de Giges, ma che era già comparso in Diablos son alcahuetes e che sarebbe ancora stato sfruttato nel Mágico Federico, nella Mágica de Nimega e dell'Ilustre Pescador. Anche qui il personaggio si sdoppia in quello che è visto dagli spettatori e dagli altri personaggi e in quello che, como de invisible, è visto solo dai primi.

Sono dunque tutti casi in cui il problema, che nell'opera calderoniana si dibatteva nell'interiorità del personaggio, si esteriorizza nel comportamento dell'atlante (nella sua trasformazione, nel suo sdoppiamento, nella sua sostituzione, ossia sempre in forme dinamiche), spesso con l'aiuto di movimenti scenografici; talvolta, come nel   —21→   caso dell'invisibilità, con uno stimolante coinvolgimento del pubblico.

Osservazioni analoghe si possono fare per il motivo del teatro nel teatro, così gradito anch'esso a Calderón e a tutta la drammaturgia del Siglo de Oro.

In Calderón e nei suoi personaggi esso si era mantenuto sul piano rigorosamente testuale: un personaggio, di solito il gracioso, ricordava che si stava recitando, che la soluzione sarebbe sopraggiunta al terzo atto e così via. In altri termini, un personaggio si sdoppiava nella duplice funzione di attore e di spettatore, senza che tuttavia l'operazione determinasse qualche riflesso sullo svolgimento dell'opera, in cui anzi rappresentava un momento di pausa e di diversione.

In questa forma tradizionale il motivo ricompare spesso anche nelle commedie di magia, le quali tuttavia sanno pure sfruttarlo in una direzione scopertamente spettacolare, in cui la funzione di spettatore assunta dal personaggio diviene effettiva e concreta: il personaggio, cioè, mentre sta recitando la sua parte diviene contemporaneamente spettatore di vicende, e perfino di autentiche rappresentazioni teatrali, interpretate da altri personaggi in luoghi diversi e lontani.

Così, nel Mágico Federico, uno specchio magico mostra a persone che si trovano a Bologna un amico incarcerato a Varsavia; in Bracanelo el Herrero una candela altrettanto magica fa scoprire un sortilegio lontano; nel Mágico de Salerno, 2.ª parte, si apre una visione della lontana Algeri; in Segismundo el Romano, 2.ª parte, il diavolo, agendo «come que aparta los Bastidores», mostra un giardino in cui un finto Segismundo sta corteggiando una fìnta Lisandra: in Duendes son alcahuetes, 2.ª parte, un incantesimo del Folletto permette di vedere che cosa i Turchi stiano tramando a Rodi10.

Ma in alcuni casi, come si accennava, si assiste a un vero spettacolo «televisivo»: mentre i personaggi si trasformano in pubblico, in altra parte del palcoscenico altri attori recitano un'opera   —22→   teatrale che si immagina rappresentata in un lontano teatro: a Venezia in Juan de Espina, 1.ª parte, cui si assiste da Madrid; in un luogo indefinito nel Mágico de Salerno, 2.ª parte; nelle vicinanze ma in zona magica, mentre Fattore-spettatore è situato in zona reale, nel Mágico de Salerno, 3.ª parte.

Certo non è esattamente la stessa situazione dei rilievi umoristici tendenti a richiamare la realtà del momento (qui si tratta propriamente di finzione nella finzione), ma si realizza pur sempre un consimile accostamento di tre piani diversi dell'illusione teatrale: quello degli spettatori della platea, quello degli attori-spettatori del palcoscenico e quello degli attori del secondo palcoscenico evocato per opera di sortilegio11. Ma soprattutto si è verificato ancora una volta uno spostamento rilevante dal piano testuale a quello operativo, poiché ora -almeno nella maggioranza dei casi- lo sdoppiamento del personaggio diviene un momento diegetico e mette in moto, integrandovisi, i meccanismi scenografici.

