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[268]

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Ildegonda

Frammenti

                                          . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     Or qui Rolando famigliar divenne
d'un conte Ermenegardo Falsabiglia,
a cui, perché improvviso a morir venne
la moglie di ricchissima famiglia,
legavasi con tal patto solenne, 5       
che a sposa ci gli darebbe uni sua figlia,
la crescente Ildegonda, che rimasa
e con la madre alla paterna casa;
 
     E il Conte parimenti strinse fede
che avrebbe al figlio di Rolando data 10
una fanciulla sua, l'unica erede
che la madre morendo avea lasciata.
Il Gualderan che in queste nozze vede
la sorte di sua casi ristorata
stimola e assedia il Conte, e lo bien stretto 15
perchè tosto si pongano ad effetto. [270]
 
     Rogier le nozze affretta quant' ei puote
-cosi il figliuol del Gualderan s' appella-
convenienti per la ricca dote
e pel casato ond' esce la donzella; 20
Ma, son le istanze sue d' effeto vote
che ripete, ogni di presso di quella:
però ch' egli era alla fanciulla esoso,
la qual morrebbe anzi che averlo sposo.
 
     Prega ella il padre che non voglia farla 25
con un marito tal misera e grama,
e piange, e lo scongiura, e si ben parla
ch' egli che allin le è padre, e che pur l' ama;
fermo quantunque di sacrificarla,
contraddirle, non sa l' ultima brama 30
che differita almen venga ogni cosa
finch' ei pur meni la novella sposa.
 
     Sebben l' indugio ai Gualderan dispiaccia,
E d' inetto fra lor dien nota al Conte,
che obbedir da una figlia non si faccia, 35
e ai capricci di lei chini la fronte;
non gli danno però querela in faccia,
ma a quanto ei vuol mostran le voglie pronte,
temendo ch' egli offeso non ritratti
le sue promesse e star non voglia ai patti; 40 [272]
 
     E tosto che la lega fa disciolta,
guista l' accordo che fra lor si prese,
dal Vaticano i Gualderan dier volta
tornando in fretta al lor natio paese,
d'onde la bella fidanzata tolta 45
di nuovo a Roma esser dovean fra un mese
a celebrarvi splendidi e reali
gli statuitti duplici sponsali.
 
     Ildegonda, e la madre giubilando
rivider così alfin gli amati volti; 50
gli abbracciamenti si iteraro, e quando
tutti alla mensa furono raccolti,
gli occhi alla ingenua sua figlia Rolando
con un riso festevole rivolti,
a indovinar l'invita di qual dono 55
apportatori egli e Rogier le sono.
 
     Lungi d' apporsi l' innocente figlia
nominava con aria di contento
un cintolo, un monile, una smaniglia
e altro tal muliebre adornamento: 60
a gioco ei lungamente in pria si piglia
quell' esitante pueril talento;
al fin le chiede se le fia gradito
più d' un giojello, il dono d' un marito; [274]
 
     La virgine si tinse di rossore 65
poi chinò gli occhi, impallidissi e tacque:
diede quell' atto al giovanil pudore
della candida figlia; e sen compiacque;
blando a lei sorridendo il genitore;
e seguitò narrando come nacque 70
il pensier primo, e come poscia fatto
avea del doppio maritaggio il patto:
 
     E lei sempre chiamando avventurosa
oltre a quanto arrivir possa il pensiero;
ch' era prescelta a divenir la sposa 75
del più ricco, e prestante cavaliero,
e giovin, bella, docile, amorosa
commendando l' amata di Rogiero,
conchiudeva con dir che termin prese
a tale effetto lo spirar del mese; 80
 
     E che il corredo d' allestir gli preme
alla sposa, già tal la figlia noma,
affinchè tutti il di composto insieme
sian per le nozze statuite a Roma.
La fanciulla che il padre offender teme 85
con ogni sforzo sè medesma doma,
ch' ei non s' accorga di che ria ferita
l' abbia trifitta la novella udita. [276]
 
     Ma la madre che in lei sola si piace
e l' ama quanto amar madre più possa, 90
nè sa il pensier pur comportarsi in pace
che sia cosi dal flanco suo rimossa,
or la veggendo pallida, che tace
e che la guarda, da piettá commossa
asconde il volto, come chi a gran pena 95
le prorompenti lagrime raffrena:
 
     E quella allor d' un impeto repente
quasi più non sapendo che si faccia,
surse dal desco come una demente
e si slanciò fra le materne braccia, 100
cadendole sul collo, e dolcemente
baciandola per gli occhi e per la faccia,
mentre pur non potendosi far motto
davan ambe in un piangere dirotto.
 
     -Godi, bella innocente sventurata, 105
di questo istante che t'ha il Ciel concesso,
godi il piacer del pianto inebbriata
nella dolcezza dei materno amplesso.
Ah! Misera, non sai quanta giornata
di sacrificio ti si volga appresso; 110
nè allora il pianto della madre avrai,
che ti conforti fra cotanti guai.- [278]
 
     A quella vista il padre ed il fratello
conturbarsi, e in fortissimo sospetto
la prima volta entravano di quello 115
segreto amor, ch' ella tien chiuso in petto;
al qual dubbiar tu inseguito suggello
l' aver, siccome ella poi fè, disdetto
l' assentimento, mendicando scuse,
a quelle nozze senza lei conchiuse. 120
 
     Avea già posto la dogliosa il core
in un gentil garzon bello e valente,
e con tutto il furor dei primo amore
accesa era di lui perdutamente:
nomavasi Rizzardo Mazzafiore 125
sceso di buona popolana gente,
un cresciuto nell'arti della guerra
a salvamento della patria terra.
 
