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Il «deleitar aprovechando» nella poetica tirsiana

Rinaldo Froldi





Scarsissimo è stato l'interesse della critica per la narrativa di Tirso de Molina, considerata marginalmente, quasi come mera esercitazione letteraria e come tale ritenuta il genere in cui meno si poteva scoprire il volto del poeta.

A mio avviso il problema va impostato in modo diverso.

Si tratta di studiare l'unità morale ed artistica di Tirso e vedere tutta la sua produzione in stretto rapporto con la sus personalità, cercando di capire i diversi suoi atteggiamenti e la diversa scelta tematica della sua produzione non come momenti dissociati ma come espressioni differenti di una stessa personalità vista nella sua storia interiore.

Né ci sembra lecito differenziare la narrativa tirsiana dal teatro per una pretesa sua maggiore «letterarietà» poiché tutta l'opera di Tirso, ovunque, denota la frequenza dell'autore nel vasto mondo della letteratura la quale del resto egli considerava manifestazione di spirituale aristocrazia, espressione della forza della genialità creatrice che sulla massa s'impone.

Per questo non ci deve meravigliare il suo tentare vari generi letterari: drammatica, lirica, narrativa: il fatto è frequente nel suo tempo e costituisce una apprezzata manifestazione d'ingegno.

Restringendoci poi al campo della narrativa, non ci sorprende che in essa Tirso tentasse forme nuove: egli avverti la crisi del gusto arcadico-pastorale che aveva dominato prima di lui e negli anni della sua formazione, tipica espressione di una concezione di vita idealistica che ormai i nuovi tempi respingevano; tentò perciò il rinnovamento, orientandosi verso la novella.

Già Cervantes nelle Novelas ejemplares del 1613 difende la sua «novità» ed originalità letteraria dicendo che sono «novelas mías propias, ni imitadas ni hurtadas»; Tirso nel Prologo dei Cigarrales (1621) mostra di aspirare ad una simile affermazione letteraria: «También   —168→   han de seguir mis buenas o malas fortunas, Doze Nobelas, ni hurtadas a las toscanas, ni ensartadas unas tras otras como procesión de disciplinantes, sino con su argumento que lo comprehenda todo1 Da una parte dunque l'esigenza di varietà: le novelle, e da un'altra l'esigenza di unità. È una variazione sul tema dell'Arcadia perché Tirso non può dimenticare la sua origine: i Cigarrales sono il nuovo idillico luogo, non più favoloso ed idealistico ma realisticamente preciso e i pastori sono trasfigurazioni di creature vive operanti nella cerchia tirsiana. L'atmosfera perde ogni convenzionalità e l'interesse precipuo si sposta sulla parte novellistica: la storia di Dionisia e Juan de Salcedo che costituisce la trama fondamentale del libro è trattata come una novella, degna di stare accanto a quella de Los tres maridos burlados. Il genere misto s'accresce con l'inserzione di liriche e di tre commedie: squisita espressione di una esigenza allora sentita: il moltiplicare le prove d'ingegno, il cercare un contatto non limitato ma allargato con il pubblico dei lettori. In questo senso lo spunto può essere offerto da un testo noto, magari il Boccaccio, o meno noto, come Cecco di Ferrara; non importa: la novella diventa altra cosa, tutta tirsiana, sia per la variazione contenutistica che per quella formale. È una tesa affermazione di se stesso: è facile ad esempio cogliere nei Cigarrales l'emozione estetica che nasce dal guardare e rappresentar le cose con sguardo nuovo: l'indugio della descrizione, l'inversione del discorso in funzione più caratterizzante, la sottintesa presenza dell'io che si afferma.

Se ora volgiamo lo sguardo al Deleitar aprovechando2 ci accorgiamo di un primo dato di fatto, estremamente interessante: un dichiarato mutamento di poetica che è il frutto delta continua meditazione di   —169→   Tirso e corrisponde ad istanze interiori sempre più imperiose. Questo mutamento si sostanzia nell'accettazione di una poetica del vero che è l'ulteriore attenuazione dell'arcadismo rinascimentale e, con lo spostare l'accento da sé al contenuto, nell'assunzione di una più umile coscienza di possibilità creativa.

L'autore stesso chiaramente ci significa ciò sia all'inizio, sia alla fine della sua opera. Ad es. nella Dedicatoria sostiene la sua superiorità sugli altri narratori proprio sulla base di una valorizzazione del contenuto: le opere degli altri neppure si possono confrontare con le sue perché i fatti da lui narrati sono la verità: «Ni en cuanto el Bocacio, el Giraldo, el Vandelo y otros escrivieron en toscano, Eliodoro en griego, en portugués Fernán Méndez Pinto, Barclayo en Francia3, los autores de los Belianises, Febos, Primaleones, Dianas, Guzmanes de Alfarache, Gerardos y Persiles en nuestro castellano, pueden compararse (puesto que todos son patrañas) con los sucessos portentosos, raros y verdaderos destos tres sugetos4 Ed alla fine dell'opera dice, in polemica con gli altri generi di narrativa, che sono nocivi al costume e costituiscono una inutile perdita di tempo le «hazañas impropias de la caballería, los amores vanos en las pastoriles, sucesos inútiles en las novelas, transformaciones alegóricas en las fábulas» poiché «el ingenio» non potrà mai inventare fatti più «finos, apacibles, ejemplares» di quelli della vita dei Santi5.

A parte queste professioni chiare di poetica, c'è nelle novelle del Deleitar, costituenti la sostanza del libro e che sono biografie di santi, l'insistenza sulla fedeltà ai testi che costituiscono per lui verità storica e ch'egli cita come fonti controllabili.