Un siffatto processo di reinterpretazione in chiave spettacolare di motivi tradizionalmente affidati alle battute dei personaggi, soprattutto se visto alla luce della sua assiduità e della coscienza teatrale che esso implica, dovrebbe farci riflettere sulla possibilità che l'amore per la tramoya e per tutto il complesso gioco scenico nascesse da motivazioni più sostanziose di quelle che erano corrente e facile oggetto di scherno.

E se non si può negare la faciloneria con cui alcune di queste opere cercavano di soddisfare l'amore del pubblico più rozzo per una spettacolarità funambolesca, si deve in ogni modo riconoscere con l'Andioc12 che alla base di molte altre stava quel desiderio di spettacolo totale che fu certamente una delle conquiste, forse non   —23→   del tutto consapevoli, di quel Settecento che spesso, e non senza ingiustizia, si accusa di scarsa sensibilità teatrale.

In fondo, stiamo assistendo a una delle fasi più evolute di quel processo che dalla pura, esangue letterarietà del primo Cinquecento, aveva sospinto il teatro spagnolo verso una sempre maggiore conquista di spettacolarità. E non è da stupire se, a un certo momento, la parte scenica, troppo a lungo repressa, tenda a prendere il sopravvento.

Tuttavia, in numerosi casi (forse nella maggioranza di essi), la commedia di magia riesce a conquistare, fra le varie componenti, un buon equilibrio che realizza prevalentemente attraverso la loro simultaneità.

Quando un personaggio -il mago ovviamente- dice «Muoviti» o «Vola» e l'oggetto o la persona si muovono o volano, quando invoca i fulmini e i fulmini cadono, è chiaro che si è realizzato un rapporto di stretta funzionalità tra parola e scena. Si prenda, fra i tanti, il caso, altamente paradigmatico, del mago Federico il quale così ordina agli elementi:


el Sol retire sus luces
Broten las nubes Centellas,
arda el Campo, aborte el ayre
vesubios.


(Mág. Federico, III, p. 290 a)                


L'autore, preoccupato appunto di realizzare effetti simultanei, ìndica minuziosamente nella didascalia:

Conforme Federico baya nombrando lo qe dicen sus versos, se obscurece el teatro, y empieza la caja de truenos, y al mismo tiempo, Caen rayos y Centellas, y sale fuego de las Cabernas del Monte.


(Ibidem, p. 289 b)                


Non si può negare che un maggiore equilibrio sia difficilmente conseguibile13.

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In questa prospettiva, anche la gestualità viene ad acquistare un rilievo inusitato. Spesso infatti il gesto, accompagnato o no dalla parola, è lo spunto per l'operazione magica e pertanto si riflette anch'esso direttamente sulla scena. Un colpo di bacchetta apre le porte (Marta, 3a p., III); a un fischio «se descubre gruta marina» o volano i personaggi (Mág. Gaditano, II); «dos golpes en el suelo, y sale un àrbol» (Mág. de Salerno, 6a p., III). Per non parlare dell'infinità di patadas, capaci talvolta di effetti mirabolanti («da una patada, y sube de repente un cubo de Muralla», Mág. Federico, II, p. 265 a) e di tutti quei gesti che le didascalie neppure si preoccupano di indicare ma che ben possiamo immaginarci come indispensabile complemento della parola.

Possiamo anzi affermare che la sincronia parola-gesto-effetto scenico (cui si potrebbe aggiungere in non pochi casi l'accompagnamento musicale) è la più ricorrente e attesta dunque la presenza di uno spettacolo ou tout se tient, in cui l'aspirazione alla completezza dovette essere particolarmente viva e pressante.

Ma questo tipo di teatro ci offre anche rapporti più sottili, come quello che vincola l'attore alla scena e viceversa.

Quando, secondo un'operazione magica non infrequente, un personaggio si trasforma in statua, non solo assistiamo al ripetersi del gioco delle apparenze di cui si discorreva sopra, ma accade pure l'insolito fenomeno di un attante che entra a far parte della scenografia.

