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Antonio Di Benedetto, "Zama", traduzione di F. Tentori Montalto, Torino, Einaudi, 1977, pp. 207

Giuseppe Bellini

Antonio di Benedetto, argentino, è ancora, si può dire, scrittore pressochè sconosciuto in Italia. Di lui appare ora, in traduzione, un'opera significativa, Zama, resa con il noto buongusto e la perizia del Tentori, il quale pospone al romanzo una suggestiva «Nota», nella quale traccia un parallelo tra l'opera del Di Benedetto e i romanzi Senilità e Una vita, di Svevo, per procedimenti interni e per linguaggio.

Zama apparve in Spagna nel 1972. Si tratta di un racconto in prima persona, una sorta di romanzo «picaresco». Protagonista è un funzionario dell'imprero spagnolo d'America, sperduto in una opaca vita coloniale, tormentato da pressanti esigenze materiali e ossessionato da una continua ricerca d'amore, meglio, di erotico appagamento, quasi mai raggiunto, ma che quando lo è naufraga nello squallore, ed è in ogni istante allucinante rovello.

L'epoca in cui l'azione è ambientata è la fine del secolo XVIII. Il romanzo rappresenta bene, nell'insienne il protagonista e le sue squallide vicende, lo sfacelo spirituale e morale di un mondo prossimo al suo totale disfacimento. In un ossessionante tempo immobile la realtà si confonde con l'irrealtà, i personaggi reali con i fantasmi, «popolando -come scrive il Tentori- il sonno e la veglia di questo perplesso eroe sveviano smarritosi alle soglie dell'Ottocento in territorio tropicale. Si tratta dunque di una parabola, dell'allegoria de una vita, se non della vita». Parole profonde, alle quali, tuttavia, non sembra corrispondere, a mio parere, la statura del personaggio, alla fine irritante, in una vicenda che finisce per comunicare al lettore, anche al più volonteroso, gran parte della sua montonia. Proprio per la statura minima del protagonista, il paragone con i romanzi citati di Svevo pare alquanto ardito.

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