Egrave; chiaro che in tal modo la letteratura acquista un valore strumentale: è un mezzo alla verità, uno strumento di cui l'autore è cosciente d'avere sicuro possesso e di cui si serve, da vero artista barocco, usando della sua arte come di una forza di persuasione.

Il letterato non si dimentica ma dichiara apertamente una esigenza   —170→   superiore: se ad esempio nei Cigarrales, il deleitar sembra essere motivo dominante, senza quasi che appaia l'altro (quello del'aprovechar), nel Deleitar aprovechando si scopre che i due motivi si fondono, anzi il primo diventa secondario, un vero e proprio strumento sulla via di una viva adesione ad un vero storico e morale.

Nella Historia de la Merced6 poi questo motivo del vero storico e morale (vite di religiosi e di Santi) dominerà assoluto: peculiare compito di Tirso sarà proprio quello di sfrondare la storia dalle innumerevoli leggende che erano piaciute al primo cronista Remón.

Si osservi inoltre, in questi anni, il diminuito interesse al teatro profano e -in sede morale- quell'Atto di Contrizione in versi del 1630 di cui parla il La Barrera7, che sarebbe stato recentemente scoperto da Padre Penado e di cui si attende la pubblicazione8. È un altro elemento che conferma il maturare di una coscienza sempre più impegnata moralmente e religiosamente.

Del resto nella Dedicatoria del Deleitar, parlando del teatro (a proposito dell'idea balenatagli in un primo tempo di scrivere tre commedie sulle tre vite di santi che saranno poi argomento delle novelle che costituiscono il libro) dice che da tale proposito lo distolsero «lo contingente del aplauso, lo peligroso de las ostentaciones carpinteras y pintoras (adonde han dado en acorgerse, como a portaría de convento, las penurias de las trazas y sentencias)» ed inoltre il poco durare del teatro «quince días en la Corte y en los demás pueblos tres o cuatro.» Dove si esprime una vera e propria sfiducia e stanchezza del genere (troppo legato all'apparato esteriore) e del pubblico (incapace di intendere e desideroso, a teatro, soltanto di svago). Dei testi di teatro, passato l'effimero successo dalla scena, dice che dopo il breve e passeggero esito «quedan sepultados sus cuadernos en los legajos, cuando mucho, de algún tratante papelista9

Da ciò risulta evidente che l'orientarsi dell'autore verso la particolare   —171→   narrativa del Deleitar e poi la storia e l'agiografia trova giustificazione in un complesso atteggiamento interiore che pone l'affermazione della verità al di sopra d'ogni altro interesse.

Né c'è contradditorietà fra questo impegno propriamente morale e quello letterario se bene si intende la nuova poetica tirsiana che non è frutto di astratta speculazione ma risultato di una complessa esperienza di vita e di pensiero e nella quale ci è dato scorgere, come già accennato, la coscienza della letteratura come alta aristocrazia spirituale che a contatto con ragioni d'ordine morale e religioso non ignora se stessa anzi si acuisce nelle sue possibilità, per una urgenza interiore più ricca e profonda.

Il Deleitar conserva il carattere di opera di «genere misto» che avevano i Cigarrales. Accanto alle tre novelle troviamo tre autos sacramentales e varie liriche: il tutto inserito in una cornice. Se l'impegno morale e religioso è particolarmente evidente nel contenuto dalle novelle e negli autos, l''intento del deleitar si realizza in un gioco sapiente di variazioni, intermezzi, tempi di pausa, e nella struttura generala dell'opera, e in seno alle stesse novelle.

Nel primo caso si osservi, oltre l'inserzione della variazione teatrale degli autos, quella della recitazione di liriche in «justas poéticas» che si giustificano solo come dilettoso e raffinato svago, sia pure su di una tematica religiosa, sagace contrappunto letterario.

C'è anche il caso di liriche che sono sviluppo di uno spunto offerto dalla trama della novella: siamo allora in presenza del secondo fenomeno: quello della «variazione» di genere all'interno delle stesse novelle. E possiamo trovare inserite anche narrazioni corte in versi, come ad es. la favola di Piramo e Tisbe e le Questioni d'amore, entrambe incluse nella novella de El bandolero10, la prima di derivazione classica e la seconda boccaccesca (dal Filocolo)11.

Anche in questo caso siamo in presenza del complesso atteggiamento spirituale che informa tutto il Deleitar aprovechando: il letterato che piega la sua esperienza e perizia ad un compito più alto.

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Ma vediamo ora più da vicino le singole novelle nella loro struttura e nelle loro caratteristiche.

La prima delle tre, La Patrona de las Musas, narra la vita di S. Tecla ed è tratta dalla biografia della Santa di San Basilio di Seleucia12.

Nella prima parte della novella Tirso svolge liberamente il motivo profano della bellezza della vergine cui aspirano due giovani innamorati: Tamiride e Alessandro. La scena è nella città di Iconio di cui Tamiride è abitante ed Alessandro ospite provenendo da Antiochia. Mentre in San Basilio c'è solo un accenno alle due passioni d'amore che sono cronologicamente successive, in Tirso esse sono contemporanee. In tal modo l'autore crea un intrigo secondo il gusto della complessa peripezia che fu proprio dell'arte del tempo ed in particolare si manifestò nel teatro.

Né manca la variazione di «genere» con la ricca divagazione in versi della favola di Adone messa, con gusto scenico, in bocca del sommo sacerdote di Iconio durante la festa del dio descritta con minuziosa e lussureggiante cura di particolari. Siamo nell'ambito di una ricreazione d'ambiente e di soddisfazione del gusto corrente, quasi per una captatio favoris del lettore che viene così dilettosamente introdotto alla vera storia della Santa.