     Spesso armeggiando visto ella l'avea
venir per gioco alle più strette prese, 130
chè fra i rischii dell' armi allor godea
la gioventù bollente milanese:
uno fra tanti bello le parea,
e di tutte più nobile, e cortese;
e in ogni scontro inavvedutamente 135
desiderava ch' ei rosse vincente. [280]
 
     Quindi giunta al domestico soggiorno
si fea più sempre pensierosa e mesta,
nulla bramando più, fuorchè il ritorno
del consueto primo di di festa; 140
però che ai torneamenti per quel giorno
la gioventù belligera s' appresta,
e sotto l' armi, fra la nota schiera
veder quel forte un' altra volta spera.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     Nè il garzon di desio men violento 145
per lei, punto sentiasi ed infiammato,
che la gentil persona, e il portamento
altero, e il viso bello e dilicato
della fanciulla, fra il marzial cimento
avea più volte con stupor notato; 150
e in ogni atto e in ciascun rischio d' onore
a piacerle, e non più poneva il core. [282]
 
     E quando, dopo lungo indugio, vana
ch' ivi tornasse vide la speranza
-Chè, assente il padre, la tenea lontana 155
la genitrice da ogni ragunanza-
venne ne' di festivi alla gualdana
che avea di correr la cittade usanza,
e galoppando cogli armati in folla
ad un balcon la vide e salutolla. 160
 
     Notò la casa, e quindi ebbe raccolto
chi fossero i parenti, e prese usata
lu que d' intorni, e procacciò con molto
studio di rivederla ogni giornata:
ella arrossiva, e tutta era pel volto 165
la fiamma ond' arde il cor signiticata;
sicch' ei fatto più ardito a poco a poco,
le discoverse l' amoroso foco.
 
     E ufficioso sempre e riverente
con si modesto zel la perseguia, 170
che piegò ad ascoltarlo finalmente
la verginale intatta ritrosia
dell' ingenua fanciulla che gli assente
quella parola ch' ei tanto desia:
e tutta vergognosa, a lui confessa 175
il grande amor che gli portava anch' essa. [284]
 
     Avea fidente la donzella onesta
schiuso all' amor dei suo Rizzardo il core,
dacch' ei giurava che l' avrebbe chiesta
per le nozze agognate al genitore: 180
il fervido garzon solo di questa
dolce speranza nutre il casto amore:
la virtù della vergine era tanta
ch' ei la guardava come cosa santa.
 
     Tutte le notti, e alcun non s' era accorto, 185
recavasi Ildegonda ad un verone
interior che rispondea nell' orto
fatto patente al cupido garzone
per un cancello ond' ella il fece scorto,
che dalla strada agevol si frappone: 190
e qui insiem convenuti per lunghe ore
intratteneansi a ragionar d' amore.
 
     Esca novella al foco ministrando
in che avvampavan gli innocenti petti,
cosi, finchè lontan stette Rolando, 195
beati i dì traean quei giovinetti:
ma, deh! qual cor fu il tuo, misera! quando
Giunse inatteso il padre ai patrii tetti
recando la novella dolorosa
d' averti altrui già destinata sposa! 200 [286]
 
     Passan più giorni, e il tempo s' avvicina
che a Roma egli debb' esser con la figlia:
Invan pregata, invano è la meschina
stimolata da tutta la famiglia;
ma il padre, come l' ira lo strascina, 205
e Rogier sempre instando lo consiglia;
due giorni alfin le accorda di pensiero
per sceglier quelle nozze o un monastero,
 
     Desolarsi in quei giorni fa veduta
e il fratello, ed il padre ir supplicando, 210
ma dal fiero proposto non si muta
per questo l' inflessibile Rolando:
protesta che per figlia ei la refiuta,
se resiste al paterno suo comando,
e che una cella a compiere l'aspetta 215
i suoi giorni da tutti maledetta.
 
     La notte che il fatal giorno precesse,
dal terror, dall' angoscia delirante,
non che dormir la misera potesse,
ne sulle piume s' adagiò un istante: 220
va in mente rivolgendo le promesse
iterate più volte al caro amante,
e la speme, e i delirii fortunati
a che s' erano entrambi abbandonati. [288]
 
     Spesso, abbracciando gli origlieri e il letto 225
il suo Rizzardo d' abbracciar si crede;
e come donna fuor dell' intelletto
sensibilmente a sè dinanzi il vede,
e con lui parla, e sente il poco affetto
improverarsi e la mancata fede, 230
le par ch' ei piagna, e pur com' ella suole,
di lagrime il conforta e di parole.
 