Nel caso opposto, anche più frequente, delle statue che si animano, si verifica il fenomeno, altrettanto o forse anche più curioso, di un tratto di scena che assume funzioni di attante14.

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È chiaro che, attraverso una siffatta osmosi, si viene a ottenere una compattezza spettacolare che la commedia di magia non condivide con nessun'altra opera «de teatro», dal momento che il motivo delle statue animate è esclusivamente suo. Ed è, inoltre, una delle operazioni magiche di più sicuro effetto per quel gioco, che esso instaura, di oscillazione fra l'animato e l'inanimato così atto a suggerire l'idea di un mondo scardinato nelle sue leggi fondamentali. Non per nulla ricomparirà, rinverdito e nobilitato, nel Tenorio di Zorrilla che si gioverà per l'appunto di una statua parlante -la Sombra de Doña Inés- per sottolineare quel clima di profonda incertezza esistenziale che caratterizza le ultime pagine dell'opera. Incontriamo così statue che diventano persone o viceversa (Mág. de Salerno, 3.a p., Ilustre Pescador, Mág. Federico, Marta, 3.a p.); che danzano (Brancanelo); che cantano (Mág. Arcelida, Mágicos de Tetuán, Mág. de Salerno, 6.a p.); che fungono da veicoli aerei (Juana la Rabicortona, 1.a p.: si tratta, in questo caso, della statua di Venere, che, per una delle consuete sostituzioni, è in realtà la stessa Juana); e sarà una statua ad annunziare a Giges che egli diverrà re (Anillo de Giges, 1.a p.) e a Cambuco che sarà ucciso (Mág. de Serbán)15.

D'altronde, nel teatro di magia, esiste una generale tendenza a inserire la scena nell'azione, come parte integrante di essa, quando non come protagonista. Crolli, lampi, comparse o scomparse di oggetti o di fiere (queste ultime ovviamente finte) funzionano come veri momenti diegetici, incidendo sullo sviluppo della fábula. Può anche succedere che le quinte o il fondale costituiscano una specie di prolungamento della serie dei personaggi o viceversa: valga il caso del Mágico Federico in cui una didascalia suggerisce che un esercito sia formato in parte da attori e in parte da figure dipinte16.

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Parallelamente, qualsiasi operazione magica comporta una corrispondente operazione scenica senza la quale riuscirebbe priva di senso. Può essere minima, come nel caso del talismano in cui ci si limita a fornire all'attore un oggetto: una bacchetta (Marta, 3.a p.), un nastro (Ibid., Brancanelo), un anello (Anillo de Giges, Duendes son alcahuetes, 2.a p., Mág. de Nimega, Sortija del olvido) un fazzoletto (Mág. en Cataluña, 1.a p.), un cappello (Id., 2.a p.), una spada (Mág. Arcelida), un ramoscello (Duendes son alcahuetes, 2.a p.), un quaderno (Segismundo, 2.a p.) ecc.

Diviene, invece, estremamente complessa nelle numerosissime trasformazioni che rappresentano una delle manifestazioni più tipiche del teatro di magia e di cui già si è fatto cenno in altra prospettiva.

Le trasformazioni sono quelle che maggiormente impegnano la complessa macchinarla teatrale e proprio in esse si sbizzarrisce l'infinita fantasia degli autori. Varrà pertanto la pena, per dare un'idea delle enormi possibilità di questo espediente tecnico, tracciare una pur limitata rassegna di alcune fra le moltissime realizzazioni in questo campo.