La stessa favola di Adone è una canzone di gusto barocco ove il culterano si mescola al concettoso, canzone di rara perizia letteraria; forse, nel campo della lirica, una delle cose più alte di Tirso13. Nell'ambiente   —173→   così creato s'inserisce la storia di Tecla, figlia di Teoclea, orfana del padre che, splendore di bellezza e virtù, è tutta dedita al culto delle arti e -come le Muse- gelosa della propria verginità ma già dalla madre destinata sposa al valente e potente Tamiride. Ecco allora che l'amore di Alessandro, fiorito violento ed improvviso al primo incontro con Tecla nel tempio ove si celebrava la festa di Adone, trova l'ostacolo di quello di Tamiride e l'uno e l'altro urtano contro la volontà della protagonista che sembra cedere alla madre più che altro per condiscendenza filiale. In questa situazione, che è quella di un dramma secentesco, non può mancare la presenza dell'amico confidente di Alessandro (Cloriseno) e della ancella di Tecla (Clorisipa), creazioni di Tirso, poiché di loro non c'è alcun cenno in S. Basilio.

Tra i due giovani è inevitabile il contrasto che avviene sul piano di una elegante e cavalleresca contesa d'onore e di un gioco splendido dell'intelligenza che sa cavare argomentazioni «concettose» sulla base di premesse comuni al pensiero del 600 ed alla sua idea dell'amore.

La contesa è interrotta dall'episodio clamoroso di Teoclea che trascina la figlia Tecla dinnanzi al giudice per averla scoperta intenta ad ascoltare la predicazione di San Paolo e disposta a rinunciare al matrimonio di Tamiride: è questo un modo improvviso e teatrale di risolvere la situazione creata con intento dilettoso, inserendola nella vera e propria storia della vita della Santa, quale è raccontata da San Basilio.

Da questo punto innanzi la fedeltà alla fonte si fa più stretta e si giunge fino allo scrupolo del rispetto del testo che si segue. Si narra ora l'incantato ascoltare di Tecla, dalla finestra della sua casa, la voce di San Paolo che predica le lodi della verginità onde la fanciulla trova nell'Apostolo quella giustificazione alla sua aspirazione che non aveva trovato nei testi gentili.

Non più la dilettazione extravagante ma l'impegno della verità: al letterato non spetta in questo caso l'inventio ma l'impegno di una resa del vero conforme alla propria natura e ad un gusto comune; non sempre traduttore ma ricreatore: «Diré en nuestro idioma lo que Pablo en el suyo, sin mudar el sentido ni las sentencias que el gran padre Basilio de Seleucia nos dexó escritas, remitiendo la puntualidad gramática a los gue por guardarla con rigor, desazonan el estilo de sus naturalezas.»

Libertà di stile dunque come necessaria condizione dell'esprimersi artistico anche se siamo di fronte a quella accettazione di un limite alla propria possibilità creativa di contro ad un «vero» esterno di cui s'è   —174→   detto e che è la sostanza dell'atteggiamento umano di un artista che come Tirso professa una estetica edonistico-pedagogica. A tale carattere dunque obbedisce tutto il resto della vicenda: il processo a Paolo, quello a Tecla, la sua condanna al rogo, la salvezza che le giunge dal cielo, il suo viaggio ad Antiochia con Paolo.

A questo punto il testo di San Basilio narra l'incontro con Alessandro; Tirso, che aveva precedentemente fatto allontanare il giovane da Iconio, disperato per la crudeltà che là si commetteva ai danni delta vergine, apporta una variazione. Alessandro, divenuto signore di Antiochia, nel riconoscere la giovane sia pure in abito maschile, è travolto dalla passione e sconsideratamente l'abbraccia.

La pura vergine, fieramente, lo respinge e nasce la disperazione di Alessandro che commuove il popolo contro Tecla.

L'innesto dell'episodio romanzesco su quello storico è felice e lo sviluppo psicologico ben calcolato. Il testo di San Basilio ci presenta in effetti l'episodio di Alessandro ex abrupto, senza preparazione, come un barbaro gesto violento.

In Tirso la figura d'Alessandro che precedentemente conoscevamo come quella di un ardente e generoso galán, non può seguire l'individuazione di San Basilio e perciò ad una specie di improvvisa follia è attribuita la sua azione sconveniente nei riguardi di Tecla mentre poi il fatto d'esser la giovane condotta a giudizio è attribuito più che altro alla preoccupazione del senatore romano che presiede la città d'accontentare i suoi sudditi.

La storia quindi riprende secondo il testo di San Basilio col racconto dell'esposizione di Tecla nell'anfiteatro, ove però le belve non le arrecano danno, fino allo sgomento di Alessandro e di tutto il popolo e la sentenza del senatore romano che la libera da ogni accusa e la consiglia a lasciare la città, e prosegue fino alla morte della Santa a Seleucia per estendersi infine a riferire le iscrizioni del tempio a lei eretto in cui si raccontano i suoi più significativi miracoli.

Naturalmente la fedeltà al testo è sempre da intendersi nel senso di un rispetto scrupoloso dell'essenziale, permettendosi l'autore ogni sorta di libertà stilistica ed espressiva: filtrata così attraverso la sua sensibilità, la storia di S. Tecla si fa attuale.

E non è ch'egli ciò faccia perché dubiti della veridicità dei fatti narrati da S. Basilio o li assuma come repertorio leggendario capace di suggerimenti poetici o, peggio, esclusivamente pietistici: Tirso non è neppure sfiorato dal sospetto che S. Basilio abbia attinto, come in   —175→   effetti è, a testi apocrifi e leggende popolari14, la qual cosa, del resto, non ci sorprende pensando a quella che era la filologia del Seicento.