     -Ch' io t' abbandoni? dicea spesso, ch' io
giammai ponga in altr' uom gli affetti miei?
Deh! per pietà non crederlo, cor mio, 235
che nè manco volendo io lo potrei:
ti giuro, o mio Rizzardo, e sallo Iddio
siccome a me tu necessario sei:
ei che il segreto mio gemito ascolta
sa ch' io di duol morrò se ti son lolta. 240
 
     La madre?... Oh! la dolente madre mia!
La dolce madre! io l' ho pur sempre in core:
sai di che amore io l' ami, e tuttavia
quel che a te porto è più profondo amore;
tutta in pianto pregavami la pia, 245
che cedessi al voler del genitore,
con cari nomi mi pregava, ed era
rifiutata per me la sua preghiera.- [290]
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     Ma intanto che la bella dolorosa,
cosi fra il sonno e il vaneggiar sopita, 250
dal pianger finalmente si reposa
e il travaglio addormenta della vita,
ecco giunger Rizzardo, d' ogni cosa
ignaro, che dappoi fosse seguita,
e cruccioso dall' orto, e pien di sdegno 255
invitarla al veron col noto segno.
 
     Era ogni notte quel tapin venuto
celatamente al consueto ostello;
ma da gran tempo non avea potuto
l' innamorata giovine vedello, 260
chè più guardinga dopo il suo rifiuto
fatta de' scaltrimenti dei fratello,
d' avventurarsi non avea baldanza
a metter piede fuor della sua stanza. [292]
 
     Ora in cupi pensier Rizzardo assorto 265
nuda recando in una man la spada,
schiuse il cancello, e penetrò nell' orto,
come il sicario che al delitto vada.-
Il difende da due parti un ritorto
muro, che il volger segue della strada, 270
sorge a destra il palagio, e lo circonda
il terrazzo ove già vide Ildegonda.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     La chiama, e quindi rattenendo il flato,
porge ad ogni fragor l' orecchio attento
e il cor gli balza in petto esagitato, 275
avvisando esser dessa ogni momento;
ma non sente che un canto misurato,
or sì, or no secondo spira il vento:
era il canto notturno cheal Signore
di Benedetto ergevano le Suore. 280 [294]
 
     Sospira, e poi la chiama un' altra volta,
e pur l' orecchio intende e il respir cessa;
ed ecco l' alternar d' un paso ascolta
tacito, lento che ognor piú s' appresa;
ecco farglisi sopra, i crin disciolta 285
e nella faccia squallida e dimessa
l' amata che alle sue stanze si fura
tutta tremante in cor dalla paura.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     Esce all' aperto tosto che la vede
corucciato Rizzardo, e le si appressa, 290
e d' aspri detti pungela e le chiede
ragion ch' abbia mancato alla promessa;
ch' egli ogni notte sulla data fede
quivi venuto era quell' ora istessa
ansio aspettando sino al far dei giorno 295
fra mille rei sospetti il suo ritorno. [296]
 
     La misera, raccolto ogni vigore,
allor con voce flebile e commosa
-Vuoi tu, disse, ch' io muoja di dolore
l' ultima volta che veder ti possa?- 300
Ma qui a un tratto scoppiar sentissi il core,
e di frenarsi non avendo possa,
diè in un gran pianto, ed il parlar fu rotto
nè per gran tempo gli potea far motto.
 
     Sospirando il garzon dall' imo petto 305
sopraffatto ver lei levò la testa
e-Ohimè! le disse, ohimè! cor mio diletto
l' ultima volta che mi vedi è questa?
L' hai tu, l' hai tu veracemente detto?
Deh parla per pietà, deb non t' arresta- 310
E quella gli occhi si tergeva intanto,
e seguitava con voce di pianto,
 
     Del duplice connubio raccontando
che avea col Conte il genitor statuto,
e dello sdegno a che trascorse ei quando 315
intese dalla madre il suo rifruto;
e che, lui sempre a questo stimolando
l' ingorda rabbia del fratello astuto,
le intimò come un monaster l' attenda
quando al prossimo di non gli s' arrenda; 320 [298]
 
     Ma ch' ella mile volte vuol morire,
se sofferta esser può più d' una morte
su questa terra, innanzi che patire
d' esser d' altr' uom fuorchè di lui consorte;
e qui si tacque, e da lontan sentire 325
-Che più secondo il vento era e più forte-
potè distintamente i sacri canti
delle Benedettine salmeggianti.
 
     Le corse un gel per tutta la persona,
chè quella malinconica armonia 330
quasi annunzio di morte in cor le suona
e pinge alla commossa fantasia
il padre che sdegnato l' abbandona
fra quella schiera penitente e pia;
sola nell' aspra sua cura tenace 335
a tribolarsi in mezzo a tanta pace.
 
