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21

È stato osservato dalla Wilson (MARGARET WILSON, Some aspects of Tirso de Molina's Cigarrales de Toledo and Deleytar aprovechando, «Hispanic Review», t. XXII, 1954, pp. 19-32) il carattere neoplatonico di questi amori «impossibili», il che costituirebbe una novità inserita da Tirso nella novella, fatto unico d'esaltazione dell'amore platonico nel sec. XVII e non senza aggiunta d'elementi di psicologia tomista. Sfugge alla Wilson che tutti gli elementi neoplatonici cui accenna erano già nella tradizione arcadica e che da questa Tirso li derivò.

 

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Ad esempio Tirso colloca l'azione in un tempo preciso, il regno di Jaime el Segundo e si sofferma nella descrizione di usi e costumi della Barcellona del tempo. Inoltre si sofferma sugli avvenimenti del regno di Napoli che descrive abbastanza minutamente. A proposito di questa presenza della storia nella novella osservava il COTARELO Y MORI (Tirso de Molina, Investigaciones bio-bibliográficas, Madrid, 1893) che El Bandolero gli pareva «un admirable ensayo de novela histórica á la moderna» ed aggiungeva: «de seguro que si se publicara en forma menos amazacotada que está en Deleitar aprovechando, se suprimiese el larguísimo poema de Píramo y Tisbe y algunos episodios y digresiones ajenas al asunto, produciría no poca sorpresa ver escrita en el siglo XVII una novela histórica por el estilo de las de Walter Scott.»

Egrave; proprio per influsso di questo gusto romantico che il Bandolero è generalmente giudicata la migliore delle tre novelle e che è stata pubblicata in edizioni moderne. L'anonimo curatore dell'ediz. già cit., che appartiene alla Colección Cisneros (Madrid, 1944), ad esempio, ha falto suo il consiglio del Cotarelo ed ha soppresso la parte in versi di Piramo e Tisbe e della Corte d'Amore. Il che a noi appare arbitrario perché in tal modo s'altera la vera sostanza dell'opera tirsiana la quale ultima non va parzialmente accolta in ciò che può riuscire gradito a un particolare e soggettivo gusto letterario ma deve essere accostata in quello che essa realmente è, prodotto di un clima letterario e spirituale lontano dal nostro fin che si vuole ma in cui le contraddizioni sono forse più apparenti che reali e l'unità esiste anche se la nostra insufficiente possibilità d'adeguazione non sempre ci permette di scoprirla alla prima lettura.

 

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Lo stesso Tirso si preoccupa di porre in bocca di Pedro che, nella finzione della novella, recita la favola, la precisazione che egli l'aveva composta «cuando estudiaba». Invece il Cossío nel suo cit. Fábulas mitológicas en España ritiene ciò un espediente letterario di Tirso: «es curioso el que todos pretenden haberse entregado a este ejercicio de componer fábulas ovidianas en sus primeros años» (pag. 616) e giudica la favola tarda perché gli sembra sotto l'influsso ideale e formale calderoniano e addirittura contenente allusioni evidenti al suo teatro: non potrebbe averla scritta se non un Tirso almeno quarantacinquenne. Cita a questo proposito i seguenti versi:... y halla / que los sueños son... e... y pues las paredes oyen / que una pared se enternezca. A proposito di questi è facile osservare che, per il primo, non c'è alcun bisogno di pensare a Calderón perché esso era popolare e faceva parte di una canzone notissima ai primi del 600 e di cui si rammentò Lope più di una volta (vedi: A. GASPARETTI, comm, a La vida es sueño di Calderón, ed. SEI, Torino, 1955, p. 153) e che sono i seguenti: Soñaba ya que tenía / alegre mi corazón, / mas a la fe, madre mía / que los sueños sueños son. Per i secondi poi, a parte la diffusa proverbialità dell'espressione, la derivazione se mai non è da Calderón ma da Alarcón la cui commedia Tirso conosceva benissimo se la cita ne El amor médico (1619): l'attrice María de Córdoba y de la Vega rappresentò nel 1617 il ruolo di doña Ana ne Las paredes oyen. (Vedi DON JUAN RUIZ DE ALARCÓN, La verdad sospechosa, édition annotée par Edouard Barry, Collection Mérimée, Paris, 1897, p. XXXIV).

Né ci sembrano probanti altre argomentazioni del Cossío come quella per cui sarebbe calderoniana «la mezcla de atributos y acciones abstractas y objetos concretos» (p. 617), sia perché di veramente «astratto» a nostro parere non v'è nulla, sia perché l'inserzione d'elementi realistici nella trama mitica (ovidiana) è tipica del particolare gusto che Tirso ha per le cose colte nella loro immediatezza allo stesso modo come certo suo sentenziare non è altro che il frutto della sua capacità di pacato osservatore della vita. La favola non può resistere a lungo in lui su di un piano assolutamente mitico ma si fa azione umana, con possibilità di accostamento concreto a una problematica d'ordine essenzialmente morale.

 

24

FRAY GABRIEL TÉLLEZ, Vida de la S. Madre doña María de Cerbellón, Madrid, 1640. Vedi ediz. Menéndez y Pelayo, Rev. de Arch. Bibl. y Museos, Madrid, 1908-9, ed ediz. Duque de Fernán Núñez, Conde Cervellón, Madrid, Rivadeneyra, 1930.

 

25

C. De T., p. 380-1.

 

26

D. A., p. IV-b.

 

27

D. A., p. V.

 

28

LUDWIG PFANDL, Historia de la Literatura nacional española en la Edad de Oro, ed. Gustavo Gili, Barcelona, 2ª ed. 1952, pp. 394-396.

 

29

SOONS C. A., Poetic elements in the plots of Tirso's novels, «Bulletin of Hispanic Studies,» vol. XXXII, 1955, University of Liverpool, pp. 194-203.

 

30

ALFONSO M. ESCUDERO, Tirso novelista, in «Atenea, Rev. de la Universidad de Concepción» (Chile), año XXV, t. LXXXIX, n. 276, 1948.