Per Tirso ciò che S. Basilio narra è la verità e la vibrazione lirica che ci è dato spesso scorgere nel racconto è originata da una commossa partecipazione agli avvenimenti narrati, da un misto di ammirazione e candida suggestione per la miracolosa peripezia che accende la fantasia e l'ingegno i quali poi nuovo stimolo ritrovano nell'emozione, più particolarmente letteraria, del comporre in complesse e nuove forme, quasi a gara con un modello, e nella sollecitazione -più propriamente morale- del contatto che stabilisce col pubblico dei suoi lettori ai quali sa d'essere maestro di verità.

Nel caso de Los triunfos de la verdad, la novella (che narra la vita di S. Clemente Romano) presenta un titolo significativo; qui si fa l'apologia della verità e l'orientamento estetico del Tirso del Deleitar, che abbiamo visto essere animato da una più consapevole coscienza morale, sembra trovare quivi un contenuto particolarmente conveniente: la vicenda è narrata con un senso di vivace, intima gioia, in una specie di commossa esaltazione di fronte al miracolo operante della verità che vince inesorabilmente la menzogna.

Il testo fondamentale da cui Tirso trae la biografia del Santo, sono le Recognitiones di S. Clemente15, opera apocrifa impegnata in un intento fra l'apologetico e il dialettico. In Tirso lo scopo è morale e pedagogico: naturalmente si sfronda la parte dialettica e si dà maggiore importanza a quella novellesco-avventurosa. Ci si preoccupa dunque anche qui del deleitar ma non tanto che ciò superi lo scopo primo dell'aprovechar per adempiere il quale Tirso si fa scrupolo di seguire fedelmente nell'essenziale il testo, spesso citandolo. Quando poi egli si scosta da esso, sente il bisogno di citare la nuova fonte che può essere Petrus de Natalibus o Leo Marsicanus o Nicephorus Callistus16.

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D'altra parte il passaggio ad altre fonti è anch'esso insieme scrupolo di verità e bisogno di arricchimento narrativo ché non sempre varie e letterariamente vivaci si presentano le Recognitiones, composte in prima persona.

Ad esempio il preambolo storico è derivato da Niceforo Callisto. Si cerca quindi di caratterizzare la figura del protagonista della prima parte della novella, Fausto, il padre di Clemente. Gli elementi per la sua definizione come astrologo, sono già nelle Recognitiones. Ma Tirso, in questa caratterizzazione, interviene secondo il suo particolare gusto, in obbedienza a un'esigenza di verisimile estetico: non vuole lasciare nulla di impreciso e nello stesso tempo ritiene che la definizione minuta di particolari, quasi in forma dispersiva, acuisca l'interesse del lettore, ritardandogli le emozioni della vicenda fondamentale.

Così pure, contro certa secchezza narrativa del suo modello, egli introduce sfumature psicologiche che valgono a meglio precisare il carattere dei personaggi. Ad esempio a lungo si sofferma nella descrizione delle cure di Matidia per il cognato Flavio e ciò vale sia a caratterizzare la delicata anima della protagonista, sia ad accentuare il contrappunto drammatico della narrazione (tali cure non fanno altro che acuire l'amore del cognato per lei). Ancora: il lungo indugio intorno alle pene d'amore di Flavio e lo spunto psicologico della menzogna dispettosa detta al marito della donna, Fausto, per vendicarsi della onesta ripulsa di lei, sono sottili, anche se letterariamente non originali, variazioni tirsiane che il testo preso a modello non suggerisce.

Più avanti la narrazione dei particolari dell'imbarco di Matidia, decisa a salvare il proprio onore con la fuga, costituisce un nuovo indugio: ciò appartiene a una particolare tecnica del lento narrare le cui ragioni abbiamo esposte e che Tirso conosce già nei Cigarrales e qui trova giustificazione proprio perché applicata a particolari marginali attorno ai quali più liberamente può muoversi la fantasia rappresentatrice dello scrittore, capace d'ornare di verosimile un nucleo fondamentale di verità seguito con scrupolo.

Allo stesso modo si giustificano le inserzioni di brani in versi, pause liriche con le quali l'autore rende particolari stati d'animo dei suoi personaggi come ad esempio il dolore di Fausto effuso in un romance in endecasillabi: Incomprehensible magestad de vidrio o quello di Flavio in un romance in ottonari: Álamos que presumidos.

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Qua e là compaiono accentuate note drammatiche, quasi teatrali coloriture che non sono nell'originale ma che evidentemente Tirso si permette d'introdurre per ottenere una più tesa partecipazione del lettore: nel suo dolore Flavio sta per passarsi il petto con un pugnale quando sviene e poco prima il colloquio di Matidia con lui era stato interrotto dall'improvviso sopraggiungere del marito Fausto accompagnato dall'Imperatore. Sono due modi di violenta frattura narrativa desunti dall'uso scenico. Ma sono anche due modi sicuramente dominati da Tirso in funzione espressiva e riportati ad una complessiva unità tonale della novella; altrove, dove l'indugio e la variazione potrebbe apparire mera convenzione letteraria, il poeta procura evitarli. Quando ad esempio accenna alla tempesta che fa naufragare la nave di Matidia, dichiara espressamente di non volerla descrivere poiché il rappresentare tempeste è obbligo che sentono tutti gli scrittori, anche quelli che non hanno mai visto il mare. Nell'arguzia della battuta noi avvertiamo sì la punta polemica del letterato abituato alle schermaglie ed alle contese con i rivali, ma anche il disagio dell'uomo verso una letteratura fine a se stessa. Altrove, ove il racconto si stringe all'essenziale non è più lecita la variazione: i dubbi e i problemi che s'affacciano a Clemente sono resi secondo l'esposizione delle Recognitiones. E da queste sono pure tratte, senza mutamenti, le vicende successive: il viaggio di Clemente in Egitto e il suo incontro con Barnaba che l'avvia alla conoscenza dell'Apostolo Pietro.