     Dalla disperazion fatto più ardito
dopo qualche silenzio il garzon disse,
che solo di salvezza era un partito,
che seco quella notte ella fuggisse: 340
sul terrazzo sarebbe egli salito
a darle ajuto affin che giu venisse,
e tosto empiendo i riti della Chiesa
come sua sposa poi l' avria difesa. [300]
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     Parve un istante la fanciulla in forse, 345
vinta da quanto l' amator le dice;
ma quasi un lampo all' animo le corse
l' immagin dell' afflita genitrice,
e il cor segretamente le rimorse
il pensier pur di renderla infelice: 350
quindi la tema e il natural pudore
si ridestar nel mansueto core;
 
     E il parato giudicio delle genti
sovra il capo pesar grave s' intese;
onde a lui volta umanamente, -Senti, 355
mio primo e solo amor, senti, riprese,
sa il Ciel s' io t' amo, e s' io stato e parenti
e questo dolce mio natal paese
non lascierei, teco affrontando ardita
quanto di piú dubbioso è nella vita; 360 [302]
 
     Ma quando penso di che duol cagione
alla povera mia madre sarei,
a cui già il padre il troppo amarmi appone
e il fallo mio vendicherebbe in lei;
quando penso che innanzi a sua stagione 365
sospingere al sepolcro io la potrei,
e che i pietosi estremi uffici invano
morendo invocheria dalla mia mano;
 
     Oh allora a un tratto l' animo mi cade,
e s' anco fossi di morir secura 370
restando, carità mi persuade
a compiere i miei di fra queste mura:
però ti prego, abbi di me pietade,
questo oltraggio risparmia alla natura;
di mia misera vita il breve corso 375
deh nom m' avvelenar con un rimorso:
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . [304]
 
     Ah cessa! cimentarono abbastanza
la mia scarsa virtù le tue parole;
troppa hanno, ahi! troppa sul mio corpossanza,
troppo l' abbandonarti già mi duole: 380
ricorditi di me, non ho speranza
di più vederti dopo il nuovo sole:
orbata dei tuo amor che la conforta
udrai fra poco che Ildegonda è morta.-
 
     -Che parli di morir? che mai dicesti? 385
L' interruppe il garzon forte piangendo;
se il vuoi, più non m' oppongo che qui resti,
alla tua filial pietà m' arrendo:
ma a che la cupa fantasia, di questi
vani sogni di morte vai pascendo? 390
Speriamo, o cara, forse il ciel dispose
che, in meglio alfin si volgano le cose.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . [306]
 
     Ma gia s' accommiatava dal donzello,
che in Oriente l' ombra si dirada,
quando d' agguato uscir vede il fratello 395
e Rizzardo investir con una spada;
quel fugge rovinando, e pel cancello
esce precipitoso in sulla strada:
l' altro sempre alle coste, mentre il caccia,
tiengli il ferro, e lo sgrida e lo minaccia. 400
 
     Mise un acuto strido la tradita
ignara di che ajuto li proveggia:
piegan quelli a sinistra nell' uscita
dietro il muro onde l' orto si fiancheggia,
sicchè tosto ogni vista è a lei rapita, 405
che mentre assorta in mille dubbii ondeggia,
trepidante di quel che intanto accade,
ode da lunge un incalzar di spade.
 
     Cresce il fragor delle percosse... Cessa:
s' ode il sonar d' un passo accelerato: 410
e il passo d' un fuggente che s' appressa:
ecco giunge... trascorre... é trapassato.
Oh! quale di lamento egra e repressa
voce move improvvisa da quel lato?
Chi sarà quel languente? Ahi dubbio atroce! 415
E forse di Rizzardo quella voce. [308]
 
     Dal terrazzo in quell' impeto slanciata
giù nell' orto d' un salto si saría,
e corsa a guisa d' ebbra e forsennata
al loco onde il lamento le venia: 420
ma dalle forze á un tratto abbandonata
offuscarsi là vista si sentia,
e de' scusi perduto ogni potere,
siccome morta si lascio cadere.
 
     Quando l' alma smarrita fe ritorno 425
al ministerio della vita usato,
il sole apportator del novo giorno
sull' orizonte s' era già levato,
ed ella gli occhi a sè volgendo intorno
trovavasi d' aver la madre a lato; 430
e la camera poi riconoscea,
e il letto su cui posta si vedea.
 
     Un rombazzo, un frastuono ocupa intanto
del palazzo le camere e le sale,
un susurrar di voci, un suon di pianto 435
un gridar di chi scende e di chi sale;
e i servi affaccendarsi in ogni canto,
e un tumulto e una pressa universale;
perchè la vergin tutta paurosa
domanda che inferir voglia tal cosa. 440 [310]
 
     La madre a lei rispose sbigottita
del fratello narrando la sciagura,
che ai sensi tolto da crudel ferita
stranie braccia recar fraquelle mura:
ed or concesso é in dubbio della vita 445
de' medicanti alla discreta cura,
nè ancor indizio potè aversi o spia
che manifesti l' assassin qual sia.
 