Una nave disegnata diviene reale (Mág. de Salerno, 1.a p.); altrettanto accade a un albero raffigurato in un libro (Id., 4.a p.); il globo di un astrologo o un feretro si trasformano in una persona (Ibidem, Marta, 5.a p.); il gracioso in un pappagallo (Marta, 5.a p., Mág. de Nimega) o in giumento (Mágicos de Tetuán); una spada in un ventaglio e dei proiettili in farina (Marta, 3.a p.); una carrozza con cavalli in un rogo e due leoni (Brancanelo); tre donne in altrettanti giganti che, a loro volta, si trasformano in orsi (Mág. Gaditano); un cesto in una torre (Mág. en Cataluña, 2.a p.); una roccia in un battello (Mág. Africano); alberi in statue (Mág. en Cataluña, 3.a p.); un tavolo in un drago (Mág. de Serbàn) o in una pentola (Mág. en Cataluña, 2.a p.) ecc.

Un capitolo a parte esigono le metamorfosi dei luoghi e degli ambienti, così ricche di variazioni da rendere impossibile qualsiasi rassegna: palazzi, sale, giardini, grotte, spiagge, boschi si trasformano continuamente gli uni negli altri. Non di rado si realizzano vere e proprie catene di metamorfosi: basti citare, dal Mágico de Serbán, una grotta che diviene il Paseo del Prado, che a sua volta diviene   —27→   un pergolato con due leoni, che diviene ancora una prigione da cui escono due negri17.

Funzione analoga svolgono le apparizioni (e le conseguenti sparizioni) di oggetti, di animali, di fenomeni atmosferici e via elencando.

Ecco comparire leoni (Juan de Espina, 1.a p., Mág. Africano, Juana la Rabicortona, 1.a p., Marta, 3.a p., Mág. Arcelida), serpi (Mág. Federico), pellicani (Marta, 3.a p.), palazzi, castelli, giardini (in numerosissime opere, che non vale pertanto la pena di citare specificamente); ed ecco ancora scatenarsi temporali, terremoti, divampare incendi, ecc.

Negli autori forniti di una maggiore coscienza teatrale, queste trasformazioni o apparizioni rispondono a criteri propriamente funzionali, mentre in altri sembrano piuttosto dettate dal desiderio di effettismi fine a se stessi.

Il maestro, in questo senso, fu certamente Salvo y Vela, uomo di limitata cultura ma fornito di un'acuta sensibilità teatrale. Il grande successo che arrise ai suoi cinque Vayalarde fu in gran parte dovuto alla non gratuità dei vari recursos con cui egli imprimeva una spinta decisamente innovatrice al teatro di magia.

Infatti, nei suoi predecessori, Zamora, Cañizares o lo stesso Calderón, l'operazione magica sembra non di rado il pretesto per la creazione di una scena suggestiva: la magia, si vorrebbe dire, è in certo modo al servizio della tramoya. Un esempio particolarmente significativo ci è offerto da Duendes son alcahuetes, 2.a p., appunto di Zamora, in cui il Foleto fa comparire statue e fontane in un giardino al solo scopo di abbellirlo.

Salvo inverte il rapporto e pone la tramoya al servizio della magia, la quale non è mai, per lui, un ingrediente fortuito ma è il vero referente dell'opera18.

  —28→  

Un altro modo di sfruttare adeguatamente le risorse sceniche è offerto dagli spostamenti aerei, dai voli, dalla comparsa di personaggi su nubi o su carri trionfali che passano in cielo, dalle apoteosi finali, ossia da tutti quei movimenti che si svolgono nella parte alta della scena. Alle motivazioni che le altre operazioni magiche potevano suggerire, qui si aggiunge pure l'esigenza di sfruttare anche in sensoverticale quella scena che abitualmente era sfruttata solo in senso orizzontale.

Nella loro istanza di spettacolarità totale, i comici del teatro di magia avvertono dunque il bisogno di colmare tutti gli spazi vuoti della scena, della quale vengono naturalmente a raddoppiare la capacità.

Anche le comparse e scomparse improvvise dei personaggi rappresentano un modo di impiego totale delle possibilità della scena, oltre ad essere una forma rivoluzionaria di entrata e di uscita.