Può variare la forma espositiva ma di ciò già conosciamo le ragioni. Così Aquila svela le imposture e le malvagità di Simon Mago in poesia e non in prosa come nel modello, così la Disputa fra Simon Mago e San Pietro è esposta in un dialogo in versi «porque lleve lo sabroso del estilo con lo útil de su consecuencia.»

Alla coscienza di quell'artista barocco che è Tirso il lettore è sempre presente; egli ricerca l'equilibrio degli elementi dilettevoli e di quelli moralmente utili: per questo motivo le dispute che erano tre nelle Recognitiones si riducono a una sola, le altre due sono riassunte brevemente: si vuole evitare di fastidiar il lettore che è uomo del Seicento e certo non può interessarsi come potevano interessarsi i primi lettori delle Clementine alle sottigliezze dialettiche o agli slanci apologetici di quelle contese.

Dopo la disputa il racconto prosegue fedelmente con l'interrogatorio di Clemente, la rivelazione di Matidia, il riconoscimento degli altri due figli suoi: Faustino e Faustiniano da cui era stata separata al momento   —178→   del naufragio e che sotto i nomi di Aquila e Niceta erano divenuti seguaci di S. Pietro, ed infine l'incontro con un vecchio che poi si scoprirà essere Fausto, da anni partito da Roma alla ricerca della moglie. S'assiste ad una nuova disputa fra il vecchio, Clemente, Aquila, Niceta e S. Pietro.

Pure questa disputa resta fedele al testo delle Recognitiones anche se è resa con maggiore brevità. Una variazione è solo alla fine ove il vecchio fa cenni precisi alla sua vita trascorsa.

In tal modo, scostandosi dalla fonte, Tirso crea un maggior effetto drammatico nella scena della agnizione finale poiché nel vecchio, per le sue stesse parole, d'un tratto Matidia ritrova il marito e i tre figli rivedono il padre. Nel vecchio avviene insieme il riconoscimento delle persone care e della verità:

Viejo
Conozco mi ceguedad
Pedro
Conocerás en tu esposa
casta, cuerda y virtuosa
los triunfos de la verdad.


Sembra davvero la conclusione di un dramma con la ripetizione, nell'ultimo verso, del titolo, secondo un costume diffuso.

La narrazione tirsiana non si ferma però a questo punto. Basandosi su Leone Ostiense ed altri autori egli giunge fino all'elezione al pontificato di Clemente, quarto Papa dopo Pietro, Lino e Cleto, ai suoi miracoli dopo la morte fino a quello grandioso dell'apparizione di un fantastico mausoleo nel fondo del mare ov'egli era stato precipitato, martire, con un'àncora alla gola. La conclusione della novella tirsiana è una nuova lode della verità che trionfa.

Anche in questa novella non appare, da parte di Tirso, alcuna critica al testo delle Clementine da lui seguito, oggi ritenuto non autentico17. Egli l'accetta come verità assoluta e s'abbandona a una ricostruzione letterariamente piacevole e suggestiva che renda viva e attuale, conforme cioè ad una formata psicologia ed a un gusto costituito, l'antica vicenda.

L'argomento agiografico della terza novella del Deleitar, El bandolero è la biografia di S. Pedro Armengol, frate dell'Ordine della Mercede, vissuto approssimativamente intorno al 1300.

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La storia del Santo è narrata da varie fonti18 anche se in modo generalmente sommario e senza troppa precisione di date. A tutte queste fonti attinge Tirso, soprattutto a quella di Vargas19, sia per scrivere la novella sia per narrare, più tardi, la vita del Santo nella sua Historia de la Merced.

Non si riscontrano, nelle varia versioni, sostanziali differenze, anzi si nota accordo nei pochi, fondamentali avvenimenti della vita del Santo, una generale incertezza quanto alle date e una grande oscurità intorno ai fatti dalla giovinezza.

Con mano sicura è da Tirso tracciata la biografia dell'Armengol nella Historia; sulla base degli elementi comuni della tradizione.

Pedro era di nobile origine, discendendo dalla casata degli Armengoles, conti di Urgel, imparentati con i re d'Aragona e di Francia. Nella gioventù entra in contatto con giovani destraídos e conduce vita piuttosto facile. Un giorno, in una partita di caccia, avendo egli ucciso un cinghiale inseguito da un favorito del re, alle rimostranze di questi, offeso, non seppe frenarsi, lo ferí di spada e per di più uccise due proprii amici che avevano preso la parte del rivale. Ma, non soddisfatto, per avere più grande vendetta, decise di farsi bandolero per poter così «satisfacer agrabios, en los catalanes sin esperanza de concierto, si no es muriendo o dando muerte.»

Alla fine il re s'adirò di questo stato di cose con il padre di Pedro, Alberto, e lo invitò a muovere contro il figlio. Alberto, muto per vergogna,   —180→   assentí ed eseguí. Al suo giungere il figlio non tentò alcuna resistenza, anzi si prostrò dinnanzi al padre e chiese di ricevere la pena di morte per castigo. E il padre così l'avrebbe condannato se i vassalli non l'avessero impedito. Pedro fu condotto a Barcellona e qui chiese al re di poter lavorare per «el retorno a la libertad de tantos afligidos,» cioè dei cristiani prigionieri dei mori. Si fece mercedario e in tal modo «de bandolero de la tierra, ya salteador de los tesoros celestiales, pudo religioso nuestro acumular merecimientos tantos a sus obras que, anegadas las primeras en la inmensidad de las segundas, de capitán de unos vandidos lo fue, después, de nuestros victoriosos mártires.»