     Ma, confortato da pietosi uffici,
aperte al giorno avea Rogier le ciglia, 450
e al padre raccontava ed agli amici
di Rizzardo il delitto e della figlia:
ch' ella tutti gli avea fatti infelici,
e d' infamia coperta la famiglia;
sempre aggravando l' innocente errore, 455
a che spinta l' avea forza d' amore;
 
     Tanto che il padre in si grand' ira accese
che corse fulminando come insano
al letto d' Ildegonda, e un ferro prese,
e la volea trafigger di sua mano: 460
se non che la pia madre la difese
e chi a suoi gridi accorse di lontano;
perch' egli con terribili parole
a maledir si volse la sua prole. [312]
 
     E sobra il capo le imprecò l' intera 465
terribile vendetta del Signore,
nè della madre il pianto, o la preghiera
de' congiunti frenar l' empio furore;
e rinchiusa la volle anzi la sera
in una cella al Monaster maggiore, 470
nel cui ricinto pochi giorni pria
morte a lei tolse una diletta zia. [269]




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Ildegunda

Fragmentos

                                       . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     Logra Rolando la amistad honrosa
del conde Ermenegardo Talsibilia,
a quien (pues quedó viudo de su esposa
descendiente de espléndida familia),
le hizo formal promesa, generosa, 5       
que el bien de entrambos a su vez concilia,
de darle a su Ildegunda, la que pasa
su dulce vida en la paterna casa.
 
     Juró el Conde también con fe sincera
que al hijo de Rolando le daría 10
una hija saya, la única heredera
que la madre al morir dejado había.
Realzar su casa a su brillante esfera
con tales bodas Gualderan confía,
y así insta al Conde para que el proyecto 15
se lleve al punto y sin demora a efecto. [271]
 
     Rugiero con ansiosa diligencia
(de Gualderano el hijo así se llama)
apresura la boda, por la herencia
y la noble progenie de su dama; 20
mas los votos de amor que en su presencia
hace Rugier, son falsos: no, no la ama;
y esta conducta a aquella es tan odiosa,
que quiero antes morir que ser su esposa.
 
     Ella al padre le ruega que no quiera 25
labrar su desventura, y gime y llora,
y llora y le suplica de manera,
que él, que es su padre y como tal la adora,
(aunque tenaz en su intención primera)
no se atreve a negarle lo que implora; 30
y es que su enlace aguarde para cuando
su esposa sea la hija de Rolando.
 
     Les disgusta a Rolando y a Rugiero
esta tardanza, y entre sí murmuran,
y apellidan inepto al caballero 35
que ante su hija cedió... mas se figuran
que la amistad del Conde es lo primero;
y así sus planes secundar procuran,
por temor de que el Conde en un instante
la promesa, ofendido, no quebrante. 40 [273]
 
     Y así que rota rué la santa liga,
y ellos acordes ya, del Vaticano,
con Rugiero, a quien manda que le siga,
a su patria regresa Gualderano.
Y al partir, que Ildegunda esté, se obliga, 45
antes de un mes, dispuesta a dar la mano
al Conde, en Roma, do con pompa y fausto
celebrarán de aquella el holocausto.
 
     La hija y la madre de placer llorando,
vieron al fin objetos tan queridos: 50
reiteran sus abrazos... Luego, cuando
en la mesa estuvieron reunidos,
a la ingenua Ildegunda habló Rolando,
sobre aquella los ojos dirigidos,
y la invita, sonriendo, a ver si experta, 55
con el regalo que la traen, acierta.
 
     La inocente Ildegunda que pasaba
como gentil entre las más gentiles,
un brazalete, un cinturón nombraba,
y otros varios adornos mujeriles. 60
Su padre chanceándose admiraba
su candor e inocencia juveniles,
y al fin le dice, si le es más querido,
que una joya, el regalo de un marido. [275]
 
     De Ildegunda en el rostro, fugitivo 65
el carmín asomó, que por ventura
nuevo encanto prestaba y atractivo
a su inocente y cándida figura:
clavó en tierra la vista... y con activo
afán el padre, y con falaz ternura, 70
fue refiriendo minucioso, exacto,
cómo del doble enlace hiciera el pacto.
 
     Y estimando a Ildegunda venturosa,
de porvenir brillante y lisonjero,
por ser llamada a apellidarse esposa 75
del más rico y mas noble caballero;
y bella y joven, dócil y amorosa
presentando a la amada de Rugiero,
concluía diciendo que el proyecto
debía antes de un mes llevarse a efecto. 80
 
     Que sin tardanza disponer quería
el rico ajuar para la noble esposa,
para que juntos el fijado día
estén de Roma en la ciudad suntuosa.
La joven teme al padre... así porfía 85
por ocultar su situación penosa,
para encubrir la herida con que ingrato
rasgó su pecho tan fatal relato. [277]
 
     Pues solo en ella sus delicias halla
la madre, que más la ama que a su vida, 90
no puede resignarse a abandonalla,
ni a separar de sí su hija querida.
Y al ver su palidez, que triste calla,
y que la observa de dolor transida,
oculta el rostro, y con horrible pena 95
una indiscreta lágrima refrena.
 
     E Ildegunda, con ímpetu repente,
sin saber lo que hacía, en un instante
alzóse y se arrojó como demente
de su madre en el seno palpitante. 100
Cayó sobre su cuello, y dulcemente
ya sus ojos besaba, ya el semblante,
y entrambas sin hablar se comprendían,
y a mares �ay! sus lágrimas corrían.
 