Solitamente, l'attore poteva entrare in scena o uscirne penetrando attraverso le quinte laterali o da aperture praticate nel fondale. Ma nelle commedie di magia gli si offrivano molte altre possibilità: poteva sprofondare o spuntare dal pavimento attraverso botole (escotillones), volare con l'aiuto di corde (maromas) o comparire improvvisamente e altrettanto improvvisamente scomparire in sensoorizzontale grazie a una piattaforma girevole (devanadera)19.

Disponeva inoltre di altri ingressi o di altre uscite che la fantasia dell'autore avesse saputo escogitare. Per esempio, lo pseudo-Vayalarde della terza parte del Mágico de Salerno esce da un armadio; Garzón da una libreria (Marta, 2.a p.), Federico da una scrivania (Mág. Federico); un mago viene fuori da un albero (Mág. Mexicano), il negro Caupolicán da un'arca (Brancanelo), quattro servi negri da   —29→   altrettanti globi (Mág. Gaditano), un coniglio vivo nientemeno che da una «empanada» (Mág. de Nimega).20

Anche il volo ammette un'infinità di varianti: può avvenire anche per mezzo di un carro o di una nube o di un balancín (che sono i casi più frequenti), oppure su di un cavallo (Marta, 3.a p.), su di un cigno (Mág. Africano, Mág. Apolonio), su di un drago (Brancanelo), su di un'aragosta (Mág. de Salerno, 6.a p.), su di un pezzo di muraglia (Marta, 2.a p.) , per mezzo di uri vaso da giardino (Mág. Federico).

Così non solo la scèna risulta sempre affollata a tutti i livelli ma è pure offerta allo spettatore la possibilità di immaginare altri spazi ugualmente popolati, come appunto quelli sovrastanti o sottostanti da cui escono o entrano, spesso indifferentemente («húndese o vuela» è una didascalia corrente), numerosi personaggi.

Visto sotto questa luce, il teatro di magia si colloca con pieno diritto nello sperimentalismo settecentesco, di cui possiede pregi e limiti. In effetti, non creò il capolavoro e spesso anzi scadde a livelli assai bassi, ma sviluppò un senso nuovo del teatro e favorì il progresso della scenografia, elementi tutti che il romanticismo avrebbe saputo poi adeguatamente rielaborare.

Non si può tuttavia pensare che l'aspirazione allo spettacolo compatto e funzionale cancellasse il piacere barocco della contemplazione pura e pertanto della coreografia in sé. Certe didascalie minuziosamente circostanziate, in cui si insiste sull'esigenza di un'esecuzione elegante e vistosa, stanno a indicare l'intenzione di venire incontro a precise richieste del pubblico21.

Occorre tuttavia sottolineare che, anche in questi casi, una delle preoccupazioni dominanti sembra essere quella di accumulare forme e figure in modo da riempire adeguatamente la scena e conferirle movimento. Una specie di horror vacui insomma impone all'autore di sfruttare appieno ogni angolo e, al contempo, di offrire alla contemplazione dello spettatore un'infinità di oggetti. Così lo scenario,   —30→   pur nella sua staticità, riceve una sorta di dinamismo dall'animato movimento degli occhi cui è costretto l'osservatore.

Si noti, per esempio, quanti particolari Concha cerchi di ammassare nella scena che rappresenta una grotta marina:

gruta marina, llena de Infinitas espezies de Pezes marinos, abundancia de aguas, todo adornado con la maior visualidad Reno de Sirenas, Nereydas y atributos de los concabos marítimos, y Delphines, etc.

(Mág. Gaditano, II)                


Una scenografia così ricca non è da mettersi solo in rapporto all'ambiente inconsueto; un'analoga preoccupazione per la vistosità e l'abbondanza dei particolari eleganti («otras cosas de primor») traspare dalla seguente descrizione di Nimega:

Corriose la gran mutación de la ciud de Nimega vistosísimamente iluminada con Adornos de Arcos triunfales, y otras cosas de primor, en su foro la fachada de un magnífico templo también iluminado y adornado.