Ci fu dunque una trasformazione mistica, quella perfezione nello stato di grazia che, sottolinea Tirso, è spesso propria dei convertiti. Pedro operò varie redenzioni di prigionieri finché, trovatosi in Bugia senza più denaro e desiderando riscattare alcuni giovani che vedeva pericolanti nella Fede ad opera delle lusinghe more, ottenne di riscattarli ed inviarli in Spagna, restando egli come garanzia presso gli infedeli del denaro del riscatto che i confratelli dell'ordine mercedario avrebbero portato. Ma i denari tardarono e Pedro fu impiccato. Dopo tre giorni giunsero i mercedari col denaro pattuito e trovarono Pedro Armengol miracolosamente salvo: la Vergine aveva sostenuto con le sue mani i piedi dell'impiccato che così, fruendo del celestiale conforto, era rimasto in vita. Pedro tornò in Spagna con altri fedeli riscattati e si ritirò a vivere a Montblanc, «más ángel que hombre» fino alla morte, continuando poi ad operare miracoli.

Nel Bandolero gli avvenimenti narrati sono gli stessi anche se coloriti con maggiore dovizia di particolari ed esposti in stile più ricco e letterariamente impegnato e con la solita variazione lirica di un romance (Amor y necesidad) e di un inno scritto in décimas (Dulce prenda, agora sí), entrambi dedicati alla Vergine, ma occupano solo una minima parte della novella e precisamente, dalla conversione alla morte, 19 pagine delle 240 dell'intero racconto.

Tutta la prima parte della novella è dedicata agli avvenimenti che precedono la conversione, cioè, in altri termini, alla giovinezza di Pedro Armengol. Le fonti non offrivano quivi nessun suggerimento tranne quello generico di una vita un po' disordinata e quello più preciso ma privo di particolari della trasformazione del giovane nobile in bandolero. Ecco dunque Tirso che inventa un complesso enredo cui allaccia la parte conclusiva già esposta.

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Già in altra parte di questo libro20 è stato illustrato il carattere propriamente arcadico dell'enredo che ha elementi caratteristici e tipici della novela pastoril: la suggestione astrologica (per essa il padre Alberto giunge alla deliberazione di sacrificare il figlio che le stelle condannano a essere impiccato ad un albero), il trueque de niños (Pedro scambiato con il figlio morto di un contadino in un estremo pietoso ravvedimento del padre), l'amore «impossibile» di Saurina per Pedro che ella non sa essere suo fratello, l'amore pure «impossibile» di Pedro e Laurisana21 che molesta il primo mentre poi l'intreccio si complica per la contesa che nasce fra il conte Manfredo e Don Berenguel Lanzol per ottenere da Alberto Armengol la mano della figlia Saurina, fino ai progetti di fuga di Laurisana con Pedro e di rapimento di Saurina da parte di Manfredo. S'aggiungano gli avventurosi successivi accidenti che fanno sí che Pedro fugga con Saurina in Francia, Laurisana venga tratta senza Manfredo in Sicilia, Alberto venga imprigionato come feritore di Don Berenguel mentre il vero colpevole del tentato assassinio è il perfido Manfredo. È allora che Pedro si fa bandolero per liberare il padre e far trionfare la giustizia: questa poi emerge per il coincidere di fortunate evenienze. Allora Pedro cessa d'essere bandolero e si fa mercedario. A questo punto, come già osservato, termina la parte novellesca e comincia quella più propriamente storico-agiografica.

Abbiamo voluto far cenno degli elementi fondamentali della trama per suggerire una idea della sua complessità ed anche convenzionalità letteraria, sia pure tenendo presente la trasfigurazione che della materia sa Tirso operare secondo quel gusto realistico che già constatammo nei Cigarrales e che qui si serve soprattutto dell'inserzione d'elementi storici22.

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Certamente però persiste un certo distacco fra la prima parte di svolgimento lentissimo e contenuto avventuroso e la seconda più rapida e preoccupata di rispettare una verità storica. È vero che Tirso cercò di superare lo stacco sia con l'ambientare il più possibile storicamente anche le vicende della prima parte, sia col ricercare l'unità interiore del protagonista (qui il giovane Pedro non è un destraído e si fa bandolero non per questioni futili di prestigio ma per essere difensore del padre e sostenitore del suo buon diritto); sussiste tuttavia un certo qual iato.

In fondo la prima parte costituisce una novella a sé stante con una sua conclusione chiara allorché Alberto viene scagionato da ogni accusa, Pedro viene riconosciuto figlio legittimo d'Alberto e perdonato del re, Don Berenguel sposa Saurina pacificando le casate dei Lanzoles e Armengoles, Manfredo si suicida e Laurisana va in convento. La seconda ha un tono tutto diverso e l'interesse non è più per la peripezia ma piuttosto si concentra tutto sul ritratto morale del protagonista e sulla celebrazione lirica del miracolo religioso.

Nasce facilmente l'ipotesi che, nella prima parte della narrazione, Tirso abbia utilizzato del materiale ch'egli aveva già pronto e che sostanzialmente apparteneva a un diverso suo momento spirituale. Forse rimodellò una di quelle dodici novelle «ni hurtadas a las toscanas, ni ensartadas unas tras otras como procesión de disciplinantes» che preannunciava nel prologo dei Cigarrales?

Al clima della sua prima opera narrativa imbevuta d'arcadismo evidente soprattutto nella mescolanza di pastorale e cortigianesco, ci   —183→   riportano del resto le stesse «pause» liriche che tranquillano l'andamento complesso dell'azione del Bandolero e cioè la favola di Piramo e Tisbe recitata in una tipica cornice pastorale ed i cui versi fra l'altro ci sembrano di fattura giovanile23 e l'episodio della Corte d'Amore del tutto cortigiano non solo nell'ambientazione ma nella sostanza stessa del pensiero che lo nutre: un concetto d'amore chiaramente neoplatonico.