     -Goza, bella inocente, desgraciada, 105
de este momento que te otorga el cielo:
goza el placer del llanto, embriagada
en la efusión del maternal consuelo.
�Quién sabe cuántos días, desdichada,
de quebranto hallarás y amargo duelo, 110
y en vano entonces buscarás mi llanto
que te consuele entre infortunio tanto!- [279]
 
     A tal escena el padre y el hermano
turbáronse. �Quién sabe si a un objeto
su alma llevada por delirio insano 115
su amor ha consagrado allá en secreto?
Y ese dudar no le creyeron vano,
cuando Ildegunda con semblante inquieto
hablaba de un enlace que se hiciera
sin consultar su voluntad siquiera. 120
 
     En efecto, Ildegunda diz que adora
a un gallardo doncel, joven valiente,
y es su primer amor, y la devora
una pasión frenética y ardiente.
Él se llama Rizardo Marzafiora, 125
hijo de honrada y de sencilla gente,
educado en el arte de la guerra
para defensa de su patria tierra.
 
     Con frecuencia la joven lo admiraba
siempre exponerse a la más alta empresa; 130
que entonces de las armas era esclava
la juventud ardiente milanesa;
pues más noble y gentil le reputaba,
uno entre tantos solo le interesa,
y sin saber por qué, siempre desea 135
que él quede vencedor en la pelea. [281]
 
     Y luego al regresar a su morada,
en su rostro se vio manifiesta
la tristeza... esperando la llegada
del primer día destinado a fiesta. 140
Y cuando a los torneos se aprestaba
la juventud belígera y opuesta,
Ildegunda, tan bella cuan sencilla
ansiaba verle en medio a la cuadrilla.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     También el mozo el corazón le entrega, 145
que a Ildegunda sentíase inclinado:
con pasión la adoraba y con fe ciega;
que de Ildegunda el rostro delicado
y el noble porte, en la marcial refriega,
con asombro sin par habla admirado, 150
y siempre así, con intención prolija,
en agradarla su conato fija. [283]
 
     De verla la esperanza ya perdía
Rizardo (pues estando el padre ausente
la madre separada la tenía 155
del tumulto y bullicio de la gente),
cuando corriendo en la gualdana un día
festivo por más señas, el valiente
y gallardo doncel la vido sola,
allá en una ventana, y saludóla. 160
 
     Notó la casa, averiguó al instante
quiénes fuesen sus padres, y rondaba
sus contornos con ánimo constante,
y en verla cada día se esforzaba.
La niña sonrojábase; el semblante 165
su oculto amor asaz manifestaba,
tal que el mancebo, más osado, luego
le hizo presente su amoroso fuego.
 
     Y siempre oficioso y reverente
con tan modesto celo la seguía, 170
que la ingenua Ildegunda al fin consiente
en oír la razón con que él porfía;
y ella a su vez pronuncia finalmente
la dulce voz que Marzaflora ansía:
sí, medio avergonzada le confiesa 175
el grande amor que oculto le profesa. [285]
 
     Su amor pusiera la doncella honesta
en Rizardo con muestra de contento,
cuando este, ansioso, jura que se apresta
a pedirla a su padre en casamiento. 180
El férvido doncel solo con esta
dulce esperanza nutre amor violento:
la virtud de la virgen era tanta,
que la miraba como cosa santa.
 
     Cada noche solícita, encubierta, 185
Ildegunda trasládase a un terrado,
que corresponde a una espaciosa huerta:
allí entraba el mancebo enamorado;
que la doncella le mostró la puerta
que a la calle miraba de contado; 190
y allí juntos pasaban largas horas,
viviendo entre esperanzas seductoras.
 
     Así sin duda el fuego iba aumentando,
que devoraba entrambos corazones;
mientras en Roma demoró Rolando, 195
vivieron en un mundo de ilusiones.
Mas �ay! �qué fue de ti, Ildegunda, cuando
el padre, esclavo vil de sus blasones,
vino y te dio la nueva dolorosa
de haberte destinado a otro hombre esposa. 200 [287]
 
     Pasan días: ya el tiempo está cercano
en que debe ir a Roma con su hija:
intentan convencerla... mas en vano:
medio no encuentran para que transija.
Convertido ya el padre en un tirano, 205
e instado por Rugier, dice que elija:
le concede dos días con imperio
para escoger, o enlace o un monasterio.
 
     Temiendo la doncella esta amenaza,
iba a Rugier y al padre suplicando; 210
mas fiel camino que inflexible traza,
no se separa el bárbaro Rolando.
Protesta que por hija la rechaza
si su mandato sigue despreciando,
y que en un claustro acabará abatida 215
su existencia, de todos maldecida.
 
     La noche que precede al triste día
por el terror y angustia, delirante,
dormir la desdichada no podía:
ni aun descansó en su lecho un solo instante. 220
Recordó su agitada fantasía
las promesas que hiciérale a su amante:
recordó aquellos días de bonanza
para entrambos de mágica esperanza. [289]
 
     Con frecuencia abrazando la almohada, 225
abrazar a Rizardo se figura:
creyérase su mente trastornada
por lamentable y súbita locura.
De su escasa firmeza avergonzada,
por él oye llamarse infiel, perjura, 230
y le intenta aplacar, y en su quebranto
las palabras emplea el llanto.
 