(Mág. de Nimega, III, p. 120 b)                


E se si potrebbe obiettare che anche in questo caso si tratta di un ambiente del tutto immaginario che la lontananza della città rappresentata poteva facilmente autorizzare, si noti come, con altrettanta dovizia, i dettagli si accumulino nella seguente descrizione di un angolo di Madrid certo ben noto al pubblico:

fachada dela Plaza del Carmen con su combento Casagrande, y vocas calles con differentes figuras de prespectiba de hombres, niños, y Mugeres qe parezcan estar asomados alas puertas, y valcones.

(Ilustre Pescador, II)                


Vale a dire che il desiderio di riempire la scena si riflette tanto nella creazione di sfondi fantastici quanto nelle raffigurazioni improntate al realismo più minuto e quotidiano.

Spesso però all'autore non basta che sia l'occhio del pubblico a movimentare la scena e pertanto presenta quadri animati grazie alla consueta integrazione fra attanti e scenografia. Talvolta si tratta di un dinamismo latente ma chiaramente avvertibile, come accade in quelle mutaciones de jardín nelle quali compaiono statue destinate   —31→   ad animarsi .Una delle didascalie più interessanti al riguardo è questa che Cafiizares scriveva per la terza parte della sua celebre Marta:

Mutación muy vistosa de jardín, y a cada bastidor habrá una estatua, que figure ser de piedra de alabastro, y a su pie, sobre el tablado, una maceta grande con albahaca: en el frontis un caballo arrogante de lo mismo con las manos [sic] lebantadas, y afirmados los pies en una base de bastante altura, sobre el qual caballo estará Marta montada, con un vestido blanco, imitando una estatua; de forma, que base, caballo, y Marta parezcan de alabastro...


(Marta, 3.a p., II)                


Altre volte il movimento è scoperto ed effettivo e si realizza attraverso l'equilibrio fra l'elemento propriamente scenico e l'elemento umano che tuttavia svolge, in questi casi, una funzione esclusivamente scenografica. Dobbiamo all'anonimo autore dell'ultima variazione su Pedro Vayalarde questa descrizione di interno condotta nel più squisito gusto rococò:

Magnífico salón de bayle, vistosamente iluminado, con cornucopias y arañas, lo más hermoso que se pueda: el frontis sera un hermoso Pórtico [...] espaciosas y enmaranadas escaleras. A los lados havrá dos tribunas donde se colocan dos orquestas de Músicos naturales, o pintados [...] Al descubrirse la scena, se están baylando minués, quitando y poniendo los Bastoneros como se estila [...] y por las escaleras no cesan de subir y bajar parejas de máscaras con diferentes disfraces, todo la más propio y hermoso que se pueda.


(Mág. de Salerno, 6.a p., III, pp. 61-62.)                


Ma forse nessuno seppe raggiungere il dinamismo violento e caotico della seguente scena del Mágico Federico, in cui non solo si mescolano attanti e scenografia, ma quest'ultima fruisce pure di un'animazione meccanica :

Mutación de peñasco con Cuebas en cada Bastidor, y desde la Mediación del teatro hasta el frente han de figurar, barias grutas dedonde saldrán muchas fieras, y este Monte a su tiempo, se ha de desgagar todo sobre el exército de los Moros, y sale todo el exército de ellos [...] y se   —32→   dan una vistosa Batalla [...] y entonces salen barias figuras bramando de las grutas...


(Mág. Federico, III, pp. 287 b-288 a)                


Questo quadro in movimento, per metà meccanico e per metà umano, che il Mágico Federico offriva all'avida contemplazione del pubblico madrileno si potrebbe considerare come la rappresentazione emblematica del teatro di magia settecentesco.





 
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