Al Tirso che compone il Deleitar in un momento in cui decisamente più sicura gli s'era fatta la coscienza del valore dell'attività letteraria entro il complesso àmbito della vita spirituale, proprio per averne chiarito i limiti e i compiti, tuttavia il contrasto degli elementi della prima e della seconda parte del Bandolero non dovette apparire insanabile anche perché la prima, sia pur fantastica, mostravasi ricca, nella caratterizzazione dei personaggi e nella risoluzione della trama, di spunti   —184→   umanamente vivi e riconducibili ad una sostanziale moralità. In fondo ancora una volta sia pure in modo alquanto diverso che nelle due precedenti novelle (non foss'altro che per la diversa proporzione dei componenti) s'attuava la possibilità del deleitar aprovechando, cioè l'uso di una capacità espressiva in funzione essenzialmente morale.

Se torniamo ora a considerare le tre novelle non separatamente ma nell'unità del Deleitar aprovechando, con la sua cornice e il contorno degli autos e delle liriche e studiamo tutto il libro in relazione alla miscellanea che lo precede (Cigarrales) o a quell'altra forma di prosa narrativa che lo segue (Historia de la Merced e Vida de la Santa Doña María de Cerbellón)24, dovremo innanzitutto sottolineare il fatto che col Deleitar si va facendo più chiara la coscienza tirsiana di un impegno morale strettamente legato all'operare del letterato. Non è che essa manchi nel resto della sua produzione anche se si può giustamente affermare che Tirso non è un moralista nel senso ristretto del termine. Solo che prima del Deleitar questa coscienza non appare come un elemento meditato e consapevole che giunga a far parte della stessa poetica tirsiana ma sorge se mai come una riflessione «a posteriori» provocata dalla necessità di volgersi criticamente alla propria opera per difenderla dagli attacchi dei crudi e malevoli censori. Si veda ad esempio quel che dice Tirso alla fine dei Cigarrales là dove introduce i commenti dell'uditorio della commedia de El celoso prudente: «¡Afilen agora los Zoylos murmuraciones en la piedra de la embidia! !Veamos si hallarán, los que parten un pelo, alguno digno de reprehensión! Censuren los Catones este entretenimiento, que por más que le registren, no tendrán las costumbres modestas ocasión de distraerse... La comedia en estos tiempos, limpia de toda acción torpe, deleita enseñando y enseña dando gusto... Las verdades que no se visten con metáforas ingeniosas y versos deleitables dan en rostro y son dificultosas de digerir. Y aquí vienen tan bien guisadas que el más delicado estómago las recibe, siguiéndosele el provecho que no hiziera a venir sin adorno...»25

Nel caso invece del Deleitar aprovechando ci sembra che l'atteggiamento sia consapevole e direi programmatico sempre, s'intende, non nel significato moralistico e precettistico del termine ma come esito di una   —185→   convinzione maturata e che unifica i valori etici a quelli estetici. Il «vero» religioso e morale, ha, insomma, in se stesso una possibilità di «bello» che lo scrittore sa rendere impegnandosi non tanto sul piano inventivo che lo porterebbe lontano dal vero, quanto, essenzialmente, su quello formativo dell'opera d'arte. Così Tirso che conosce tre meravigliose e vere storie di santi che nulla hanno da invidiare alle «favole» inventate, si preoccupa solo di trovare la forma che loro convenga e nello stesso tempo sia accetta al pubblico: «Buscaba pues mi pluma alguna disposición nueva que la medrasse crédito con tales tres assuntos»26... «Pues buen remedio, doremos esta píldora, hagamos una miscelánea provechosa y a imitación de la aveja, que con su artificio y las flores de los romerales saca un tercer mixto que, saludable y dulce, ni es totalmente tomillo ni romero ni del todo degenera de sus virtudes y sustancia. Novelemos a lo santo y entre lo marañoso y entretegido de lo raro de sus vidas fabriquemos estos tres panales que lisongeando al apetito enfermo, comuniquen confitado lo medicinal de sus exemplos.»27

Da simile impostazione deriva l'opportunità e direi la necessità della cornice per dare unità alla composizione e giustificare il variare dei generi letterari impiegati: un'esigenza dunque strutturale ma che non può non riflettersi, a meglio qualificarla, su tutta l'opera la quale indubbiamente nasce da un'unica istanza spirituale.

Troppo severo perciò ci sembra il giudizio dello Pfandl28 che, pur ammettendo l'originalità e il buon gusto dell'idea di Tirso d'estrarre l'elemento romantico dalle leggende di santi per trarne novelle, ritiene idea infelice quella «de que sirviera de entretenimiento en las fiestas de sociedad y de que contuviera un poco de cada cosa... Con esto maleó la sana semilla de la obra y la convirtió en una de las más necias y ridículas que se hayan escrito nunca en España.»

Ritengo arbitraria questa separazione violenta delle novelle dal resto dell'opera: Tirso non aveva assolutamente il gusto della riesumazione più o meno romantica delle antiche leggende agiografiche ma alla composizione fu guidato solo dal suo intensificato amore per il vero religioso di cui l'esperienza e la capacità letteraria si faceva strumento forgiando, in accordo non soltanto con un gusto personale ma con un gusto del   —186→   pubblico del quale Tirso si sentiva insieme interprete ed anticipatore, un complesso mondo espressivo. Sostanzialmente ci sembra che la cornice crei un clima, un ambiente in cui la disparità delle prove d'ingegno trovano un senso e perdono tanto di letterarietà pura quanto acquistano di più raccolta intimità umana anche perché la cornice, che ci rappresenta l'amichevole riunione di tre famiglie per trascorrere gli ultimi giorni di Carnevale nell'onesto piacere del novellare e rappresentare autos e udire recitazioni di versi, è fuori da ogni artificiosità cortigiana o convenzionalità arcadica ora è realisticamente architettata su di un piano di nobile semplicità domestica.