      -�Yo en otro hombre poner mi fe sincera!
�Yo abandonarte! exclama con anhelo:
no podría, Rizardo, aunque quisiera. 235
Tú eres solo mi luz y mi consuelo;
tan solo en ti mi corazón espera:
te lo juro, y asaz lo sabe el cielo,
que si de ti aleja infausta suerte,
de pesar moriré, de amarga muerte. 240
 
     La madre �oh! la doliente madre mía...
es mi madre mi ídolo en el mundo;
sabes cuánto la adoro, y todavía
mi amor para contigo es mas profundo.
Con el llanto en los ojos me pedía 245
que cediese al querer del iracundo
padre, invocando dulces nombres luego...
y rechacé su fervoroso ruego. [291]
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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     En tanto que la bella dolorosa,
por el delirio y sueño adormecida, 250
sobre su blando lecho al fin reposa
de los afanes de su triste vida,
llega el doncel: viva inquietud le acosa,
e ignorando la escena acontecida,
Rizardo hace la seña, y enojado 255
la invita a presentarse en el terrado.
 
     Cuando al aura la flor abre su broche,
al sitio convenido de antemano
acudía Rizardo cada noche,
mas esperaba a su Ildegunda en vano; 260
porque después del áspero reproche
que recibiera de su adusto hermano,
a esta el valor faltaba y la arrogancia
para salir de su tranquila estancia. [293]
 
     Rizardo entra en la huerta lo primero, 265
dentro su pecho crueles voces gimen:
lleva desnudo el afilado acero,
como el sicario que camina al crimen.
Mientras sigue por áspero sendero,
tristes sospechas sin cesar le oprimen... 270
Tiene en frente el palacio, y lo circunda
el terrado en que viera a su Ildegunda.
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     La llama, y respirando con cuidado
presta a cualquier rumor su oído atento,
y el corazón palpitale agitado, 275
y que es ella le diz cada momento;
mas sólo escucha un canto mesurado,
ya sí, ya no, según respira el viento,
y es el canto que entonan fervorosas,
desde el claustro, de Cristo las esposas. 280 [295]
 
     Suspira, y luego con audacia mucha
llama otra vez, y la cabeza inclina,
y el confuso alternar de un paso escucha,
que parece que lento se avecina.
Presentase ella en fin... Horrible lucha 285
grabó sus huellas en su faz divina;
suelta al aire su undosa cabellera,
la sombra de sí misma se creyera.
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     Al ver Rizardo a la infeliz doncella,
al punto se aproxima, y enojado 290
con injustas razones la atropella,
a su promesa por haber faltado.
Que cada día, dice, para vella
a aquel sitio acudió desventurado,
y que siempre, esperando en su porfía, 295
la luz le sorprendió del nuevo día. [297]
 
     La mísera esforzóse cuanto pudo,
y exclamó con voz débil, dando un paso:
-�Querrás que muera de pesar agudo
la última vez que te contemplo acaso?- 300
Y ella calló: siguió silencio mudo...
-Rizardo mio, yo por ti me abraso.-
No dijo más; porque en aquel instante
las lágrimas bañaron su semblante.
 
     La cabeza el doncel súbito erguía 305
al oír tan fatídica respuesta.
-�Oh cielos! �Es posible? le decía:
�la vez postrera en que me ves es esta?
Me engañaste sin duda, vida mía.
�Ay! habla por piedad, habla, contesta.�- 310
Y ella los ojos se enjugaba en tanto,
y seguía con voz de amargo llanto.
 
     El doble enlace trémula contando
que el padre con el Conde dispusiera;
su cólera y enojo luego, cuando 315
su negativa de la madre oyera;
que impelido era el bárbaro Rolando
por el hermano con astucia fiera;
y que en un claustro encerrarála �ay triste!
Si al otro día en su intención persiste. 320 [299]
 
     Mas, que mil veces perderá la vida,
si se puede sufrir mas de una muerte
en este mundo, antes que verse unida
a otro hombre, esposa; que si al fin la suerte...
Aquí calló, que oyeronse en seguida, 325
y más según que el viento era más fuerte,
los cantos que entonaban fervorosas,
desde el claustro, de Cristo las esposas.
 
     Se heló su sangre, se acreció su pena;
que aquella melancólica armonía 330
que en el silencio de la noche suena,
muerte anuncia; y su loca fantasía
ve al padre, que irritado la condena
a vivir y a morir desde aquel día
sola, encerrada dentro aquel convento, 335
sola, con su enemigo, el pensamiento.
 
     Invitóla el doncel, más atrevido,
que su consejo sin dudar siguiera:
ice que solo réstale un partido,
que aquella noche con él mismo huyera. 340
-�Ay, Ildegunda mía! te lo pido,
añade el mozo; ven, y donde quiera
tú mi esposa serás; no habrá más duelos,
que nuestra unión bendecirán los cielos.- [301]
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
 
     Pareció que la niña fácilmente 345
fue por los ruegos del doncel vencida;
mas presentóle su angustiada mente
de su madre la imagen dolorida.
Una voz la acusó secretamente
de acelerar el curso de su vida, 350
y el pudor otra vez logró el derecho
que un tiempo tuvo en su sencillo pecho.
 