Del resto tutto il libro si presenta improntato a questo moderato realismo: il valore morale balza sempre fuori dalla chiarezza stessa degli avvenimenti, osservati tutti con occhio intelligente e umanamente comprensivo da un uomo che è proteso a cogliere in essi sopra tutti gli altri, il valore della bellezza della verità che trionfa o della virtù che s'afferma.

Inopportuna perciò ci appare l'interpretazione che della narrativa di Tirso ed in particolare del Deleitar aprovechando ha dato il Soons29. Tirso che è per il Soons, nella novellistica, un epigone cervantino, abbandonerebbe la logica linearità del narrare di Cervantes per una più complessa rappresentazione del mondo in cui concetti etici ed estetici vengono simbolizzati. Grande importanza avrebbero in lui i motivi dell'oscurità, non solo come accompagnamento dei momenti più drammatici ora come diretta protagonista dell'azione, del mare come immagine del mondo sconvolto sopra cui trionferebbe l'accorto navigante, cioè il discreto, dell'umanizzazione del paesaggio, quasi commento pittorico di contorno al gruppo principale per sottolineare particolari attitudini etiche, della società in cui trionfa la forza della volontà d'alcuni sopra l'opacità degli altri tutti. La narrativa tirsiana, imbevuta di questi simboli segnerebbe il passaggio al più tardo e totale simbolismo di un Gracián.

Ritengo invece che quelli che cita il Soons come esempi di simbolismo non siano altro che espedienti esornativi per arricchire o in forma dilettosa o emotiva il racconto. Non è di Tirso infatti la preoccupazione o, peggio, la predicazione moralistica attraverso il simbolo e le sue nascoste significazioni: la sua «moralità» sgorga attraverso la verità stessa del contenuto resa con piena evidenza. In altri termini S. Tecla,   —187→   S. Clemente e S. Pedro Armengol sono suscitatori di forza morale per la loro medesima vita. Tutto il resto che accompagna il linearissimo sviluppo dell'azione fondamentale non è che frutto di una grande esperienza del cuore umano, di un attento amore per le cose, di un saggio equilibrio interiore che permette una costruzione ricca di sfumature. Non diremo perciò come pretende il Soons che in Tirso «i temi dell'oscurità, del mare, del paesaggio ecc... acquistano una inesorabilità simbolica, quasi da usurpatori nell'intreccio»; a nostro modo di vedere ciò che preoccupa soprattutto Tirso è proprio l'intreccio non come inventio ma come realtà; il rimanente è contorno dilettoso che non cela sovrasensi, pittura (accettiamo pure il termine usato dal Soons) ma non simbolica. Se vogliamo, chiamiamola decorazione.

Perché, in fondo, Tirso è autore di una linearità estrema, più affettivo ed umanamente mosso che astrattamente o metafisicamente teso.

Anche l'osservare il suo particolare stile ci persuade di ciò. Indubbiamente più ricercato e liricamente involuto si presenta quello dei Cigarrales, il che non ci meraviglia se pensiamo all'origine arcadica di quel testo. Ma più sciolto e semplice è lo stile del Deleitar aprovechando. Su ciò sono d'accordo tutti i critici tranne l'Escudero30 che trova esagerata la differenziazione generalmente fatta e ritiene di dover accostare maggiormente le due opere. Egli stesso però precisa di stabilire il confronto fra i Cigarrales e l'unica novella a lui nota del Deleitar aprovechando, il Bandolero.

Al lettore è già nota la nostra opinione sulla composizione di questa novella che nella sua prima avventurosa parte è indubbiamente assai vicina al gusto arcadico che impronta i Cigarrales, perciò la posizione dell'Escudero sul piano stilistico non ci sorprende anzi, per altra via, ci conferma nella nostra opinione. La verità è che una differenza effettiva esiste e trova piena giustificazione e spiegazione nella particolare coscienza poetica del Tirso del Deleitar che aderiva anche linguisticamente e stilisticamente ad un gusto più realistico e cercava una forma meno liricamente ricercata, tale da raggiungere una più semplice ed immediata possibilità comunicativa. S'osservi quello che Tirso scriverà qualche anno più tardi quando, tutto volto alla storia, intensificherà maggiormente la sua preoccupazione per il rispetto della verità e mostrerà di credere ch'essa si possa rendere con uno stile vivo ma senza artifici, commosso ma senza esaltazioni: «Proseguiré ni tan difuso   —188→   que fastidie, ni tan conciso que obscurezca, antes hechando por en medio, sin dexar cosa sustancial, escusaré doctrinas propias de los púlpitos y libros morales y reprehensiones prolijas contra vicios con las sutilezas de autoridades de la Escritura y Santos, porque ni es materia que pertenezca a las historias ni los sucesos de ésta necesitan de ellas pues su misma narración predicará tácitamente exemplos para los virtuosos y escarmientos para los no tales, sin cansarlos.»31

Ci sembra questa la più chiara conferma di un orientamento spirituale qui colto nella sua fase culminante senza peraltro che questa contraddica le precedenti posizioni che anzi, nella storia interiore del mercedario -la quale non conosce salti violenti ma un lento approfondimento più ancora che svolgimento- esse trovano tutte giustificazione e chiarimento.

In tal senso ci pare vada inteso il Deleitar aprovechando, momento particolare dell'attività spirituale di Tirso che non s'oppone alla precedente ma la sviluppa e ne prepara una ulteriore e si caratterizza, acquistando possibilità poetica, nel volgersi ammirato e commosso al «vero» desunto dall'agiografia e s'esprime in varia forma letteraria con una duttile vivacità che è tanto maggiore quanto più intensa l'emozione e più impegnato nella sua totalità spirituale l'uomo.





 
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