     Y contemplando al infeliz cuitado,
le dijo vacilante: -Oye, repara,
primero y solo objeto que he adorado: 355
sabe el cielo si te amo y si dejara
por ti, sin vacilar, familia, estado,
y esta patria que me es tan dulce y cara,
y supiera arrostrar con alma fuerte
los más terribles golpes de la suerte. 360 [303]
 
     Mas al pensar cuánta aflicción y llanto
causara a la infelice madre mía,
que ya acusada de quererme tanto
el peso de mi culpa sufriría:
cuando medito que su atroz quebranto 365
al sepulcro tal vez la llevaría,
y que al morir implorarla en vano
los últimos auxilios de mi mano:
 
     Todo mi ardor entonces se mitiga,
y aunque estuviese de morir segura, 370
por no seguirte, mi deber me obliga
a soportar aquí mi desventura.
Ten compasión, Rizardo, de tu amiga;
cesa de hacer ultraje a la natura:
�no quieras �ay! mi postrimer aliento 375
emponzoñar con cruel remordimiento!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . [305]
 
     -�Ay! cesa, que a tu magia seductora
vacila mi virtud: �oh! cesa, cesa,
en breve va a salir la nueva aurora,
de separarnos la ocasión es esa. 380
A esta mujer no olvides que te adora...
Adiós, y aunque el decirtelo me pesa,
privada de tu amor, no en vano advierto
que oirás en breve que Ildegunda ha muerto.
 
     -�Qué hablaste de morir, �ay! qué dijiste? 385
La interrumpió el doncel llorando inquieto.
Bien: permanece aquí, pues lo quisiste,
a tu piedad filial yo me someto;
mas tu mente �por qué tenaz persiste
y ve a la muerte como solo objeto? 390
Esperemos, hermosa, en la clemencia
de la divina y justa providencia.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . [307]
 
     Mas de Rizardo ya se despedía,
viendo lucir el alba nacarada,
cuando miró a su hermano que salía 395
contra Rizardo con su aguda espada.
Este, entre ruinas de su suerte impía,
huye, a la calle llega deseada,
y el otro va en su pos, terco le aplaza,
le provoca, le insulta, le amenaza. 400
 
     Lanza un grito la mísera abatida,
no ve, no, quien de auxilio le provea:
dirígense los dos por la salida,
detrás del muro que al jardín flanquea;
ya nada ve... y entonces estremecida 405
entre mil dudas se apellida rea.
�Señor, es bien que tu piedad invoque;�
y oye de espadas el tremendo choque.
 
     Crece el fragor de la terrible lucha;
cesa por fin, y se oye acelerado 410
a un hombre huir con diligencia mucha,
ya llega... ya pasó... pasó el cuitado;
mas un lamento defallido escucha,
y este lamento viene de aquel lado.
�Ay!�quién será el herido?... �horrible dardo! 415
�Ay que la voz parece de Rizardo! [309]
 
     Del terrado en que está la desdichada
a la huerta sal vez saltado habría,
corriendo al sitio aquel desesperada,
donde el flébil acento distinguía; 420
por sus fuerzas empero abandonada,
ofuscada la vista, se sentía:
pierde el sentido al fin, ni a ver acierta,
y en tierra cae, �oh cielos! como muerta.
 
     Y cuando en sí volvió (de sus enojos 425
libre Ildegunda por aquel momento),
ya el sol brillaba entre celajes rojos
en el azul y claro firmamento;
y ella, volviendo aquí y allá los ojos,
vio a su madre con muestras de contento; 430
y la estancia después reconocía,
después el lecho sobre el cual yacía.
 
     Un rumor, un estruendo ocupa en tanto
del palacio las salas y salones:
se susurra do quier, voces de llanto 435
van resonando en todas direcciones.
Todos corren, de todos el quebranto
vese marcado en todas las facciones,
tal que Ildegunda, con empeño vivo,
de aquel trastorno preguntó el motivo. 440 [311]
 
     Y la madre narrábale afligida
la suerte de Rugier de un modo incierto;
que sin sentido, a causa de una herida,
trajéronle al palacio como muerto;
que en peligro inminente está su vida, 445
según afirma el cirujano experto:
Ni ha podido inquirirse �cruel destino!
quién fue el malvado y bárbaro asesino.
 
     De todos con placer puro, infinito,
sus ojos a la luz Rugiero abría, 450
y al padre, a los amigos, el delito
de Ildegunda y Rizardo refería.
Esta mancha a borrar �padre! os invito,
que empañó nuestro escudo en este día...
�Ildegunda infeliz! La que liviana, 455
cual tú, mancha su honor, no es ya mi hermana.
 
     Estas palabras del falaz Rugiero
al padre enfurecieron: como insano
quiso, cogiendo el afilado acero,
matar a su hija con su propia mano: 460
la pobre madre se le opuso empero,
y cuantos acudieron. Gualderano
allí entre tanto, con afán prolijo,
su prole entera con furor maldijo. [313]
 
     Imprecó furibundo contra de ella 465
del alto cielo la fatal venganza:
ni el llanto de la madre, o la querella
de los amigos, a calmarle alcanza;
quiere encerrar a la infeliz doncella
en un convento, al punto, sin tardanza 470
en el convento donde poco hacía
la muerte le robó una amada tía.

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